Ebbene
sì, sono tornata in rete!
E
con una storia riguardante il rapporto fra John e Cyn che ho tentato di
rendere
nel modo più verosimile possibile. Ma ci tengo a precisare
che con questo
racconto non intendo presentare fedelmente i pensieri dei personaggi.
È solo
l’interpretazione di una grande amante di John e del piccolo
Julian .
Per
la gioia dei miei lettori veterani, e spero anche per quelli acquisiti,
ho
deciso di inserire una canzone per accompagnare questo testo.
Trattasi
di My immortal degli Evanescence di cui posto il link:
http://www.youtube.com/watch?v=cu7QvOQKcKk
Vorrei
ringraziare anticipatamente tutti coloro che leggeranno e che mi
rallegreranno
con una recensione, sempre utile a migliorare.
Ma
in particolare voglio ringraziare due persone che mi stanno
particolarmente a
cuore: Mariateresa e Chiara, a cui è dedicata la storia.
Buona
lettura.
A
Chiara
Dov’è
la fregatura, Lennon?
La
mascella di John si contrae, accogliendo con insistenza
l’estremità della
sigaretta nella curva appena abbozzata delle sue labbra.
Le
pungenti raffiche ventose imperversano sulla bocca sottile
dell’uomo che ne
tormenta la superficie con la punta della lingua.
Un
gesto continuo e naturale, proprio come la fievole danza dei fiocchi di
neve
che incalzano i passi di John, insinuandosi sotto la suola dei suoi
stivali. Lo
sguardo del ragazzo sembra rapito dal profilo elegante delle calzature,
forgiato da una rispettabile azienda stilistica e inaspettatamente
destinato ad
inumidirsi così vergognosamente in quella coltre candida.
John
si sorprende a sorridere amaramente della palese diversità
che lo contrappone a
quel paio di stivali.
Lui
è nato fra il biancore delle pareti ospedaliere,
è cresciuto nel candore
malinconico dell’assenza materna. E proprio mentre credeva
che quel biancore
latteo che tanto ha accolto la propria gioventù fosse stato
timidamente
soffocato dalle tinte assai più vivaci della soddisfazione e
dell’amore, vi
ripiomba con un tonfo sordo.
Un
suono che ridonda nelle proprie orecchie, così insistente
che per un istante
sovrasta persino il recente ricordo delle urla indisponenti e
infastidite di
Yoko.
“-Cosa
c’è che non va?-
La
donna alza le braccia in un
gesto esasperato, scostando con un movimento nervoso le ciocche corvine
che,
ribelli come la sua voce acuta, hanno celato le guance imporporate.
Il
polpastrello di John scivola
sull’accendino che, quasi intimidito dall’atmosfera
irata che satura la stanza,
sfugge alle mani tremanti dell’uomo. Osserva incredulo il
fremito incontrollato
delle proprie dita, le quali tradiscono un animo dalla fermezza
vacillante.
Permetterebbe ai suoi palmi di tremare piacevolmente solo sulle corde
della
propria chitarra e non certo sulla superficie di
quell’oggetto metallico.
John
scaglia con irruenza quello
strumento che ha creduto potesse infondere l’ombra della
piacevolezza nelle
proprie membra frustrate.
Il
rumore improvviso non disturba
la posa contrariata di Yoko, che mantiene la propria
severità, mostrandola
orgogliosamente al marito.
L’indice
di quest’ultimo è
indirizzato verso di lei, mentre una sigaretta ancora spenta pare
afferrare
blandamente le labbra di John per evitare la caduta.
-Te
lo dico io cosa c’è che non va!
Tutta questa merda non va, Yoko! Le tue stupide idee non vanno!
Perché mai hai
invitato entrambi a quell’evento? Perché?-
La
giovane orientale curva il busto
verso il pavimento su cui giacciono i rimasugli
dell’accendino, che raccoglie
con espressione desolata. Mostra il labbro inferiore
all’esterno e con esso il
proprio inscenato rammarico.
-Che
peccato… era il mio
preferito…-
-Rispondimi!-
La
rabbia arrochisce evidentemente
la voce già incrinata di John, senza scuotere alcuna
emozione negli occhi scuri
di Yoko che sostengono lo sguardo di quelli traboccanti di indignazione
del
consorte.
-Perché
è la nostra carriera, John.
E una carriera è un futuro. Non sei più il
ragazzino che strimpella qualche
canzonaccia nel cortile della scuola, non sei più
l’affascinante chitarrista
dei Beatles. Sei John Lennon ora, sei solo, e la tua carriera non
è più gestita
da discografici a cui permettevi di giocare con il tuo denaro. Ora devi
pensare
a te stesso e a costruire il tuo destino. Da solo. E fare carriera non
significa chiudersi in una stanza, imbracciare una fottuta chitarra e
suonare
tutta la notte senza che nessuno ti ascolti. Fare carriera significa
diventare
qualcuno, John, mostrarsi al pubblico e dichiarare con la propria
immagine la
nostra presenza. E sì, caro, il termine “mostrarsi
al pubblico” è esteso anche
a quell’evento. Perché non riesci a capire che
abbiamo bisogno di costruire noi
stessi?-
Yoko
sospira insoddisfatta, come
una madre che ha fallito l’ennesimo tentativo di impartire un
insegnamento al
figlio. Nasconde i componenti dell’accendino nelle tasche del
maglione,
un’espressione noncurante sul viso, la cui altezza viene
raggiunta dagli
occhi furenti di
John.
-Hai
ragione. Devo pensare a me
stesso. Ed è proprio quello che sto cercando di fare e tu lo
sapevi bene!
Sapevi perfettamente che volevo raccogliere le idee, non attirare
l’attenzione
sulla mia persona per avere la possibilità di riflettere
sulla mia vita, sui
ragazzi, su Paul…ma non hai mai pensato solo per un istante
che io sono tuo
marito e non il cavallo vincente su cui hai puntato? Non hai mai
pensato che
non mi importi affatto della mia carriera, ora?-
-E
tu? Hai immaginato che potesse
importare qualcosa a me?-
Yoko
alza il mento verso il volto
di John, sfiorandone la mascella con la fronte percorsa da elaborate
rughe d’espressione.
L’uomo ne scruta la figura con gli occhi, discendendo lungo
il collo, sui cui la
pelle distesa differisce da quella tesa del marito.
Quest’ultimo
mantiene l’indice
sollevato all’altezza del naso di Yoko, dal quale fuoriescono
refoli regolari
di fiato. Nessun fremito nelle membra composte permette a John di
abbeverarsi
del suo timore.
L’uomo
rinuncia agli improperi con
cui vorrebbe adornare di indignazione il volto impassibile della
moglie..
Lascia ricadere il braccio minaccioso lungo il fianco, scuotendo il
capo,
rassegnato dall’incapacità di comprensione di
Yoko.
La
coppia di stivali lo osserva
inquieta, prima di essere recuperati dalle mani di John e indossati con
l’aiuto
di movimenti rapidi e febbrili.
L’unica
intenzione che colma la
mente di John, improvvisamente priva di ambizioni, riguarda la fuga da
quell’abitazione ariosa ma dai padroni angusti.
Con
un solo insulto appena
sussurrato lascia cigolare la porta sui cardini, un solo desiderio che
cerca un
luogo in cui appartarsi serenamente nei propri pensieri.”
La
sigaretta china il capo verso il basso, osservando mestamente i passi
di John
che percorrono il selciato inumidito dalla pioggia. Il ricordo del
pianto
notturno delle nuvole ancora scure, riluce contro le pareti delle case,
sugli
steli erbosi dei loro cortili.
John
si riscopre ad invidiare gli occhi dei passanti che possiedono la
volontà di
analizzare con curiosità il brulichio cittadino. Le sue
iridi invece si restringono,
tentando di ignorare l’immagine delle braccia conserte di
Yoko che si ripropone
nuovamente ai propri pensieri.
John
tenta invano di imporre alla propria mente riflessioni più
serene quando
persino il traffico inglese non risulta regolare e fluente.
L’uomo
inspira profondamente i vapori inquinanti emanati dalle auto, mostrando
al
cielo la fronte sfiorata timidamente dai capelli con la stessa premura
di una
carezza materna. Ma John non riceve conforto da quelle ciocche che
considera
impertinenti, che scosta con un gesto impaziente mentre la sigaretta
rovina a
terra.
Egli
la osserva, immaginando la propria vita imitare quella caduta
inarrestabile.
Proprio come quella sigaretta che fino a pochi istanti prima si era
rifugiata
nelle sue labbra, anche lui si è affidato alla figura
carismatica di Yoko nella
speranza che plasmasse i contorni spigolosi della sua esistenza. Fino
al
momento in cui quel modello ha spogliato il volto di quella maschera di
comprensione di cui John si è innamorato, mostrando la
propria indifferenza nei
confronti delle fragilità dell’uomo.
Ora
il musicista può solo limitarsi a vedere la propria vita
scivolare nuovamente
fra le dita, che desidererebbe riuscire bagnare di quelle lacrime di
frustrazione che il suo orgoglio non gli permette di versare.
Quell’austero
sentimento gli impedisce persino di abbandonarsi al ricordo malinconico
di
quegli anni del suo passato in cui ha assaporato il profumo della
serenità.
Il
profumo della superfice lignea della chitarra.
Il
profumo del tessuto vellutato della cravatta di Paul.
Il
profumo della pelle di Cynthia.
John
scuote le ciglia, sorpreso dalla presenza inattesa del nome della
propria ex
moglie che, come un bimbo intimidito, si mostra ai ricordi
dell’uomo.
Sorriderebbe
della debolezza del proprio animo se non fosse troppo infiacchito
dall’estenuante
conflitto con la realtà.
Riesce
a rammentare il sorriso della giovane donna, i suoi baci dolci rivolti
a Julian
e quelli roventi riservati solo a lui.
A
quell’uomo che ora guarda al passato a cui ha impedito di
divenire presente.
John
rilassa le spalle, tentando di riformulare nella mente quelle certezze
che lo
hanno determinato a soffocare qualunque rapporto civile con la famiglia
precedentemente costruita.
Una
sicurezza che ha lasciato germogliare una nuova esistenza assieme a
Yoko e che
ora si dimostra unicamente una fragilità travestita da
convinzione.
Ne
è testimone l’immagine di un piccolo Julian che
abbandona il groviglio
intricato dei ricordi di John per lanciare con una risata divertita un
pallone
sul prato del parco che ora affianca il cantante.
Egli
nasconde nuovamente quella scena nella propria mente, nel timore di
poter
perdere una delle poche e nitide testimonianze che ha vissuto
dell’infanzia del
figlio.
Concentra
la propria attenzione unicamente sul respiro ancora affannato
dall’irritazione
che si unisce nel coro scomposto di suoni che giungono alle orecchie di
John. È
consapevole di voler ascoltare suoni differenti, suoni affettuosi e
comprensivi
che non riesce ad attribuire alla voce di una persona conosciuta.
O
almeno questa è l’affermazione silenziosa della
sua coscienza mentre i suoi
passi macinano metri di asfalto, tenebroso come i pensieri di John che
aspettano soltanto di essere rischiarati.
Cynthia
accompagna il movimento della pagina con un sospiro soddisfatto dalla
lettura.
Raccoglie le ginocchia al petto, osservando la carta scomparire
temporaneamente, celata dalle pieghe del vestito che la donna si
affretta a
riordinare.
Cyn
solleva lo sguardo dal proprio abbigliamento, come per constatare la
realtà
precaria della propria esistenza.
Si
sorprende a considerare che neppure Julian sarà disposto a
mantenere per sempre
quella posizione impegnata, incurvata dallo studio che sta assumendo in
quell’istante,
che, Cynthia è consapevole, si ritroverà a
rimpiangere in futuro.
Un
futuro che spera possa rivolgere un sorriso magnanimo al giovane
Julian,
conducendolo nei meandri di un destino in cui non sarà
costretto a riscontrare
l’ombra del padre negli apprezzamenti dei possibili datori di
lavoro.
Cynthia
osserva le mani di Julian scivolare zelanti, intente
comporre la grafia disordinata che tanto la
donna ha denigrato in John. Sorriderebbe di quel ricordo inaspettato se
solo la
figura di quell’uomo avesse seminato eventi degni di
serenità. Ma la memoria di
Cynthia è disseminata unicamente di episodi che mostrano la
veemente
personalità di John.
Periodi ammantati di
un’amarezza che,
nonostante la donna tenti di tacere con Julian, egli ripercorre spesso
con la
mente adagiata sul cuscino. Il pensiero che anticipa il sonno
è rivolto a
quell’uomo sconosciuto a cui l’anagrafe pretende
che lui dia il nome di
“padre”. Ma nessuno degli insegnanti che gli ha
assegnato quella mole di lavoro
scolastico sui cui sta studiando si è mai impegnato ad
illustrargli il
significato di quel termine. E ora Julian attende, nel silenzio
adolescente,
forgiato su un orgoglio che nessun adulto potrà mai scalfire.
Attende
che un uomo con le sue carezze lo liberi da quell’ignoranza
che lo divora, che
da bambino lo ha imbarazzato di fronte ai coetanei e che da ragazzo lo
fa
sembrare più affascinante agli occhi di quelle fanciulle che
Julian vorrebbe
non attrarre.
Cyn
corruga la fronte assieme al figlio, quando una frase complessa si
libra dal
volume di storia verso la sua mente. Proprio mentre le labbra di Julian
si
schiudono a pronunciare quelle parole apparentemente incomprensibili,
una mano
si adagia delicatamente all’esterno della porta
d’ingresso, bussando quasi
impercettibilmente.
Cynthia
volta le spalle al figlio per scrutare con un rapido guizzo degli occhi
mori la
notte oltre la finestra che, nella propria inospitale
oscurità, non parrebbe
invogliare alcun visitatore. Ma il possessore di quel tocco flebile ha
ignorato
le raffiche scostanti del vento per recarsi inaspettatamente alla porta
della
donna che si affretta a rispondere a quel richiamo con un sussurro
incuriosito.
Questo
spegne il proprio lieve interesse nel momento in cui l’uscio
cigola mestamente.
Cynthia riflette su una
possibile futura
ristrutturazione dei cardini prima di incontrare con lo sguardo la
figura che
si staglia di fronte a lei.
L’imponenza
delle spalle cela la luce artificiale dei lampioni che rischiara
timidamente i
lineamenti di quel viso. Pare quasi che anche quel bagliore tema di
sfiorare
con la sua carezza l’espressione dell’uomo che
ancora domina gli antichi
ricordi di Cynthia.
John
libera un sospiro rassegnato, quello di un alunno impreparato ad
un’interrogazione. Ma l’esame di John è
insito negli occhi della donna che lo
scruta, mostrando nelle iridi ristrette un rispettoso disprezzo.
Un
sentimento radicato nell’animo di Cyn che, indomabile, viene
scosso da un
fremito nel momento in cui John deglutisce rumorosamente, vistosamente
imbarazzato.
Cynthia
rimprovera la propria fragilità che, nonostante la
consapevolezza del dolore
provocato da John, tratteggia un’ombra di eccitazione nella
sua mente.
Abbassa
gli occhi sul proprio corpo, risollevandoli rapidamente una volta
constatata la
propria natura adulta che non dovrebbe permettergli tali infantili
cedimenti.
Una
volta predisposto il proprio animo ad un comportamento razionale ed
adeguato,
si rivolge all’ex marito.
-Che
ci fai qui?-
È
visibilmente soddisfatta del tono indisponente che ha offerto alla
domanda, che
la scherma da ogni possibile richiesta che John ha intenzione di
muoverle.
L’uomo
assapora con lo sguardo le volute chiare dei capelli di Cyn che
le
ricadono sul petto, affannato da un respiro irregolare.
John
è consapevole della vergogna che dovrebbe provare nel
momento in cui rammenta
il desiderio che fino a pochi anni prima quel seno florido ha provocato
in lui.
Lo
stesso che durante la quotidianità si tramutava in un
affetto sincero che John
ha ripudiato, convinto dell’amore e della fiducia che ha
riposto in Yoko.
In
quella donna così diversa da quella che ora attende una
risposta, le braccia
conserte impazientemente.
-Hey…-
La
gola arida non riesce a produrre alcun suono che possa rassomigliare ad
una
parola di rammarico per il proprio comportamento che solo in
quell’istante John
riesce ad ammettere a se stesso come sconsiderato.
-Hey?
Ti ripresenti alla mia porta nel cuore della notte dopo anni di
lontananza e
l’unica cosa che sei in grado di dire è hey?-
Il
tono alterato della madre disturba lo studio di Julian che allontana la
sedia e
inclina il capo verso la parete che cela l’ospite.
-No,
certo che no. Io…- finge di rischiarare la gola quando in
realtà questa
risulterebbe erosa dalla sensazione di inadeguatezza.
-Io
sono qui per vedere Julian.-
All’ascolto
del suo nome, Julian presta maggior attenzione a quella voce acuta e
seriosa,
simile a quella di quel cantante al quale dovrebbe attribuire la tanto
conosciuta immagine di “padre”.
Il
ragazzino si avvicina timoroso, mosso unicamente dalla
curiosità di osservare
con maggiore attenzione quella figura leggendaria che nei suoi ricordi
si
affievolisce progressivamente.
Ma
di fronte a lui vede solo un uomo alto e dinoccolato che gli rivolge un
sorriso
distaccato che Julian non tenta di ricambiare.
Non
è solito mostrarsi amichevole nei confronti degli estranei.
-Certo…
e non ti è passato per la mente che potesse essere a letto?-
Il
tono ironico di Cyn stimola la natura impaziente di John, il cui unico
desiderio è quello di saggiare con alcuni passi incerti quel
pavimento
famigliare e respirare l’aroma delicato dei vestiti che
Cynthia indossa.
Un
tessuto pregno di un profumo che neppure la pelle di Yoko possiede.
John riscopre di amare
ancora con ardore tale
aroma solo in seguito a quella camminata senza una meta precisa.
Il
cantante schiude le labbra, ricercando una risposta a quella domanda
che non si
è preoccupato di porsi prima di giungere di fronte al
portone.
Rivolge
lo sguardo a Julian con un’attenzione che fino a
quell’istante non ha riservato
al figlio. Riconosce nel suo corpo gli interventi ancora abbozzati
della
pubertà che ha ricoperto il suo volto di un velo di acne
roseo, come
l’imbarazzo che tinge ora le sue guance. Le membra ricordano
quelle del padre
nella loro elegante magrezza, così come gli occhi, tesi alle
estremità come
quelli di John.
Quella
somiglianza effettiva colma l’uomo di un orgoglio paterno che
non ha creduto di
poter possedere e che si vergogna di identificare solo ora.
Vorrebbe
plasmare sul suo volto un’espressione complice sul per
poterla regalare a
Julian che, ormai adolescente, non riesce a riconoscere
l’affetto del padre
sono in numerosi giocattoli che per anni sono stati l’unico
dono di John.
Tenta
di infondere il proprio rammarico in un unico sguardo che Julian evita
compostamente, assumendo lo stesso atteggiamento fiero che John ricorda
di aver
adottato in tribunale durante la sentenza di divorzio da Cynthia
Powell.
-Allora?-
John
viene riscosso dalla seconda domanda di Cyn a cui si sente costretto a
rispondere.
-Be,
è ancora sveglio no? Posso entrare?- il tono velatamente
giocoso con cui John
adorna le proprie parole non appiana i lineamenti tesi di Cynthia, che
si
scosta comunque dalla porta per permettere l’entrata del
nuovo venuto.
Cyn
volta le spalle all’ex marito, osservando
l’intonaco lungo le pareti,
confidando nella speranza che la debolezza della propria natura
scompaia dai
suoi occhi.
Non
avrebbe permesso a John di cogliere il residuo di quel sentimento che
ancora
freme in lei.
Il
ricordo del suo passato, vissuto nella solitudine colmata solo da
sporadiche
menzogne, condurrà ogni sua parola nei confronti di John.
Non
si lascerebbe influenzare da quei sentimenti adolescenziali ed effimeri.
Cyn
percepisce i ridicoli tentativi di approccio di John nei confronti di
Julian.
Ammicca verso i libri di scuola, criticando con tono scherzoso
l’ambiente
scolastico mentre Julian rispondeva con grugniti infastiditi. Cynthia
cattura
lo sguardo del figlio, invitandolo con un ammiccamento ammonitore a
riservare
maggior garbo al padre.
Forse
perché l’unico atteggiamento che non vuole
riscontrare nel figlio è il distacco
con cui John è sempre stato solito comportarsi.
Julian
tenta un sorriso, mettendo al corrente John dei propri impegni con voce
atona.
L’uomo osserva l’ambiente circostante, passando la
lingua sulle labbra e
rispondendo distrattamente alle affermazioni stentate del ragazzo.
Cyn
riesce quasi a percepire il brusio insoddisfatto delle parole racchiuse
nelle
labbra serrate di John, desiderose di essere pronunciate. La donna
conosce
perfettamente quei movimenti distratti del capo con cui John annuisce
ad un
proprio pensiero e non al proprio interlocutore.
I
desideri di Cynthia però, non erano più quelli di
una giovane sposa di comprendere
le afflizioni del marito.
Ora
la donna vorrebbe soltanto che John varchi nuovamente la porta
d’ingresso del
suo appartamento e del suo sentimento.
Perché
altro nome non riesce a dare all’emozione che la disturba in
quell’istante;
impulso represso o forse semplicemente ignorato.
Anche
Julian percepisce la fastidiosa distanza del padre ed interrompe la
propria
frase con un sospiro rassegnato che pare riscuotere John.
-Che
succede, campione?-
Julian
finge di nutrire interesse per il pavimento, costringendo le mani a non
stringersi in quel pugno in cui vorrebbe raccogliere la rabbia e il
dolore di
un’infanzia perduta a causa di quell’uomo.
Delinea
un’unica frase, prestandola a più d’una
interpretazione.
-Sono
solo stanco.-
Julian
raccoglie a fatica i libri sotto il braccio, confessando di avere un
compito
importante a scuola il giorno dopo e di aver bisogno di riposare.
John
accetta la notizia, lievemente contrariato, quasi sorpreso
dall’orgoglio del
figlio, ancora più imponente del suo.
Si
ritrova improvvisamente combattuto fra il dispiacere per la perdita
definitiva
della stima di Julian e la soddisfazione per l’uomo adulto e
forte delle
proprie convinzioni che sta divenendo.
Nonostante
queste riguardino il degenero paterno, di cui John è
colpevole. Il suo sapore
amaro colma la bocca del musicista fino a pochi istanti dopo la
chiusura della
porta della camera di Julian.
John
sussurra la buona notte alla superficie legnosa. Constata tristemente
che non
solo questa lo separa dal figlio e
da
quella realtà che sa di non avere più il diritto
di condividere.
I
pensieri vorticano rapidamente attorno alla figura composta di Julian,
dimenticando persino il motivo inconscio che lo ha condotto a quella
casa; la
ragione che ora reclama l’attenzione di John, con voce
determinata e
autoritaria.
-Allora?-
John
volta il capo verso Cynthia, ancora demoralizzato da
quell’incontro ma convinto
a ricercare un po’ di serenità negli occhi della
donna.
Risponde
a quella domanda con un altro interrogativo.
-Allora
cosa?-
-Perché
sei venuto qui?-
John
trattiene un sorriso rassicurato.
Lo
ha sempre saputo.
Ne
è convinto. Cynthia riesce a smussare con la minuzia di un
artigiano la corazza
con cui John protegge il proprio animo. Yoko invece ha ignorato quel
rivestimento, convivendoci con l’indifferenza del
disinteressamento.
John
sobbalza lievemente a questa constatazione.
-Non
mi dire che sei venuto per Julian perché non ti credo. Non
ti è mai interessato
di lui neppure alla luce del giorno, non credo che la notte possa
fartelo
amare.-
Cyn
punta l’indice verso l’ex marito, accusandolo una
volta di più di quelle colpe
che fanno impallidire John.
Egli
alza il viso e nota alcune rughe di espressione infittire gli occhi
altrimenti
ancora giovani di Cynthia. Quelle testimoni silenziose del
comportamento
ignobile di John non fanno che ingigantire la sua colpa, facendogli
comprendere
che non può negare la verità a Cyn una volta di
più.
-Io…
ho litigato con Yoko.-
-Continuo
a non capire perché sei venuto qui.-
-Io…
volevo… volevo…-
John
non riesce a ricordare l’ultima volta che è
rimasto senza parole.
Ma
Cynthia colma il silenzio con la propria intuizione.
-Volevi
che ti accogliessi a braccia aperte? È questo che volevi,
John? Volevi che ti
preparassi una buona tazza di the nel cuore della notte e che ti
consolassi
come una buona amica? Hai dimenticato parecchie cose! A me non importa
niente
dei tuoi litigi con Yoko e tantomeno sono una tua amica. Non sono
più niente
per te…- Cyn deglutisce, inghiottendo le lacrime che quella
constatazione
provoca.
Quelle
maledette lacrime che solo chi prova rammarico può versare.
Non
lei, che non ha mai commesso alcuna ingiustizia nei confronti di
quell’uomo su
cui si ritrova a concentrare l’attenzione. Attribuisce il
brivido che le scuote
le spalle alla propria rabbia quando conosce bene l’emozione
che lo scaturisce.
Un’emozione che Cynthia ignora consapevolmente, senza
considerarne la forza
ammaliatrice.
-…e
tu non sei più niente per me e non sei mai stato niente per
Julian. Io ho preso
in mano questa cazzo di vita senza l’aiuto di nessuno e
così devi fare anche
tu. Affronta i tuoi problemi con Yoko senza interferire con me
così come io non
ho interferito con te quando ho dovuto risolvere i miei.-
John
le si avvicina intimandole di abbassare il tono di voce irato che
potrebbe
preoccupare Julian. Quando John vorrebbe soltanto ascoltare quel suono
così
caldo e famigliare, qualunque siano le parole che plasma
Il
desiderio di alzare una mano verso quelle guance purpuree in una
carezza che
richiede solo perdono, diviene insopprimibile.
John
tenta quel gesto, incomprensibile per Cyn, che scosta le dita
nervosamente
credendole mosse solo da una gesticolazione esagerata.
La
donna prosegue nel proprio soliloquio, credendo che le parole possano
distrarla
dal battito furioso che sente pulsare all’altezza delle
tempie.
Evita
di incontrare gli occhi di John che la tramuterebbero
nell’adolescente fragile
che era quando si era trovata perdutamente innamorata di lui.
E
lei non deve essere fragile. Non deve per se stessa, per Julian.
-Ora
ti prego, esci da questa casa. Sono stanca anche io, John, tanto stanca
e non
riesco proprio a parlare ancora con te di questo argomento. Ora torni a
casa
da…- fatica improvvisamente a pronunciare il nome di quella
donna che le ha
rubato l’affetto di quell’uomo che forse Cyn non ha
mai posseduto pienamente.
-…da
Yoko e rifletti con lei. Io devo andare a letto e anche tu
e…-
John
la interrompe, irritandola.
-No,
io non… non ho bisogno di tornare da Yoko. Io ho capito
questa sera che non ho
bisogno di tonare a casa.-
Il
respiro di John freme contro la pelle di Cyn e percorre i suoi
lineamenti improvvisamente
rilassati. La donna tenta di tenderli nuovamente per mostrare quel
risentimento
che ormai sta lasciando spazio ad una natura infida e seducente a cui
Cynthia
non avrebbe mai creduto di poter cedere.
Non
può pensare di essere così incosciente da
schiudere le labbra nel momento in
cui quelle di John sfiorano le sue. La bocca dell’uomo preme
con maggior
convinzione, le mani che riescono finalmente a sfiorare quella gota
rosea.
La
razionalità non appartiene più a Cyn nel momento
in cui permette alla lingua di
John di intrecciarsi con la sua. Nell’assaporare quel calore
conosciuto anni
prima, John riconosce una piacevolezza silenziosa percorrere le proprie
membra.
Non un desiderio mosso dalla passione irrefrenabile che il corpo di
Yoko gli
suscita, ma un desiderio languido e lentamente incalzante come alcune
fra le
sue melodie.
Quelle
melodie che vorrebbe somigliassero ai sospiri profondi
di Cyn che in un istante di lucidità
apre gli occhi che ha richiuso sul volto di John.
Interrompe
subitaneamente la corsa delle dita dell’uomo, che ormai hanno
raggiunto il
seno.
Si
allontana da John come da un oggetto infuocato quando anche la stessa
Cyn arde
notevolmente.
Un
turbinio di domande vortica nella mente della donna, la quale tenta di
darvi
voce.
-Cosa
cazzo stai facendo? No no, io… io non posso fare questo. Io
non sono una delle
tue puttanelle, Lennon, non puoi giocare in questo modo con me! Io sono
una
donna adulta, ho tre… maledetti matrimoni alle spalle, ho un
figlio e non sarai
tu a mettere a repentaglio tutto quello che ho costruito…
né tu e né questi
mediocri tentativi di seduzione… non funziona,
Winston… non con me… non può
funzionare con me…-
Cyn
tenta di contenere il tono di voce, pensando proprio a quel figlio che
vuole
proteggere.
-Vattene…
vattene, John…- sussurra mentre quelle parole risultano poco
convincenti
persino alle sue orecchie, che vorrebbero ascoltare ancora dediche
amorevoli da
parte dell’uomo che finge di disprezzare.
-Io
non posso, Cyn… non posso…-
Cynthia
reprime le lacrime di frustrazione che sorgono naturalmente agli angoli
dei
suoi occhi.
-Dov’è
la fregatura, Lennon? Perché mi stai facendo questo?
Perché?-
La
fiducia in se stessa su cui Cynthia ha sempre fatto riferimento si
sgretola
rapidamente nel momento in cui la donna appura l’amore che
ancora serba nei
confronti dell’uomo che ha ucciso il suo futuro.
Ed
è inutile continuare a ribattere, continuare a lottare per
la sicurezza di quel
figlio che è ormai in
grado di
proteggersi.
In
un folle istante pensa che dovrebbe assecondare questo sentimento
incoerente
solo per dedicarsi per un momento a se stessa.
Anche se ciò
significa distruggere le
convinzioni edificate nel tempo.
Anche
se ciò significa circondare il collo di John con le braccia
e rispondere da
sola alle domande appena poste. John corruga la fronte e preme con
decisione i
palmi sul vestito di Cyn.
La
donna scuote lievemente il capo, consapevole di quella dimostrazione di
debolezza.
Ma
il rancore che Cyn ha serbato per anni nei confronti di John scivola
lungo il
pavimento assieme ai suoi vestiti, per essere indossato con essi
soltanto il
giorno dopo.
Ma
Cynthia non vuole pensare alle prossime ore, troppo effimere se
paragonate ai
brividi che le percorrono la schiena in seguito alla carezza lasciva di
John.
Egli
conduce le mani lungo il collo della donna, che freme di un unico
suono; il
nome dell’ex marito. Viene ripetuto più volte,
percorre la guancia dell’uomo
contro cui la bocca di Cyn è adagiata.
Lei
riconosce l’aroma rinfrescante del dopobarba che rigenera le
sue narici e che
invita le sue mani lungo la camicia di John. Il tessuto ruvido non
è dissimile
dall’abbraccio del musicista che diviene sempre
più esigente e adagia le membra
di Cyn contro il tavolo.
John
lascia scivolare il naso adunco lungo la curva delle spalle di Cynthia,
inspirando lo stesso profumo floreale che inebriava la stanza anni
prima.
Quel ricordo rievoca
l’immagine di una giovane
ragazza osservata da John durante alcune manifestazioni
d’affetto verso il
neonato Julian.
L’immagine
di una donna seduta in poltrona, le mani che sfioravano le pagine di un
libro e
la mente che tentava di isolare la realtà dalla propria
fantasia
L’immagine
di una ragazza distinta che ascolta attentamente un’udienza
in un’aula di
tribunale.
Quelle
memorie provocano un singhiozzo represso nella gola di John che
sussulta sul
petto di Cyn, prima di liberare un flebile richiesta.
-Perdonami,
Cyn… perdonami…-
La
giovane rilassa con le dita i lineamenti di John prima di baciarlo
nuovamente e
accompagnarlo lungo il ripiano marmoreo del tavolo.
È
disposta a dimenticare ogni sgarbatezza, ogni ingiustizia subita da
quell’uomo
e a scivolare in uno stato amnesico della durata di pochi attimi.
Il
tempo di permettere al proprio istinto di rivelarsi come
l’emozione animalesca
che è e abbandonare la scena il mattino successivo, per dare
la possibilità
alla razionalità di fare la propria interpretazione nel
grande teatro che è
l’esistenza di Cynthia Powell.