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Autore: xlovesharoldo    04/02/2014    15 recensioni
Ridacchiai quando una strana scena si fece spazio nel mio cervello.
- Mi ricorda Titanic. – ammisi.
Mi stampò velocemente un bacio sulle labbra, ridendo poi da solo. Lo guardai divertita, mentre scuoteva la testa. Le sue dita passarono nei miei capelli, togliendoli dal mio viso.
- Dove la porto signorina? – sorrisi come non mai. Strinsi forte la sua maglia fra le mie dita.
- Su una stella. – indicai il cielo.
Ridemmo insieme, riportando esattamente le parole del film. Non riuscivo a credere che così tante persone fossero morte così, nel gelo delle acque dell’Atlantico. Non credevo nemmeno di essere lì, in quel momento.
- Non credo di poterti portare su una stella. – sussurrò dispiaciuto. Passai le mie mani dietro la sua schiena, abbracciandolo forte.
- E allora portami con te, ovunque andrai.
*
Quale amore, meglio di quello che nasce sulle acque dell'oceano?
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TRAILER : https://www.youtube.com/watch?v=qhZTHAsTO34
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Niall Horan, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Questi personaggi non mi appartengono; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

Aprii velocemente la portiera, scendendo da quel puzzolente taxi. Ancora dovevo capire perché al posto di una semplice vacanza vicino a casa avevano dovuto decidere per una vacanza relativamente lontana. Avremo dovuto impiegare ore per tornare, come avevamo impiegato ore per arrivare in questo desolato posto: l’auto fino all’aeroporto, l’aereo per Roma e addirittura un taxi. Ero già stanca anche se avevo dormito per tutto quel tempo.
Allungai le braccia verso l’alto, stiracchiandomi, mettendo al suo posto subito dopo la felpa che si era leggermente alzata. Accarezzai la testa della creaturina che si era appena attaccata alla mia gamba, abbassandomi un poco.
- Hai intenzione di aiutarmi oppure no? – la voce stridula di mia zia risuonò nelle mie orecchie, mettendomi sull’attenti. Sorrisi alla mia cuginetta, alzandomi per prendere almeno il mio trolley verde acqua.
- Non ti preoccupare, andrà tutto bene. – mi disse l’altra mia zia, affiancandomi.
Sorrisi anche a lei, trascinando sull’asfalto la mia valigia. Sara mi prese subito per mano, il suo zainetto di Hello Kitty dietro di sé. Glielo misi sulle spalle e mi sistemai gli occhiali sul naso, iniziando a guardarmi intorno. Sentivo il verso i gabbiani, le onde e molte voci soffuse. Il parcheggio era più che altro occupato da taxi che arrivavano e ripartivano, lasciando intere famiglie o semplicemente qualche solitario in cerca di sano relax. Dietro di me c’era una fila di barche che continuava per indefiniti metri. Dovetti alzare di parecchio la testa per notare in tutta la sua bellezza, una lunga e enorme nave bianca e blu con rifiniture rosse e le barche di salvataggio di colore arancio acceso. Una grossa scritta rossa “CUNARD” spiccava sopra di me e sulla prua una scritta invece blu più sottile “QUEEN ELIZABETH”. Non era mai salita su una crociera, sarebbe stata la prima volta.
- Ti piace? - mi chiese mio zio. Annuii ancora incantata. Avrei dovuto passare su quel paradiso a cinque stelle galleggiante ben undici giorni. Fremevo dalla paura, dall’ansia e dall’eccitazione.
- Chissà quanto vi è costato …
- Gli è costato. – mi corresse con un ghigno.
Si, aveva ragione. Io non avevo tirato fuori nemmeno un soldo, come se me lo potessi permettere. Alla mia giovane età di diciassette anni andavo avanti con le mance che raccattavo fra i vari parenti. Nonostante questo i miei genitori mi avevano pagato tutto il viaggio senza dire una parola, anzi, avevano dovuto perfino convincermi. Non perché non volessi partire, ma non mi andava di lasciare lo studio e la scuola nel bel mezzo del quarto anno di liceo linguistico, era solo novembre!
- Non lo voglio sapere. – chiusi il discorso, senza aggiungere altro. Non ero davvero interessata al prezzo, volevo solo che quei giorni passassero in fretta, così da poter tornare alla mia vita normale.
Iniziammo ad avviarci verso l’edificio accanto al porto, dove lasciammo tutti i bagagli. In quel momento capii la fretta di mia zia: la coda fu lunga e stressante. Feci la foto di rito e diedi tutti i documenti. Mio zio prese la carta che avremo usato per pagare sulla nave tutto ciò che ci serviva, somma che avremmo poi dovuto saldare alla fine della crociera. Mi ero informata, per non risultare un pesce fuor d’acqua, ma mi ritrovai comunque a boccheggiare davanti a tutte quelle persone. La maggior parte di queste era straniera: dagli spagnoli agli inglesi, passando dai tedeschi e dai francesi. Non dissi nulla, consapevole che una volta salpati da Civitavecchia avremmo dovuto arrivare in Inghilterra, precisamente a Southampton. Ci diedero perfino un numero, facendoci salire a turni sull’imbarcazione.
- Marta! – mi voltai immediatamente, facendomi arrivare i capelli sul viso. Li spostai tenendo stretta la mia mano in quella di Sara. Il padre della piccola mi fece segno di muovermi, sbuffai. La nave di sicuro non si sarebbe spostata da là.
Trovammo la nostra stanza dopo aver chiesto a mezzo personale: sembrava che mia zia fosse mestruata, perennemente incazzata e con l’ugola pronta per urlare al minimo errore, tuo o di chiunque le stesse vicino. Erano tre cabine con balcone, le ultime collegate fra loro. Mia zia Lucia e suo marito Nicola presero la prima stanza, quella separata. Ringraziai il Signore per questa occasione di libertà dalla vipera. Zia Claudia e zio Giulio invece preferirono avere Sara sotto controllo, così loro presero la seconda e io e la mia cuginetta l’ultima. Perdemmo parecchio tempo per la divisione delle camere, tempo sprecato a mio parere.
Lasciai mia cugina con sua mamma e entrai nella mia cabina con il trolley. Dopo un piccolo corridoio si apriva una stanza piuttosto grande, il letto poggiato sulla parete di destra, più avanti un divano da due posti ricoperto da un tessuto color oro spento che si ripresentava ovunque: sulle pareti, sulle lenzuola, i cuscini e le tende. Davanti al divano c’era un piccolo tavolino di legno basso e sull’altra parete la scrivania, con una piccola televisione al plasma e parecchie prese. Lasciai la mia piccola valigia vicino al letto e il mio cellulare su un comodino. Aprii curiosa le ante dell’armadio, trovando abbastanza spazio per contenere abbondantemente tutti i vestiti che avevo portato. Mi affacciai anche nel bagno, seppur piccolo era accogliente e pulito, mi sorpresi perfino di avere una doccia tutta per me. C’erano tre specchi nella cabina, uno sopra il lavandino, l’altro accanto al guardaroba e l’altro ancora sopra la scrivania. Abbassai la maniglia della porta a vetri, uscendo sul balcone, collegato con quello di mia zia, ma diviso da un separé bianco dalla cabina accanto. Un piccolo tavolino di ferro pitturato di bianco e due sedie riempivano quel poco spazio ricoperto dal parquet.
Di sicuro non avevano badato a spese, ma era inutile chiedere il perché: “Abbiamo avuto tutti un anno molto impegnativo e ci meritavamo una piccola vacanza” rispondeva sempre pronta mia zia. Due famiglie che intraprendevano un viaggio nel bel mezzo di novembre … Alcune volte mi domandavo se la mia famiglia era normale oppure come fossero le altre.
Quando la peste ritornò in camera iniziò a svuotare il suo piccolo zainetto, a me toccò invece disfare - anche se in modo minimo - il mio trolley, a cui in seguito a un’entrata di mio zio Nico, se ne aggiunse un’altra ben più pesante e grande, sempre della sottoscritta. Potevo vedere il cielo iniziare a imbrunire fuori dalla vetrata, passando in rassegna la mia playlist. Non potei finire di sistemare i numerosi trucchi, vestiti e oggetti vari che un altoparlante segnalò prima la partenza imminente e poi che “i signori passeggieri possono prendere posto nei vari ristoranti offerti dalla nostra crociera”. In parole povere: era pronta la cena.
Non mangiai molto, per non dire per niente. Il solito peso sullo stomaco mi permetteva a malapena di finire un piatto intero. Non persi tempo però, osservando le decorazioni di quel ristorante e lo stile dell’intera nave. I pavimenti erano di marmo e perfettamente puliti, le porte decorate sul vetro con stampe floreali bianche, tappeti lavorati divinamente, mosaici, statue di oro puro e tutte le rifiniture in legno. Era un ambiente davvero elegante ma allo stesso tempo moderno. Tutto mi affascinava e non vedevo l’ora di poterla esplorare interamente.
Tornati in camera ebbi la possibilità di finire di sistemare le mie cose. Feci scivolare il trolley vuoto sul fondo dell’armadio, aprendo nuovamente la valigia più grande: alzai le varie magliette, ma inaspettatamente trovai alcuni capi che non ricordavo di aver messo e alcune scatole, riempite con altre scarpe e oggetti palesemente inutili al mio viaggio. Infuriata sbattei i piedi per terra e spalancai la porta che conduceva all’altra cabina, trovandoli tutti intenti a una grossa risata dovuta a chissà quale freddura di quella strega.
- Che fine hanno fatto i miei libri? – chiesi urlando. Sentii il mio respiro irregolare e il cuore sbattermi contro il petto. Sara si spaventò e non poco ma non ci feci caso, continuando a fulminare tutti e quattro. Maledetti.
Mia zia Claudia scoppiò in lacrime e Lucia la consolò. Che finta.
- Guardami zia! Guardami! – la intimai. Il suo volto inondato da lacrime si soffermò sul mio minuto corpo. – Sto bene!
- No! – si alzò l’altra, avvicinandosi di qualche passo a me. – Tu non stai bene!
Mi trattenni dal saltargli addosso: lei non doveva interessargli se stavo bene oppure no.
- Studi troppo! Hai passato l’estate su quei maledetti libri Marta! Basta! Prendi un insufficienza e smettila di rovinarti da sola!
Mi allontanai schifata: avevo capito i loro piani. La rabbia e la frustrazione non erano qualtificabili in quel momento.
- Imparate a farvi i cazzi vostri! – urlai con le lacrime agli angoli degli occhi, premevano per uscire. Era la mia vita, non la loro. Non capivano che lo facevo per la mia felicità?
- Marta! – mi richiamò Nicola, mentre Giulio tappava le orecchie alla bimba.
- Vaffanculo.
Ignorai tutti i richiami, le preghiere e le imprecazione varie prendendo il cellulare e sbattendo la porta della mia cabina.
A testa bassa mi diressi a passo veloce e impaziente sulla prua della nave. Feci qualche sorriso finto alle persone che mi guardavano curiose dato l’orario e le mie condizioni e finalmente all’aria aperta corsi fino alla ringhiera di protezione. Tappandomi la bocca, urlai più forte che potevo, scaricando tutta la tensione e frustrazione, rimasi soltanto triste, delusa e sola. Fissai per qualche secondo la punta della nave, bianca e liscia. Mi sedetti sbuffando rumorosamente su una sdraio ancora aperta, lanciando uno sguardo infuocato a due bambini più o meno sui dieci anni che spaventati corsero via. Mi passai due dita prima sulle tempie, massaggiandole leggermente e poi appena sotto gli occhi, premendo per avere un po’ di sollievo. Mi stesi poco delicatamente, portando mano e cellulare sulla mia pancia. Le luci del tramonto avevano ormai da tempo lasciato posto a un cielo nuvoloso e che minacciava pioggia. Nonostante non c’erano stelle rimasi a fissare le nubi in veloce movimento per molto tempo, per me indefinito. Pensavo solo al fatto che i miei avessero insistito molto a farmi fare questa crociera e che pensassero che facesse bene alla mia situazione. Ma non ce n’è bisogno! Non c’è nessuna situazione! Stavo bene dove stavo e come stavo, non capivo perché dovevo migliorare. Non capivano che io ero felice?
Asciugai frettolosamente qualche lacrima, tirandomi velocemente a sedere. Delle voci sembravano venire dalla mia parte e un brivido sia di paura sia a causa del leggero venticello salì lungo la mia schiena, facendomi abbassare lo sguardo sui miei Blundstone neri.
Riconobbi tre o quattro voci maschili e chiaramente inglesi. Strinsi le mani attorno al mio Nokia Lumia, graffiandomi leggermente con le mie stesse unghie. Cercai curiosa di capire di cosa stavano parlando, per valutare anche se i miei alti voti scolastici nella materia, le varie gite all’estero e i corsi pomeridiani mi avessero insegnato qualcosa.
- Sono davvero felice di aver preso questa decisione lads, avevo proprio bisogno di staccare un po’. – la sua voce era molto impastata, faticai a capire quello strano accento.
- Non ti esaltare … - questo invece parlava davvero veloce e non capii proprio nulla.
Risero tutti e tre .. o forse quattro. Ci fu un improvviso silenzio, all’inizio non capii a cosa era dovuto ma quando sentì dei passi leggeri farsi sempre più vicini alla mia sdraio, sentii il viso bruciare. Due mani affusolate si poggiarono sui miei jeans infondendomi un po’ di calore. Tremai quando iniziando a studiare il ragazzo che si era accucciato davanti a me, se ne sedettero altri due accanto, uno da una parte e l’altro dall’altra. Tremai di paura, paura che potessero farmi del male perché stavo origliando e semplicemente perché avevano voglia di divertirsi.
- Hi. – mi salutò una voce che non sembrava provenire da nessuno dei tre che avevo accanto. Deglutii ancora con lo sguardo fisso su un paio di Timberland che sminuiva ancora di più il mio 37 e mezzo di piede. Salutai con un sussurro davvero impercettibile. Nonostante questo sentì un sorriso formarsi sul viso del ragazzo alla mia sinistra.
- Qual è il tuo nome? – chiese il tipo davanti a me. Presa da chissà quale botta di coraggio alzai lo sguardo su di lui. Incontrai due occhi color cioccolato che mi fecero saltare indietro di qualche centimetro. Imprecai, sfortunatamente anche nella loro lingua, così sentì di nuovo le loro risate.
- Bel nome. – commentò ancora divertito.
Portai il cellulare davanti al mio viso, illuminando lo schermo: l’immagine in bianco e nero di un Liam Payne che con il suo braccio tatuato indicava la folla sotto i suoi piedi fece compagnia all’orologio che segnava in quel momento le 23:07. Feci scattare lo sguardo tra la foto e l’originale davanti ai miei occhi più e più volte finché lo schermo non si scurì di nuovo. Realizzai dopo poco che era proprio lui e che seduti accanto a me c’erano Louis e Harry e alle spalle di Liam, Niall e Zayn. Morsi il labbro per trattenere un urlo che altrimenti mi sarebbe risultato naturale e abbassando lo sguardo di nuovo sulle sue mani, sussurrai ancora.
- Marta, il mio nome è Marta. - Harry mi sorrise, facendomi voltare verso di lui.
- Cosa ci fai qui tutta sola Martha? – mi mossi inconsapevolmente al suono del mio nome storpiato pronunciato proprio dall’ultima persona che mi sarei mai immaginata di incontrare. Aprii la bocca per prendere aria, ma il mio cervello era troppo scosso per mettere su una frase semplice di senso compiuto che rispondesse per quella domanda, perciò la richiusi subito dopo. Sistemai una ciocca di capelli dietro l’orecchio e gli occhiali sul naso.
- Niente. – mi sentii di nuovo andare a fuoco quando Niall si sedette a gambe incrociate accanto a Liam. Lui imitandolo si lasciò cadere all’indietro, portando poi le mani allacciate sopra le sue ginocchia. La mia pelle perse velocemente quel calore che le sue mani avevano portato, facendo salire un altro brivido lungo la mia colonna vertebrale. Mi sentii una stupida ignorante quando iniziò a parlare tranquillamente con la sottoscritta, mentre riuscivo a tradurre solo qualche parola, senza cogliere il significato della frase. Sentii davvero caldo quando dovetti spiegare perché lo stavo guardando come se avesse appena bestemmiato.
- Ehm … Sono italiana e una cosa che non riesco a capire è come fai a parlare così veloce. - Niall rise, optai per due motivi: per il mio rossore o per il mio tono misto tra terrore e divertimento. Liam si scusò, ripetendomi poi di nuovo più lentamente. Strinsi una mano fra le cosce, permettendo di nascondere le due dita incrociate. Pregai silenziosamente di non fare errori stupidi di pronuncia o di tempi verbali.
- Ho detto che era impossibile che non stessi facendo nulla, qui tutta sola, al buio. – sorrisi quando nel mio cervello si formò una risposta corretta e articolata.
- Ma io non sono sola, ci siete voi. - Sentì la leggera risata di Zayn, musica per le mie orecchie. – E voi cosa ci fate qui?
Questa volta mi rispose Louis: - Abbiamo appena terminato il tour anche in Giappone, così abbiamo deciso di prenderci una decina di giorni di vacanza per rilassarci un po’.
Niall mi fissò un attimo con i suoi occhi azzurro cielo. – Non lo sapevi? Eravamo a Rome fino a poche ore fa.
Ci pensai su qualche secondo, ma per paura che il mio silenzio li avrebbe fatti innervosire scossi subito la testa. – Non sono una Directioner, non so tutte queste cose. Mi piacete voi e la vostra musica, nient’altro, ma saprei lo stesso riconoscervi ovunque. Scusate.
Feci nascere ben cinque sorrisi e esultai mentalmente. Vidi una mano tatuata prendermi la mia e chiudendola senza sforzi nella sua.
- Non fa niente. – sorrisi timida al riccio, prima che il mio cellulare tremasse. Persi con quella il numero di volte che ero avvampata in quei pochi minuti. La loro cover di Use Somebody dei Kings Of Leon spezzò quei momenti per me di pace. Dovetti rispondere frettolosamente alla chiamata, avvisando che stavo tornando. Sentii una lieve rabbia salirmi di nuovo mentre i ragazzi parlavano fra di loro.
- Ciao Italia. – risi di gusto a quelle due parole italiane dette ovviamente da quel biondo di Niall. Bloccai però subito la mia risata con una mano sulla bocca, ricordandomi che questa era tutto tranne che limpida e normale
- Ti prego non smettere! - Non seppi mai se era un complimento oppure no, ma arrossii, liberando dalla mia mano almeno un sorriso.
- Devo andare. – mi alzai da quella sdraio e Louis e Harry mi imitarono. Liam si rialzò con agilità, lo stesso Zayn, ma Niall rimase seduto allungando verso i suoi amici due braccia. Mi fece una tenerezza assurda: avvicinai a Louis il mio cellulare che prese con piacere e fra le risate di tutti, lo aiutai ad alzarsi. Sentii il mio stomaco tremare a contatto con le sue mani calde e morbide, numerosi brividi partirono dalle punta delle mie dita congelate e arrivarono fino alla punta dei miei capelli. Inclinandomi indietro riuscii a bilanciare il suo peso e a metterlo in piedi. Mi illuminò con il suo sorriso perfetto e mi persi qualche secondo fra i suoi occhi celesti, davvero fin troppo in confronto ai miei quasi neri. Mi voltai riprendendo il cellulare che il moro dagli occhi azzurri mi stava gentilmente porgendo e allontanandomi all’indietro di qualche passo.
- Grazie ragazzi. È stato un piacere conoscervi. - Cinque diverse voci mi ringraziarono e mi ripetevano che si erano divertiti, anche se per poco.
- Spero di incontrarti ogni tanto. – sorrisi a Harry, salutandoli definitivamente. Udii ancora qualche saluto mentre mi allontanavo con un sorriso dipinto sulle labbra. Ignorai perfino le prediche dei miei zii, ignorai scuse e non diedi spiegazioni. Augurai una buonanotte generale e senza fare troppo rumore misi il pigiama, infilandomi nelle coperte accanto alla piccola Sara. Accarezzai i suoi capelli per qualche minuto, ancora con la mente completamente vuota. Fissai il cielo scuro fuori dalla finestra, ma il sonno prese il sopravvento e con uno sbadiglio portai fino al mento il lenzuolo.
Quella notte sognai due occhi azzurri che mi fecero dormire con un sorriso sulle labbra.

 
   
 
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