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Autore: SAD_robot    03/02/2014    3 recensioni
Il tuo ricordo mi fa male, muove l'angoscia e le fa stringere le mani attorno ai miei polmoni. Sono disperato, smarrito tra la tua ombra e la mia.
Eppure, sono convinto di essere solo una briciola all'interno dei limiti di un marciapiede.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La mia nostalgia nel grande flusso di preoccupazioni

   Mi scaldo e non temo più il freddo.
   Mi rianimo, e il colore bluastro della mia pelle svanisce grazie all'acceso dialogo scambiato con il riflesso che vive oltre alla vetrina. Bambini che mi passano davanti e dietro vestiti da colorate leccornie per giganti cannibali di panna che crollano pezzo per pezzo sulla superficie d'asfalto prima ancora di potersi mostrare. Desidererei un giorno vederne uno cascare per intero, sconvolgere ogni loro superstizione e gettare sale sulle loro teste. Desidererei vedere uno di questi titani giusto per chiedergli come potrebbe mai digerire la mia carne sporca e malata.
   Nonostante il gelo, mi scaldo ad ogni soffio di vento e pronuncio incastri di parole per dimenticare il terribile calore che mi sta mangiando i piedi. La gente mi guarda e io scruto me stesso: c'è chi mi passa attraverso per raccogliere le posate abbandonate sul tavolino del cafè e chi, notandomi, s'impegna a intraprendere un ampio mezzo cerchio sul marciapiede.
   Mi sento solo pur trovandomi tra la gente: depresso e inaccolto.Quando qualcuno mi afferra il braccio nudo non me ne accorgo neanche. Sto già rotolando a terra quando capisco che la mia immagine è svanita dietro alla bianca camicia del barista e sul davanti mi si presenta il panorama grigio che il cielo mi mostra.
   Mi rialzo e cammino a testa bassa, sospinto da crudi insulti. Nessuno osa avvicinarmisi, nessuno che desideri vedere il mio volto. Avverto degli scapaccioni tuonarmi sul capo, la saliva degli sconosciuti colarmi dalle guance. Appoggio una mano sul muro, ansimante, e dopo un calcio in quattro mi piombano addosso.
   Ho sbagliato a rimettere i piedi a terra. Sarei dovuto restare, cieco nella mia follia, aggrappato alle sottili convinzioni create dal lato presuntuoso del mio essere più profondo. Sputo sangue sulle ceneri dei Cesari mischiate al manto stradale e alle vecchie feci animali, fino a chiazzare di venature purpureee il marciapiedi che funge da ring. Lentamente mi lascio fregare dall'afasia e dal ricordo di chi, per la prima volta, mi ha lasciato intravedere il mondo in cui fuggii.
   Non è mai stata colpa sua, ma i frammenti di quel ero pulsano nelle mille infezioni procuratomi laggiù.
   Un colpo a babordo, una ginocchiata sullo scafo: prima di rendermene conto sono già in viaggio verso il ricordo che mi è rimasto di te.
   Sono passati molti anni ormai. Quattro, cinque, sette; troppi per il mio nuovo modo di percepire le cose. Ti ricordo piccola, cinica e stralunata. La voce suadente e un profilo distante che, ad ogni occhiata, mi avvicinava di più a te.
   Ti ricordo possessiva, egocentrica e fastidiosa. Intelligente ma troppo chiusa per dimostrarlo.
   Persino la tua ombra sembrava desiderare di poterti seguire nel buio profondo, quando scorgevi il tuo orizzonte e lo rifiutavi sognando qualcosa di normale da poterti stringere al petto.
   Maria, Francesca, Giovanna: non m'importa ricordare il tuo nome, è il tuo volto quel che mi costringe a guardarmi indietro. Ti ho sepolta nel giardino dietro casa e non posso far altro che ricordare che all'universo non è permesso di poter cancellare qualcosa per sempre.
    Ti chiedo perdono, seppur ben sappia che la tua vita è migliore ora.
    Ti chiedo scusa per aver scosso le tue vacillanti convizioni, per averti umiliata e per averti dato l'impressione che tutto sarebbe andato perduto. Ho creduto di poter esser migliore - non migliore di te - e di poter finalmente dare una svolta al mio percorso.
   Ma ora sono te.
   Ho assorbito ogni lato cattivo della tua personalità, sono diventato il confine ignorato della tua ombra. Contengo le tue vecchie passioni e le tue più brutte idee; sono una carcassa con i piedi al petto e il cuore abbandonato su una panchina in città.
    Percorro il marciapiedi ricoperto da lividi e angoscia. La gente mi evita e con le orecchie odo i miei assalitori allontanarsi soddisfatti. Smetto di correre, infilo le mani in tasca e abbasso lo sguardo.
    Mi confondo tra i pensieri di altra gente chiedendomi cosa potresti mai pensare notandomi di sfuggita nel trafficato flusso di preoccupazioni.
 
  
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