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Autore: TheOnlyWay    03/02/2014    5 recensioni
«Minacciosa, non c’è che dire.»
Violet sospira, incrocia le braccia sotto il seno e si volta verso destra.
James Potter non le piace. Per niente.
È arrogante, sfacciato e insensibile almeno per ventitré ore al giorno. Supponente, offensivo e un po’ troppo spregiudicato, è una di quelle persone che Violet non sopporta. E non solo perché, al contrario del fratello, è un idiota, ma anche perché non si lascia sfuggire occasione per dimostrarlo.
È carino, quello sì. Ma il bell’aspetto non mitiga di certo l’elenco più che infinito dei suoi difetti.
«Non è aria, Potter.» sibila, senza nemmeno rivolgergli uno sguardo. Non vuole parlare con lui, non vuole leggere l’accusa nei suoi occhi. Non vuole che le rinfacci, ancora una volta, quanto il suo sangue sia macchiato.
«Per me sì.» ribatte semplicemente lui.
Tremore alle mani, ansia e fiato corto.
Violet si sente in trappola e le manca quasi il respiro. Spera solo di non andare in iperventilazione, come le è già successo quella mattina. Teme che, se svenisse, James la butterebbe giù dal treno senza troppo riguardo.
«Allora parla da solo. Io me ne vado.» mormora, dandogli le spalle.
Genere: Romantico, Sentimentale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Capitolo 4.
 
 
 
Violet McLeod nasconde qualcosa: James ne è così certo che potrebbe metterci la mano sul fuoco. Proprio non riesce a credere che suo fratello Albus, Lily e persino Louis siano cascati nella sua perfida trappola, intessuta con occhiate malinconiche, sguardi vuoti e mani tremanti. Lui non se la beve, la storia della povera vittima coinvolta in qualcosa più grande di lei. Per come la vede James, c’è sempre una scelta, nella vita. Violet si è semplicemente comportata da codarda e lui i codardi li ha sempre odiati; bisogna avere il coraggio di portare avanti le proprie posizioni, anche se il vento è contrario e nessuno sembra capire. Anche se si ha un fratello presunto omicida e un padre ricco sfondato e con malsane idee sul sangue puro, ma James, questo, non lo immagina nemmeno lontanamente. Dopotutto, a lui di Violet non importa niente, vuole solo dimostrare che non è così innocente come vuole far credere.
Mentre si incammina verso l’aula di Trasfigurazione, quindi, espone a Louis la sua teoria.
«Secondo me c’è qualcosa che non vuole che si sappia. Dev’esserci uno scheletro bello grosso, nel suo armadio.» sibila, a voce bassa. Louis interrompe la sua camminata, si passa una mano tra i capelli biondi e inclina la testa da un lato.
«Si può sapere di chi parli?» domanda, perplesso.
A volte proprio non riesce a capire cosa passi per il cervello del cugino, nonostante lo conosca come le sue tasche e riesca a cogliere ogni suo cambiamento, seppur impercettibile. Ma quando James fa di quelle sparate, Louis proprio non sa che pesci prendere.
«Della McLeod. Quella ha qualcosa che non va.» bercia James. Afferra Louis per il braccio e lo trascina verso un angolo con aria cospiratoria. «Hai visto che faccia? Si sente colpevole e sicuramente lo è. Insomma, uno non va in giro con quell’espressione, se non ha fatto niente, no?» spiega, estremamente concentrato. Louis inarca un sopracciglio, tira un respiro profondo e si sforza di non scoppiare a ridere perché, certe volte, James ha la sensibilità di una sedia e l’assurda convinzione che l’apparenza corrisponda anche alla sostanza. Cosa che, nel caso di Violet, non potrebbe essere più lontana dalla verità.
«Lasciala perdere, Jamie.»
«Voglio scoprire cosa nasconde. E poi, da quand’è che ti sei eletto a difensore degli assassini?»
«E tu, invece? Non sapevo che fossi Dio. Non spetta a te giudicare.»
Louis volta le spalle a James e lo pianta nel bel mezzo del corridoio. James, da parte sua, lo guarda allontanarsi con espressione pensierosa: non riesce a credere che si sia fatto ingannare in quel modo. Vorrà dire che toccherà a lui ricordare a tutti che tipo di persona sia Violet McLeod.
Quando varca la soglia dell’aula di trasfigurazione la trova seduta al suo posto, con la testa bassa, le spalle curve e il collo candido scoperto. Ha i capelli di un colore simile a quello di Lily, nota James, e il pensiero della sorella minore lo fa incupire lievemente: è strana, negli ultimi tempi. Sì, be’, più strana del solito.
Si guarda intorno e coglie l’occhiata d’ammonimento di Louis e quella decisamente più gelida di Malfoy. Come faccia Albus a frequentare quel pezzo di marmo è un mistero. A James non piace Malfoy, così come non gli piacciono, in realtà, almeno i tre quarti dei Serpeverde. Ma Malfoy è decisamente il peggiore: sempre calmo, granitico, come se nemmeno un tornado potesse smuoverlo, ha l’aria di chi è vissuto nella bambagia e tende a farlo presente almeno ogni cinque minuti.
Perciò gli rivolge un’occhiata di sfida e si butta sulla sedia accanto a Violet, che non da’ cenno di aver registrato la sua presenza. James, però, è piuttosto certo che si sia irrigidita. Guarda per un attimo le sue mani e si stupisce di trovarle così piccole e pallide, quasi infantili. Gli balena per la mente che quelle non possono essere le mani di un’assassina, ma il pensiero viene cancellato subito dopo, quando Violet solleva lo sguardo per rivolgergli un’occhiata gelida e indifferente. Proprio non la sopporta, è più forte di lui.
La osserva, mentre comincia a pasticciare l’angolo della pergamena con aria assente, senza guardarlo più nemmeno una volta. James ha come l’impressione che lo voglia provocare e non ha intenzione di lasciargliela passare liscia. Sente le mani prudere per la voglia di strapparle quella maledetta piuma di mano e obbligarla a mostrarsi per quel che è veramente.
La fortuna sembra dalla sua parte, oltretutto, perché la professoressa Walsh è in tremendo ritardo e questo gli concede tutto il tempo di parlare a ruota libera e stuzzicare un po’ la sua compagna di banco.
«Stavo pensando una cosa.» esordisce, con tono apparentemente amichevole. Violet solleva appena lo sguardo, sospira e gli rivolge un sorrisetto sardonico.
«Da quando sai anche pensare?» replica, prima di tornare alla sua pergamena pasticciata. Da qualche fila più indietro, Scorpius e Louis osservano vagamente preoccupati, entrambi consapevoli che la cosa non andrà a finire bene.
Scorpius perché conosce l’autocontrollo – ultimamente messo a dura prova – dell’amica e Louis perché è perfettamente consapevole che James non è capace di resistere ad una provocazione e, oltretutto, è pure idiota.
James, da parte sua, non crede alle proprie orecchie: gli ha davvero risposto? Lei, che a malapena rivolge la parola ai suoi migliori amici e cammina con la testa bassa, ha davvero dato inizio ad uno scontro verbale che, lo sanno bene entrambi, non la vedrà mai vincente?
«Allora ce l’hai la voce. Fai solo finta di essere triste, affranta e amareggiata per qualcosa di cui effettivamente hai colpa. Cos’è, ti diverti a fare la vittima?» le sibila, con le labbra pericolosamente vicine al suo orecchio. Violet si irrigidisce completamente, prende qualche respiro profondo e si impone di calmarsi perché sa che James vuole farle perdere il controllo.
«Sei solo un povero idiota, non capiresti la verità neanche se te la ritrovassi davanti agli occhi.» celia, indispettita. Non sa perché, ma James Potter le fa venire voglia di urlare per la frustrazione e per la rabbia e per tutto il dolore che prova e che non la lascia vivere in pace. Ma non urla, non lo fa mai.
«So qual è la verità: sei rimasta a guardare mentre uccidevano la babbana. Questo ti rende colpevole almeno quanto quel bastardo di tuo fratello.»
Quanto succede subito dopo, rimarrà ben chiaro nella mente di tutti i presenti per un lungo tempo a venire. Violet sorride, così gelida che persino James ha un attimo di turbamento, afferra la bacchetta che ha lasciato sulla destra del banco e si volta repentinamente verso il suo compagno.
«Stupeficium!»
James si schianta per terra  con ben poca grazia, picchia la testa contro il pavimento e perde i sensi.
«Così almeno stai zitto.» borbotta Violet, tornando a disegnare in tutta serenità. La classe rimane in completo silenzio, fino a quando il rumore cristallino di tacchi rompe l’atmosfera ovattata e riempie i presenti di panico. Chi pagherà le conseguenze di quanto appena successo?
«Innerva.»
James riprende i sensi con un mugugno di dolore e si tocca la testa, sulla quale sta già uscendo un bel bernoccolo.
«Razza di stronza, mi hai schiantato!» urla, cercando di afferrare Violet per un braccio. Lei si scosta con disinvoltura e si stringe nelle spalle.
«Perspicace.»
Qualcuno tossicchia e, finalmente, James si accorge della Walsh. Smette di imprecare contro Violet e scocca un’occhiata furente all’insegnante, che non si lascia scomporre minimamente: è ora che entrambi la smettano di comportarsi come due ragazzini bizzosi.
«In punizione, tutti e due. Nel mio ufficio alle sette, questa sera. E cinquanta punti in meno a Grifondoro e Serpeverde. E ora silenzio.»
 
Erin colpisce un sassolino con la punta delle scarpe, osservando con indifferenza il graffio che rovina la vernice nera delle ballerine che sua madre le ha regalato prima di partire. Sta aspettando Scorpius da circa dieci minuti, anche se in realtà le sembra un tempo infinitamente più lungo.
Non ha fatto altro che pensare alla ricerca di Pozioni che il professor Deverall ha assegnato quella mattina: una lunghissima pergamena sulla Pietra Filosofale, in memoria del vecchio Nicholas Flamel e blablabla. Erin non l’ha ascoltato più di tanto, perché quelle sono cose che non le interessano.
Vuole volare, non vivere per sempre.
Si siede sulla panchina in pietra e dà un’occhiata agli altri studenti che passeggiano intorno alle rive del Lago Nero. Quando individua Jenna Saunders, le augura a bassa voce di affogare: non la sopporta. Jenna è una di quelle ragazze che proprio le fanno venire l’orticaria. I suoi capelli biondi sono sempre perfetti, gli occhi verdi e luminosi e le labbra perennemente coperte da un velo di lucidalabbra. La divisa perfettamente stirata, le scarpe tirate a lucido: Jenna è perfetta. Ed è anche diabolica, tanto che nessuno si stupirebbe di vederle spuntare un bel paio di corna e una coda da diavolo.
Erin ha in mente un’immagine ben precisa di Jenna che inciampa in una radice e si schianta a terra, ma purtroppo non succede niente di tutto ciò. Anche perché Edward Nott la salva prima ancora che Jenna possa solo pensare di cadere. Le circonda la vita con il braccio muscoloso e le stampa un bacio sulle labbra. Jenna ride e inclina la testa all’indietro per farsi baciare con maggior impeto.
Erin storce il naso.
«Mai visto due che si baciano?»
Scorpius ha un tempismo del cavolo, Erin l’ha sempre saputo. Perciò arrossisce, perché farsi beccare a spiare quella coppia di idioti è la cosa più imbarazzante che le sia mai capitata. A parte, forse, quella volta in cui si è colorata i capelli di grigio.
«Sei in ritardo.»
«Solo di qualche minuto.»
Scorpius si stringe nelle spalle, indifferente. Non è mai stato puntuale, perciò è inutile che Erin gli faccia la predica. O metta il muso.
«Le signore non si fanno aspettare.»
«Non vedo signore, qui.»
Erin inarca un sopracciglio, dopodiché colpisce lo stinco di Scorpius con un calcio ben assestato che lo fa saltellare per altri dieci minuti.
«Vedi?» borbotta, quando si è ripreso. «Sei femminile come un manico di scopa.»
Poi, rendendosi conto di esserci andato giù pesante, sospira e circonda le spalle di Erin con un braccio. Lei si limita a puntare lo sguardo altrove, lievemente infastidita. Sa perfettamente di non essere un esempio di classe ed eleganza – come Violet, che sembra sempre tanto gelida – e le sta bene così. È soddisfatta di sé stessa, perciò Scorpius può anche darle dell’uomo mancato, non c’è alcun problema. Tuttavia, non può fare a meno di sentirsi un po’ offesa, perché se quella è davvero l’opinione che ha di lei, allora non capisce per quale motivo continui a rivolgerle la parola.
«Non intendevo dire quello.»
«Sai cosa? Non me ne frega un accidenti. E se c’è una cosa che ho imparato in questi anni, è che tu dici sempre quello che pensi. Perciò lasciamo perdere. Cosa volevi dirmi?» chiede, cercando di cambiare argomento.
Scorpius, però, non è uno di quelli con cui si può far finta di niente. Nonostante disprezzi almeno i tre quarti delle persone che conosce, è molto attento nei confronti di quelle a cui tiene. Perciò non si lascia ingannare dal tentativo di Erin e la costringe a guardarlo negli occhi.
«Non volevo dire quello che hai capito.»
«Ti ho detto che non mi interessa.»
Ciò che succede dopo è tanto inaspettato quanto strano. Scorpius sbuffa e si sporge un po’ in avanti, tanto che il suo naso sfiora quello di Erin. Lei arrossisce violentemente, ma non si muove. Non sono mai stati così vicini, da quando si conoscono e lui non l’ha mai guardata in quel modo.
«Cosa stai facendo?» domanda, perciò, con voce flebile.
Scorpius sorride.
«Sto per baciarti.»
«E perché?»
«Non puoi stare zitta, Erin? È solo un bacio.»
Solo un bacio. Scorpius non avrebbe potuto dire niente di più sbagliato. Se ne rende conto nel momento esatto in cui Erin gli colpisce una guancia pallida con uno schiaffo da manuale. Lo guarda, delusa e quasi sull’orlo del pianto, dopodiché gli volta le spalle e si allontana.
Scorpius la osserva con aria assente. Non sa nemmeno cosa gli sia passato per la testa. Perché voleva baciarla? È Erin. L’ha vista crescere, superare la fase del brutto anatroccolo e portarsi dietro la convinzione di non essere poi così tanto bella. Non capisce per quale motivo le abbia detto una cosa simile. Non è da lui e ancora non si capacità della propria stupidità. Ha pensato che, se l’avesse baciata, Erin si sarebbe convinta che anche lui la trova bella e desiderabile, nonostante le parolacce, i comportamenti da maschiaccio e l’aria spavalda.
Ma ha rovinato tutto, scegliendo il modo e il momento sbagliato per farglielo capire. Come se non bastasse, molto probabilmente Violet lo ucciderà: tende ad essere piuttosto protettiva nei confronti della sua migliore amica.
Con un sospiro frustrato, Scorpius si massaggia la guancia e si incammina verso la Sala Grande.
Erin percorre a passo marziale il lungo corridoio che la separa dagli spogliatoi. Stringe rabbiosamente i pugni lungo i fianchi e mugugna qualche insulto nei confronti di Scorpius. Chissà cosa gli è preso, si chiede.
Non riesce proprio a capire per quale motivo si sia comportato in quel modo. Baciarla. Perché mai avrebbe dovuto baciarla? E perché mai lei ha desiderato che lo facesse? È questo che non si spiega. Scorpius le è sempre piaciuto, è vero, ma gli vuole bene come ad un fratello. L’ha visto diventare sempre più lunatico, silenzioso e affascinante ogni anno che passa e ha messo da parte la speranza che un giorno lui possa vederla non come l’amica molesta, ma come la donna della sua vita.
Ha sempre convissuto bene con i sogni infranti, Erin. Basta chiuderli in un cassetto e metterli da parte, senza pensarci più. Ma se il suo sogno infranto torna a farle visita, come può pretendere da se stessa di rimanere indifferente?
«Stronzo.» borbotta, offesa.
Entra nello spogliatoio con tutto l’intento di cambiarsi e anticipare l’allenamento di mezz’ora. Non ha voglia di vedere la sua squadra, né di parlare con quell’idiota di Flitt. È il loro Battitore e frequenta il quinto anno, ma ha la bizzarra convinzione di essere una specie di dongiovanni e ogni volta la guarda come se volesse mangiarsela.
«Wilson.»
Erin sobbalza spaventata, quando si accorge di Sean Livingstone che la osserva dall’alto del suo metro e settantacinque. È appoggiato allo stipite della porta e tiene le braccia incrociate sopra il petto ampio.
«Che vuoi, Sean? Non sono dell’umore, ti avverto.»
Si sfila le scarpe e afferra gli stivali, che indossa in tutta calma. Aspetta che Sean si decida a sputare il rospo. Nel frattempo, si sforza di non pensare a Scorpius e a quanto sia idiota.
«Vieni con me a Hogsmeade, domani.»
«No, ti ringrazio.»
Erin sorride gelida. Non ha nessuna voglia di trascorrere un intero pomeriggio in compagnia di Sean e delle sue mani lunghe. Ha di meglio da fare. La ricerca di Pozioni, tenere compagnia a Violet, mettersi lo smalto, insultare Scorpius. Insomma, un mucchio di attività interessanti, in cui Sean non è compreso.
«Perché?»
«Primo perché non me l’hai chiesto. Secondo perché non diventerò uno dei tuoi trofei, Sean. A differenza delle cretine che ti stanno appresso, io ho un cervello. E funziona.»
«Per questo mi piaci.»
Sean le sorride, mettendo in mostra una serie di denti perfetti. Ha gli occhi verdi e i capelli biondo scuro e per un attimo Erin pensa che non sarebbe poi tanto male stare con lui.
«Ti piaccio solo perché vuoi vincere la partita contro Grifondoro, settimana prossima. Non sono stupida, te l’ho già detto.»
Sean alza gli occhi al cielo e si avvicina un po’. Erin, che non ha la minima intenzione di fargli credere di avere una qualche influenza su di lei, continua ad allacciarsi gli stivali con aria tranquilla, sebbene la presenza di Sean sia ormai piuttosto ingombrante.
«Mai sentito parlare del rispetto degli spazi personali?» sbotta, alzandosi dalla panchina. Sean ride.
«Con te bisogna parlare chiaro, Wilson. O mi sbaglio?»
«No, non ti sbagli. Ed ora, se vuoi scusarmi…» Erin lo aggira, ma nel momento in cui gli volta le spalle, Sean la afferra per il polso e la tira indietro. Erin rimane immobile, vagamente preoccupata. Non le farebbe del male, vero?
Non si è portata nemmeno la bacchetta, e l’idea di essere alla mercé di quel cretino non le piace per niente. Perciò si limita a guardarlo, in attesa della sua prossima mossa.
«Concedimi un’uscita. Poi ti lascerò in pace.»
«Non voglio uscire con te.»
«Dammi un motivo.»
«Perché no.»
«Perché se non le levi le mani di dosso potrei perdere la pazienza.» la voce di Scorpius si sovrappone a quella di Erin. Entra nello spogliatoio con la calma del vincitore e con la testa alta. Afferra l’amica per una spalla e la trascina accanto a sé. Sean sbuffa.
«Non la stavo molestando, Capitano. Datti un calmata.»
«Gira al largo, Livingstone.» sibila Scorpius, gelido. Sean si allontana dopo aver rivolto ad Erin uno sguardo enigmatico, che le lascia addosso una strana sensazione. È così che ci sente, quando un ragazzo ti corteggia?
«Non avevo bisogno del tuo aiuto, Scorpius.» si divincola dalla presa del ragazzo con uno strattone poco delicato, poi esce dallo spogliatoio, senza guardarsi indietro.
«Possiamo parlare?» le urla dietro Scorpius, spazientito.
«Hai già detto abbastanza.»
E, per il momento, è più che sufficiente.
 
Le sette arrivano più velocemente di quanto Violet si aspetta. Ha trascorso l’intero pomeriggio in uno stato mentale non propriamente sereno, con i nervi a fior di pelle e con la malsana voglia di lanciare una Cruciatus su quel cretino di Potter.
Per di più, non è riuscita a portare a termine la relazione sugli unicorni e le sue calze preferite – quelle di cotone bianco – si sono sfilate proprio sopra il ginocchio ed ora sono inutilizzabili.
Ma il peggio è stato l’arrivo di una lettera da parte di suo padre. Un misero “Stai attenta a quello che fai, Violet.” che è bastato a rovinarle ancora di più l’intera giornata, portando il suo nervosismo ad un punto di non ritorno. A volte, Violet si chiede quanto le ci vorrà prima di essere rinchiusa al San Mungo nel reparto psichiatrico. Di questo passo, non così tanto.
Quando mancano quindici minuti alle sette, raccoglie il suo mantello, afferra la bacchetta e si sistema i capelli in una treccia castigata, dopodiché lascia la sua stanza in tutta calma. Nora, seduta sul letto, la guarda con un po’ di compassione. Era presente nel momento in cui Violet ha aperto la lettera del padre e ha visto la compagna impallidire notevolmente – più del suo colorito quasi spettrale – e cominciare a tremare. Non sa cosa sia successo, e non le interessa nemmeno, ma non dev’essere niente di piacevole se è riuscito a riportare Violet allo stato di angoscia evidente che sembrava aver superato almeno in parte.
Da parte sua, Violet può affermare con certezza di non aver mai odiato così tanto i suoi genitori. Mentre sale le scale che portano al terzo piano, si domanda se sia possibile desiderare la morte di chi l’ha messa al mondo.
Se suo padre tirasse le cuoia, non verserebbe una lacrima. Dovrebbe sentirsi cattiva al solo pensiero, ma non può farne a meno. Se Augustus McLeod non esistesse, il mondo sarebbe un posto migliore.
Annuisce tra sé e sé con il pensiero totalmente rivolto a suo fratello e, ancora una volta, non può fare a meno di chiedersi se abbia ricevuto la sua lettera e se, in qualche modo, ne abbia tratto conforto. Spera che prima o poi le risponda, almeno per farle sapere che sta bene.
Quando arriva di fronte allo studio della professoressa Walsh, Violet prende un profondo respiro e si sforza di raccogliere tutta la pazienza che possiede. Bussa con decisione e, una volta ottenuto il permesso, entra.
James è già lì, seduto con aria indolente di fronte alla scrivania della Walsh. Non la guarda nemmeno, si limita ad osservarsi le mani con aria estremamente annoiata. Violet sospetta che si tratti di una farsa, ma non le interessa poi più di tanto. Vuole solo che quell’incontro si concluda il prima possibile.
«Buonasera.» mormora.
La Walsh le sorride brevemente e le indica la sedia accanto a quella di James. Violet ci si accomoda con cautela.
«Ciao, Violet. Ora che sei qui anche tu, vorrei discutere del motivo che ti ha spinto a schiantare il tuo compagno, questa mattina.»
Violet si irrigidisce, così come James, che ancora non è riuscito a mandar giù l’onta di essere stato battuto da una ragazza.
«C’è poco da dire, professoressa. Ho solo fatto la cosa giusta.»
«La cosa giusta?» ripete James, oltraggiato. «Sei una stronza! Mi sono quasi sfasciato la testa!» urla. Si alza in piedi e comincia a fare avanti e indietro per l’ufficio. La Walsh lo osserva attentamente.
«Hai detto o fatto qualcosa per provocare Violet, James?»
Il primogenito dei Potter interrompe la sua camminata e rivolge all’insegnante uno sguardo tanto limpido quanto sfacciato. Poi sorride.
«Ho solo detto la verità. Non credo sia un crimine.»
Violet spalanca appena gli occhi, colpita. Se ci fosse un premio per la sincerità brutale, James Potter lo vincerebbe senza margine di dubbio.
«C’è una sottile differenza tra l’essere sinceri e l’essere cattivi, James. Non pretendo che tu la capisca, non ancora. Ma è necessario che tu ti renda conto che giudicare senza conoscere – la Walsh blocca James con un gesto secco della mano, impedendogli di interromperla – non è giusto, soprattutto se non hai la certezza di quel che dici. Per quanto riguarda te, Violet, so che stai passando un momento difficile. E so anche che ti senti continuamente braccata, ma non puoi schiantare i tuoi compagni. Perciò siete entrambi in punizione, fino a quando non capirete che l’odio e l’astio che nutrite l’uno nei confronti dell’altro è tanto insano quanto stupido. Continuerete ad essere compagni nelle lezioni che Serpeverde e Grifondoro hanno in comune e per tre giorni a settimana aiuterete la professoressa Caige a riordinare la serra numero dieci. Ed ora andate.»
Violet è la prima ad alzarsi, quasi stordita dalle parole della sua insegnante e ancora incredula di quanto le sta succedendo. Non è colpa sua, se James Potter è un idiota. Si meritava di essere schiantato, perciò per quale motivo anche lei dovrebbe rimetterci e trascorrere del tempo prezioso in sua compagnia?
Si incammina verso i sotterranei con uno sguardo lievemente truce, ma questa volta non è sufficiente a tenere Potter lontano. La afferra per un polso, bruscamente, costringendola ad interrompere la sua camminata.
«Lasciami.» sibila, infastidita dal contatto non richiesto.
James obbedisce, stranamente, poi le sorride in un modo vagamente inquietante. Violet sente un brivido percorrerle l’intera spina dorsale, ma si sforza di mostrarsi impassibile. Comincia ad essere stanca di recitare la parte della vittima.
«Tu non mi piaci, McLeod. Ti trovo insopportabile. Sei solo una ragazzina viziata, snob e con la puzza sotto il naso. Potrai non aver ucciso la babbana, questo te lo concedo, ma il tuo sangue è marcio. E la mela non cade mai troppo lontana dall’albero.» dopodiché James le volta le spalle e si allontana con la sua falcata sicura.
Ha ragione, pensa Violet, mentre scende la prima scalinata, la mela non cade mai troppo lontana dall’albero. Ma quello non è il suo caso.
 
 
 ***
 
 
È passato un tempo infinitamente lungo dall’ultimo aggiornamento e vi chiedo scusa, mi dispiace. Ma sto avendo un periodo un po’ pieno, qualche problema, l’ispirazione che va e viene e insomma, scusatemi.
In ogni caso, non ho intenzione di abbandonare la storia e spero che voi non abbandonerete me!
Detto questo, mi auguro che il capitolo vi sia piaciuto e niente, se vi va, fatemi sapere che ne pensate!
Con affetto,
Fede.
 

 
   
 
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