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Autore: _SillyLoveSongs_    04/02/2014    5 recensioni
Dal testo:
"Vattene... vattene, John...- sussurra mentre quelle parole risultano poco convincenti persino alle sue orecchie, che vorrebbero ascoltare ancora dediche da parte dell'uomo che finge di disprezzare.
-Io non posso, Cyn... non posso...-
Cynthia reprime le lacrime di frustrazione che sgorgano naturalmente dai suoi occhi.
-Dov'è la fregatura, Lennon? Perché mi stai facendo questo? Perché?-"
Un piccolo e personale omaggio alla donna che ha accompagnato lo sviluppo umano e artistico di un grande uomo. Aspetto co ansia le vostre recensioni, sempre ben accette ;)
Buona lettura.
Genere: Angst, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, John Lennon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ebbene sì, sono tornata in rete!

E con una storia riguardante il rapporto fra John e Cyn che ho tentato di rendere nel modo più verosimile possibile. Ma ci tengo a precisare che con questo racconto non intendo presentare fedelmente i pensieri dei personaggi. È solo l’interpretazione di una grande amante di John e del piccolo Julian .

Per la gioia dei miei lettori veterani, e spero anche per quelli acquisiti, ho deciso di inserire una canzone per accompagnare questo testo.

Trattasi di My immortal degli Evanescence di cui posto il link:

 

http://www.youtube.com/watch?v=cu7QvOQKcKk

 

Vorrei ringraziare anticipatamente tutti coloro che leggeranno e che mi rallegreranno con una recensione, sempre utile a migliorare.

Ma in particolare voglio ringraziare due persone che mi stanno particolarmente a cuore: Mariateresa e Chiara, a cui è dedicata la storia.

Buona lettura.

 

 

 

 

 

A Chiara

 

 

Dov’è la fregatura, Lennon?

La mascella di John si contrae, accogliendo con insistenza l’estremità della sigaretta nella curva appena abbozzata delle sue labbra.

Le pungenti raffiche ventose imperversano sulla bocca sottile dell’uomo che ne tormenta la superficie con la punta della lingua.

Un gesto continuo e naturale, proprio come la fievole danza dei fiocchi di neve che incalzano i passi di John, insinuandosi sotto la suola dei suoi stivali. Lo sguardo del ragazzo sembra rapito dal profilo elegante delle calzature, forgiato da una rispettabile azienda stilistica e inaspettatamente destinato ad inumidirsi così vergognosamente in quella coltre candida.

John si sorprende a sorridere amaramente della palese diversità che lo contrappone a quel paio di stivali.

Lui è nato fra il biancore delle pareti ospedaliere, è cresciuto nel candore malinconico dell’assenza materna. E proprio mentre credeva che quel biancore latteo che tanto ha accolto la propria gioventù fosse stato timidamente soffocato dalle tinte assai più vivaci della soddisfazione e dell’amore, vi ripiomba con un tonfo sordo.

Un suono che ridonda nelle proprie orecchie, così insistente che per un istante sovrasta persino il recente ricordo delle urla indisponenti e infastidite di Yoko.

 

“-Cosa c’è che non va?-

La donna alza le braccia in un gesto esasperato, scostando con un movimento nervoso le ciocche corvine che, ribelli come la sua voce acuta, hanno celato le guance imporporate.

Il polpastrello di John scivola sull’accendino che, quasi intimidito dall’atmosfera irata che satura la stanza, sfugge alle mani tremanti dell’uomo. Osserva incredulo il fremito incontrollato delle proprie dita, le quali tradiscono un animo dalla fermezza vacillante. Permetterebbe ai suoi palmi di tremare piacevolmente solo sulle corde della propria chitarra e non certo sulla superficie di quell’oggetto metallico.

John scaglia con irruenza quello strumento che ha creduto potesse infondere l’ombra della piacevolezza nelle proprie membra frustrate.

Il rumore improvviso non disturba la posa contrariata di Yoko, che mantiene la propria severità, mostrandola orgogliosamente al marito.

L’indice di quest’ultimo è indirizzato verso di lei, mentre una sigaretta ancora spenta pare afferrare blandamente le labbra di John per evitare la caduta.

-Te lo dico io cosa c’è che non va! Tutta questa merda non va, Yoko! Le tue stupide idee non vanno! Perché mai hai invitato entrambi a quell’evento? Perché?-

La giovane orientale curva il busto verso il pavimento su cui giacciono i rimasugli dell’accendino, che raccoglie con espressione desolata. Mostra il labbro inferiore all’esterno e con esso il proprio inscenato rammarico.

-Che peccato… era il mio preferito…-

-Rispondimi!-

La rabbia arrochisce evidentemente la voce già incrinata di John, senza scuotere alcuna emozione negli occhi scuri di Yoko che sostengono lo sguardo di quelli traboccanti di indignazione del consorte.

-Perché è la nostra carriera, John. E una carriera è un futuro. Non sei più il ragazzino che strimpella qualche canzonaccia nel cortile della scuola, non sei più l’affascinante chitarrista dei Beatles. Sei John Lennon ora, sei solo, e la tua carriera non è più gestita da discografici a cui permettevi di giocare con il tuo denaro. Ora devi pensare a te stesso e a costruire il tuo destino. Da solo. E fare carriera non significa chiudersi in una stanza, imbracciare una fottuta chitarra e suonare tutta la notte senza che nessuno ti ascolti. Fare carriera significa diventare qualcuno, John, mostrarsi al pubblico e dichiarare con la propria immagine la nostra presenza. E sì, caro, il termine “mostrarsi al pubblico” è esteso anche a quell’evento. Perché non riesci a capire che abbiamo bisogno di costruire noi stessi?-

Yoko sospira insoddisfatta, come una madre che ha fallito l’ennesimo tentativo di impartire un insegnamento al figlio. Nasconde i componenti dell’accendino nelle tasche del maglione, un’espressione noncurante sul viso, la cui altezza viene raggiunta dagli occhi  furenti di John.

-Hai ragione. Devo pensare a me stesso. Ed è proprio quello che sto cercando di fare e tu lo sapevi bene! Sapevi perfettamente che volevo raccogliere le idee, non attirare l’attenzione sulla mia persona per avere la possibilità di riflettere sulla mia vita, sui ragazzi, su Paul…ma non hai mai pensato solo per un istante che io sono tuo marito e non il cavallo vincente su cui hai puntato? Non hai mai pensato che non mi importi affatto della mia carriera, ora?-

-E tu? Hai immaginato che potesse importare qualcosa a me?-

Yoko alza il mento verso il volto di John, sfiorandone la mascella con la fronte percorsa da elaborate rughe d’espressione. L’uomo ne scruta la figura con gli occhi, discendendo lungo il collo, sui cui la pelle distesa differisce da quella tesa del marito.

Quest’ultimo mantiene l’indice sollevato all’altezza del naso di Yoko, dal quale fuoriescono refoli regolari di fiato. Nessun fremito nelle membra composte permette a John di abbeverarsi del suo timore.

L’uomo rinuncia agli improperi con cui vorrebbe adornare di indignazione il volto impassibile della moglie.. Lascia ricadere il braccio minaccioso lungo il fianco, scuotendo il capo, rassegnato dall’incapacità di comprensione di Yoko.

La coppia di stivali lo osserva inquieta, prima di essere recuperati dalle mani di John e indossati con l’aiuto di movimenti rapidi e febbrili.

L’unica intenzione che colma la mente di John, improvvisamente priva di ambizioni, riguarda la fuga da quell’abitazione ariosa ma dai padroni angusti.

Con un solo insulto appena sussurrato lascia cigolare la porta sui cardini, un solo desiderio che cerca un luogo in cui appartarsi serenamente nei propri pensieri.”

 

La sigaretta china il capo verso il basso, osservando mestamente i passi di John che percorrono il selciato inumidito dalla pioggia. Il ricordo del pianto notturno delle nuvole ancora scure, riluce contro le pareti delle case, sugli steli erbosi dei loro cortili.

John si riscopre ad invidiare gli occhi dei passanti che possiedono la volontà di analizzare con curiosità il brulichio cittadino. Le sue iridi invece si restringono, tentando di ignorare l’immagine delle braccia conserte di Yoko che si ripropone nuovamente ai propri pensieri.

John tenta invano di imporre alla propria mente riflessioni più serene quando persino il traffico inglese non risulta regolare e fluente.

L’uomo inspira profondamente i vapori inquinanti emanati dalle auto, mostrando al cielo la fronte sfiorata timidamente dai capelli con la stessa premura di una carezza materna. Ma John non riceve conforto da quelle ciocche che considera impertinenti, che scosta con un gesto impaziente mentre la sigaretta rovina a terra.

Egli la osserva, immaginando la propria vita imitare quella caduta inarrestabile. Proprio come quella sigaretta che fino a pochi istanti prima si era rifugiata nelle sue labbra, anche lui si è affidato alla figura carismatica di Yoko nella speranza che plasmasse i contorni spigolosi della sua esistenza. Fino al momento in cui quel modello ha spogliato il volto di quella maschera di comprensione di cui John si è innamorato, mostrando la propria indifferenza nei confronti delle fragilità dell’uomo.

Ora il musicista può solo limitarsi a vedere la propria vita scivolare nuovamente fra le dita, che desidererebbe riuscire bagnare di quelle lacrime di frustrazione che il suo orgoglio non gli permette di versare.

Quell’austero sentimento gli impedisce persino di abbandonarsi al ricordo malinconico di quegli anni del suo passato in cui ha assaporato il profumo della serenità.

Il profumo della superfice lignea della chitarra.

Il profumo del tessuto vellutato della cravatta di Paul.

Il profumo della pelle di Cynthia.

John scuote le ciglia, sorpreso dalla presenza inattesa del nome della propria ex moglie che, come un bimbo intimidito, si mostra ai ricordi dell’uomo.

Sorriderebbe della debolezza del proprio animo se non fosse troppo infiacchito dall’estenuante conflitto con la realtà.

Riesce a rammentare il sorriso della giovane donna, i suoi baci dolci rivolti a Julian e quelli roventi riservati solo a lui.

A quell’uomo che ora guarda al passato a cui ha impedito di divenire presente.

John rilassa le spalle, tentando di riformulare nella mente quelle certezze che lo hanno determinato a soffocare qualunque rapporto civile con la famiglia precedentemente costruita.

Una sicurezza che ha lasciato germogliare una nuova esistenza assieme a Yoko e che ora si dimostra unicamente una fragilità travestita da convinzione.

Ne è testimone l’immagine di un piccolo Julian che abbandona il groviglio intricato dei ricordi di John per lanciare con una risata divertita un pallone sul prato del parco che ora affianca il cantante.

Egli nasconde nuovamente quella scena nella propria mente, nel timore di poter perdere una delle poche e nitide testimonianze che ha vissuto dell’infanzia del figlio.

Concentra la propria attenzione unicamente sul respiro ancora affannato dall’irritazione che si unisce nel coro scomposto di suoni che giungono alle orecchie di John. È consapevole di voler ascoltare suoni differenti, suoni affettuosi e comprensivi che non riesce ad attribuire alla voce di una persona conosciuta.

O almeno questa è l’affermazione silenziosa della sua coscienza mentre i suoi passi macinano metri di asfalto, tenebroso come i pensieri di John che aspettano soltanto di essere rischiarati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cynthia accompagna il movimento della pagina con un sospiro soddisfatto dalla lettura. Raccoglie le ginocchia al petto, osservando la carta scomparire temporaneamente, celata dalle pieghe del vestito che la donna si affretta a riordinare.

Cyn solleva lo sguardo dal proprio abbigliamento, come per constatare la realtà precaria della propria esistenza.

Si sorprende a considerare che neppure Julian sarà disposto a mantenere per sempre quella posizione impegnata, incurvata dallo studio che sta assumendo in quell’istante, che, Cynthia è consapevole, si ritroverà a rimpiangere in futuro.

Un futuro che spera possa rivolgere un sorriso magnanimo al giovane Julian, conducendolo nei meandri di un destino in cui non sarà costretto a riscontrare l’ombra del padre negli apprezzamenti dei possibili datori di lavoro.

Cynthia osserva le mani di Julian scivolare zelanti, intente  comporre la grafia disordinata che tanto la donna ha denigrato in John. Sorriderebbe di quel ricordo inaspettato se solo la figura di quell’uomo avesse seminato eventi degni di serenità. Ma la memoria di Cynthia è disseminata unicamente di episodi che mostrano la veemente personalità di John.

 Periodi ammantati di un’amarezza che, nonostante la donna tenti di tacere con Julian, egli ripercorre spesso con la mente adagiata sul cuscino. Il pensiero che anticipa il sonno è rivolto a quell’uomo sconosciuto a cui l’anagrafe pretende che lui dia il nome di “padre”. Ma nessuno degli insegnanti che gli ha assegnato quella mole di lavoro scolastico sui cui sta studiando si è mai impegnato ad illustrargli il significato di quel termine. E ora Julian attende, nel silenzio adolescente, forgiato su un orgoglio che nessun adulto potrà mai scalfire.

Attende che un uomo con le sue carezze lo liberi da quell’ignoranza che lo divora, che da bambino lo ha imbarazzato di fronte ai coetanei e che da ragazzo lo fa sembrare più affascinante agli occhi di quelle fanciulle che Julian vorrebbe non attrarre.

Cyn corruga la fronte assieme al figlio, quando una frase complessa si libra dal volume di storia verso la sua mente. Proprio mentre le labbra di Julian si schiudono a pronunciare quelle parole apparentemente incomprensibili, una mano si adagia delicatamente all’esterno della porta d’ingresso, bussando quasi impercettibilmente.

Cynthia volta le spalle al figlio per scrutare con un rapido guizzo degli occhi mori la notte oltre la finestra che, nella propria inospitale oscurità, non parrebbe invogliare alcun visitatore. Ma il possessore di quel tocco flebile ha ignorato le raffiche scostanti del vento per recarsi inaspettatamente alla porta della donna che si affretta a rispondere a quel richiamo con un sussurro incuriosito.

Questo spegne il proprio lieve interesse nel momento in cui l’uscio cigola mestamente.

 Cynthia riflette su una possibile futura ristrutturazione dei cardini prima di incontrare con lo sguardo la figura che si staglia di fronte a lei.

L’imponenza delle spalle cela la luce artificiale dei lampioni che rischiara timidamente i lineamenti di quel viso. Pare quasi che anche quel bagliore tema di sfiorare con la sua carezza l’espressione dell’uomo che ancora domina gli antichi ricordi di Cynthia.

John libera un sospiro rassegnato, quello di un alunno impreparato ad un’interrogazione. Ma l’esame di John è insito negli occhi della donna che lo scruta, mostrando nelle iridi ristrette un rispettoso disprezzo.

Un sentimento radicato nell’animo di Cyn che, indomabile, viene scosso da un fremito nel momento in cui John deglutisce rumorosamente, vistosamente imbarazzato.

Cynthia rimprovera la propria fragilità che, nonostante la consapevolezza del dolore provocato da John, tratteggia un’ombra di eccitazione nella sua mente.

Abbassa gli occhi sul proprio corpo, risollevandoli rapidamente una volta constatata la propria natura adulta che non dovrebbe permettergli tali infantili cedimenti.

Una volta predisposto il proprio animo ad un comportamento razionale ed adeguato, si rivolge all’ex marito.

-Che ci fai qui?-

È visibilmente soddisfatta del tono indisponente che ha offerto alla domanda, che la scherma da ogni possibile richiesta che John ha intenzione di muoverle.

L’uomo assapora con lo sguardo le volute chiare dei capelli di Cyn che le ricadono sul petto, affannato da un respiro irregolare.

John è consapevole della vergogna che dovrebbe provare nel momento in cui rammenta il desiderio che fino a pochi anni prima quel seno florido ha provocato in lui.

Lo stesso che durante la quotidianità si tramutava in un affetto sincero che John ha ripudiato, convinto dell’amore e della fiducia che ha riposto in Yoko.

In quella donna così diversa da quella che ora attende una risposta, le braccia conserte impazientemente.

-Hey…-

La gola arida non riesce a produrre alcun suono che possa rassomigliare ad una parola di rammarico per il proprio comportamento che solo in quell’istante John riesce ad ammettere a se stesso come sconsiderato.

-Hey? Ti ripresenti alla mia porta nel cuore della notte dopo anni di lontananza e l’unica cosa che sei in grado di dire è hey?-

Il tono alterato della madre disturba lo studio di Julian che allontana la sedia e inclina il capo verso la parete che cela l’ospite.

-No, certo che no. Io…- finge di rischiarare la gola quando in realtà questa risulterebbe erosa dalla sensazione di inadeguatezza.

-Io sono qui per vedere Julian.-

All’ascolto del suo nome, Julian presta maggior attenzione a quella voce acuta e seriosa, simile a quella di quel cantante al quale dovrebbe attribuire la tanto conosciuta immagine di “padre”.

Il ragazzino si avvicina timoroso, mosso unicamente dalla curiosità di osservare con maggiore attenzione quella figura leggendaria che nei suoi ricordi si affievolisce progressivamente.

Ma di fronte a lui vede solo un uomo alto e dinoccolato che gli rivolge un sorriso distaccato che Julian non tenta di ricambiare.

Non è solito mostrarsi amichevole nei confronti degli estranei.

-Certo… e non ti è passato per la mente che potesse essere a letto?-

Il tono ironico di Cyn stimola la natura impaziente di John, il cui unico desiderio è quello di saggiare con alcuni passi incerti quel pavimento famigliare e respirare l’aroma delicato dei vestiti che Cynthia indossa.

Un tessuto pregno di un profumo che neppure la pelle di Yoko possiede.

 John riscopre di amare ancora con ardore tale aroma solo in seguito a quella camminata senza una meta precisa.

Il cantante schiude le labbra, ricercando una risposta a quella domanda che non si è preoccupato di porsi prima di giungere di fronte al portone.

Rivolge lo sguardo a Julian con un’attenzione che fino a quell’istante non ha riservato al figlio. Riconosce nel suo corpo gli interventi ancora abbozzati della pubertà che ha ricoperto il suo volto di un velo di acne roseo, come l’imbarazzo che tinge ora le sue guance. Le membra ricordano quelle del padre nella loro elegante magrezza, così come gli occhi, tesi alle estremità come quelli di John.

Quella somiglianza effettiva colma l’uomo di un orgoglio paterno che non ha creduto di poter possedere e che si vergogna di identificare solo ora.

Vorrebbe plasmare sul suo volto un’espressione complice sul per poterla regalare a Julian che, ormai adolescente, non riesce a riconoscere l’affetto del padre sono in numerosi giocattoli che per anni sono stati l’unico dono di John.

Tenta di infondere il proprio rammarico in un unico sguardo che Julian evita compostamente, assumendo lo stesso atteggiamento fiero che John ricorda di aver adottato in tribunale durante la sentenza di divorzio da Cynthia Powell.

-Allora?-

John viene riscosso dalla seconda domanda di Cyn a cui si sente costretto a rispondere.

-Be, è ancora sveglio no? Posso entrare?- il tono velatamente giocoso con cui John adorna le proprie parole non appiana i lineamenti tesi di Cynthia, che si scosta comunque dalla porta per permettere l’entrata del nuovo venuto.

Cyn volta le spalle all’ex marito, osservando l’intonaco lungo le pareti, confidando nella speranza che la debolezza della propria natura scompaia dai suoi occhi.

Non avrebbe permesso a John di cogliere il residuo di quel sentimento che ancora freme in lei.

Il ricordo del suo passato, vissuto nella solitudine colmata solo da sporadiche menzogne, condurrà ogni sua parola nei confronti di John.

Non si lascerebbe influenzare da quei sentimenti adolescenziali ed effimeri.

Cyn percepisce i ridicoli tentativi di approccio di John nei confronti di Julian. Ammicca verso i libri di scuola, criticando con tono scherzoso l’ambiente scolastico mentre Julian rispondeva con grugniti infastiditi. Cynthia cattura lo sguardo del figlio, invitandolo con un ammiccamento ammonitore a riservare maggior garbo al padre.

Forse perché l’unico atteggiamento che non vuole riscontrare nel figlio è il distacco con cui John è sempre stato solito comportarsi.

Julian tenta un sorriso, mettendo al corrente John dei propri impegni con voce atona. L’uomo osserva l’ambiente circostante, passando la lingua sulle labbra e rispondendo distrattamente alle affermazioni stentate del ragazzo.

Cyn riesce quasi a percepire il brusio insoddisfatto delle parole racchiuse nelle labbra serrate di John, desiderose di essere pronunciate. La donna conosce perfettamente quei movimenti distratti del capo con cui John annuisce ad un proprio pensiero e non al proprio interlocutore.

I desideri di Cynthia però, non erano più quelli di una giovane sposa di comprendere le afflizioni del marito.

Ora la donna vorrebbe soltanto che John varchi nuovamente la porta d’ingresso del suo appartamento e del suo sentimento.

Perché altro nome non riesce a dare all’emozione che la disturba in quell’istante; impulso represso o forse semplicemente ignorato.

Anche Julian percepisce la fastidiosa distanza del padre ed interrompe la propria frase con un sospiro rassegnato che pare riscuotere John.

-Che succede, campione?-

Julian finge di nutrire interesse per il pavimento, costringendo le mani a non stringersi in quel pugno in cui vorrebbe raccogliere la rabbia e il dolore di un’infanzia perduta a causa di quell’uomo.

Delinea un’unica frase, prestandola a più d’una interpretazione.

-Sono solo stanco.-

Julian raccoglie a fatica i libri sotto il braccio, confessando di avere un compito importante a scuola il giorno dopo e di aver bisogno di riposare.

John accetta la notizia, lievemente contrariato, quasi sorpreso dall’orgoglio del figlio, ancora più imponente del suo.

Si ritrova improvvisamente combattuto fra il dispiacere per la perdita definitiva della stima di Julian e la soddisfazione per l’uomo adulto e forte delle proprie convinzioni che sta divenendo.

Nonostante queste riguardino il degenero paterno, di cui John è colpevole. Il suo sapore amaro colma la bocca del musicista fino a pochi istanti dopo la chiusura della porta della camera di Julian.

John sussurra la buona notte alla superficie legnosa. Constata tristemente che non solo questa lo separa dal figlio e  da quella realtà che sa di non avere più il diritto di condividere.

I pensieri vorticano rapidamente attorno alla figura composta di Julian, dimenticando persino il motivo inconscio che lo ha condotto a quella casa; la ragione che ora reclama l’attenzione di John, con voce determinata e autoritaria.

-Allora?-

John volta il capo verso Cynthia, ancora demoralizzato da quell’incontro ma convinto a ricercare un po’ di serenità negli occhi della donna.

Risponde a quella domanda con un altro interrogativo.

-Allora cosa?-

-Perché sei venuto qui?-

John trattiene un sorriso rassicurato.

Lo ha sempre saputo.

Ne è convinto. Cynthia riesce a smussare con la minuzia di un artigiano la corazza con cui John protegge il proprio animo. Yoko invece ha ignorato quel rivestimento, convivendoci con l’indifferenza del disinteressamento.

John sobbalza lievemente a questa constatazione.

-Non mi dire che sei venuto per Julian perché non ti credo. Non ti è mai interessato di lui neppure alla luce del giorno, non credo che la notte possa fartelo amare.-

Cyn punta l’indice verso l’ex marito, accusandolo una volta di più di quelle colpe che fanno impallidire John.

Egli alza il viso e nota alcune rughe di espressione infittire gli occhi altrimenti ancora giovani di Cynthia. Quelle testimoni silenziose del comportamento ignobile di John non fanno che ingigantire la sua colpa, facendogli comprendere che non può negare la verità a Cyn una volta di più.

-Io… ho litigato con Yoko.-

-Continuo a non capire perché sei venuto qui.-

-Io… volevo… volevo…-

John non riesce a ricordare l’ultima volta che è rimasto senza parole.

Ma Cynthia colma il silenzio con la propria intuizione.

-Volevi che ti accogliessi a braccia aperte? È questo che volevi, John? Volevi che ti preparassi una buona tazza di the nel cuore della notte e che ti consolassi come una buona amica? Hai dimenticato parecchie cose! A me non importa niente dei tuoi litigi con Yoko e tantomeno sono una tua amica. Non sono più niente per te…- Cyn deglutisce, inghiottendo le lacrime che quella constatazione provoca.

Quelle maledette lacrime che solo chi prova rammarico può versare.

Non lei, che non ha mai commesso alcuna ingiustizia nei confronti di quell’uomo su cui si ritrova a concentrare l’attenzione. Attribuisce il brivido che le scuote le spalle alla propria rabbia quando conosce bene l’emozione che lo scaturisce. Un’emozione che Cynthia ignora consapevolmente, senza considerarne la forza ammaliatrice.

-…e tu non sei più niente per me e non sei mai stato niente per Julian. Io ho preso in mano questa cazzo di vita senza l’aiuto di nessuno e così devi fare anche tu. Affronta i tuoi problemi con Yoko senza interferire con me così come io non ho interferito con te quando ho dovuto risolvere i miei.-

John le si avvicina intimandole di abbassare il tono di voce irato che potrebbe preoccupare Julian. Quando John vorrebbe soltanto ascoltare quel suono così caldo e famigliare, qualunque siano le parole che plasma

Il desiderio di alzare una mano verso quelle guance purpuree in una carezza che richiede solo perdono, diviene insopprimibile.

John tenta quel gesto, incomprensibile per Cyn, che scosta le dita nervosamente credendole mosse solo da una gesticolazione esagerata.

La donna prosegue nel proprio soliloquio, credendo che le parole possano distrarla dal battito furioso che sente pulsare all’altezza delle tempie.

Evita di incontrare gli occhi di John che la tramuterebbero nell’adolescente fragile che era quando si era trovata perdutamente innamorata di lui.

E lei non deve essere fragile. Non deve per se stessa, per Julian.

-Ora ti prego, esci da questa casa. Sono stanca anche io, John, tanto stanca e non riesco proprio a parlare ancora con te di questo argomento. Ora torni a casa da…- fatica improvvisamente a pronunciare il nome di quella donna che le ha rubato l’affetto di quell’uomo che forse Cyn non ha mai posseduto pienamente.

-…da Yoko e rifletti con lei. Io devo andare a letto e anche tu e…-

John la interrompe, irritandola.

-No, io non… non ho bisogno di tornare da Yoko. Io ho capito questa sera che non ho bisogno di tonare a casa.-

Il respiro di John freme contro la pelle di Cyn e percorre i suoi lineamenti improvvisamente rilassati. La donna tenta di tenderli nuovamente per mostrare quel risentimento che ormai sta lasciando spazio ad una natura infida e seducente a cui Cynthia non avrebbe mai creduto di poter cedere.

Non può pensare di essere così incosciente da schiudere le labbra nel momento in cui quelle di John sfiorano le sue. La bocca dell’uomo preme con maggior convinzione, le mani che riescono finalmente a sfiorare quella gota rosea.

La razionalità non appartiene più a Cyn nel momento in cui permette alla lingua di John di intrecciarsi con la sua. Nell’assaporare quel calore conosciuto anni prima, John riconosce una piacevolezza silenziosa percorrere le proprie membra. Non un desiderio mosso dalla passione irrefrenabile che il corpo di Yoko gli suscita, ma un desiderio languido e lentamente incalzante come alcune fra le sue melodie.

Quelle melodie che vorrebbe somigliassero ai sospiri  profondi di Cyn che in un istante di lucidità apre gli occhi che ha richiuso sul volto di John.

Interrompe subitaneamente la corsa delle dita dell’uomo, che ormai hanno raggiunto il seno.

Si allontana da John come da un oggetto infuocato quando anche la stessa Cyn arde notevolmente.

Un turbinio di domande vortica nella mente della donna, la quale tenta di darvi voce.

-Cosa cazzo stai facendo? No no, io… io non posso fare questo. Io non sono una delle tue puttanelle, Lennon, non puoi giocare in questo modo con me! Io sono una donna adulta, ho tre… maledetti matrimoni alle spalle, ho un figlio e non sarai tu a mettere a repentaglio tutto quello che ho costruito… né tu e né questi mediocri tentativi di seduzione… non funziona, Winston… non con me… non può funzionare con me…-

Cyn tenta di contenere il tono di voce, pensando proprio a quel figlio che vuole proteggere.

-Vattene… vattene, John…- sussurra mentre quelle parole risultano poco convincenti persino alle sue orecchie, che vorrebbero ascoltare ancora dediche amorevoli da parte dell’uomo che finge di disprezzare.

-Io non posso, Cyn… non posso…-

Cynthia reprime le lacrime di frustrazione che sorgono naturalmente agli angoli dei suoi occhi.

-Dov’è la fregatura, Lennon? Perché mi stai facendo questo? Perché?-

  La fiducia in se stessa su cui Cynthia ha sempre fatto riferimento si sgretola rapidamente nel momento in cui la donna appura l’amore che ancora serba nei confronti dell’uomo che ha ucciso il suo futuro.

Ed è inutile continuare a ribattere, continuare a lottare per la sicurezza di quel figlio che è ormai  in grado di proteggersi.

In un folle istante pensa che dovrebbe assecondare questo sentimento incoerente solo per dedicarsi per un momento a se stessa.

 Anche se ciò significa distruggere le convinzioni edificate nel tempo.

Anche se ciò significa circondare il collo di John con le braccia e rispondere da sola alle domande appena poste. John corruga la fronte e preme con decisione i palmi sul vestito di Cyn.

La donna scuote lievemente il capo, consapevole di quella dimostrazione di debolezza.

Ma il rancore che Cyn ha serbato per anni nei confronti di John scivola lungo il pavimento assieme ai suoi vestiti, per essere indossato con essi soltanto il giorno dopo.

Ma Cynthia non vuole pensare alle prossime ore, troppo effimere se paragonate ai brividi che le percorrono la schiena in seguito alla carezza lasciva di John.

Egli conduce le mani lungo il collo della donna, che freme di un unico suono; il nome dell’ex marito. Viene ripetuto più volte, percorre la guancia dell’uomo contro cui la bocca di Cyn è adagiata.

Lei riconosce l’aroma rinfrescante del dopobarba che rigenera le sue narici e che invita le sue mani lungo la camicia di John. Il tessuto ruvido non è dissimile dall’abbraccio del musicista che diviene sempre più esigente e adagia le membra di Cyn contro il tavolo.

John lascia scivolare il naso adunco lungo la curva delle spalle di Cynthia, inspirando lo stesso profumo floreale che inebriava la stanza anni prima.

 Quel ricordo rievoca l’immagine di una giovane ragazza osservata da John durante alcune manifestazioni d’affetto verso il neonato Julian.

L’immagine di una donna seduta in poltrona, le mani che sfioravano le pagine di un libro e la mente che tentava di isolare la realtà dalla propria fantasia

L’immagine di una ragazza distinta che ascolta attentamente un’udienza in un’aula di tribunale.

Quelle memorie provocano un singhiozzo represso nella gola di John che sussulta sul petto di Cyn, prima di liberare un flebile richiesta.

-Perdonami, Cyn… perdonami…-

La giovane rilassa con le dita i lineamenti di John prima di baciarlo nuovamente e accompagnarlo lungo il ripiano marmoreo del tavolo.

È disposta a dimenticare ogni sgarbatezza, ogni ingiustizia subita da quell’uomo e a scivolare in uno stato amnesico della durata di pochi attimi.

Il tempo di permettere al proprio istinto di rivelarsi come l’emozione animalesca che è e abbandonare la scena il mattino successivo, per dare la possibilità alla razionalità di fare la propria interpretazione nel grande teatro che è l’esistenza di Cynthia Powell.

  
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