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Autore: RosaBuo    02/02/2014    3 recensioni
E poi la vidi, guardava verso il palco e cercava di intrufolarsi fra la gente; forse anche lei era da sola, ma pensai che non poteva essere così, era troppo bella per essere da sola ad un concerto. Fossi stato suo padre le avrei pagato una guardia del corpo per essere sicuro che non fosse mai da sola. Sorrisi fra me, stavo davvero pensando di voler pagare una guardia del corpo ad una sconosciuta e non mi accorsi che aveva cominciato a guardarmi e si era avvicinata. La guardai per un istante e i suoi occhi erano così profondi e di un colore quasi indefinito, mi fissava.
Sorrise.
Lo feci anche io.
“Ma tu sei Ryan Lewis...”, non sembrava affatto una domanda.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Triangolo
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Macklemore e Ryan Lewis non mi appartengono, come tutti gli altri personaggi noti o famosi citati.
Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, né offenderle in alcun modo.
Alcuni personaggi sono frutto della mia immaginazione, non esistono davvero.
Di solito non è che scrivo molto, ma adoro farlo. A volte mi sveglio piena di ispirazione e quindi penso sia ora di scrivere. Non ho mai pensato di poter scrivere una fan fiction su M&RL, ma stanotte ho fatto un sogno che mi ha ispirata. Ho sognato Ryan ed è proprio di lui che parlerà questa storia.
Spero vi possa piacere e di non perdere l’ispirazione.
Buona lettura.

Il concerto

La sveglia sul cellulare continuava a suonare ogni cinque minuti da circa mezz’ora e non riuscivo ad aprire gli occhi. Avevo ancora l’orario di Seattle addosso nonostante mi trovassi da tre giorni in Italia. Mi ero preso una meritata vacanza staccando da tutto, ero da solo ed ero in vacanza, ma mi ero imposto di svegliarmi presto e di visitare tutti i posti dove sarei andato. Milano nei primi giorni di giugno non sembrava neanche come la ricordavo. C’era il sole e sembrava così diversa.
Finalmente riuscii a mettermi in moto e mi avviai in bagno per darmi una rinfrescata, dopo venti minuti mi trovavo in strada, era il 7 giugno, credo. Girando per le strade qualcuno mi riconobbe e mi ritrovai a firmare autografi o a fare foto con varie persone, ma mi sentivo rilassato, ero felice e in vacanza.
Potevo mangiare o andare dove mi pareva o semplicemente potevo starmene lì a  fissare il cielo senza orari da rispettare, persone da incontrare o prove da fare.
Ero per strada quando vidi affissa ad un muro una locandina, i Linkin Park in concerto nella loro unica data italiana. Senza pensarci più di una volta comprai un biglietto online da ritirare il giorno stesso al botteghino. Non ero mai stavo un grande fan, ma la loro musica mi piaceva e ad un concerto che non fosse il mio non ci andavo da un bel po’ di tempo. Mi informai sul luogo del concerto e per due giorni continuai ad andare in giro senza meta nelle strade milanesi e cercavo di decidere quale fosse stata la prossima meta del mio viaggio.
La mattina del 10 giugno mi svegliai di buon ora, feci un’abbondante colazione da bravo americano e, con calma, uscii in strada. Comprai qualcosa che riportai poi nella mia camera d’albergo e, dopo pranzo, chiamai un taxi che mi portò verso il luogo del concerto. C’erano migliaia di persone accampate lì per un concerto che, per molti di loro, rappresentava un sogno. All’apertura dei cancelli mi incamminai all’ingresso, qualcuno mi riconobbe, qualche altro no; meglio così, pensai.
Comprai qualcosa allo stand e mandai un messaggio a Ben,
«sono al concerto dei Linkin Park, in Italia»
La sua risposta non tardò
«poi mi spieghi perché un americano va al concerto dei Linkin Park, in Italia, da solo»
Gli inviai una foto
«perché è un produttore e dj in vacanza e perché il 75% delle persone che sono qui non lo riconoscono…»
«tu sei un idiota, divertiti»
Mi guardai un po’ intorno e cominciai ad andare in giro. Trovai uno stand interessante. Vendevano musica di ogni genere, sembrava il mercato delle pulci della musica, edizioni introvabili, dischi usati, musica di altri tempi, tutto messo lì senza un ordine preciso di anno o di genere. Chiesi a qualcuno quanto costavano e la risposta fu “10 euro due dischi, 20 euro cinque”, sembrava un invito a nozze. Con non poca difficoltà comprai qualche disco, li misi nella borsa a tracolla che per fortuna avevo deciso di portare con me, mi guardai intorno e decisi di tornare verso il palco, si stava riempiendo ed era ora di andare a prendere posto.
Ero lì, aspettavo, come tutto il resto delle persone. Qualche gruppo di supporto emergente italiano suonava qualcosa che non mi piaceva particolarmente e in più non capivo nulla dei loro testi, mi convinsi che dovevo solo aspettare e poi la vidi, guardava verso il palco e cercava di intrufolarsi fra la gente; forse anche lei era da sola, ma pensai che non poteva essere così, era troppo bella per essere da sola ad un concerto. Fossi stato suo padre le avrei pagato una guardia del corpo per essere sicuro che non fosse mai da sola. Sorrisi fra me, stavo davvero pensando di voler pagare una guardia del corpo ad una sconosciuta e non mi accorsi che aveva cominciato a guardarmi e si era avvicinata. La guardai per  un istante e i suoi occhi erano così profondi e di un colore quasi indefinito, mi fissava.
Sorrise.
Lo feci anche io.
“Ma tu sei Ryan Lewis...”, non sembrava affatto una domanda.
“No, non lo sono”, continuò a guardarmi e io non riuscivo a capire perché stavo cercando di mentire,
“Si che lo sei, tu sei Ryan Lewis”, feci per spostarmi, ma mi seguì “Cosa fai ti allontani? Perché menti? Sei in incognita?”
Riuscii ad uscire dalla folla, ora avevo spazio, mi girai di scatto e lei mi stava raggiungendo, a pochi passi da me si fermò, mi avvicinai
“Si, sono io, ma ora non andare a dirlo in giro”
“No, cioè, figurati. Cosa ci fai qui?”
“Pensavo mi seguissi per una foto”, mi fissò senza dire nulla, era bella, “allora?”
“Cosa?”
“Vuoi una foto o cosa?”
“Non vuoi che la gente sappia che tu sia qui, non credo tu possa mai acconsentire alla mia richiesta di una foto”, l’avevo incontrata da soli cinque minuti e già mi aveva spiazzato, rimasi in silenzio “allora?”, continuava a fissarmi
Mi riavviai i capelli e sono quasi certo di essermi passato la lingua fra le labbra perché i suoi occhi si spostarono sulla mia bocca,
“Ok…”, la presi per mano senza pensarci più di una volta, “vieni con me, almeno non sono da solo”
Mi avviai verso uno stand di bevande, “Ti va una birra?”, mi seguiva ma non credo sapesse bene cosa stesse facendo, “Ti va una birra?” lo ripetei fermandomi e guardandola
“S-si”
“Ok, vai lì, prendine due”, prese i soldi che le avevo offerto e si avviò dubbiosa verso lo stand, la guardai per tutto il tempo, non era solo bella a causa del suo viso o dei suoi capelli, aveva anche un bel corpo, forse non era altissima, ma era sicuramente una delle cose più belle che i miei occhi avessero mai visto. Chiusi gli occhi e mi schiacciai una mano sulla fronte, cosa diavolo era successo? Perché ero a quel concerto? E perché quella ragazza non mi aveva semplicemente chiesto una foto? Qual era il suo nome? Mentre mi perdevo in domande senza risposta tornò con due birre fra le mani e aveva di nuovo lo sguardo di qualche minuto prima, quello sicuro e interrogativo. Mi diede la mia birra,
 “Ah, io sono Briana, italiana di nascita, americana di origine”
“Io Ryan”, rise
“Bhe, questo lo so”
“Giusto”, sorseggiai la mia birra, lei teneva il bicchiere con entrambe le mani, sorseggiò e alzò gli occhi e sorrise guardandomi,
“Grazie”
“Non ci provare, devi mantenere il segreto per oggi”, mi avvicinai e il suo sorriso diventò una risata, ridemmo insieme e, senza accorgermene, le misi un braccio intorno alle spalle e andammo di nuovo verso la folla,
“Sono con un’amica, aveva vinto il meet con la band avrei dovuto aspettarla lì”
Andammo verso il posto che mi aveva indicato e lì c’era questa sua amica, sembrava impazzita; le disse qualcosa in italiano che non capii e poi mi guardò, riportò gli occhi su Briana e indicandomi le chiese qualcosa, cercai di presentarmi e Briana fece in modo di non farle capire chi fossi, non se ne accorse, aveva appena incontrato i Linkin Park lei, non poteva capire chi fossi io in quel momento. Guardai Briana e ridendo mi avvicinai a lei stringendola un po’ per un fianco, le nostre fronti quasi si toccarono. Era quasi assurdo quel contatto così naturale con una persona di cui sapevo praticamente solo il nome. Durante il concerto capii che quella band era importante per lei, era felice e su alcune canzoni non riuscì a trattenere l’emozione, guardai più della metà del concerto attraverso i suoi occhi. Fu una bella sensazione.
Finito il concerto mi disse che avrebbero trovato qualcosa da fare, era più o meno mezzanotte e avrebbero preso un treno per Firenze dopo cinque ore. Le chiesi di rimanere con me, la sua amica era in buona compagnia, si sarebbero incontrate in stazione. Mi sorprese, guardò la sua amica e non parlarono, si guardarono e fu come se si leggessero la mente, la sua amica poi mi sorrise “Ok”, mi disse.
Ci avviammo fuori e Briana mise un suo braccio sotto il mio, camminavamo a braccetto come due persone che si conoscono da un po’
“Ti sei commossa prima”
“Non è vero”
“Si, che lo è.. piangevi”
“Ryan”, la guardai senza dire niente, molto probabilmente non l’avrei più rivista, volevo ricordarmela,
“Sei stanca?”
“Si, ci sediamo da qualche parte?”, ci sedemmo sulla prima panchina che trovammo lì intorno,
“Allora, com’è che parli così bene la mia lingua?”
“Vivo a Los Angeles”, quella notizia mi rese l’uomo più felice del mondo
“E cosa ci fai qui?”
“Ho avuto una settimana di ferie dal lavoro e sono venuta in Italia, era un po’ che non ci tornavo, sono cresciuta in un paesino a sud, ma non credo di tornarci molto presto, non ho molti bei ricordi laggiù. Ho preferito tornare in Toscana dalla mia amica e approfittarne per venire insieme al concerto. E tu? Che ci fai qui?”
“Io, bhe, sono in vacanza e ho deciso di venire in Italia, sono da qualche giorno qui a Milano, credo che andrò a Roma domani e poi credo e penso che andrò a rilassarmi in qualche destinazione esotica”
“Oh, bene”
“Vuoi venire con me?”, rise e mise su un’espressione ironica,
“Certo, quando partiamo?”, ridemmo insieme e guardammo il cielo,
“Che ora è?”
“Le 3.20, Briana. E dimmi, che lavoro fai lì a LA e da quando lavori lì?”
“Mi ci sono trasferita un anno fa, mi sono laureata a 23 anni e non avevo più nulla che mi trattenesse in Italia così ho deciso di andare a scoprire le mie origini. Sono andata a vivere con i miei nonni. Ci ero stata da bambina, ma poi i miei hanno divorziato, mio padre è morto quando avevo 12 anni e mia madre si è ammalata qualche anno dopo lasciandomi in poco tempo, ho vissuto per un po’ a casa di una mia zia, ma finiti gli studi ho cercato di meglio. Ho cercato me stessa, mi sentivo in trappola”
“Mi dispiace”
“Figurati. Comunque mio nonno ha lavorato nel cinema quando Hollywood era diversa da quella che è oggi. Ha cominciato facendo il fattorino per uno scenografo importante dell’epoca, era il suo sogno e ci è riuscito. Ha vinto un Oscar nel 1967. Ora è vecchio e depresso, non ha voglia di uscire di casa, né di presenziare a eventi o masterclass per la scenografia. Si sta lasciando andare e odia il cinema di oggi. Non lavora a nessun film dal 1997. Ha conosciuto Visconti e molti altri, sai? Credo di amare il cinema a causa sua, non lo vedevo molto da bambina, di solito in estate andavo in America e avevo l’opportunità di stare con lui, ma ricordo che guardavamo film per ore e ore e mi spiegava qualsiasi cosa, mi faceva capire le scene, i dialoghi. Credo sia per questo che ora lavoro come assistente di un attore”
“Wow, e me lo dici chi è?”
“No, non te lo dico chi è”
“Lo sai che lo scoprirò”
“Come vuoi”
“Chiamo un taxi, è tardi e non vorrei che a causa mia tu perda il treno”, all’interno del taxi era silenziosa, forse raccontarmi un po’ della sua vita non le aveva fatto bene, ma infondo lo aveva fatto, non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso, arrivammo alla stazione e ci fermammo uno di fronte all’altra
“Allora, grazie Ryan Lewis, è stato bello vedere i Linkin Park e chiacchierare con te”
“Grazie a te Briana…ehm”
“Davis, Briana Davis”
“Brian Davis, bello. Grazie a te”, ci abbracciammo, “però una foto avremmo potuto farla comunque”, mi guardò incredula, ci mettemmo in posa, guancia contro guancia e scattò la foto,
“Me la mandi?”, mi guardò, presi il suo cellulare e mi inviai la foto lasciandole il mio numero senza neanche rendermene conto. Arrivò la sua amica con il suo ragazzo e disse qualcosa, capii solo –Ryan Lewis-, forse ci avevano pensato intanto.
Sorridemmo e salutai di nuovo quella ragazza che mi aveva cambiato la giornata e la vacanza, non sarebbe stato facile togliermela dalla testa.
Dopo un po’ ero nella mia camera d’albergo e fissavo quella foto, era bella. Sorridevamo. Un pensiero mi girò per la testa: Davis. Suo nonno doveva essere Charles Davis.
Saltai e mi sedetti al centro del letto; il cellulare suonò. Era un sms. Era lei.
«Manterrò il segreto Ryan Lewis, quella foto non la pubblicherò, sei al sicuro»
«Ora che ho il tuo numero sei tu a non essere più al sicuro, buon rientro a casa, spero di rivederti presto»
 

  
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