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Autore: Lady_F    02/02/2014    1 recensioni
Seguito di "People can('t) change"
"Sembrava tanto uno di quegli stupidi cliché romantici.
Smythe, Smythe, sei messo male, caro mio.
Male? Perché?
Punto uno: non è normale parlare da soli. Punto due: hai appena pensato la parola “romantici,” e tu e quella parola non siete mai andati d'accordo.
Tornò a osservare Harwood, che ora sorrideva, ascoltando le parole dell'altro.
E no, non stava affatto pensando a quanto fosse bello quel sorriso; assolutamente no.
«Ti senti bene?»
Perché Duval si era appena seduto di fianco a lui? «Certo che sì. Perché non dovrei?»
«Avevi un'espressione strana» storse il naso, prima di aggiungere: «Hai presente quel sorrisino ebete che hanno le persone innamorate?»
Eh?"
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Sebastian Smythe, Thad Harwood, Warblers/Usignoli | Coppie: Sebastian/Thad
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NdA: Com'è scritto anche fuori questa è la seconda parte di “People can('t) change” (http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2410074&i=1), ma anche se non l'aveste letta credo possiate capire buona parte della storia.


 

DO YOU LOVE HIM?

 

Avrebbe dovuto fare più attenzione. Non faceva che ripeterselo nella mente, mentre, sdraiato sul letto, si rigirava il foglio ormai piegato fra le mani.
Avrebbe dovuto far sparire quella lista prima di chiamare Pierre.
E non riusciva a fare a meno di chiedersi cosa sarebbe successo se l'avesse fatto. Ma non cercava nemmeno una risposta. Se era consapevole di qualcosa, era che non doveva mai desiderare di cambiare il passato.
Per il semplice fatto che il passato non si poteva cambiare.
Un qualcosa accaduto era ormai accaduto. Niente rimpianti. “Passato” e “cambiare”, per Sebastian Smythe, potevano trovarsi nella stessa frase solo quando la suddetta era: “il passato ti cambia”. Per il semplice fatto che lui l'aveva testato sulla sua stessa pelle.
Ciò che ti accade ti cambia.
E possono essere cambiamenti positivi e negativi. Secondo sua madre i suoi erano stati tutti negativi. Ma lui non la pensava così. Sapeva di aver subito cambiamenti negativi, ma anche positivi. Aveva imparato a fregarsene degli altri, a mettere sempre se stesso al primo posto. Aveva imparato a non soccombere ai suoi sentimenti. Aveva imparato che era lui a doversi sentire bene, non gli altri. Che non doveva negarsi la felicità per darla ad altre persone.
Chiuse gli occhi.
Sì, era uno stronzo. Sorrise.
Sebastian Smythe, sei uno stronzo.
Sogghignò soddisfatto.
Ma se in parte era felice, cos'era quella strana sensazione che provava?
Perché sentiva come se ci fosse qualcosa di sbagliato?
Si ritrovò a fissare il foglio che aveva tra le mani. Si intravedevano le righe nere di penna. Lo aprì lentamente e osservò tutti i nomi.
Li lesse tutti più e più volte, finché non si rese conto che quel qualcosa di sbagliato era Thad Harwood. Quando seguiva con gli occhi quelle lettere scritte in modo ordinato sulla pagina bianca non riusciva a fare a meno di provare una sorta di angoscia.
Effettivamente tra tutti i ragazzi della lista Harwood era l'unico con cui aveva una sorta di rapporto.
Gli altri erano tutti scopate di una notte; Harwood era anche il suo compagno di stanza. Poco contava che l'obbiettivo di quelle ore di studio insieme non fosse altro che portarselo a letto. Si sentiva in qualche modo legato a Harwood.
Quasi un'amicizia.
E lui di amici non ne aveva molti.
Quelli che poteva davvero definire amici li poteva contare sulle dita delle mani.
Pensò al sorriso di Thad quando gli disse felice di essere riuscito a prendere una B+ in una verifica di francese. E si rese conto che dopo ciò che era successo non gli avrebbe più sorriso.
Per un singolo istante si ritrovò ad arpionarsi al ricordo di quel sorriso sincero, ma gli bastò dirsi «è il passato» per smettere di farlo.
Per quella che gli sembrò la prima nella sua vita si sentì uno stupido. Perché per una stupida scommessa aveva cancellato la possibilità di avere un'amicizia sincera con qualcuno.
Da quand'è che mi interessa essere amico di qualcuno?
E appena se lo domandò realizzò di sentirsi solo. E ne fu infastidito, perché lui non poteva permettersi di sentirsi solo. Lui stava benissimo con se stesso e basta.
Non aveva certo bisogno di compagnia. Men che meno di amici. Al massimo poteva avere degli amici con benefici. Forse avrebbe potuto chiedere a Thad di esserlo.
Ma prima avrebbe dovuto quantomeno farsi perdonare.
Oh mio Dio, non l'ho davvero pensato.


Bussò piano alla porta chiusa.
«Chi è?» urlò dall'interno della stanza una voce, che riconobbe come quella di Barbie aka Sterling.
«Smythe» esclamò di rimando.
Calò per un istante il silenzio, poi voci concitate che parlavano. Non riuscì a capire nessuna delle loro parole, ma dopo poco meno di un minuto dalla porta ne uscì Ken (aka Duval). Ed era parecchio arrabbiato.
Sebastian evitò per un soffio il pugno dell'altro, con un «ehi!» stizzito.
«Smythe» sibilò l'altro. Se gli sguardi avessero potuto uccidere Sebastian sarebbe già stato bello che stecchito. «Cosa diavolo vuoi ancora?»
Sebastian fece un passo indietro, quasi intimidito dal moro, domandando: «Come sta Harwood?»
«Come vuoi che stia? Come vuoi che stia un ragazzo che ha appena scoperto che il tipo a cui muore dietro se l'è portato a letto solo per una cazzo di scommessa?» Rendendosi conto di ciò che aveva detto si portò una mano alla bocca, come se le sue parole potessero tornare indietro e non cadere su Sebastian come una bomba.
Il tipo a cui muore dietro? Fantastico. Era fottuto. Non l'avrebbe di certo perdonato. «Non credevo che l'avrebbe presa così male», si difese.
«Non credevi... Oh mio Dio, Smythe. Non ci avevi nemmeno pensato a ciò che lui avrebbe sentito, vero? Tu te ne freghi di tutto e di tutti e basta. Come avrebbe dovuto prenderla secondo te? Pensavi che ti avrebbe ringraziato per la nottata e sarebbe rimasto tutto come prima? Pensavi che anche Thad fosse un ragazzo senza sentimenti? Senza un minimo di amor proprio? Quello sei tu, Smythe. Non Thad.»
Restò per un attimo spiazzato da quella fiumana di parole. Non era abituato alle sfuriate. Nessuno si arrabbiava con lui. Lo temevano troppo. «Ho fatto un casino, vero?»
Duval restò un istante a bocca spalancata. Probabilmente si sarebbe aspettato di tutto, persino un'espulsione dai Warblers, ma non quello. Non il tono quasi sconsolato di Sebastian. Ma d'altra parte Sebastian aveva già iniziato a cedere e a mostrarsi nello sgabuzzino, a Thad. «Sì, abbastanza. Cioè, se ti interessa il fatto che probabilmente Thad ti odierà per il resto della sua vita e non farà che piangere ogni volta che ti nominiamo. Non voglio a pensare a ciò che potrebbe succedere se ti vedesse.»
«Oh» fu l'unico brillante commento di Sebastian. Cazzo. Cazzo cazzo cazzo.
Duval lo osservava a braccia incrociate, anche se ora che si era sfogato appariva più calmo. «Bene, se non hai altro da dirmi io rientro.»
Sebastian lo vide voltarsi e quasi aprire la porta, ma lo bloccò un istante prima, costringendosi a dire: «Certo che mi interessa.»
Duval tornò a osservarlo come se si fosse improvvisamente trasformato in un unicorno. «Sicuro di sentirti bene, Smythe?»
«Duval, prova a ripetere a qualcuno ciò che sto per dirti e potrei venire a impiccare te e la tua Barbie, ma io ci tengo a Thad.»
«Tu ci...? Non so se te ne sei reso conto, Smythe, ma se avessi tenuto a lui non te lo saresti portato a letto per una scommessa.»
Sebastian fece una smorfia. «Me ne sono accorto solo stamattina. Che prima di tutto questo Harwood era quasi un... amico.»
«Sei davvero sicuro di non essere stato posseduto da qualcuno, Smythe?»
Lui alzò gli occhi al cielo, spazientito. Ma doveva proprio mettersi a fare ironia quando a lui servivano delle tenaglie per tirarsi fuori quelle parole e dirgliele? «Dici che ho qualche possibilità di farmi perdonare?»
«Forse. Forse no. A volte Thad non lo capisco nemmeno io.» si bloccò un attimo, scuotendo la testa. «Ma se vuoi farti perdonare hai bisogno di un piano. Di un ottimo piano» concluse con un sogghigno per nulla rassicurante.


Se un paio di giorni prima gli avessero detto che si sarebbe ritrovato seduto a un tavolo con Nick Duval, a cercare un modo per farsi perdonare da un ragazzo per esserselo portato a letto a causa la sua scommessa con Pierre sarebbe probabilmente morto dal ridere.
E invece eccolo lì, a bere un caffè con Ken. E a parlare di Harwood.
Si stava sorbendo l'ennesimo piano del cavolo di Duval. Ma non lo fece finire, mormorando stancamente: «Duval, elimina qualunque piano in cui io debba dire a Harwood che sono innamorato di lui. Se non ti fosse chiaro, non lo sono
«Lo so. Però dirglielo ti assicurerebbe il suo perdono» ribatté con semplicità, e con un sorriso fin troppo mieloso.
«Sì, e poi mi metto pure a fare il fidanzatino fedele.» ironizzò Sebastian, ridendo tra sé. Se i piani di Duval erano quelli potevano direttamente buttarsi giù da una qualche finestra.
«È un'idea.»
Quasi sputò il caffè. «Duval, no.»
A quanto parve quel “no” così deciso fece il suo effetto, perché l'altro smise immediatamente di esporre piani con una qualche dichiarazione.
E finalmente nella mente di Sebastian si formò l'idea perfetta. D'altra parte l'unico a poter avere un'idea perfetta non poteva che essere lui.


«Ditemi che sta scherzando» mormorò Trent con un tono di voce disperato agli altri Warblers.
Sebastian nemmeno ci fece caso, continuando a sorridere freddamente ai ragazzi seduti in giro per il salone.
«Perché dovremmo cambiare ancora la scaletta?» domandò qualcuno.
«Ve l'ho spiegato. Michael non va bene.» Okay, era parecchio un controsenso, dopo tutto il lavoro che avevano fatto per soffiarlo alle New Directions. Ma un piano era un piano. «Credo abbiano ragione quelle New Qualcosa. Noi non capiamo Michael, quindi tanto vale cambiare canzone.»
«Non riusciremo mai a preparare una canzone nuova in un pomeriggio, Sebastian» si lamentò Trent, guardandolo storto.
«Chi ha detto che deve essere nuova? Tanto vale riprendere Glad You Came, quando l'abbiamo provata ci era venuta bene» e si sforzò di sorridere a tutti.
Senza fare caso alle occhiate sorprese di alcuni Warblers, dato che era stata una delle prime canzoni che Sebastian aveva eliminato tra quelle proposte.
«Per me va benissimo» intervenne Duval, lanciando al capitano un'occhiata d'intesa. «Cioè, i passi che abbiamo messo su per Michael sono perfetti, ma sono complicati e alcuni di noi li sbagliano ancora. Quelli per Glad You Came sono relativamente più semplici, vero Jeff?»
Sterling, consapevole del piano di Sebastian, sorrise dolcemente (Sebastian quasi vomitò) al suo fidanzato. «Esatto. Se ci impegniamo in un pomeriggio dovremmo riuscire a impararli senza problemi.»
Sebastian udì Trent mormorare qualcosa sul fatto che magari Jeff ce l'avrebbe anche fatta, dato che era un asso nella danza, ma lui no di certo.
«Votiamo?» propose il biondino entusiasta.
«Non vorrei ricordarti che ho abolito le votazioni mesi fa» intervenne Sebastian. «E io la mia decisione l'ho presa.»
«E» intervenne un altro Warbler, di cui Sebastian non ricordava il nome, «Thad e Nicholas non ci sono, e per votare dovremmo esserci tutti.»
«Ehi, è vero. Dove sono?» domandò qualcuno.
«Thad ha avuto una reazione allergica a qualcosa che ha mangiato e Nicholas l'ha accompagnato al pronto soccorso. Ci doveva un favore, dopo la storia dei capelli.» rispose prontamente Duval.
Sebastian quasi lo ringraziò. Quasi.
Alla richiesta di notizie da parte dei ragazzi Jeff intervenne dicendo che sarebbe comunque stato in grado di esibirsi anche lui il giorno successivo, ma che era tuttavia impossibile insegnare a entrambi la coreografia di Glad You Came se non fossero tornati entro l'inizio delle prove, cosa improbabile.
«Sentite» lo interruppe Sebastian, «non dite a nessuno dei due che abbiamo cambiato scaletta. Almeno non faranno storie e me la vedrò io con loro domani.»
Troppo preoccupati a pensare ad altro, i Warblers non fecero scene alla strana richiesta del ragazzo e continuarono a parlottare tra loro, finché non furono portati all'ordine e le prove iniziarono.


Seduto su una poltrona, sfiancato dalle ore passate a ballare, Sebastian stava bevendo un cocktail. Che in realtà non era altro che un insieme indefinito di alcuni alcolici.
Sì, li aveva trovati. Erano nascosti nella dispensa, dietro le scatolette di caviale. Meno male che non aveva fatto parola di quella stanza con i Warblers, o avrebbero usato anche quelle costose uova di pesce nella loro battaglia.
Comunque, si stava ripetendo per l'ennesima volta quanto si sentisse stupido.
Cosa avrebbe detto Pierre vedendolo così? Mentre cercava di farsi perdonare da un ragazzo per esserselo portato a letto. Gli avrebbe detto che si era rammollito. Che non era più lo stesso ragazzo di un tempo.
La verità?
Non gli interessava più poi tanto cosa pensasse Pierre. Ora era certo che suo cugino non fosse altro che uno viziato insopportabile, e si stava chiedendo come avesse fatto a influenzarlo così tanto per tutto quel tempo. Tutta colpa dei suoi genitori che avevano deciso di tornarsene in Francia e si era ritrovato a dividere la villa con i suoi zii. Pierre annesso.
Osservò per qualche minuto il sentiero che portava alla casa, le siepi che delimitavano il giardino e la strada poco più avanti, fuori dalla finestra.
Bevve un altro sorso dal bicchiere.
Pierre aveva rimesso alla luce lati nascosti del suo carattere, mentre era a Parigi, e gli aveva fatto capire come voleva essere e come voleva apparire agli altri. Che poi era più o meno la stessa cosa.
Pian piano era diventato sempre più simile a Pierre, sempre più simile al suo ideale di persona. O quello che credeva essere il suo ideale.
Non era nemmeno la prima scommessa che facevano. Nemmeno la prima di quel genere. Aveva perso il conto di quante ne avevano fatte. Venti, trenta?
E per quanto odiasse ammetterlo, non ne aveva vinte tante. Ma si giustificava sempre col fatto che Pierre era più grande e aveva più libertà.
Senza contare che da quando frequentava la Dalton- Ma quelli che stanno arrivando mica sono Harwood e Hudson?
Si alzò per avvicinarsi di più alla finestra.
Perché sono così appiccicati?
Aguzzò la vista. Hudson stava sussurrando qualcosa a Harwood, che rise divertito.
Hudson, così non va affatto bene non riuscì a impedirsi di pensare.


Il giorno precedente, dopo la scena intravista dalla finestra, non era riuscito più a incrociare Harwood.
Non si era presentato a cena, né alla riunione serale dei Warblers, facendo dire da Nick che non stava bene.
Ora che si trovava a pochi passi da lui, dietro le quinte del teatro dove si sarebbero tenute le Regionali, quasi non aveva la forza di avvicinarsi quel tanto che bastava per parlargli.
Cazzo, Smythe, datti una mossa.
Si spostò di fronte all'ispanico, affiancato da Ken e Hudson. Doveva trovare un nomignolo per Hudson. Harwood alzò gli occhi e quando lo vide sembrò sul punto di dire qualcosa, per poi arretrare.
«Dopo Stand voi due tornate dietro le quinte» disse semplicemente ai due. Mio Dio, non sapeva proprio decidere chi fosse il più basso fra quei tre. Ma per caso dopo il talento le selezioni per entrare nei Warblers erano fatte secondo la regola “più sei basso più hai possibilità di far parte del glee club”?
«Come, prego?» domandò Harwood.
Era strano sentire di nuovo la sua voce, dopo averla sentita urlare il suo nome in una situazione che effettivamente era ben più piacevole di quella in cui si ritrovavano.
«Tu e Hudson non vi esibite col secondo pezzo. Devo farvi uno schema?» Intravide appena Hudson annuire (d'altra parte lui conosceva a grandi linee il piano di Sebastian) e appena Harwood tentò di ribattere ancora lo interruppe: «Mettila così Harwood, se tu dopo Stand non te ne torni dietro le quinte c'è un video molto compromettente su me e te che potrebbe finire su internet.»
«Un...» Harwood spalancò la bocca per poi voltarsi e sparire nei camerini.
Nick lo guardò parecchio male. «Ti dico una cosa molto sinceramente, Smythe: in queste faccende fai schifo», per poi voltarsi e seguire il suo migliore amico.
Hudson gli fece un sorrisetto triste, per poi raggiungere un gruppo di Warblers poco distante, lasciandolo solo con la consapevolezza di aver appena fatto una cazzata.


Finito di cantare il primo ritornello di Glad You Came sbirciò per un istante verso le quinte.
Di certo non si era aspettato un perdono immediato o che Harwood si fosse lanciato verso di lui abbracciandolo, ma senza dubbio non si era aspettato quello.
Harwood era grigio di rabbia e sembrava pronto a ucciderlo da un momento all'altro.
Realizzò in quell'istante cos'altro aveva fatto di sbagliato.
Il doppio senso della canzone.
Porca miseria.
Lui era il re dei doppi sensi, come aveva fatto a non accorgersene?
Era fottuto.
Perché non ci aveva pensato?
Perché nessuno ci aveva pensato?
Non che potesse farne una colpa a tutti i Warblers che non avevano idea del vero motivo per cui avrebbero cantato quella data canzone, ma Ken e Barbie... No, effettivamente no. Probabilmente erano troppo stupidi anche solo per capire il fatto che esistessero dei doppi sensi nel mondo.
Ma ormai era nel mezzo dell'esibizione, sul palco, ed erano le Regionali. Non poteva certo fermare la canzone e cambiarla. Andò avanti, continuando a sorridere, ignorando ciò che stava succedendo nella sua testa.
Tornati dietro le quinte non fece caso a ciò che gli altri dicevano, cercando Harwood, sperando di riuscire a parlargli e spiegarli perché aveva cantato Glad You Came, non per il doppio senso, ma per la storia del pianoforte, ma era sparito.
E oltre al danno, la beffa. Persero le Regionali. E vinse il glee canterino di Anderson. Anderson.
Tutta quella situazione era colpa sua. In origine sulla sua lista c'era Anderson, non Harwood. Aveva convinto Pierre a cambiarlo perché per quanto le sue doti di seduzione fossero assai molto superiori della norma c'era Faccia da checca che si sarebbe messo in mezzo (non che una cosa a tre gli sarebbe dispiaciuta), e nessuno dell'elenco di suo cugino aveva un ragazzo così rompipalle e appiccicato semi-perennemente al didietro.


Si lasciò cadere distrattamente sul morbido sedile del pullman che li avrebbe riportati a Westerville.
Parte I del piano: sedersi di fianco a Thad. Fatto.
Parte II del piano: parlare con Thad.
Parte III del piano: piano finito.
Questo piano fa schifo.
Si voltò sorridente verso l'ispanico al suo fianco, ma l'altro non lo degnava di uno sguardo, le cuffie alle orecchie e un libro aperto tra le mani.
Bene. Aveva attaccato mille volte bottone con uno sconosciuto, con qualcuno che conosceva doveva essere ben più semplice. Anche se il suddetto aveva delle cuffie alle orecchie. «Harwood?»
L'altro girò la pagina, immerso nella lettura.
Ma le sue labbra si erano tese per un istante, segno che lo aveva sentito. E ora che ci faceva caso dalle sue cuffie non proveniva proprio nessuna musica, segno che erano solo una scusa per non parlare con nessuno.
«Senti, per l'altra sera, volevo dirti che mi dispiace.»
Alt.
Stop.
Fine scena.
Dove cavolo si era ficcato tutto il discorso che aveva preparato? (Okay, che Nick lo aveva aiutato a preparare. O meglio, che Nick aveva preparato e lui aveva sistemato.)
Possibile che ogni volta che voleva dire qualcosa dalle sue labbra non uscissero altro che frasi diverse?
Le sopracciglia dell'ispanico si alzarono. Si morse un labbro e scostò lo sguardo dal libro, portandolo su di lui. «Ti dispiace, Smyhte? Cosa ti dispiace?»
«Mi dispiace averti, uhm, portato a letto.»
Harwood prese il cellulare, ci smanettò per qualche istante e lo sistemò di nuovo in tasca. «Okay. A me no.»
A lui no? Questo voleva dire che era tutto sistemato? «Quindi amici come prima?»
«Smythe, noi non siamo mai stati amici. E il fatto che non mi dispiaccia essere venuto a letto con te non vuole dire che non ti stia odiando per quello che hai fatto.»
Harwood stava sragionando. Ma se ciò che aveva fatto era stato portarlo a letto e a lui non dispiaceva perché lo odiava? Era nel mezzo di quel ragionamento quando una voce gli domandò: «Potresti spostarti? Avrei bisogno di parlare con Thad.»
Si voltò verso Hudson, che lo fissava sorridente. Tornò a osservare Harwood, che sorrideva a sua volta a Nicholas. Ma quei due avevano una storia?
«Sto comodo qua» rispose freddo.
«Tu non stai affatto comodo qua. Se non te ne vai tu posso benissimo andarmene io.» ribatté Thad.
Analizzò la situazione: se si fosse spostato lui poteva mettersi il più vicino possibile a loro, e scoprire se avevano una storia. No, a lui non interessava. Thad poteva stare con chi voleva.
Ma se fosse stato Harwood a spostarsi molto probabilmente si sarebbe messo dall'altra parte del pullman rispetto a lui. «Non c'è problema, me ne vado io.»
Si sedette contrariato due posti più indietro, nella fila opposta, in modo da vedere, più o meno, Harwood.
E ora perché Tha-Harwood stava ridendo?
Perché era quell'Hudson a farlo ridere e non lui?
Oh no. Non l'aveva davvero pensato.
Fece un smorfia.
Sembrava tanto uno di quegli stupidi cliché romantici.
Smythe, Smythe, sei messo male, caro mio.
Male? Perché?
Punto uno: non è normale parlare da soli. Punto due: hai appena pensato la parola “romantici,” e tu e quella parola non siete mai andati d'accordo.
Tornò a osservare Harwood, che ora sorrideva, ascoltando le parole dell'altro.
E no, non stava affatto pensando a quanto fosse bello quel sorriso; assolutamente no.
«Ti senti bene?»
Perché Duval si era appena seduto di fianco a lui? «Certo che sì. Perché non dovrei?»
«Avevi un'espressione strana» storse il naso, prima di aggiungere: «Hai presente quel sorrisino ebete che hanno le persone innamorate?»
Eh?


Come da programma iniziale i soldi che sarebbero dovuti servire a pagare l'hotel si trasformarono in alcol per una festa, il cui obbiettivo, a detta di Wilson, era tirare su il morale generale dopo aver perso le Regionali. E se le avessero vinte? Si sarebbero trasformati in alcol per la festeggiare la vittoria, ovviamente.
Perché i Warblers erano un glee club serio, come gli avevano detto quando aveva fatto il provino per entrarci, per poi aggiungere: «Sai di essere davvero alto?» Perspicaci, doveva dire.
Comunque, da quando erano tornati, esattamente una settimana prima della festa, Harwood non si faceva praticamente più vedere nella loro stanza. Passava i pomeriggi a studiare da Duval e Sterling, e forse da Hudson?, e la sera tornava talmente tardi che Sebastian la maggior parte delle volte era già bello che addormentato, per uscire la mattina successiva prima che la sveglia del francese suonasse.
Ma più che queste sue sparizioni (che sparizioni non erano, dato che Duval gli riferiva tutto ciò che faceva) lo preoccupava il fatto di non avere la minima voglia di andare allo Scandals.
Tutte le sere era la stessa storia: partiva con l'idea di rimorchiare qualcuno, si vestiva con i jeans più aderenti che aveva nel suo armadio, arrivava ad aprire la porta del dormitorio e...
La richiudeva. E puntualmente si ritrovava mezzora dopo sotto le coperte, o a leggere, o a studiare, o a guardare la televisione. O a chiedere a Duval informazioni sul suo compagno di stanza. Imbarazzante.
In quei giorni aveva scoperto che Duval non era poi tanto male. Che Duval era utile, voleva dire.
E ora si trovava seduto su una scomoda sedia di legno al tavolo del consiglio, bevendo a canna da una bottiglia di birra.
Erano pochi i Warblers ancora sobri. Lui, più o meno, Trent, e Duval che non aveva ancora bevuto abbastanza per essere completamente rincretinito.
Fece scorrere lo sguardo sulla sala. Appollaiato a una finestra, canticchiando, c'era Hudson. Si annotò che era stranamente lontano da Thad. Harwood. Oh, al diavolo, nella sua mente poteva benissimo chiamarlo Thad. Duval e Sterling erano sul divano, il biondo in braccio al moro, e si stavano scambiando saliva da, guardò l'orologio, quindici minuti esatti. Senza mai staccarsi. Avrebbero potuto vincere qualche gara di apnea. Abbracciato al braccio di Wilson c'era Thad. Cameron stava strisciando sul pavimento, sibilando nemmeno fosse un serpente.
Un attimo.
Perché Harwood era attaccato a Wilson?
Sei geloso!
Ma certo che no, cara voce interiore. Sebastian Smythe non può essere geloso.
Dopo aver vuotato la sua prese la bottiglia più vicina e la vuotò in tre sorsi. Ma dov'era la vodka?
Si alzò in piedi e camminò verso Wilson e Thad. E il tutto si fece più interessante quando uno dei due mormorò il suo nome.
Thad rise divertito, mentre con la mano destra ruotava una bottiglia vuota di un qualche liquore. «Oh no» esclamò a voce tanto alta che persino Sterling e Duval si separarono per rivolgere a lui la loro attenzione. «Smythe è davvero bravo a letto.»
Come?
Cos'aveva appena detto?
«Oh sì, posso confermartelo.» Thad si indicò con la bottiglia e con un enorme sorriso disse: «Io ci sono stato.»
Trent cadde giù dalla sedia.
Wilson ridacchiava, ascoltando il suo interlocutore, incuranti entrambi di tutti gli occhi rivolti verso di loro. Persino Cameron aveva smesso di strisciare.
«Tu e Smythe?»
Harwood annuì convinto, per poi aggrottare le sopracciglia e dire: «Però ci è venuto solo per una scommessa. Non è vero, Smythe?»
Per poco non soffocò, sentendosi chiamato in causa. Sputacchiò in giro la vodka che aveva finalmente trovato. Bene. Uhm, dunque. Che fare? «Credo ti stia confondendo con qualcun altro, Harwood.»
Fece qualche passo verso di lui e Sebastian, quasi spaventato dalla situazione si ritrasse.
«Oh no, riconoscerei le tue mani ovunque» ghignò allora Thad, cadendo a terra.
«Niente particolari, Thad!» esclamò Duval.
Sterling, al suono della voce del suo ragazzo, lo osservò come lo vedesse per la prima volta. «NIIIIIIIIIIIIIIIICK, IO TI AMOOO»
«Ti amo anche io, ma sto impedendo a nostro figlio di-»
«PERCHÈ NON MI AMI, NIIIIIIIIIIIIIIIIICKY?» singhiozzò allora l'altro, stringendosi al suo collo.
«Jeff» spiegò con calma l'altro «ma certo che ti amo.»
Sebastian approfittò del fatto che l'attenzione di tutti fosse diretta a quei due per allontanarsi e stava per raggiungere la porta quando la voce del biondo urlò: «SMYYYYTHE, DÌ A NICK CHE DEVE AMARMI!»
Lui lo guardò a occhi sgranati. L'alcol non aveva un bell'effetto su di lui.
«Forse Smythe dovrebbe dirlo a se stesso» sibilò Duval.
L'avrebbe ucciso. Morto. Addio Duval.
«Ma io non voglio che Smythe mi ami» ribatté Sterling.
«Ma è ovvio che non deve dirsi che ama te, deve dire che ama-»
Ma fu interrotto da Harwood: «VISTO? SMYTHE È INNAMORATO DI QUEL TIPO CON CUI STAVA PARLANDO AL TELEFONO. È VENUTO A LETTO CON ME PER QUELLA SCOMMESSA E IO-» si interruppe. «Ehi, ma questa bottiglia è vuota. Perché è vuota?»
«Ti sei portato a letto Harwood per una scommessa?» ringhiò Trent.
Sebastian, ritrovandoselo davanti con un'espressione che sembrava augurargli una morte lenta e dolorosa, si disse che avrebbe preferito non vederlo mai arrabbiato.
«No. Cioè sì, però no.»
A quel punto si udirono i singhiozzi di Thad provenire dal centro della stanza e dopo che Duval si portò via moglie e figlio, la prima che ogni tanto se ne usciva fuori con frasi sconnesse e il secondo in lacrime, Sebastian perse il senso di ciò che gli succedeva intorno.


Tornò in camera un indefinito lasso di tempo dopo. Potevano essere passati dieci minuti come due ore. Sbirciò oltre la porta.
Thad era seduto sul letto, dandogli la schiena, mentre canticchiava Glad you came.
Se era successo quel casino con Harwood era colpa sua, forse era il momento di subirne le conseguenze.
Aprì completamente la porta, mentre Thad cantava: «The sun goes down, the stars- Smyyyyyyyyythe»
«Harwood.» probabilmente non era ancora in grado né di intendere né di volere. Si infilò in bagno per mettersi la tuta che indossava per dormire.
Tornato nella stanza vi trovò Thad che ora saltellava allegramente sul letto. Scosse la testa e si infilò sotto le coperte.
Ora che ci pensava, anche se da ubriaco, Thad era tornato a rivolgergli la parola! Un passo avanti verso... verso cosa?
«ARRIVOOOO!»
Ma che cazz- «Non ci provare Harwood, non ci provare nemmeno» esclamò appena si rese conto dell'obbiettivo dell'altro.
Com'era prevedibile, Thad non lo ascoltò, e saltò dal suo letto direttamente su Sebastian.
«Porca puttana, Harwood, io ti uccido» tentò di dire, il fiato che gli mancava per il colpo.
Thad non sembrò nemmeno sentirlo, perché si strinse a lui, affondando il naso nel suo collo.
Così non andava per niente bene. Anche attraverso le coperte poteva sentire il calore della pelle dell'altro.
«Sebastian?»
«Mmh?» Non doveva pensare al fatto che il suo respiro era così caldo e le sue labbra erano così vicine, così vicine...
«Sei comodo. Posso dormire qua?»
«No che non puoi, Harwood. Alzati.» Tentò di allontanarlo, ma Thad sfiorò il suo collo con le labbra. «Harwood, non-» Altro bacio. Deglutì e fece un respiro profondo. «Thad» mormorò. «Sei ubriaco. Staccati.» L'altro gli sfiorò la mascella con la lingua. No, non di nuovo. Chiuse gli occhi, e riaprendoli riuscì a liberarsi dalla presa dell'ispanico. Si alzò, lasciandolo a guardare contrariato la porzione di letto in cui si trovava prima.
Qua serviva Duval.
«Sta' buono, okay, Thad?»
L'altro mormorò qualcosa, ma suppose non fosse una risposta. Per sicurezza, uscendo, chiuse la porta a chiave. Non voleva certo ritrovarlo nel letto di qualcun altro. Tipo Hudson.
E in quel momento lo realizzò. Aveva appena rifiutato un ragazzo.
Quell'Harwood non gli faceva bene, per niente.
Attraversò i corridoi lentamente, finché non raggiunse la porta giusta. Si avvicinò e fece per bussare, ma udì provenire dall'interno della stanza delle risatine e altri suoni piuttosto espliciti.
Poteva interromperli.
Lui odiava essere interrotto.
Non mi starai mica diventando altruista?
Zitto, tu.
Tornò alla sua camera e ruotò la chiave lentamente. Spalancò la porta e si ritrovò davanti Thad addormentato sul suo letto, dove lo aveva lasciato, abbracciando il suo cuscino.
Dio, era adorabile.
Oh no.
No no no no no.
Thad nella sua testa non doveva essere adorabile, ma scopabile.
Stava per svegliarlo scrollandolo, ma l'ispanico affondò il viso nel suo cuscino, borbottando qualcosa. E semplicemente non ne ebbe la forza.


Inspirò.
Il cuscino profumava.
Premette più a fondo il naso, finché non si rese conto di stare annusando l'odore di Thad, essendosi messo a dormire sul suo letto.
Si girò su un fianco e aprì gli occhi. Dalle tende filtrava una debole luce, sufficiente a fargli intravedere il profilo del suo compagno di stanza, ancora abbracciato al suo cuscino.
Per un istante invidiò quel cuscino. Avrebbe voluto essere lui stretto a Thad in quell'abbraccio.
Okay, se voleva continuare doveva fare i conti con ciò che sentiva.
Era tutta colpa di Duval.
Due giorni prima erano seduti a uno dei tavoli della caffetteria. Sebastian era talmente distratto da ciò che gli diceva l'altro che non si era accorto che si erano dimenticati di correggergli il caffè.
«In ogni caso» stava dicendo Nasone, «oggi pomeriggio è a studiare in biblioteca con Nicholas.»
Nicholas? Possibile che quel ragazzo passasse più della metà del tempo con quel nanetto? Era sempre più convinto che stessero insieme, anche se Duval non ne aveva mai fatto cenno.
«Senti, Sebastian» Lui fece una smorfia per mostrargli che gli prestava attenzione. «Non credi di esserti preso una cotta per Thad?»
E a quel punto sputò metà del suo caffè in faccia all'altro, che lo guardò schifato e cominciò a pulirsi con dei fazzolettini di carta. «No.» Certo che no! Lui era Sebastian Smythe e Sebastian Smythe non si prendeva stupide cotte per degli stupidi compagni di stanza. «Come ti è venuta in mente una cosa simile?»
Duval si tolse il caffè dal naso e passò a cercare di pulire la camicia (per fortuna si era tolto la giacca, che giaceva intonsa sullo schienale della sedia). «Be', sai, sembri leggermente ossessionato da lui. Continui a costringermi a farti rapporto su ogni cosa che fa. E poi ogni volta che nomino Nicholas fai una faccia strana. Tipo quella che fa Jeffie quando gli parlo di Joseph e si dimentica che è il mio cane. Per non parlare della faccia che fai quando lo senti ridere in mensa e-» si interruppe notando che Sebastian lo guardava come se fosse coperto da muco di troll. «Sai cosa ti consiglio? Fatti un elenco di ciò che senti quando c'è Thad o una lista di cosa ti potrebbe piacere di lui e decidi tu cosa- insomma, hai capito. Io vado a togliermi questo schifo dalla camicia.»
Lo osservò allontanarsi verso il bagno e bevve un sorso dalla sua tazza. «Ma che cazzo è questa roba? Il mio caffè deve essere corretto!»
Forse era il momento di farsi quella benedetta lista.
Dunque.

  1. Quando Thad compariva all'improvviso in una stanza sentiva una strana morsa allo stomaco.

  2. Poteva ogni tanto incantarsi quando lo sentiva ridere. Forse.

  3. Odiava Nicholas Hudson. Ma insomma, lui non era mai stato un tipo geloso!

  4. Ora che ci faceva caso, il suo profumo gli piaceva fin troppo.

  5. Quando si svegliava nel mezzo della notte e non sentiva il respiro dell'altro sentiva come se ci fosse qualcosa che non andava.

Questo poteva essere un problema. Be', ma cinque punti non erano poi tanti, alla fine.

  1. Aveva l'impulso di baciarlo spesso. Diciamo ogni volta che lo vedeva.

  2. Non sopportava rientrare in camera senza vederlo. Cosa che succedeva diciamo il novantanove per cento delle volte, quindi era sempre nevrotico (più del solito) per almeno le successive due ore.

Sebastian, hai un problema.
Un enorme problema.
Problema che si elevava al quadrato ora che sentiva Thad cominciare a svegliarsi. Probabilmente non si sarebbe ricordato niente della sera precedente.
«Ma che cazzo...?» domandò l'ispanico, appoggiandosi ai palmi delle mani per mettersi seduto, lanciando il cuscino di Sebastian a terra. «Smythe, che cazzo ci faccio sul tuo letto? No, aspetta, non voglio saperlo.»
«Fino a dieci secondi fa ci dormivi, Harwood. Di tua iniziativa» si sentì in dovere di informarlo, prima di alzarsi e aprire l'armadio, per prendere la divisa.
Thad borbottò qualcosa su del mal di testa. «Che è successo ieri sera?»
È successo che mi hai di nuovo rivolto la parola. E ora stai continuando a parlarmi. «Uhm, fammici pensare. Hai bevuto, ti sei ubriacato e il risultato è che ora tutti i Warblers sanno sei venuto a letto con me e della scommessa.»
«Merda.»
«Puoi dirlo forte.»
Ma Thad non lo ascoltava più, uscendo dalla stanza in fretta e furia, senza nemmeno pensare al fatto che indossava una divisa completamente stropicciata dalla notte di sonno.


Alzò lo sguardo dal foglio appoggiato al tavolo del consiglio, per incontrare quegli dei Warblers. Se doveva proprio ammetterlo aveva sperato che si fossero dimenticati di ciò che Thad aveva detto la sera precedente. Ma se anche qualcuno l'avesse scordato gli altri avevano pensato a ricordarlo a tutti. Così ora si ritrovava a incrociare i loro occhi, chi incazzato, chi con sguardo accusatorio, chi di ribrezzo. Tranne Duval e Sterling, che in realtà erano più occupati a guardarsi tra loro e parlottare per prestare attenzione ad altro.
Tecnicamente aveva indetto quella riunione per decidere cosa fare per il resto dell'anno, senza competizioni da cercare di vincere in mezzo.
Ma le cose presero presto un'altra piega, complice l'assenza di Thad, secondo Jeff con la febbre. Come se qualcuno ci avesse davvero creduto.
«Ti hanno mai detto che sei uno stronzo?»
Si voltò verso Wilson, alzando le sopracciglia. «Spesso, devo dire.» In fondo lo sapeva anche lui. Pierre era sempre stato uno stronzo. E quindi lo era anche lui. Ormai quell'insulto gli scivolava addosso quasi come fosse un complimento.
«Senti, Smythe, finché ti fai chi vuoi allo Scandals va bene. Ma non puoi fare qualcosa del genere a uno di noi. A Thad» sottolineò Kirk.
Mio Dio, cominciavano a diventare noiosi. «Io non l'ho certo costretto.»
«Oh, avanti, Smythe» intervenne Jeff «Sapevi benissimo che Thad aveva un debole per te.» Non fece caso alla gomitata che Duval gli tirò.
No, non lo sapeva affatto.
Certo, aveva messo in pratica tutte le sue tattiche di seduzione con quell'obbiettivo, ma quella sera, quando l'aveva baciato, non l'aveva fatto del tutto per via della scommessa. L'aveva fatto per via della vodka, ovviamente. O forse perché era quello che voleva? E di certo in quel momento se n'era fregato di quale sarebbe potuta essere la reazione dell'altro.
Il flusso dei suoi pensieri fu interrotto da Dempsey (quello là era Dempsey, no?): «Io non l'ho capita molto la storia della scommessa.»
Sterling alzò gli occhi al cielo, e prima che Ken riuscisse a fermarlo spiegò: «In pratica Smythe ha fatto questa scommessa con non so chi, un francese, comunque, per cui doveva farsi tutti i tipi che erano su una lista. Thad compreso. E Thad è caduto nelle grinfie di Smythe come una pera cotta. Avrebbe dovuto chiedere a me, gli avrei detto di tenersi lontano da quello là», fu interrotto da una serie di colpi di tosse da parte di Duval, a cui scoccò un'occhiataccia.
A quel punto Sebastian si incazzò e senza pensarsi due volte esclamò: «Non è certo colpa mia se Harwood è un cazzone e non ha capito che mi importa davvero di lui e che potrebbe piacermi e che Pierre, di cui non posso certo essere innamorato come dice lui, dato che è mio cugino, la sua scommessa se la può infilare su per il-» resosi conto delle parole appena pronunciate si interruppe, sgranando gli occhi. «Porca miseria» sibilò, mentre tornava a rilassarsi sulla sedia. Si schiarì la voce, tornando a osservare il foglio sul tavolo, evitando di osservare la sala improvvisamente piombata in un silenzio sorpreso.
Improvvisamente Sterling cominciò a ridere, e alzò lo sguardo in tempo per vederlo scambiarsi il cinque con il suo compare moro, dicendo: «Sapevo che avrebbe funzionato!»
Come? Quei due -lista di insulti censurati- avevano organizzato tutto? «Voi-» esclamò alzandosi in piedi, pronto a gonfiarli di botte.
Non fece in tempo a raggiungerli che fu bloccato da un entusiasta Trent, che esclamò: «Devi dirglielo, Sebastian. Così ti perdonerà e vivrete per sempre felici e contenti!»
E a quel punto partirono tutti i consigli dei Warblers: «Scrivigli una lettera!» «Dedicagli una poesia!» «Cantagli una canzone!» «Chiudilo in una stanza e-» Wilson fu interrotto prima che finisse la frase da Sterling, che con voce sognante suggeriva: «Portalo su un lago, fai finire la barca sotto un salice piangente e mentre noi cantiamo bacialo.»
«Jeffie, quello è “La sirenetta”» gli fece notare Duval.
Alla fine Sebastian si sedette sconsolato e rinunciò ad ascoltarli, mentre architettavano un piano per far sì che Thad lo perdonasse (e possibilmente finissero insieme).


Ultimamente la sua boccaccia stava facendo fin troppi casini.
Prima di tutto: nello sgabuzzino con Harwood. Poi in cucina. E ora tutto quel caos con i Warblers.
Se l'erano davvero inventati un piano. A metà della riunione, ormai degenerata, aveva levato le tende, raggiunto poi da Duval, che gli aveva spiegato tutto.
A volte si chiedeva se i Warblers fossero ragazzi o fangirls impazzite. Non era possibile pianificare di chiudere lui e Thad in una stanza, piena di candele accese a illuminarla, per rendere il tutto «più romantico», come aveva consigliato Sterling. E a quel punto avrebbe dovuto parlargli.
Come fosse stata la cosa di cui aveva più voglia in quel momento.
Lui e i discorsi di quel genere non sarebbero mai andati d'accordo, poco ma sicuro. Ormai la sua testa era affollata da immagini di lui e Thad chiusi in quella stanza. E stavano facendo di tutto, ma di certo non parlavano.
Forse avrebbe dovuto fare così. Lasciare che il suo istinto prevalesse, nella speranza che Thad capisse lo stesso.
Per un istante gli parve di sentire le mani calde di Thad passare sulla sua pelle. Si morse un labbro e si alzò lentamente dal letto.
Osservò per qualche istante fuori dalla finestra. Il cielo era coperto da nuvole grigie. Ma in quel momento sentiva che una passeggiata gli avrebbe fatto bene. E poi armarsi di ombrello sarebbe bastato, in caso di pioggia.
Uscì dall'Accademia pochi minuti dopo, e senza una meta precisa, si lasciò trasportare dalle sue gambe tra le vie di Westerville.
Superò una macelleria, una panetteria e gettò appena un'occhiata all'interno della ceffetteria di fianco a quest'ultima. Dopo averla superata si rese conto di ciò, o meglio, di chi, aveva visto.
Tornò indietro di tre passi e sbirciò all'interno del negozio. Ma quello seduto a quel tavolo non era Hudson? Sgranò gli occhi quando si accorse che di fronte a lui c'era una ragazza bionda, che gli teneva la mano.
Ma Hudson non era gay?
Che fosse sua sorella?
No, una sorella non l'avrebbe certo baciato in quel modo. Ma le stava risucchiando la faccia? Schifato, si disse che sperava proprio di non baciare anche lui così. Li lasciò ai loro risucchiamenti, continuando per la sua strada.
Ma Thad lo sapeva che Hudson era etero?
Ma perché aveva pensato subito a Thad?
Una goccia gli cadde direttamente sul naso. Fece una smorfia, alzando gli occhi al cielo. Le nuvole si erano scurite e addensate, e ben presto la pioggia si fece più forte.
Aprì l'ombrello, felice di non esserselo portato dietro per niente, e si incamminò. Tanto valeva tornare alla Dalton.
La pioggia aumentava di minuto in minuto.
Quando finì con un piede in una pozzanghera imprecò ad alta voce. Era ufficiale, detestava la pioggia, con tutto se stesso.
Continuando a imprecare sottovoce riprese a camminare. Seriamente aveva fatto tutta quella strada senza quasi rendersene conto?
Sbirciò oltre l'ombrello, la strada vuota.
Che non era affatto vuota.
Ma quello che cercava di ripararsi sotto quel balcone non era mica Thad?
Il solito genio che non preveniva mai niente. Niente ombrello. Mentre si avvicinava al ragazzo, cambiò completamente idea riguardo alla pioggia.
Lui la amava. Completamente.
E chiunque avesse detto “non la sopporto” “la odio” “che palle la pioggia”, poteva benissimo guardarsi Thad Harwood bagnato da capo a piedi e cambiare idea.
Si sforzò di non rimanere con uno sguardo da pesce lesso davanti a quella vista e si avvicinò al ragazzo. «Ti serve un passaggio, Harwood?» No no no no, ma cos'era quel tono mezzo stordito e per niente strafottente?
Mentre attraversavano le vie osservò l'ispanico più attentamente, notando che teneva qualcosa sotto la giacca, onde evitare che si bagnasse. «Cos'hai lì?»
Thad rispose scontroso: «Niente che ti interessi» nel momento in cui Sebastian gli prese dalle mani i libri.
«Chopin, Harwood? Non ti facevo tipo da musica classica.»
«Segno che a quanto pare non mi conosci per niente.» ribatté stizzito, l'altro, riprendendosi gli spartiti.
«Quindi vuoi ricominciare a suonare il pianoforte?»
«Forse.»
«Ti serve un insegnante?»
«Anche fosse, di sicuro non chiederei a te.» e con questa frase sembrò voler chiudere il discorso.
Sebastian si passò la lingua sulle labbra. «Senti, Harwood, non potremmo solo far finta che non sia successo niente?»
Sentì i muscoli dell'altro irrigidirsi. «No, non potremmo. O almeno, io non potrei.»
«Sono un cretino, vero?»
«Probabile.»
«Se non avessi sentito quella chiamata cosa avresti fatto, Thad
L'ispanico deglutì. «Non lo so. Ma l'ho sentita, ed è molto meglio così.»
«Io invece so benissimo cosa avrei fatto.»
Thad rimase in silenzio, rallentando appena il passo.
Poteva sentire il rumore di ognuna delle gocce che cadeva sull'ombrello.
Sebastian realizzò che l'altro non gli avrebbe mai chiesto cosa. «Sarei tornato da te, a letto, e ti avrei abbracciato. E quella lista di nomi, l'avrei strappata.» Okay, non era proprio così, ma davvero contava più quello che avrebbe fatto allora di ciò che in quel momento avrebbe voluto fare?
Perché Thad non parlava? Perché era ancora in silenzio, gli occhi a terra?
«Thad, tu non sei uno stupido nome su una lista, tu sei» il ragazzo di cui credo di essere innamorato «molto di più.»
«Cosa vuoi, Smythe? Portarmi di nuovo a letto?»
«No» scosse la testa. «Be', anche, ma non come uno dei tanti. Thad, io posso provarci. Posso cambiare, voglio davvero provarci.»
«E perché mai dovresti voler cambiare?»
Per te. Ma una cosa era pensare a quelle due parole, un'altra era dirle. Così restò in silenzio a lungo, e passo dopo passo arrivarono a vedere i cancelli della Dalton. Appena prima di superarli Thad sussurrò: «Forse non hai bisogno di cambiare. Forse hai solo bisogno di fare emergere alcuni lati di te.»
«O forse sono uno stronzo al cento per cento e i miei lati migliori me li devo inventare.»
Thad si immobilizzò nel mezzo del cortile, e Sebastian si fermò al suo fianco, per non lasciarlo sotto la pioggia. «Non credo tu lo sia. Cioè, non totalmente. Io credo che sia semplicemente così che vuoi apparire agli altri.»
«Se fosse così mi daresti una possibilità?»
Thad lo guardava confuso. «Una possibilità per cosa?»
«Per riprovarci, Thad. Per tornare al punto a cui eravamo prima di quella sera.»
«E a che punto eravamo?»
Domanda interessante. Non erano a nessun punto. Erano al punto che si sopportavano a vicenda. Forse non tutto il mare era venuto per nuocere. Se non fosse successo niente si sarebbe accorto di ciò che provava per quel nano ispanico? Lo fissò interdetto, mentre Thad gli sorrideva sornione, aspettando una risposta. «Forse non proprio come se non fosse successo niente. Ecco come- Dio...»
«Sei buffo» gli disse alla fine Thad, continuando a sorridere.
«Perché?» Buffo? Che cavolo di aggettivo era buffo? E perché sorrideva? Non lo faceva ragionare con quel sorriso.
«Per il fatto che non riesci a dire ciò che vorresti dire, Sebastian. Sai, chiedere a Jeff di filmare la litigata che ero sicuro avresti avuto con gli altri Warblers si è rivelato più produttivo di ciò che credevo. Mi spiace solo non essere stato lì ad ascoltare tutto.»
Cosa c'entrava ora quello?
Oh.
«Davvero potrei piacerti?» domandò speranzoso il più basso.
A quanto pareva Sterling era più intelligente di ciò che voleva sembrare. «No, senza dubbio non potresti piacermi. Tu mi piaci e basta.» E si godette per un istante il suo sorriso, prima di baciarlo.

 

 

 

 

 

 

 

NdA: Wow, sono davvero riuscita a finirla. E l'ho finita più o meno come volevo. Più o meno perché a un certo punto Thad ha deciso che doveva sapere già tutto, mentre io avevo un programma diverso. Ma meglio così.
Posso dire che sono leggermente terrorizzata dall'aver utilizzato il POV di Sebastian? Ho il terrore di aver cannato al 200% sul suo carattere. Però scriverla con il POV di Thad voleva dire non far capire bene “l'evoluzione psicologica” (non so come chiamarla) di Sebastian.
Spero solo di non avervi deluso con questa seconda parte/finale, ma potete anche benissimo mandare al diavolo la mia idea e immaginarvi tutto voi.
Comunque, grazie per esservi sorbite queste 7000 (secondo open office) e passa parole e grazie per le minacce di torte in faccia, che mi hanno convinta ancora di più a scrivere questa OS <3
-M
p.s. scusate, ma io shippo troppo Jeff + principesse Disney

p.p.s. Il titolo non mi convince per niente, se avete qualche idea fatemelo sapere così lo cambio :)

  
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