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Autore: Patta97    05/02/2014    4 recensioni
Perché il giorno in cui non ci si dovrebbe sentire soli è proprio quando ci si rende conto di esserlo di più.
Una raccolta di one-shot dedicata a quasi tutti i personaggi senza il loro Valentino.
Note: angst, contenuti forti (primo capitolo), triste, fluff, amori unilaterali, SPOILER terza serie
Genere: Angst, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het, Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mary Morstan, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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E nonostante le continue delusioni che ricevo... rieccomi qua!
Non mi sto rispecchiando molto nei pensieri del fandom, ultimamente, ma ehi!, siete gli unici folli che possono comprendermi nei miei deliri, quindi sono tornata con questa raccolta di one-shot che dovrei finire entro febbraio (sì, certo...). 
I contenuti sono per lo più tristi, perché praticamente tutti gli "amori" che descriverò tramite episodi/ricordi (o casi, come in questo per il mio caro Gregory) sono non corrisposti. In pratica, tenterò di descrivere un po' di sana e ti-prendo-a-pesci-in-faccia vita reale.
Grazie a chi leggerà e, se potete, lasciate un commento: mi farete davvero felice, ma proprio tanto.
Chiara

PS C'è la descrizione di un omicidio un po' cruento in questo capitolo. Vi avviso, ma tanto so che non siete così impressionabili...






 
The Valentine's ripper - Greg




Gregory Lestrade si rigirò nello stretto divano di pelle nera del suo ufficio a Scotland Yard, sistemandosi addosso la giacca del completo a mo’ di coperta.
Si piegò un braccio sul viso per riparare gli occhi stanchi dalle fastidiose luci al neon e si impose di dormire per un’ora. Solo un’oretta…
Bussarono alla porta. Greg lanciò un’occhiata all’orologio a muro e si rese conto che erano passati dieci minuti – “solo dieci fottuti minuti!” - da quando si era chiuso nell’ufficio per prendersi una pausa da quel caso sfiancante. Si lasciò scappare un imprecazione fra i denti e si alzò dal divano con ogni centimetro del proprio corpo che urlava in protesta.
Sulla soglia c’era Donovan.
 
- Sally, dannazione, vi avevo pregato di non disturbarmi finché…
 
- Tutti avremmo bisogno di riposo, signore – rispose lei, acida, e Greg notò che il sergente esibiva delle occhiaie evidenti quanto le sue. – Ma ce n’è stato un altro, a Whitechapel.
 
- Chi?
 
- Due ragazzini, li ha trovati un senzatetto in una casa abbandonata. Cercava un posto asciutto dove dormire, a quanto pare.
 
Greg si chiese se fosse stato uno degli amici di Sherlock: non aveva ancora mostrato alcun interesse per quello che si faceva chiamare il Valentine’s Ripper.
- Stessa dinamica dei precedenti? – domandò invece.
 
- Sembrerebbe di sì. La scientifica si sta già recando sul posto.
 
L’ispettore recuperò la giacca dal divano e il cappotto dall’appendiabiti e le fece cenno di andare.
 
*
 
I due giovani corpi erano adagiati in posizioni plastiche su un letto di rose rosse, in netto contrasto con le assi scollate e fradice del pavimento. Entrambi avevano scuoiata la pelle sopra le scapole, portata poi verso l’alto, a formare delle piccole e macabre ali(1). I petti erano stati aperti e poi ricuciti senza fretta e l’una teneva in mano il cuore grondante dell’altro.
La ragazzina aveva i capelli rossi, il ragazzo neri. Due paia di occhi verdi erano velati e vacui, a fissare il nulla.
A Greg venne da vomitare e dovette distogliere lo sguardo.
Uscì dalla stanza, lasciando fare ai ragazzi della scientifica a fare il proprio lavoro.
Parlò con Jones - il sostituto di Anderson - e scoprì l’età della ragazza dai capelli rossi: tredici anni.
Dio, l’età di Rupert… scosse la testa per allontanare il volto sorridente di suo figlio dalla propria mente, lontano dall’immagine dei due corpi senza vita sul letto di rose intrise di sangue.
Tornato a Scotland Yard, si risistemò nel suo ufficio, più determinato che mai, la stanchezza un lontano ricordo mentre rianalizzava con accuratezza prove, fatti, dati, indizi.
Doveva risolvere quel caso. E lo avrebbe fatto senza l’aiuto di nessuno.
 
*
 
Ed eccolo, una settimana dopo, il quattordici febbraio, al tavolo di una piccola sala conferenze, spalleggiato da Sally.
Davanti a lui, una folla urlante di giornalisti e fotografi, ansiosi di porre domande migliori prima dei
propri colleghi.
 
- Detective ispettore Lestrade! – una donna quasi saltò per farsi notare fra la folla. - Può dirci qualcosa di più sul Valentine’s Ripper?
 
- Il suo nome è Hugh Graham e preferirei ci si riferisca a lui così, d’ora in poi – precisò Greg, freddo. - Graham, quarant’anni, era un artista d’arte moderna, incriminato un paio di volte per uso di droghe e guida in stato d’ebbrezza. C’è bastato interrogare l’ex-moglie e il coinquilino per scoprire come da un paio di mesi si comportasse in modo strano, parlando sempre della sua nuova ‘collezione d’arte’.
 
- Quali sono state le sue ultime parole prima di andare in cella?
 
Lestrade prese un respiro e si dipinse in viso un sorriso cinico prima di rispondere. – Che era tutto in nome dell’arte e degli innamorati.
 
Nuove mani si alzarono e molti flash scattarono dopo quell’ultima frase e lo sguardo esasperato e sfinito dell’ispettore colse un’alta figura in completo gessato che usciva dalla stanza, facendo roteare mollemente un ombrello.
- Il sergente Donovan sarà più che capace di rispondere alle vostre domande – annunciò, alzandosi.
 
La poliziotta lo trattenne per il gomito. – Capo… - implorò.
 
- Non mi commuoverai chiamandomi così, Sally – sorrise brevemente Greg. – Torno presto.
 
*
 
- Non crederai di lasciarmi così! – esclamò Greg, cercando di calmare il respiro affannato per dissimulare la corsa appena fatta per sgusciare via dall’edificio.
Il parcheggio era illuminato dalla luce aranciata del tramonto e il cielo di Londra era trafitto da un intreccio di scie candide d’aerei.
 
Mycroft si girò lentamente, con un sorriso impenetrabile.
Oh, odio quando fa così. pensò Lestrade, combattendo l’impulso di annullare a grandi passi la distanza che li separava e lavargli via quella faccia a forza di pugni - o baci.
 
- Detective ispettore Lestrade, che piacere. Congratulazioni per il caso risolto.
 
Greg cercò di non dare a vedere il proprio compiacimento all’udire il complimento, nonostante fosse velato di una leggera ironia.
- Ti ringrazio.
Calò un silenzio imbarazzante, con Mycroft che lo fissava e lui che osservava attento la punta delle proprie scarpe.
Dì qualcosa, idiota! – Cercavi Sherlock? Non mi ha aiutato stavolta, è un po’ che non lo sento.
 
- Mio fratello sta attraversando una… fase problematica. Sono a conoscenza che non è stato grazie al suo aiuto che ha raggiunto la soluzione dell’enigma.
La risposta del Signor Governo fu quella, ma il suo sguardo divertito sembrava dire “davvero non riesci a trovare qualcosa di meno ovvio da dire per fare conversazione?”.
 
- Okay, dannazione – mormorò fra i denti prima d decidersi. – Sei impegnato, stasera?
 
- Temo di sì – la risposta arrivò dopo un tempo calcolato, né troppo presto da essere interpretata come una bugia né troppo tardi come se fosse un ponderato rifiuto. – Affari da sbrigare con… vecchie conoscenze.
 
- Ma certo – rispose Greg, scordandosi di ridurre al minimo il proprio tono amareggiato. – Dopo tutto quello che è successo, mi lasci da solo proprio questa sera.
Cercò di mettere da parte le scomode immagini di loro due insieme, un letto enorme, luce soffusa, corpi caldi, sudati, perfezione…
 
- Ero… compromesso emotivamente. A causa di mio fratello – replicò Mycroft, soppesando le parole come il politico dannatamente capace che era. - Non dirò che quella notte è stata uno sbaglio, ma è stata un’eccezione. Il lavoro e l’esercizio mentale sono ciò che contano per me, mi rincresce, Gregory.
 
Lestrade si morse l’interno della guancia per non lasciarsi sfuggire un piccolo lamento incredulo.
Il mio dannato nome sulla sua dannatissima bocca…
Ricordò le loro membra allacciate e le lenzuola sudate, mentre Mycroft gli poggiava un bacio leggero sui capelli e gli sussurrava che lo avrebbe sempre e solo chiamato così, ‘Gregory’, perché “è il nome che ti è stato dato, ed è così bello che vale la pena di pronunciarlo fino alla fine”.
A Greg era sembrato giusto, perché la sua ex-moglie lo aveva sempre chiamato solo Greg - o ‘fallito’, dipendeva dal contesto -, senza preoccuparsi di pronunciarlo del tutto. Così come non aveva raggiunto il suo cuore, del tutto.
Non come Mycroft Holmes.
Non si era accorto che un’elegante auto nera si era fermata alle spalle del suo interlocutore, in attesa, almeno non fino a quando Mycroft si schiarì la gola per attirare la sua attenzione.
 
- Buonasera, detective ispettore – salutò, formale, quando il suo autista gli aprì la portiera. – E buon San Valentino.
 
- Buoni affari – augurò Greg, incolore, cercando di inghiottire il nodo doloroso che aveva stretto in gola. – E buona festa degli innamorati.
 
Con un ultimo cenno, la figura di Mycroft sparì dietro a vetro oscurato e alla portiera. La macchina partì quasi subito, veloce e silenziosa com’era arrivata.
Incapace di zittire il proprio cuore, Greg lo lasciò lì, sull’asfalto sporca del parcheggio, simile a una delle raccapriccianti ‘opere’ di Hugh Graham.
Sospirando, rientrò dentro la sala conferenze, pronto per farsi sbranare un altro po’ dai pesce cani travestiti da media. 






(1) Scena ispirata al caso della puntata di Hannibal "Coquilles"

 
  
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