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Autore: nainai    05/02/2014    7 recensioni
-Non è tutta mia la responsabilità.
-Forse no.- gli concede Brian, annuendo – Ma a questo punto, non m’interessa. Stavolta sono io ad avere troppo da perdere, Matthew.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Muse, Placebo | Coppie: Brian.M/Matthew.B
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Mascherine'
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Avviso: il presente scritto ha per protagonisti persone vere e personaggi di fantasia. Le vicende narrate sono puro frutto della fantasia dell’autrice e non vi è alcun intento di verità o anche solo di verosimiglianza. Nessun diritto legalmente tutelato s’intende leso ed ogni diritto appartiene ai propri titolari.
 
Miei carissimi amici lettori, questa storia è il seguito di “Tempo Perso” e ne costituisce una sorta di “finale alternativo”, a mio avviso.
Pertanto, coloro i quali si fossero trovati pienamente soddisfatti dal precedente finale, potranno tranquillamente ignorare questa storia e bearsi di quanto accaduto nel pregresso capitolo della “saga”.
Nelle intenzioni originarie si trattava di una one-shot (a mio avviso è ancora una one-shot), ma considerata la lunghezza ragguardevole (40 fottute pagine!) ho ritenuto che fosse più facile la lettura dividendola in tre capitoli.
Buona lettura a tutti! <3
MEM
 
 
Loud Like Love
Loud

Londra, Inghilterra
Novembre 2013
 
Matthew Bellamy ricontrolla rapidamente di aver chiuso il trolley, di aver preso le chiavi di casa e di aver intascato il proprio passaporto.
Sarà la decima volta che ripete quelle poche operazioni e, come le nove precedenti, bastano pochi minuti perché la sensazione di aver dimenticato qualcosa torni ad affacciarsi alla sua mente.
Sbuffa.
Decide di averne abbastanza. Non ha mai fatto tante storie per una partenza! Neppure quando si riduce all’ultimo secondo a preparare i bagagli per un tour dall’altra parte dell’Oceano.
Afferra il giubbotto da sopra la spalliera del divano e fa per infilarlo quando sente il cellulare squillare da qualche parte imprecisata della casa. Questa volta lo sbuffo spazientito è perfino più alto. Lancia il giubbotto sul trolley, riuscendo miracolosamente nell’impresa di agganciarlo alla maniglia già sollevata, e si muove a casaccio nella villetta.
Non si è ancora abituato ai nuovi spazi e non lo aiuta il fatto che la casa non sia completamente finita, che buona parte delle camere sia più simile ad un deposito che ad una stanza vivibile – ingombre di mobili, di scatoloni, di barattoli di vernice che gli operai non hanno ancora neppure aperto…e le scale, i giornali a terra, il parquet che deve essere restaurato e lamato… Il suo è un accidentato percorso ad ostacoli che si conclude in camera da letto. Oltre le lenzuola arrotolate, sul comodino opposto all’ingresso, individua la fonte del rumore che ha appena smesso di squillare e si rende conto, adocchiando la spina ancora attaccata alla presa nel muro, che qualcosa lo stava dimenticando davvero.
Doppia lo spigolo in ferro battuto della pedaliera del letto, valutando bene la distanza tra questo e la parete su cui si apre una grande finestra bombata con tanto di divanetto imbottino e cuscini coordinati. …in questo momento, in realtà, il divanetto è sommerso da un guazzabuglio di abiti colorati che Matt non si è ancora deciso a sistemare nella cabina armadio. Il terzo sbuffo viene equamente distribuito tra la sua pigrizia infinita ed il disordine naturale che lo caratterizza.
Sblocca lo schermo dell’iPhone per verificare chi lo abbia cercato e, mentre invia la chiamata, arrotola il filo del caricabatteria, facendo a ritroso la strada fino al trolley nell’ingresso.
-Ehi, campione!- lo saluta festosa la voce di Chris.
-Ciao, Chris.- ricambia Matt brevemente. Un sorriso gli tira istintivo gli angoli della bocca, è felice che lui lo abbia chiamato ed immagina anche il perché lo abbia fatto.
Non è troppo stupito, quindi, di sentirsi fare la domanda successiva.
-Pronto per la partenza?
-Più o meno.- borbotta Matthew, allargando la tasca anteriore della valigia per cacciarci di malagrazia il caricabatteria.- Mi sembra sempre di avere ancora un milione di cose da fare.
-Ah, ma piantala! Come se non avessi mai viaggiato…
Matt ridacchia, infilando il giubbotto mentre tiene il telefono in bilico tra orecchio e spalla.
-Devo comprarmi un auricolare.
-Ti rendi conto, vero, che sarà un disastro? – lo incalza l’altro senza ascoltarlo, ma il tono ironico con cui lo fa svuota l’ammonimento di qualsiasi significato - E’ una delle idee più ridicole che tu abbia mai avuto e non sarei troppo stupito di vederti tornare dopo essere stato preso a calci in culo da quello lì ed apostrofato come “spia che sta andando con loro per rubargli chissà quali segreti”!
A questo punto Matthew sta proprio ridendo e la sua risata, leggera e rilassata, fa sentire bene anche Chris. La verità è che ci teneva ad essere lui a salutarlo per ultimo ed a dargli il suo insolito “in bocca al lupo”.
-Se dico che se n’è già uscito con questa storia, suono troppo scontato?- domanda Matt divertito.
-Sei ancora in tempo per ripensarci!
-Non voglio ripensarci.- ammette Matthew stringendosi nelle spalle anche se Chris non può vederlo.
Così come non può vedere quel sorriso che continua a colorare la sua espressione, ma quello non ha difficoltà ad intuirlo nel suo tono di voce.
-Matt.- lo chiama, stavolta serio anche se con quella punta di affetto burbero che Matthew immagina utilizzi con i figli quando vuole dargli qualche consiglio davvero importante.- Divertiti.- gli dice semplicemente.- Non pensare a nulla, fottitene di tutto…delle conseguenze, di noi, di quello che succederà domani…! Pensa a te stesso, ok?
-…ok.
-E adesso riattacchiamo o divento più mieloso di quella checca del tuo batterista!
-Com’è che, quand’è checca, è il mio batterista?!
Si salutano con un paio di “ci sentiamo” pronunciati quasi all’unisono.
Matt intasca l’iPhone dopo aver controllato l’orario, afferra la maniglia del trolley ed apre la porta di casa. Fuori il taxi sta già aspettando. Sorride, inforca degli occhiali da sole che la giornata uggiosa rende assolutamente fuori luogo ed attraversa il vialetto.
***
Nel salone Cody ha lasciato aperta la porta finestra del terrazzo.
Brian sbuffa di disappunto e attraversa l’intera stanza per raggiungere il battente a vetri e chiuderlo, proprio mentre l’ennesima folata di vento s’intrufola all’interno strappandogli un brivido di freddo. “Sta arrivando l’autunno”, pensa distrattamente facendo scattare la serratura. Un raggio di sole più caldo gli accarezza il viso comparendo da dietro una nuvoletta di passaggio e smentendo quella sensazione spiacevole. Vorrebbe godersi la bella stagione il più a lungo possibile prima di dover tornare in strada con la band ed iniziare il tour di promozione del nuovo album.
Accantona quei pensieri con un gesto della mano.
Le partiture degli esercizi di Cody sono cadute a terra sospinte dal vento e si sono sparpagliate attorno al pianoforte. Suo padre le raccoglie e le rimette diligentemente in ordine, appoggiandole sopra il sedile imbottito.
-Allora, noi andiamo?!- lo raggiunge la voce di Helena, attutita attraverso i muri.
Brian si volta in direzione dell’ingresso, pochi passi e li ha raggiunti: Cody, il giacchetto leggero addosso, una borsa di tela a tracolla e l’iPod in una mano, ed Helena, sorriso splendente non appena lo vede entrare nel proprio campo visivo e quella dolcezza dello sguardo che è tipica di tutte le donne incinte. Brian ricambia istintivamente sorriso e tenerezza, abbracciandola e posandole delicatamente una mano sul pancione coperto dal vestitino di lana colorata e morbida. Si scambiano un bacio a fior di labbra sotto lo sguardo attento del figlio.
-Gh! sempre smancerie!- osserva Cody, facendo segno di volersi allontanare schifato.
-Non fare l’impertinente.- gli arriva l’ammonimento del padre, insieme con uno scappellotto sulla nuca.
Per tutta risposta il bambino ride e spalanca la porta.
-Mi raccomando…- si rivolge Brian ad Helena, sguardo fin troppo serio che le strappa una risata sincera e divertita.
-Bri, sono con Alex! Non mi permetterà di spezzarmi un’unghia.- tenta inutilmente di interromperlo.
-Non dovresti neanche uscire!
-Oh, santo Cielo, Molko! Hai deciso di diventare un seguace del più intransigente islamismo?- s’informa Helena, sospingendolo indietro con una mano.
Brian getta un’occhiata alle sue spalle per assicurarsi che Cody sia rimasto sul pianerottolo e riprende come se lei non gli avesse detto niente.
-Ottavo mese, Helena.- sottolinea scandendo bene le parole.
-Ah-ah. E sto benissimo!- lo rintuzza lei con orgoglio.- Ora vado, o Alex comincerà a spazientirsi. E tu sai com’è Alex quando si spazientisce.
Brian ride, guardandola dirigersi verso l’ascensore. Nel corridoio Helena spedisce Cody a salutarlo ed il bambino corre nuovamente in direzione della porta, lasciando che il padre lo afferri al volo e scoccandogli poi un bacio veloce su una guancia.
-Ciao, pa’! – esclama, con la testa già altrove.
Sua madre ha promesso di lasciarlo a casa di un amichetto per fare i compiti assieme e Brian sospetta che più tardi gli toccherà un dopo cena a base di matematica. Sospira e torna dentro l’appartamento non appena le porte dell’ascensore si sono portate via l’immagine di Helena e Cody che lo salutano.
Trova il proprio cellulare abbandonato nello studio. Tre chiamate perse ed un messaggio di Stefan che gli dice che, se non risponde, finirà per credere sia scappato in Polinesia. Gli manda un messaggio anche lui, dicendogli di non rompere e che in Polinesia i cellulari prendono uguale.
Stef lo richiama, immancabilmente, trenta secondi dopo.
-Sei un coglione.- esordisce il bassista in una serena constatazione di fatto.
-Grazie, altrettanto.- è lo scambio formalmente ineccepibile che Brian gli concede.
Stefan ride.
-Devo dire a Fiona e Bill che ci vediamo in studio domani o ci hai ripensato?
-Non potevi scrivermi questo nel messaggio?! Digli che ci vediamo alle dieci.
-Alle dieci?
-…facciamo alle undici. Cody è andato a casa di Micah a fare i compiti e questo significa che passerò la serata a tentare di fargli studiare qualcosa.
-Se ti sentisse tuo padre…!- lo prende in giro Stefan.
-Piantala, Olsdal, non fai ridere.
-Ti voglio bene anch’io.
-….va un po’ a fare in culo!
Chiude la telefonata sull’ennesima risata divertita dell’altro, rendendosi distrattamente conto che sta sorridendo anche lui ed archiviando la cosa come una delle molte manifestazioni piacevoli del suo attuale stato d’animo.
Ci ha messo un po’, deve riconoscerlo.
Due anni per l’esattezza.
…più di due anni…
Eppure ora sta bene. Non Bene da volerlo gridare al mondo intero, ma un bene più intimo, più familiare. Legato alla stanchezza che correre dietro a Cody ed i suoi impegni scolastici gli provoca. Connesso all’ansia che ogni visita dal ginecologo con Helena gli lascia addosso, fino al momento in cui il medico dice loro “è tutto a posto, Sig.ri Molko”, facendoli ridere per quell’errore. Legato alla gioia che ha provato e prova a tornare in studio con i suoi amici, a scherzare con loro, a sentire Jun…Steve suggerire un arrangiamento per una canzone vecchia o fornire lo spunto per una ancora tutta da scrivere.
La sua vita è semplicemente ricominciata. Lenta ad ingranare ma costante nel muoversi, come la meccanica di un vecchio orologio. E lui ne aveva bisogno. Aveva bisogno di fare i conti con le proprie paure, con i limiti che la vita gli ha messo davanti, aveva bisogno di confrontarcisi, di capire che non avrebbe potuto fare nulla per riavvolgere il tempo su se stesso e che, comunque, questo, una volta di più, non lo avrebbe ucciso.
Posa il cellulare sul piano della scrivania da cui l’ha prelevato. Vede le partiture di “Loud Like Love” e si ricorda di averle portate via per lavorarci un po’, qualche idea per gli arrangiamenti dei live da sottoporre a Fiona e Bill per sentire cosa ne pensano. Valuta se ha voglia di prenderle in mano davvero e pensa che no, è un po’ stanco e, poi, domani ne potranno parlare di persona.
E’ a quel punto che sente il campanello di casa.
Attraversa l’appartamento convinto che Helena abbia dimenticato qualcosa di fondamentale. Sorride pensando che Alex la ucciderà per questo! Apre il battente con quel sorriso ancora incollato alle labbra ed agli occhi.
-Hel, tesoro, questo sì che “spazientirà” quell’arpia!- commenta vivacemente.
Matthew non ribatte.
***
Se pensa che solo qualche minuto prima stava riflettendo sul fatto che adesso sta bene…
Mentre osserva di sbieco Matt Bellamy passeggiare nel suo salone si rende conto di quanto si sia illuso a credere di aver superato tutto, di potersi dire…guarito? Che brutta espressione. L’amore non è una malattia, no?
Matthew cammina per la stanza, mani nelle tasche dei jeans e soprabito ancora addosso. Osserva ogni cosa con attenzione eccessiva ma con sguardo inespressivo, come un animale che stia annusando il territorio di qualche altra bestia della stessa specie, giusto per decidere se sia una bestia dominante o meno. Brian sospetta che lui stia effettivamente cercando segni di Helena, segni del suo passaggio in quell’appartamento, delle inevitabili mutazioni che questo ha apportato.
Ma si tratta di un mutamento molto più sottile e Brian vorrebbe dirglielo.
Solo, non riesce a parlargli.
Matt trova le partiture di Cody sul sedile del pianoforte. Le riconosce, le prende in mano per sfogliarle ed un sorriso gli sfugge involontariamente, infrangendo la perfezione immobile di quella maschera apatica che indossa.
-Non sono un po’ difficili per un bambino di quell’età?- osserva, accennando ai pezzi scelti.
Brian segue il movimento delle sue mani mentre sollevano i fogli, poi alza il viso e si ritrova incastrato nei suoi occhi. Senza fiato.
-E’ molto portato.- sente rispondere alla propria voce, meccanicamente.
-E con la chitarra? Ha continuato anche quella?- s’informa Matthew con una familiarità che presupporrebbe una frequentazione assidua e priva di implicazioni.
Non c’è nessuna delle due cose.
Non si vedono da due anni e svariati mesi e tra loro ci sono mucchi di cose irrisolte pronte a balzare fuori per uccidere quella quiete tanto immobile quanto falsa.
Brian pensa tutto questo e decide che è arrivato il momento di dare un colpo secco alla superficie.
-Matt, cosa vuoi?- chiede senza girarci ulteriormente intorno.
Si morde le labbra a sangue. L’uso del nome…del diminuitivo, addirittura! è un pessimo punto di partenza.
Matthew lo sa. La sua intelligenza è sempre stata troppo acuta. Lo guarda di traverso dopo aver posato nuovamente gli spartiti, lo soppesa con lo sguardo. Tra loro c’è quasi tutto il salone, come se per Brian fosse semplicemente troppo complicato stargli accanto.
Matt non ha alcuna difficoltà a capirne la ragione.
Ad essere onesti, se non fosse per quel desiderio di stringerlo a sé, di baciarlo e di scoprire se potrebbe provare ancora la scarica di adrenalina pura e desiderio che aveva quando le loro labbra s’incontravano…beh, se non fosse per simili desideri e per i ricordi che ci sono attaccati, anche lui troverebbe intollerabile la situazione.
Ed è sbagliato.
A differenza di Brian, non ci è “caduto dentro”. L’ha creata. Con consapevolezza e volontà.
-Dovevo vederti.- ammette subito.
-No, non dovevi.- Brian scuote la testa, cercando di evitare in ogni modo il contatto visivo tra loro. E’ strano da parte sua, non fa parte del suo “personaggio”.
Matthew non ha bisogno di altro per capire quanto possa avergli fatto male vederselo comparire lì dopo aver infranto una delle regole precise che Brian aveva dettato due anni prima nel lasciarlo, nel buttarlo fuori dalla propria vita. “Casa” è territorio tabù. Forse dovrebbe scusarsi.
-Ho lasciato Kate.- annuncia con la stessa inflessione che utilizzerebbe per comunicargli l’uscita del prossimo album dei Muse.
Brian registra allo stesso modo – finge di farlo – mentre il cuore fa una capriola e smette di battere.
-Mi spiace per voi, ma la cosa non giustifica la tua presenza qui.
-La giustifica, invece.- afferma Matt tranquillamente.- L’ho lasciata per te.
Vede gli occhi di Brian farsi enormi ed intuisce nella contrazione rabbiosa della sua mascella che la quiete perfetta è appena stata frantumata. Si prepara all’inevitabile scontro.
-…esci da questa casa.- sono le prime parole che lui gli sibila addosso dopo essere riuscito, faticosamente, a metabolizzare gli effetti delle sue dichiarazioni.
Matt non finge neppure di esserne colpito.
-Ho ascoltato l’album.- dice invece. Brian sbuffa sarcastico.- E’ di me che parli, vero? E’ a me che parli. Negalo, Brian.- pretende.
L’altro sfiata come se il colpo fosse reale, fisico. Lo guarda sbalordito. Realmente sbalordito mentre prende coscienza e si rende conto, disarmato, di quanto a fondo sia arrivata a bruciare la ferita che Matthew gli ha lasciato addosso.
E che, forse, non è nemmeno del tutto cicatrizzata…
Prende fiato, tempo, coraggio. Li ripesca da non sa quale riserva naturale: quella che si è costituito in anni di delusioni cocenti, probabilmente, e che ora gli dà abbastanza forza da fingere che non faccia così male.
-Sei completamente pazzo, Bellamy.- scandisce lento e falso. Inizialmente non riesce a sostenere i suoi occhi, ma poi capisce che deve farlo e, quindi, si fa violenza e torna a fissarlo in viso.- Se hai lasciato la tua donna sulla base di…un paio di canzoni!- soffia sardonico, sprezzante – sei completamente pazzo. O fatto, o idiota, o tutte queste cose assieme. Ma non è un mio problema.- ci tiene a precisare.- E sebbene la buona educazione mi abbia portato ad aprirti e farti accomodare, siamo entrambi consapevoli che la tua presenza qui è inopportuna oltre ogni possibilità di sopportazione.
-Molto preciso.- concede Matt in un mormorio atono.
-Voglio che tu te ne vada. E voglio, come peraltro ti avevo già chiesto, che tu dimentichi anche solo l’indirizzo di questo appartamento. Grazie.
-Non vuoi nessuna di queste cose.- lo aggredisce Matthew, secco e brusco.
-Cristo, Bellamy!- scatta Brian esasperato, infrangendo in meno di un secondo la maschera del perfetto padrone di casa…perfettamente padrone di sé.- Non costringermi a buttarti fuori fisicamente!
Matt ride, sinceramente divertito.
-Sarebbe esilarante, come scontro!- osserva.
-…sei totalmente folle.- ribadisce Brian, il braccio, sollevato ad indicare la porta, ricade inerte lungo il fianco.- Sul serio, Bellamy.
-Ti ho già detto che non mi piace che mi chiami “Bellamy”? Sì, l’ho fatto, ma immagino di doverlo sopportare.- afferma rapidamente l’altro, ignorando del tutto le reazioni dell’uomo che lo fronteggia.- Ti sto solo chiedendo di dirmi che mi sono sbagliato, Brian, di dirmi che “Loud Like Love” non lo hai scritto per me.- gli spiega pazientemente, dolcemente.- Ma di dirlo in modo che io possa esserne convinto.
-E dopo te ne andrai e tornerai da Kate?- indaga Brian con un involontario moto di amarezza e sarcasmo.
-No.- è la serena risposta che ottiene in cambio.- Non tornerò da Kate. E’ finita con Kate.
-…perché?- sussurra stanco Brian.
-Perché amo te.
-…smetti di dirlo…
-E perché dovrei? Non puoi impedirmi di amarti. Ci hai già provato- gli fa notare scrollando le spalle come a significare che si tratta di qualcosa che ha ormai superato.- e sono di nuovo qui.
La sua tranquilla determinazione sta cominciando a spaventarlo. Non è più solo il disagio di aver visto il proprio equilibrio sbriciolarsi per dimostrarsi molto più fragile di quanto Brian avesse sospettato.
-Tu non sei mai stato innamorato di me.
-Io non sono mai stato consapevole di esserlo, questo sì.
-TU HAI CERCATO KATE! TU HAI CERCATO LEI OGNI SINGOLO ISTANTE CHE HAI PASSATO CON ME!
Il suo urlo è talmente feroce da riuscire a far vacillare Matthew. E’ qualcosa di molto simile al grido di un animale agonizzante e lo investe con tutta la propria carica di sentimenti, rimpianti e parole non dette, con un rifiuto che nasce dal terrore di ricominciare a soffrire.
Matt lo sa. Lo sa in modo razionale, perché da quando, due anni prima, è uscito dalla vita di Brian Molko non ha fatto che ripensare a loro due, non ha fatto che rivivere ogni singolo momento della loro storia per capire dove esattamente avesse sbagliato, quali effetti i suoi errori avessero prodotto e se la scelta che alla fine ne era derivata una scelta non sua, una scelta che Brian e Kate gli avevano imposto fosse l’unica possibile.
Non lo era.
Ascoltare il disco dei Placebo, affondare canzone dopo canzone nei rimorsi dell’altro, è stato più di quanto potesse sopportare, è stato ascoltare dalla voce di Brian tutto quello che l’altro non gli aveva mai detto, che non aveva mai avuto il coraggio di aggiungere a quel primo ed unico “ti amo” scandito al momento sbagliato e nelle circostanze peggiori.
Non è che non lo avesse saputo. Nell’attimo stesso in cui aveva allungato la mano sullo scaffale del negozio per prendere il cd e portarlo alla cassa era stato cosciente in modo doloroso di quello che ci avrebbe trovato dentro. A differenza sua, Brian nelle canzoni parla esclusivamente di sé. A differenza sua, Brian nelle canzoni è sincero. A differenza sua, Brian è sempre stato consapevole di averlo amato, di averlo voluto con tutto se stesso.
…ma ascoltare… Questo era stato davvero troppo.
-Avresti dovuto dirmi quello che provavi.- mormora adesso, rivolto al Brian nella sua testa, quel Brian immaginario che sta cantando i versi di “Exit Wounds”, che gli spiega come la vita si sia spezzata in frammenti piccoli come i suoi sogni perduti, che sta raccontando quanto possa averlo amato e quanto vorrebbe tornare indietro.
Quel Brian non è quello che gli sta davanti e che è fatto di ossa, carne e sangue. E tutto il corpo di Brian sta facendo male in questo momento, sta gridando come la sua voce che lo ha colpito solo un momento prima.
-Avrei dovuto dirti cosa?! Che ero geloso di lei? che ero geloso di chiunque?! che non mi avevi mai detto, nemmeno una volta, che ricambiavi i miei sentimenti e nonostante questo pretendevi una dedizione spaventosa da me?! CHE ERO SPAVENTATO DA TUTTO QUESTO?! CHE NON SAPEVO COME NE SAREI USCITO, CHE NON AVEVO LA FORZA PER FARLO?!- gli rovescia addosso progressivamente.
Matt non indietreggia, neppure quando lui si avvicina, minaccioso, dardeggiandogli contro con una rabbia tremenda.
-Sì. Avresti dovuto dirmi ogni cosa.
-E a che scopo?- sbotta Brian, disgustato.- Quello di umiliarmi più di quanto non stessi facendo?!
-…non eravamo in competizione, Brian. – osserva Matthew stupito – Avrei potuto saperle prima certe cose, non avrei dovuto aspettare che tu me le dicessi in una canzone, non avrei dovuto…!- affastella con partecipazione crescente.
-Non ho scritto quelle canzoni per te! – scocca feroce l’altro.
Vorrebbe che gli credesse. Vorrebbe che se lo facesse bastare e che si decidesse ad andarsene, ad uscire, perché non ha idea di quanto tempo ancora potrà resistere ed ha paura che Helena torni con Cody, ha paura che quell’equilibrio fragile non si possa neppure più rincollare dopo che Matthew Bellamy abbia finito di passeggiarci sopra indifferente.
-Stai mentendo.- lo sente sussurrare invece. Lo fa in tono basso, quasi fosse una considerazione personale espressa ad alta voce e  non lo spunto per un dialogo.
Brian si ritrae di scatto come se lui lo avesse schiaffeggiato. Si rende conto all’improvviso di quanto siano vicini e dell’impossibilità di rimediare a quello. Per cui non lo fa, rimane dove si trova e riacquista lucidità, imponendosi di gestire la cosa diversamente.
-Voglio che tu vada via.- torna a pretendere seccamente.- Non lo so che idea ti sei fatto e non m’importa. Ho la mia vita, la mia famiglia, e tu non hai nessun diritto.
-Questo è vero.- concede Matthew mestamente.- Ma dovevo provare.- aggiunge con un sorriso spento.
-No! non dovevi! Non dovevi affatto presentarti qui e non voglio che tu lo faccia di nuovo. Ti ho offerto ogni cosa, Matt. – gli rammenta stancamente – Due anni fa! Hai perso quell’occasione.
-Non è tutta mia la responsabilità.
-Forse no.- gli concede Brian, annuendo – Ma a questo punto, non m’interessa. Stavolta sono io ad avere troppo da perdere, Matthew.
***
Brian Molko, arrotolato sulla poltroncina della sala vip dell’aeroporto, si mordicchia nervosamente le unghie e lascia oscillare una gamba in un movimento ossessivo che Stefan Olsdal fissa con preoccupazione. Poi intercetta lo sguardo ansioso che l’altro rivolge alle porte scorrevoli che danno all’interno dello scalo - e non a quelle che si aprono sulle piste e quegli “orribili mostri volanti” che l’altro tanto odia - e sorride.
-E’ un po’ in ritardo.- osserva quietamente, fingendo di tornare ad interessarsi della rivista musicale che ha comprato qualche minuto prima e che riporta una delle prime interviste promozionali che hanno rilasciato.
Lo affascina sempre vedere come, nel gioco di ritagli dei giornalisti, le loro risposte finiscano per uscire snaturate, svuotate, e loro assumano contorni molto diversi dalla loro reale personalità.
Brian lo fissa di sbieco, poi torna a concentrarsi sulle porte.
-Magari non viene.- scocca velenosamente.
Stefan ci legge facilmente l’amarezza che una simile prospettiva gli lascia addosso e sospira. Mette via la rivista, si alza e prende posto di fianco a lui, riuscendo a creare un piccolo maremoto nell’equilibrio fragile dell’altro. Brian si rimette composto, abbassando entrambe le mani per incrociarle sulla pancia e smettendo così di scrutare con apprensione l’ingresso della saletta.
-Non ci credi neanche tu.- ribatte intanto Stef.- Ti ha pregato per un mese perché acconsentissi a farlo venire con noi.
-E continuo a pensare che sia una stronzata!- replica Brian astioso.
-Non credi nemmeno a questo!- esclama lo svedese ridendo. Quando non ottiene nessun tipo di reazione, gli tira uno scherzoso pizzicotto sul fianco.- Bri?
L’altro si schernisce, stizzoso, ma finisce per farsi scappare uno sbuffo divertito e Stefan scuote la testa, rimproverandolo implicitamente per l’atteggiamento tenuto fino a quel momento.
-Sono felice che venga con noi.- ammette Brian a mezza voce. C’è un piccolissimo fondo di paura nel suo sguardo mentre lo dice, Stef si concentra su quello per capire il senso reale delle frasi dell’altro.- Ma credo che sia stata una decisione un po’ affrettata.
-Qualcosa dovevi pure concederglielo, Brian. Avete ricominciato a vedervi da appena un mese e mezzo e tu stai per partire per un tour, sarebbe stato un disastro mollare tutto proprio ora.- espone pacatamente il bassista.
-Sì, ma non pensi che sia…eccessivamente frettoloso ripiombarci dentro così…così! Tutto d’un fiato, d’un colpo e completamente.- gesticola animatamente.- Staremo a contatto ventiquattrore su ventiquattro per mesi!
-Non sarete da soli. Non è una convivenza a due, se è questo che ti spaventa.- obietta Stef scrollando le spalle.
-E’ molto peggio.- borbotta Brian, riportando alla bocca l’unghia dell’indice sinistro.
-Perché? – lo incalza il bassista - Perché quando suoni sei più vulnerabile? Perché sta invadendo il tuo territorio? Perché hai paura a mostrarti con lui come ti mostri con noi? Cos’è che ti spaventa, Bri?
Brian lo guarda, soppesandolo con lo sguardo ma, in realtà, soppesando se stesso e la voglia che ha di rispondere sinceramente.
Ma è Stef.
-Tutte queste cose assieme, penso.- mormora lentamente, riportando gli occhi sulle porte scorrevoli ma facendolo con maggiore tranquillità, come se nel parlarne stia pian piano prendendo confidenza con quelle paure e rendendosi conto che, in qualche modo, può gestirle.- Non ci saranno più schermi o maschere a proteggermi. Non sono mai riuscito a tenere su quelle maschere con voi, non per tutto il tempo, non dopo i primi tempi. Ci saranno le giornate no, quelle in cui sarò arrabbiato, sarò stanco o starò semplicemente male, ci saranno le giornate in cui mi sentirò depresso, quelle in cui…lo sai come divento quando vedo tutto nero.- biascica imbarazzato, concedendogli un nuovo sguardo per pregarlo di non costringerlo a dire di più.- Non sarò mai solo… “Brian”, il tizio che ha sempre tutto sotto controllo, che sa sempre cosa c’è da dire e da fare e che aggiusta la situazione perché è quello maturo, responsabile e riflessivo della coppia.
-Non vuoi che ti veda per come sei?
-No. Non sono sicuro che quello, che vedrebbe, gli piacerebbe.- confessa Brian, debolmente.
-E’ un motivo in più per portarlo con te.- ribatte Stefan piano.
Brian ride senza allegria.
-Lo so.- ammette.
-Bri. Se vuoi fermarlo, fallo ora.- suggerisce Stefan dopo qualche istante di silenzio carico.- Non aspettare che sia qui. Non riusciresti a mandarlo via.
Le porte scorrevoli si aprono.
Stefan vede lo sguardo ed il sorriso di Brian farsi più caldi, autentici. I suoi occhi brillano, il suo viso assume quella particolare dolcezza infantile che ha solo quando è davvero felice. Sorride anche lui, ascoltando distrattamente le parole dell’altro mentre si volta.
-Troppo tardi.- ride Brian a mezza voce.
Stefan riconosce Matthew Bellamy che va loro incontro. Sta sorridendo anche lui.
***
Si massaggia la radice del naso. Allarga le dita alle tempie, operando con piccoli movimenti circolari e concentrici nel tentativo, fallimentare, di allentare il cerchio doloroso che avverte attorno alla testa. Sospira, palmi allargati sulla faccia stira le guance in basso e poi all’indietro, afferrando i capelli nel passarci le dita in mezzo. Un gesto repentino, sfila l’elastico dal polso e lega le ciocche in una coda disordinata.
Davanti a sé ha i fogli delle partiture, ma non riesce a concentrarsi. Sente la voce di Fiona e quella di Stefan, parlano qualche metro più in là, vicino alla macchina del caffè. Entrambi hanno toni di voce piacevoli, melodiosi, rilassanti. Ridono. Educatamente, senza disturbarlo.
Steve saluta a voce alta qualcuno. Irrompe come una furia nella sua mente, calpestando l’angolo pacifico che Fiona e Stef sono riusciti a creare con la loro presenza discreta. Brian, occhi chiusi e schiena dritta, storce il naso.
-Dovremmo provare di nuovo “Purify”. Così capiamo se possiamo tenerla per il live.
-Ok.- risponde Stefan, accondiscendete alla razionale richiesta del proprio batterista.
Com’è diventato bravo, il ragazzino, a destreggiarsi tra le cose, a tirare fuori suggerimenti, ad organizzare. Lo fa con un entusiasmo sincero e senza mai risultare invadente o prevaricatore.
Steve Forrest è una bella persona.
Stefan è una bella persona.
Anche Fiona, Bill, Dave, Levi, Alex…
-Dove cazzo è finito quel dannato tecnico?!- sbotta Brian, spalancando gli occhi di colpo, la fronte aggrottata.
Si volta nervosamente sulla sedia, ignorando volutamente gli sguardi stupiti che i tre compagni gli rivolgono a quell’esternazione estemporanea. E’ vero, ha chiesto al tecnico delle chitarre - quello nuovo, quello che hanno assunto solo tre giorni fa e di cui non riesce a ricordare il nome di mettere a posto una delle Fender prima che ricominciassero le prove ed è vero anche che saranno passati dieci minuti scarsi da quando quello si è allontanato portandosi via lo strumento.
-Bri?- indaga Stefan cautamente.
- “Bri” il cazzo! Sono le tre e mezza! Vorrei riuscire a fare qualcosa prima di notte!- scatta Brian, alzandosi per dirigersi a passo marziale verso la porta che da sul corridoio. Si affaccia alla soglia, osservando senza vedere le poche persone che si trovano lì fuori.- Allora?!- grida- C’è qualcuno qui dentro che intende lavorare o è un asilo nido per idioti?!
-…Brian…- prova Steve, stavolta.
-No, senti, Sunshine! non rompere pure tu!- lo liquida Brian calcando l’appellativo con una buona dose di disprezzo.
Alex entra nella stanza, impetuosa come una piccola furia.
-Che accidenti succede qui?- scocca immediatamente, dopo aver gettato uno sguardo distratto all’insieme dei presenti.- Brian, cos’hai da urlare come un’isterica nel corridoio?
-C’è che non c’è niente che vada come dovrebbe! Siamo in altro mare, una delle mie fottute chitarre ha ben pensato di sparire e quell’inetto a cui l’ho affidata sarà licenziato prima di subito!- ringhia il cantante, aggirandosi per la stanza come un leone in gabbia.
-Ok, adesso la pianti e ti dai una calmata. E nessuno viene licenziato se non lo dico io.- scandisce bene la donna.- Lo sai che non mi piace che ci siano piazzate da prima donna mentre si lavora…
-Me ne fotto!- sbotta Brian, scoccandole uno sguardo di fuoco.
-Ed io me ne fotto delle tue paturnie del cazzo, Molko!- ribatte Alex alzando il tono a sovrastare quello di lui.- Detto questo,- aggiunge poi in modo più controllato.- tu adesso vai in bagno a fare una bella pisciata, ti lavi la faccia, resti lì finché non ti sei calmato e torni qui quando sei in grado di ragionare.- ordina puntigliosamente prima di voltarsi in direzione di Steve.- Su cosa dovete lavorare?
-“Purify”…- borbotta il ragazzo.
-Bene.- Uno sguardo a Fiona, Alex raggiunge il tavolo, preleva le tab e le porge in direzione della donna.- Fiona, prendi Bill e sistemate l’arrangiamento. Ne parlate tra un quarto d’ora con i ragazzi. Grazie.- aggiunge mentre lei accetta i fogli borbottando un “o.k.” perplesso - Voi due,- aggiunge Alex puntando prima Stefan e poi Steve – avete un quarto d’ora di pausa. Tu sei ancora qui, Molko?- s’informa subito dopo, sarcastica.
Brian scatta come una molla. Afferra la porta per scaraventare se stesso fuori da lì ed il battente a chiudersi fragorosamente su un “vaffanculo” detto a bassa voce, ma ben scandito perché tutti possano sentirlo.
***
Stefan lo raggiunge nel bagno.
Brian ha scrupolosamente seguito le indicazioni – gli ordini di Alex. Senza pensare all’assurdità del farlo davvero. Adesso, dopo essersi sciacquato mani e viso, osserva il proprio riflesso nel vetro lindo davanti a sé ed aspetta che quella sensazione soffocante sparisca.
La sera prima Helena e Cody sono tornati verso le otto.
Brian aveva cucinato la cena per tutti, si era premurato di preparare qualcosa di diverso per Cody perché al bambino non piace l’arrosto con le verdure, aveva apparecchiato la tavola, messo su della musica bassa che riempiva l’ambiente in modo piacevole. Helena gli aveva sorriso entrando. Era talmente euforica da non accorgersi del suo imbarazzo nel ricambiare il bacio con cui l’aveva salutato, ancora sulla soglia. Talmente soddisfatta mentre gli mostrava orgogliosa vestitini e tutine da bambina.
Chiameranno la figlia Alexandra Sarah Elisabeth. Brian la chiama già Lisette e le parla in francese, la sera, quando Cody è andato a dormire e lui ed Helena restano soli in salotto, abbracciati sul divano. Hel ride e gli accarezza la testa, gli dice che deve tagliare i capelli e Brian le promette che lo farà, ma poi la distrae baciandole il collo e ad Helena non importa affatto dei suoi capelli troppo lunghi.
…la sua vita è perfetta. La sua vita è bellissima. La sua vita…la sua vita si distruggerà come un castello di sabbia al primo maraglione.
-Bri.
Helena continuava a parlargli. Non si è fermata nemmeno un istante. Gli ha detto di ogni singolo negozio dove sono state, delle cose che ha visto, delle idee che ha avuto per arredare la cameretta della bambina. Non lo ha mai guardato davvero se lo avesse fatto, Brian non sarebbe riuscito ad ingannarla.
-Stai bene?
Era stanca. Rideva nel chiedergli di mettere lui in ordine i pacchetti. Hanno una borsa pronta per l’ospedale da un sacco di tempo, Helena continua a disfarla, ogni volta che compra una tutina nuova pensa che sia più bella di quella che ci ha messo dentro la volta precedente. Ma ieri sera era troppo stanca ed è voluta andare a dormire.
-…è venuto Matt a casa mia, ieri.
Si rende conto di averlo detto davvero solo perché Stef, che adesso gli è accanto, lo sta guardando stupefatto. Il suo riflesso lo sta guardando stupefatto dallo specchio sopra i lavandini.
Brian pensa che impazzirà se non lo dice a qualcuno.
-Che vuoi dire?- mormora rocamente il bassista.
-Ha lasciato Kate.- riferisce incolore. Non è quello il punto e lo sanno entrambi. Brian fissa Stefan negli occhi mentre parla, anche se lo fa attraverso lo specchio.- Sono innamorato di lui.- confessa con un sorriso timido, spaventato.
Sente le dita di Stefan premere sulle scapole. Una carezza lenta che gli percorre la schiena, rassicurante. Abbassa il viso quando qualcosa inizia a pungere fastidiosamente gli occhi. Ricaccia indietro le lacrime.
-Non posso continuare a mentire ad Helena.- sussurra piano.- Non avrei mai dovuto farlo.
-Helena si è voluta convincere di quello che riteneva.- è l’osservazione di Stefan, lineare e razionale.
-Aspettiamo un figlio.
-Brian…
-E’ colpa mia.
Stefan non ha il coraggio di negarlo, sebbene consapevole delle responsabilità della donna nel tenere in piedi quella bugia. Ma Brian non ha bisogno di sentirsi dire che è colpa anche di Helena. Questo non lo giustifica. Raramente Brian trova ragioni valide per giustificare se stesso. Il più delle volte convive con le responsabilità, vere o no, che ritiene di avere e lo farà anche stavolta.
E poi, non è quello il punto. Non è la distribuzione delle colpe il punto.
-Cosa vuoi fare?
-…non lo so…
Brian è terrorizzato. Non lo vedeva da anni così spaventato da qualcosa, così simile a quel ragazzino impaurito che, per la prima volta, aveva cercato nell’alcool il coraggio che gli mancava, la fiducia in se stesso che non aveva a sufficienza per poter parlare con i discografici, firmare un contratto, uscire su un palco davanti a molte…troppe persone…
Non ha paura che possa succedere di nuovo. Questo Brian è diverso. Questo è un Brian adulto che deve fare i conti con il mondo ma deve farlo partendo da consapevolezze differenti, di sé e degli altri. E’ solo paura, la sua, solo terrore di fare del male e farselo fare da qualcun altro.
Helena, Cody e la bambina che nascerà sono qualcosa che non smetterà mai di avere un’importanza fondamentale per Brian. Ma Matt…
-Brian, non ti ho chiesto cosa farai, ma cosa vuoi fare.- ripete Stefan, pazientemente.
Lo vede stringere le labbra, come ad impedirsi di scoppiare in un grido ferito e rabbioso. Stef è quasi certo che, se avesse Matthew davanti adesso, Brian lo ammazzerebbe con le proprie mani.
-Le dirò che è finita.- mormora dopo qualche istante. Atono, piano, inespressivo. Lo sguardo che solleva in faccia al riflesso di entrambi è vacuo e limpido come quello di vetro delle bambole.
-Stai continuando a non rispondere.- osserva implacabile Stefan.
Brian si divincola da sotto le sue dita. Si volta di scatto, arrabbiato, e lo affronta con un’eco dell’isteria ingiustificata che ha sfoggiato nella saletta relax, davanti agli altri. Stefan, però, non si lascia impressionare.
-Cosa vuoi sentirti dire? Che correrò da lui?! Non c’entra, Stef! Non c’entra niente! Lo amavo prima esattamente come lo amo ora, cosa diavolo credi che sia cambiato?
-Che è tornato da te.
-Per fuggire di nuovo quando sarà troppo spaventato da quello che ha per tenerselo stretto?!
-Brian, Matthew non è fuggito.- lo rintuzza lo svedese pacato.
-Come puoi dire…?
-Perché sei stato tu a cacciarlo!- conclude secco Stef. Incrocia le braccia al petto, tranquillo.- E lui è tornato da te.- prosegue lento davanti al silenzio dell’altro.- E se vuoi la mia opinione, eri spaventato tanto quanto e più di lui. Quindi torno a chiedertelo, perché non intendo guardarti ancora rantolare come una bestia agonizzante nel tentativo di aggiustare la tua vita: cosa vuoi fare? Cosa vuoi per te?! Cosa ti farà stare bene?- incalza.- Perché te lo meriti, Brian. Non sei “l’unico a non aver diritto di essere felice”, è solo la tua stupida convinzione, questa! Hai lasciato campo libero a Kate perché? Perché pensavi fosse giusto per lei, per Matthew? Hai provato a chiedere a Matthew cosa volesse?
-Mi avrebbe detto una bugia per paura che io lo lasciassi.- sibila Brian. Ma le parole di Stefan stanno andando a segno e perfino la sua convinzione ostinata vacilla visibilmente a fronte di quei ragionamenti accorati.
-O forse no. O forse lo avrebbe fatto e tu lo avresti saputo e avreste litigato. Magari vi sareste lasciati comunque,- ammette il bassista, pacato - ma lo avreste fatto dopo averne quantomeno parlato. Come puoi incolpare Matthew delle parole che tu non gli hai permesso di dirti? Delle scelte che tu e Kate avete preso per lui?
-…non lo sto…
-No, è vero.- gli concede Stefan. – Ma è anche vero che non vuoi darti una possibilità con lui. Non l’hai mai voluto.
Brian sospira. Sconfitto. Abbassa il viso ed i capelli nascondono nuovamente il suo sguardo. Stefan è talmente vicino che potrebbe abbracciarlo senza dover fare un altro passo, ma non lo fa. Brian, presumibilmente, si scosterebbe di nuovo e lui non vuole dargli nessuna possibilità di scappare.
-Helena merita che io sia sincero con lei.- sussurra il cantante dopo un tempo che sembra infinito.
Ed è il turno di Stef di lasciarsi sfuggire un respiro pesante, consapevole che l’altro finirà comunque per anteporre la propria compagna a qualsiasi decisione per sé. Non è che gli sia difficile capirne il motivo, ma in quegli ultimi due anni ha dovuto combattere con le unghie e con i denti – proprio come Helena  - per strappare Brian ad un dolore talmente sordo e nascosto sottopelle da non essere mai riusciti a dargli un nome vero, concreto, per esorcizzarlo a sufficienza.
Ed ora la causa di quel dolore è di nuovo lì.
-Vuoi che le parli io?- si offre di slancio, senza neppure riflettere davvero su quanto sta dicendo.
Brian sbuffa un rantolo che vorrebbe essere una risatina cattiva, i suoi occhi brillano d’ironia da sotto le ciocche spettinate.
-Non puoi.- rintuzza pratico, ritrovando in un istante tutta la propria determinazione ed un accento del vecchio smalto di sempre.
***
-Le regole del tourbus?
-Ma veramente dobbiamo portarci dietro la concorrenza?
-E tu sei pure un loro fan, Sunshine.
-Non è vero che sono un loro fan!
-Le regole del tourbus, Bellamy, sì. Niente sesso qui sopra, grazie.
-Non ti facevo così puritano, Olsdal.
-Puoi negarlo quanto vuoi, Sunshine, ho visto la tua collezione di dischi.
-Non è questione di essere puritani, è questione di rispetto degli spazi condivisi.
-Hai rovistato nelle mie cose?! Stef, Brian ha rovistato nelle mie cose!
-Quello non fa parte delle regole di rispetto degli spazi condivisi evidentemente, Steve.
-Bellamy, sei qui sopra da meno di dieci minuti e stai già rompendo i coglioni.
***
Dopo cena Brian lo raggiunge nella zona notte. Matthew ha, chiaramente, una cuccetta propria, collocata sopra quella dell’altro, ma ha ben pensato di rannicchiarsi nello spazio di Brian, che se lo ritrova acciambellato come un ingombrante gatto tra le coperte.
-Non riesco ad addormentarmi da solo e Dom non protesta mai!- previene Matt, additandolo, quando lo vede mettere su un’espressione accigliata.
Brian rilascia l’aria in uno sbuffo senza dire nulla. Sorride, anzi, e gli da un colpetto sulla gamba per farsi fare spazio e stendersi a sua volta.
-Quindi io e Dom siamo intercambiabili…- lo punzecchia immediatamente.
Matthew lo fissa divertito, si volta su un fianco e solleva la testa, appoggiando il gomito al materasso, per poter ricambiare il suo sguardo.
-Sei geloso di Dom?- s’informa malizioso.
-Tu sei geloso di Stef?- ritorce Brian.
Matt, però, ci pensa su seriamente, rivestendo la cosa di un’importanza che Brian non aveva alcuna voglia di dargli. Soprattutto perché il rapporto tra lui è Stefan è qualcosa che non sente ancora di voler condividere con l’altro.
-Credo sia stato innamorato di te.- sussurra l’altro frontman, tenendo bassa la voce per paura che il bassista, seduto nella zona giorno del bus con Steve ed Alex, possa sentirli.- Lo si capisce. Ma non credo di avere motivo per essere geloso. Tieni troppo a ciò che siete.
Si volta a cercare il suo viso per scrutarne l’espressione e trovare conferma a ciò che ha appena detto.
Brian si riscopre incapace di negarlo.
-Molto perspicace.
-Ed io e Dom?- insiste Matt divertito.
-Tu e Dom siete amici e vi fareste ammazzare l’uno per l’altro. Siete fratelli, più che amici, ma nient’altro. E senza nessuna delle implicazioni che hai visto nel mio rapporto con Stef, questo è sicuro.
Matthew annuisce. Il suo sguardo vaga per lo spazio attorno a loro, mettendo distrattamente a fuoco gli elementi. Si dice che è stata un’idea pazzesca quella di partire in tour con i Placebo dopo essere appena entrato in pausa con la propria band. E’ parecchio stanco, gli impegni dell’ultimo periodo hanno prosciugato quasi del tutto le sue risorse, lui ha dovuto barcamenarsi alla men peggio tra quelli, la sistemazione della nuova casa…la sistemazione della nuova vita.
Lasciare Kate non è stata la cosa facile e piana che ha voluto rappresentare a Brian.
In realtà, se è vero che ha reagito per istinto subito dopo aver ascoltato le parole dell’altro nelle nuove canzoni, è altrettanto vero che dopo si è trovato a lungo a fare i conti con quanto scelto. Sa che Kate era sincera - quando ne hanno parlato e lui le ha spiegato come stessero realmente le cose – nel dirgli che per Bing non sarebbe cambiato nulla. Quella concessione le è costata carissima e Matthew ha avvertito intatto il peso di quanto stava pretendendo da lei. Di fatto, le stava dicendo a muso duro di non averla mai amata. Né prima né dopo. Di aver sempre voluto Brian nella propria vita, di aver scelto lei solo in virtù del fatto che aspettavano un figlio assieme. Kate non aveva mai preteso niente e Matt era consapevole che questo stesso discorso avrebbe potuto e dovuto farlo fin dall’inizio. Era stato vigliacco allora per non dover convivere con quello stesso senso di colpa e di perdita che lo aveva tormentato subito dopo aver preso un aereo per tornare a Londra.
Eppure quella dimensione claustrofobica in cui si muoveva quando era da solo, a casa, scompare adesso, ascoltando il respiro quieto di Brian accanto a sé, avvertendo nelle narici il suo odore familiare, mischiato ad altri profumi che gli sono sconosciuti e che appartengono a quel piccolo microcosmo in cui lui, intruso, è stato accettato fin troppo velocemente.
Gli viene da riflettere sul fatto che, mentre lui ha trovato immediata accoglienza tra i “Placebo”, tanto da guadagnarsi un posto nel cuore stesso della loro famiglia, Brian è ancora un estraneo per quella cerchia perfetta che i “Muse” rappresentano e lui si sente a disagio a tentare di calarlo nel loro contesto, all’idea di fargli incontrare Chris o Tom… E’ un po’ strano. Due anni prima, Matt aveva tentato di trascinare Brian in quello stesso ambiente nel momento meno opportuno e facendo quanto più rumore possibile. Ad impedirlo era stata solo una serie di casualità, ma lui, allora, non aveva pensato che potesse esserci qualcosa di strano nel vedere Brian interagire con i suoi amici e sa, peraltro, che Dom e lui si sono già incontrati in più di un’occasione e senza sentire la necessità della sua mediazione.
Ma Dom è Dom.
-Bri.- Gli risponde un mugugnare soffocato.- Stai dormendo?
-Se mi parli…
-Vorrei che venissi a vivere da me quando tornerai a casa.
Uno sbuffo. Una semplice attestazione di disaccordo che Matt registra a livello inconscio ed ignora volutamente.
-Ne abbiamo parlato…
-Sarà fra due fottutissimi anni, Brian.- scocca Matthew brusco- Ne abbiamo parlato e non lo hai escluso a prescindere.
-Non sono pronto per una convivenza.
-Con la tua ex sì, con me no?!
Brian gli spalanca addosso uno sguardo arrabbiato.
-Eravamo d’accordo che Helena è un argomento di cui non si parlerà finché non sarò io a metterlo in mezzo.- gli ricorda seccamente.
-Vorrei fosse ben chiaro che quello che scegli unilateralmente non è qualcosa su cui siamo necessariamente d’accordo.
-Matt, tu non puoi…-inizia precipitosamente Brian.
Ma Matthew lo ferma anche stavolta.
-Non voglio litigare.- precisa.- Non parleremo di Helena, ok? Però valuta la possibilità di venire a stare da me. Ti prego.
***
Quella sera Helena e Cody lo accolgono a casa con un piatto di biscotti appena sfornati, saluti festosi e sorrisi entusiasti. A Brian sale istintivamente un conato di vomito, che reprime a forza, giustificandosi per l’accoglienza nervosa che ha riservato loro facendo appello alla vecchia e mai sopita gastrite che torna ogni tanto. Helena, preoccupata, spedisce Cody in cucina con i biscotti.
-Bri, avete fatto come al solito? Avete mangiato qualche schifezza invece di pranzare decentemente?- lo riprende, seguendolo mentre Brian raggiunge il salotto.
L’uomo scuote la testa. Non ricorda neppure se hanno pranzato, figuriamoci “cosa”. Lascia sul divano il giubbotto e siede lì accanto, chiudendo gli occhi e reclinando la testa all’indietro.
-…vuoi che chiami il medico?- domanda lei, dolcemente.
Quando non riceve nessuna risposta, sospira piano. Brian, ancora ad occhi chiusi, la sente muoversi al suo fianco. Helena deve aver sollevato e spostato il giubbotto, gli si siede accanto e le sue dita leggere gli sfiorano la pelle del polso, lasciando scorrere brividi piacevoli lungo il braccio. Lo rilassa.
-Bri. E’ tutto a posto a lavoro?- inizia ad indagare Helena, con la stessa dolcezza intossicante di prima. La sua capacità di inquadrare in fretta l’esistenza di un problema, smascherando le piccole bugie che lui imbastisce per evitare di parlarne, è tragicamente pericolosa.
Brian valuta la possibilità di raccontarne ancora. Di dirle che “sì, hanno qualche problema in sala, ma niente che non possano risolvere ed è solo stanco”.
Quando apre la bocca per dire quelle stesse cose, però, viene fuori una frase completamente diversa.
-Ho visto Matthew.
La mano di Helena si irrigidisce. La sua carezza si congela appena sopra il sottile laccetto che l’altro porta al polso, regalo di suo figlio durante l’ultimo viaggio in India in cui lo ha portato prima dell’uscita dell’album.
Brian apre gli occhi. Si volta a guardarla, rendendosi improvvisamente conto di essere in grado di dirle la verità e di volerlo fare. Prendendosi tutte le responsabilità conseguenti.
-Che significa?- sta sillabando lei, atona.
-E’ venuto qui ieri pomeriggio dicendo che ha lasciato Kate.- le riferisce pianamente Brian.- Dice di aver sentito l’album… “Loud Like Love”, di aver capito che ho scritto quelle canzoni per lui.
La mano di Helena scatta verso il viso, spingendosi con forza contro le labbra mentre lei reprime uno scoppio di riso isterico. Le ciglia tremano, gli occhi a mandorla si riempiono di lacrime ma Helena non piange.
-Dice che mi ha sempre amato, ma lo ha capito solo ora. Voleva che gli dicessi che si era sbagliato e che non ho scritto quelle canzoni parlando di lui…a lui…
-E tu cosa gli hai detto?- soffia fuori lei, strozzata.
-Niente. Non sono riuscito a mentirgli.- confessa Brian, stringendosi nelle spalle.- L’ho cacciato e gli ho detto che non volevo più vederlo.
Segue un silenzio che lui avverte troppo lungo. Un silenzio che è sicuramente troppo denso. Brian ci annaspa dentro cercando aria, mentre la sua coscienza realizza appieno quanto ha appena fatto. Sta per perdere Helena, sta per perderla in modo forse definitivo, e con lei Cody e Lisette, la bambina non ancora nata. Ha appena gettato al vento un equilibrio perfetto, su cui poggiavano le fondamenta di quel benessere – effimero – che era tornato ad affacciarsi anche nella sua vita.
-…cosa significa…Brian?- la sente chiedere nuovamente, con lentezza esasperante.
-Che sono ancora innamorato di lui, Helena.- ammette debolmente Brian.- Non ho mai smesso di essere innamorato di Matt.
***
Helena ha chiamato Forrest per chiedergli di venire a prendere lei e Cody. Brian gliene è stato silenziosamente grato, la donna ha scelto di non mettere in mezzo né Stefan né Steve per non costringere gli “amici di tutta una vita” a prendere posizioni scomode in una situazione difficile.
Mentre aspettavano l’arrivo del ragazzo, Brian l’ha aiutata a fare i bagagli. Non si sono scambiati neppure una parola. Di comune accordo hanno chiamato Cody in cucina e gli hanno spiegato pazientemente che, per un po’, mamma e papà sarebbero tornati a vivere in due case diverse e che lui poteva scegliere se voleva stare con l’uno o con l’altra.
Quando Cody ha fissato suo padre con sguardo ferito, Brian ha capito di averlo perso e di essersi solo illuso che lui potesse essere ancora il bambino piccolo che aveva recepito passivamente la prima separazione dei genitori. Trova conferma di quei pensieri quando, all’arrivo di Steve, Cody si precipita fuori di casa senza neppure prendersi la briga di salutarlo.
Helena si ferma sulla soglia, invece, ma il suo sguardo è duro, tagliente, e Brian sente intatto il peso di tutte le sue accuse inespresse.
-Helena…
-Non dire nulla, per favore.- pretende lei brevemente.
Imbarazzato, Steve assiste dal pianerottolo, un occhio a Cody per assicurarsi che non scenda da solo ed un altro alla scena che si sta consumando pochi metri più in là.
-Tra qualche giorno, magari, sarò in grado di parlarne e potremo stabilire cosa fare. – spiega ancora Helena, cercando di mantenere un tono neutro e piano ma tradendosi con quel tremore sottile che la scuote da capo a piedi - Adesso, mi disgusta anche solo doverti rivolgere la parola.
Brian non dice altro. La guarda in silenzio voltarsi ed incamminarsi verso l’ascensore. Steve esita ancora, rivolgendo al compagno di band uno sguardo preoccupato.
-Brian…- chiama alla fine. Cody ed Helena sono già nell’ascensore, lei dice che lo aspettano giù, poi preme il pulsante e le porte si chiudono.- Hai…bisogno di qualcosa?- prova a domandare il batterista.
Brian scuote la testa. Gli è riconoscente di starsi prendendo quell’incarico penoso e gli è riconoscente anche della capacità naturale con cui attua un congruo bilanciamento di interessi: proteggerà Helena, si occuperà di lei e Cody e si assicurerà che siano a posto prima di lasciarli; ma allo stesso tempo non si dimenticherà di lui, non lo giudicherà e sarà sempre pronto ad aiutarlo. Sì, Steve Forrest è stata la scelta più saggia.
Bravo ragazzo, Steve.
Adesso annuisce brevemente, con una risoluzione tutta nuova nello sguardo.
-Chiamo Stef e lo mando qui.- gli dice prima di premere per far tornare su l’ascensore.
Brian vorrebbe dirgli che non ce n’è bisogno, ma quando non ci riesce si rende conto che invece sì, invece ha un bisogno disperato di avere lì Stefan. Per cui non dice niente. Aspetta che Steve vada via e chiude la porta di casa.
…mentre si guarda attorno, spaesato, ancora fermo nell’ingresso e con le spalle contro il battente, si rende conto di quanto dannatamente grande sia quell’appartamento.
***
-Chi accidenti ha settato questo schifo di chitarra?
Levi agita minacciosamente in aria la Jaguar rossa, accompagnando con quel gesto la domanda, proferita in tono rassegnato, ed ottenendo in cambio una serie di sguardi perplessi. Uno dei tecnici borbotta qualcosa con un collega, poi annuisce e si volta verso di lui.
-Quello nuovo. Oscar.- risponde.
Il sospiro di Levi risuona alto e sonoro.
-Quello non durerà molto se continua così.- considera a mezza voce, abbassando la Jaguar e voltandosi attorno alla ricerca del soggetto incriminato.
Matt, seduto ad una delle consolle di regia, lo guarda. Si sta annoiando a morte da almeno dieci minuti – cioè da quando i Placebo sono andati in pausa dal sound-check per “problemi tecnici” nel settaggio della strumentazione – e reputa quella offertagli dall’altro una stimolante alternativa al giocherellare con i monitor della consolle scombinando completamente proprio il lavoro fatto da Levi qualche ora prima. Si alza di colpo e gli va incontro rapidamente, prima che l’altro possa dileguarsi portandosi appresso la chitarra.
-Lascia, ci penso io.- si offre con un largo sorriso.
Levi lo fissa scettico.
-Tu?- ripete.
Matt fa spallucce, allungando le mani verso la Jaguar ed aspettando pazientemente che Levi, tutt’altro che persuaso, si decida a cedergliela.
-Bellamy, non è che non mi fidi di te, ma a parte che abbiamo un tecnico appositamente pagato per questo, Brian potrebbe assassinarmi ed esporre il mio cadavere ai corvi se lo sapesse.
-Allora non diciamoglielo!- ribatte il cantante sbattendo gli occhioni con aria da cucciolo.- Andiamo, un problema in meno per te ed un quarto d’ora di noia in meno per me!- considera a voce alta.
-Sì, ma così Oscar non imparerà mai un cazzo.- protesta ancora Levi, anche se gli sta già passando la chitarra.
Bellamy ridacchia, afferrandola con delicatezza e stringendosela addosso con fare possessivo.
-Va bene, va bene.- concede rapido.- Vado a cercarlo e lo facciamo insieme, ok?- propone.
Levi sbuffa di nuovo, contrariato ed insoddisfatto, ma poi si stringe nelle spalle e gracchia uno scazzato “contento tu!”, prima di mollarlo ed andare a riparare ai danni che l’altro ha fatto alla consolle di regia.
Matt, soddisfatto, prende a girovagare per il backstage al suo posto. Un paio di domande a Clarisse, la ragazza del make up – quella carina, per intenderci, perché l’altra, Eve, è un cesso oltre ad essere scorbutica da morire! – e trova Oscar rannicchiato nei pressi di una macchinetta del caffè, che trangugia bevanda scura da un bicchiere e picchietta a terra con un piede, nervosamente.
-Os!- lo chiama brusco.
Quello sobbalza, rovesciandosi buona parte del caffè sulla maglietta, e si volta sgranandogli addosso uno sguardo terrorizzato.
-Hai fatto un casino.- ci tiene a precisare immediatamente Matthew, agitando la chitarra in modo esemplificativo.
Il ragazzo annuisce istericamente, consapevole dei propri limiti.
-Mr. Bellamy, io…
-Tu la pianti di balbettare e vieni qui.- esige Matt senza farlo finire, si ferma a metà del corridoio ed indica un punto di fianco a sé.- Vediamo se prima di mollare questo tour riesco almeno ad evitare che tu perda il lavoro.- borbotta mentre l’altro getta il bicchiere vuoto e si avvicina esitante.
-Io non so se…
-Ah! su questo siamo pienamente d’accordo! – esclama Matthew, scoccandogli un’occhiata divertita – Tu non sai!- motteggia.- Fuori. Marsh!- addita poi in direzione del backstage.
***
-E questi dove vanno, Mr. Bellamy?
-Nello studio, credo… No, forse sono quelli della cucina… Cosa c’è scritto sopra?
Matt si disinteressa della distribuzione degli scatoloni l’istante successivo alla formulazione di quella domanda. Mentre i tizi della ditta di traslochi si arrabattano per interpretare la sua scrittura, lui si avvicina alla porta a vetri che da all’esterno della casa.
In fondo al vialetto di accesso c’è una figurina infagottata in un cappottone nero troppo grande per la sua taglia. Nonostante il viso nascosto dall’enorme sciarpa di lana, il cappello calato sulla fronte e le mani affondate nelle tasche, a Matt basta uno sguardo d’insieme per percepire un brivido familiare lungo la schiena. Sorride. I tipi della ditta stanno discutendo tra loro sulla diversa interpretazione di una lettera, lui apre la porta ed esce sotto il piccolo porticato all’ingresso.
-Brian!- chiama da lì, braccia incrociate al petto e sorriso smagliante.
Trova conferma che è lui nell’agitarsi nervoso della figura. E’ quasi certo che abbia sbuffato, infastidito all’idea di essere stato sorpreso tanto facilmente.
-…Bellamy.- si sente rispondere in tono piano, non troppo sicuro.
-Vieni dentro che ti faccio un tè caldo. Sembra che tu debba svernare ad alta quota conciato a quel modo!
Non aspetta per accertarsi che l’altro lo segua. Lascia la porta a vetri aperta e punta direttamente al cucinino in fondo al corridoio. Quando sente il battente chiudersi con un tintinnio lievissimo, il sorriso si accentua.
In cucina alza il viso verso Brian solo dopo aver messo sul fuoco il bollitore. I due ragazzi della ditta hanno stabilito che sugli scatoloni c’è scritto “studio” e stanno salendo la traballante scala di legno che porta al piano superiore.
-Questo posto non è molto nel tuo stile.- osserva Brian guardandosi attorno e studiando l’ambiente che li circonda, i mobili di legno color pastello e le tendine a fiori alle finestre.
Scioglie le pieghe della sciarpa e sfila via il cappello. Quando toglie il cappotto, Matt si accorge che, anche se non è truccato, è stato attento nello scegliere un abbigliamento che faccia risaltare il fisico allenato.
-Mi ricorda casa di mia nonna.- risponde sbrigativamente.
-…tua nonna?- lo sguardo di Brian è sorpreso, ma Matt pensa solo che è bello esattamente come ricordava.
-Come mi hai trovato?
-Sono più bravo di te nel fare le domande giuste alle persone giuste.- ritorce Brian con una punta di vanagloria che fa ridere Matthew. Il frontman dei Placebo si volta nuovamente a guardarlo, rinunciando ad una seconda ispezione della cucina, e sorride a sua volta.- Nah, Alex ha un mucchio di contatti.- confessa con maggiore sincerità.
-Siediti.- lo invita Matt, scartabellando in una credenza alla ricerca di due tazze per servire il tè.
Brian accetta, prendendo posto al tavolino quadrato che troneggia sotto il lampadario, al centro della stanza. Matthew lo raggiunge in pochi minuti, posando le tazze sul tavolo.
-Sei stato tu a darmi questo consiglio.- ricorda mentre prende posto dall’altro lato. Davanti allo sguardo sinceramente interrogativo di Brian, prosegue allo stesso modo.- Ricordi? Mi hai detto che avrei dovuto smettere di condividere tutti i miei spazi con qualcun altro per poi doverli lasciare quando le cose cominciavano ad andare storte.
-Non ti ho detto proprio questo…
-Beh, questo è “il mio posto”.
-Un po’ isolato.
-L’ho scelto anche per questo. Voglio vedere se riesco a convivere con me stesso.
Brian sbuffa divertito.
-Un progetto ambizioso, Bellamy!- sogghigna.
-Brian.- ritorce lui quietamente.- Puoi smettere di chiamarmi “Bellamy”? Indipendentemente da quello che siamo attualmente, non puoi considerarci ancora due estranei in competizione.
Brian non ribatte, sorseggiando il tè senza aggiungere altro. E’ solo quando posa la tazza sulla tavola che torna a guardarlo, sostenendo senza sforzo il suo sguardo. L’accenno di malizia sul fondo degli occhi cangianti dell’altro suscita in Matt una nuova piccola scossa di desiderio. Ma non ha voglia di mandare in frantumi anche la possibilità di una discussione serena solo per assecondare il capriccio di un momento.
-E la mia chitarra?
Matt ridacchia.
-Quale chitarra?
-Quella che mi hai rubato, Bellamy!
-Preso in prestito!- precisa Matthew.
-Da due anni!
-Ok, consideriamolo un risarcimento danni, allora.
-…risarcimento danni?! Bellamy, mi hai distrutto la vita, come puoi pretendere un risarcimento danni?!- sbotta Brian, stupefatto.
-Tu.
Brian tentenna, sbattendo le palpebre per mettere a fuoco quella semplice parola.
-“Io” cosa?- si arrende alla fine.
-Tu hai distrutto la mia vita. – risponde Matt senza alcun risentimento - Tu e Kate. Oh, anche Gaia, certo. Ma lei aveva motivo di farlo. Tu no.
La serietà con cui espone quei “fatti” fa da contraltare perfetto alla tranquilla rassegnazione che avverte nel suo tono. E’ come se Matt gli stesse dicendo “ok, mi hai fatto un male cane e pensavo proprio di non poterne uscire, ma ehi! sono ancora qui e va bene”. Niente in sospeso per lui, niente a parte quel punto esatto in cui Brian lo ha lasciato, quella lettera da codardo con cui gli ha detto che era troppo e che non potevano reggere oltre. Per Matthew quello che è successo tra quella lettera ed il tè che si trovano a condividere adesso ha un valore relativo. E’ successo, appunto, ma non ha cambiato di una virgola tutto quanto esisteva allora e non ha mai smesso di esistere, tra loro.
-Matt, le cose non sono più…- inizia lentamente Brian, abbassando leggermente lo sguardo per non dover ricambiare il suo mentre prova a spiegargli che, invece, il tempo, scorrendo, scava sempre il suo solco.
-Per Helena? O per Kate e Bing?- interviene lui pacatamente.
Il richiamo ad Helena provoca una piccola fitta dolorosa che distrae Brian da quello che intendeva dire. Per un paio di secondi Matthew smette di essere così importante, così fondamentale da averlo spinto a cercarlo, a trovarlo rintanato in una campagna isolata, con il solo scopo di capire perché non riesca davvero ad archiviare quella storia come “passato”.
-Io e Kate ne abbiamo parlato prima che partissi.- continua Matt, interpretando il suo silenzio improvviso come interesse a ricevere ulteriori spiegazioni su quell’aspetto.- Stavolta sono stato sincero con lei fino in fondo. Mi ha detto che le dispiaceva, che credeva che io non amassi te più di quanto avessi mai amato lei. Che, se avesse solo immaginato che le cose stavano diversamente, non si sarebbe mai permessa di venire da te.- Aspetta una risposta che non arriva, Brian solleva ancora la tazza e beve continuando a non guardarlo.- Le ho creduto.- ammette Matthew.- Kate è molte cose, ma non una donna egoista o superficiale. Sperava sinceramente che potessimo essere felici assieme, sperava di poter rendere felice me.
-Sì. E’ così.- annuisce Brian tranquillamente, lasciandosi sfuggire malgrado proprio un sospiro pesante.- Matt, ti rendi conto che ti sei presentato a casa mia sapendo perfettamente che io e la mia compagna aspettiamo un figlio?
-Perché avrei dovuto avere per te il rispetto che tu non hai avuto per me? E poi te l’ho detto, dovevo tentare.
Potrebbe ribadirgli che lui gli ha anche già risposto che “no, non doveva”, ma sarebbe superfluo. Non è lì per fare capire a Matthew quanto sia stato inopportuno nelle proprie decisioni.
…ad essere onesti, non lo sa nemmeno perché è lì. Ma sa che ne aveva un bisogno disperato.
-Non ho scritto “Loud Like Love” per te.- sussurra alla fine. Continua a non guardarlo mentre lo dice, fissa il sole che sta tramontando fuori dalla finestra della cucina, ascolta nel corridoio il rumore dei traslocatori che stanno andando via- Non l’ho fatto volontariamente, almeno. Ho capito che c’eri tu in quel disco solo quando me lo hai fatto notare.- confessa spostando lo sguardo sulle proprio mani.- Ed ho capito che non ci sei solo tu, ma anche Helena e Stefan…è come se io avessi un mucchio di persone a cui dire “scusa” ed a cui dire “grazie” e lo abbia fatto nel modo sbagliato e nel posto sbagliato.
-Una canzone non è mai il posto sbagliato!- esclama Matt, ridacchiando.
Brian ricambia il suo sorriso, tornando ad incrociare i suoi occhi anche se solo per qualche istante.
-Beh, comunque…- mormora ancora, a disagio, per poi ritrovare tutto d’un colpo un’imbarazzata determinazione che lo porta a sollevare il viso di scatto.- Era questo che volevi sapere, no?- scorcia rapido.
Matt sorride ancora, anche se in un modo che Brian giudica “sbagliato”. Non è più divertito ed intenerito dalla situazione, ma è come se riuscisse a leggere con facilità tra le righe di quel discorso ed arrivasse a verità molto meno evidenti di quelle cui Brian stesso allude.
-Era esattamente questo che volevo sapere.- risponde, enfatizzando il concetto.
***
-Ma non dovevamo fare le cose “in ordine” questa volta?- sono le prime parole che Matthew gli rivolge quando si svegliano entrambi, ancora vicini nel letto in ferro battuto che Brian reputa orrendo, come ci ha tenuto a dirgli poco prima di addormentarsi.
Matt ride subito dopo averlo detto. Affonda il viso nel cuscino, la sensazione di qualcosa di bello…come un sogno particolarmente coinvolgente…che gli riscalda il petto. Vorrebbe restare lì tra le coperte con Brian per sempre, perché ha il terrore che quella sensazione sia effimera, che possa sparire non appena si saranno alzati e rivestiti e saranno tornati alle loro vite.
Il giorno prima hanno parlato fino a notte fonda. Si sono dimenticati di mangiare, avevano troppe parole da dirsi. Si sono aggiornati l’uno sulla vita dell’altro, hanno ignorato quei passaggi che era difficile accettare – Matt ha detto a Brian quanto sia stato stupendo tenere tra le braccia Bing appena nato, con quel musetto arricciato che lo rendeva bruttissimo per tutti tranne che per lui – hanno registrato le informazioni fondamentali. Brian gli ha detto tra le righe, distrattamente, che Helena è andata via. Matt avrebbe voluto chiedergli un mucchio di cose e ha stretto le labbra per non farlo, incassando l’informazione ed aspettando che fosse l’altro a fissarlo con serietà negli occhi ed a pronunciare quelle poche parole.
-Stavolta, però, vediamo di non fare un casino. Facciamo le cose in ordine.- lo aveva pregato Brian.
Non era servito. Al momento di separarsi, di dirsi buonanotte e rinviare tutto al giorno dopo, ad un caffè tranquillo da prendere fuori, magari in centro, magari con qualche amico a tenergli compagnia, Matthew lo aveva afferrato per le spalle. Non poteva sopportare l’idea di continuare a mantenere quella distanza tra loro, non poteva sopportare di lasciarlo andare via senza baciarlo.
Ed era stato esattamente come ricordava. Travolgente, eccessivo, irrefrenabile. Sapevano entrambi che non sarebbero mai riusciti a separarsi davvero quella notte.
-E’ colpa tua.- sussurra adesso Brian, puntuale.
Sorride ad occhi chiusi mentre lo dice e Matt, che lo osserva divertito, sa che non è davvero arrabbiato e non riesce a preoccuparsi.
-C’è una cosa che non ti ho detto, Brian.- mormora.
-Ci sono mucchi di cose che non mi hai detto.- corregge lui pazientemente.- Ma considerato che non sono certo di voler sapere proprio tutto quello che ti frulla nella testa…
-Ti amo.
Brian apre gli occhi a ricambiare il suo sguardo con un’espressione seria che allarma Matthew e congela sul suo viso il sorriso che ancora aleggia.
-E continua ad essere colpa tua.- afferma dolcemente Brian.- Comunque…ti amo.
 
  
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