Fanfic su artisti musicali > Beatles
Segui la storia  |       
Autore: JennyWren    06/02/2014    11 recensioni
Mi porse una foto indicando i volti sorridenti dei ragazzi con la pettinatura a caschetto - Lui è George, poi c'è Paul, Ringo e quello dietro più in alto è..
- John - conclusi la presentazione fissando il volto del ragazzo dai capelli chiari e lo sguardo magnetico che sfoggiava un sorriso divertito.
Serrai la mascella stringendo la foto stretta tra le mani, il mio sguardo si indurì all'istante, avrei bruciato quella maledetta foto se solo l’avessi guardata ancora.
- Puoi ridarmi la foto? - la ragazza chiese titubante notando il cambiamento della mia espressione.
- Tienitela - Risposi con un tono glaciale
Dal cap. 21
Mi si bloccò il respiro per un attimo e un brivido mi salì sulla schiena, lasciandomi a bocca aperta. - Cosa? - Chiesi quasi senza fiato.
Patti mi guardò perplessa - Beh, Paul ha lasciato Jane appena dopo il tour scorso.
Il cuore batteva in petto come un martello pneumatico e sentivo la gola terribilmente secca. - Vado a bere - Mi diressi al tavolo con le bibite ma il mio sguardo si posò su l’ultimo arrivato, il ragazzo dai capelli neri in giacca e cravatta
Paul.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, George Harrison, John Lennon, Paul McCartney, Ringo Starr
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
P A G E

1995
 
Paul McCartney si era appena seduto sulla poltrona di pelle del salotto della casa londinese quando il telefono cominciò a trillare incessantemente.
Sospirò pesantemente, voltando il capo verso l’apparecchio che aveva disturbato la sua quiete e fece una smorfia, non aveva intenzione di alzarsi.
- James! - Provò a chiamare suo figlio che non rispose, probabilmente era fuori a giocare, data la bella giornata di Settembre.
 
Si alzò sbuffando, trascinandosi fino al telefono e, poggiando la fronte al muro freddo, rispose.
- Pronto?
- Chiamo dall’ufficio legale. Paul McCartney?
 
Paul smise di aprire e chiudere la rubrica che si trovava vicino al telefono e si rizzò con la schiena - Sì, mi dica.
La donna parlò in modo freddo. - Si tratta della signora Lennon.
“Yoko” Pensò Paul. “Che diamine vuole stavolta?” - Lennon?
- Judith Lennon, signore.
Paul spalancò gli occhi afferrando saldamente il telefono - Che cosa è successo? - Il tono di voce precedentemente calmo cambiò in uno ansioso e terribilmente preoccupato.
- È venuta a mancare ieri pomeriggio.
 
Paul sentì le ginocchia cedergli e la testa girare vorticosamente.
Era senza fiato.
Doveva essere uno scherzo, un fottuto scherzo.
 
- Come?! - Chiese incredulo mentre una lacrima cominciava a scendere dagli occhi chiari.
- Non sono stata informata dei particolari ma la questione è un’altra.
 
 
 
 
 
 
Sfrecciava in autostrada senza curarsi dei clacson che lo rimproveravano dei sorpassi. Sarebbe arrivato a casa sua in meno di dieci minuti.
 
“Perché? Perché fino alla fine hai voluto affrontare tutto da sola? Perché l’ho dovuto sapere così?”

Stringeva forte il volante tra le mani, battendo ditanto in tanto le mani in un gesto frustrato e disperato,  mentre le lacrime scendevano copiose dalle guance; in mente una sola immagine con una sola frase.


Frenò sul vialetto di casa sua, di quella che era casa sua e, camminando pesantemente sul terreno di ghiaia, bussò alla porta rossa, la porta che lo aveva accolto così tante volte, la porta dietro la quale Paul e Judith avevano condiviso momenti semplicemente indimenticabili.
 
Paul si trovò davanti ragazza di circa venticinque anni, e quasi smise di respirare nel notare la somiglianza tra la giovane e Judith, la sua Judith.
- Mi scusi? Lei…
 
Ascoltare anche quel tono di voce così maledettamente simile al suo fu una pugnalata al petto e Paul non riuscì a resistere dall’asciugarsi una lacrima.
Ingoiando più volte tentò di presentarsi come - Un caro amico della mamma.
 
La ragazza lo fece passare e Paul, senza togliersi la giacca entrò in salotto dove gli altri figli di Judith erano riuniti in silenzio.
Riusciva quasi a sentire la presenza tangibile di Judith in quella casa.
Dal modo in cui i libri erano riposti nella libreria e i vinili erano in perfetto ordine sugli scaffali. Era anche tipico di Judith avere tanti cuscini colorati sul divano, le tende aperte per illuminare le camere.
 
Aveva quasi voglia di chiamarla, di dirle di smetterla di scherzare, e farla spuntare fuori da qualche anfratto della cucina con il suo tipico sorriso, quello che gli riscaldava il cuore, ma poi notò dei ragazzi sul divano con delle espressioni distrutte e tutto tornò improvvisamente reale.
Judith non era in cucina, nemmeno fuori in terrazza. Non stava preparando la cena o curando le siepi, No, non c’era.
 
 
La più grande dei figli si presentò come Elizabeth, aveva ventisette anni, poi c’era George di ventitré, Annie di sedici e Paul di quattordici.
Non fu a causa del nome, a Paul bastò guardarlo per capire che Judith non aveva mentito.
Il più piccolo, quello con la chitarra in mano, girato di spalle nell’angolo era suo figlio.
Lo vedeva da come portava la chitarra in mano, da come si accovacciava su di essa, da come il capo scuro si inclinava a quel suono.
 
Gli ricordava tanto un ragazzino che alla sua stessa età aveva perso la mamma.
 
Elizabeth capì in un attimo cosa fosse successo ed era quella che, a differenza degli altri, era la copia della madre.
Paul ed Ellie, così aveva preferito farsi chiamare, parlarono a lungo, attorno al tavolo quadrato della cucina, spesso la ragazza si interrompeva per reprimere le lacrime ma riuscì comunque a definire i contorni della situazione che aveva spinto Judith a togliersi la vita.
 
Judith era forte, una vera roccia per gli altri ma all’interno aveva delle crepe, dei veri e propri squarci che la rendevano fragile.
Si era sempre occupata dei figli, a volte dimenticandosi di sé stessa.
Ellie era sposata e non riusciva a capire il comportamento della madre, aveva dei fratelli ancora piccoli e non poteva lasciarli da soli, li avrebbe tenuti con sé.
 
“La storia si ripete per i Lennon”, pensò Paul.
 
- Paul porta il cognome della mamma - Ad Ellie si incrinò la voce nel menzionare Judith.
Paul annuii. - Testarda anche in questo - Commentò stringendo i pugni sul tavolo, con l’ombra di un sorriso amaro sulle labbra. 
- La mamma parlava spesso di voi, di te e di zio John, intendo. Ogni volta le scendeva una lacrima ma diceva sempre che voi eravate indispensabili per lei. Papà è andato via quando Annie è nata, è stato un maldestro tentativo di restare insieme. Ma ha sempre voluto bene ad Annie, sia chiaro. - Si asciugò una lacrima e tentò di controllare la sua voce. - Poi è arrivato Paul e lei sembrava così felice e rilassata che, quella solita malinconia che le velava gli occhi sembrava sparita, nessuno si aspettava quello che è successo! - Scoppiò in lacrime e Paul la strinse per confortarla. - Dopo la morte di zio John, la mamma è crollata, cambiando completamente. Era diventata dipendente dagli psicofarmaci ma rifiutava di andare in una casa per curarsi. Ieri mattina ha avuto l'ennesima crisi ma i ragazzi erano a scuola; io ho chiamato a casa per chiederle se stesse bene ma non rispondeva nessuno ed ho avuto paura, una terribile sensazione che fosse successo qualcosa. - La ragazza si coprì il volto con le mani prima di proseguire. - Quando l'ho trovata a terra respirava ancora ma per i medici non c'è stato verso di fare niente!
 
Paul era troppo scosso per scoppiare in lacrime come lei, troppo segnato ed emotivamente distrutto per sfogarsi. Ma lasciò che la maggiore si rompesse in un pianto liberatorio.
Elizabeth non aveva spiegato ai suoi fratelli più piccoli tutta la verità, sarebbe stata troppo dura da sopportare per due ragazzini appena adolescenti.
 
- Vostro padre, Steve? – Provò a chiedere Paul, ma pentendosene subito dopo aver visto l’espressione della ragazza.
- Da quando ha saputo di Paul lui non ha voluto sapere più niente di noi. Ora si è risposato e vive in Germania. – Pronunciò in modo piatto, privo di sentimenti -  Sia chiaro eh, lui non ne voleva sapere niente di noi già da quando io e George eravamo piccoli. È stato un continuo litigio, la mamma voleva che se ne andasse e lui invece tornava a casa ubriaco. Ah quante volte abbiamo sentito la mamma implorare che lui la smettesse! – Serrò i pugni e Paul si sentì morire dentro.
 
 
Tornarono in salotto dove gli altri ragazzi erano seduti e Paul lo vide per la prima volta.

I capelli scuri, quasi neri gli incorniciavano il viso tondo nel quale due occhi verdi troneggiavano. Gli somigliava così tanto ma somigliava tantissimo anche a lei, il nasino piccolo e un po’ all’insù era come il suo e Paul avrebbe voluto tirare le testa nel muro così forte da farsi male fino a sanguinare, pur di non trovarsi nella situazione di riconoscere suo figlio dopo la morte di Judith.

Avrebbe voluto che le cose fossero andate diversamente.
 
- Lui è Paul McCartney, un amico della mamma - Lo presentò Ellie.
Gli altri figli gli strinsero la mano, tutti, tranne il più piccolo che continuava a fissarlo stupito, con quegli occhioni spalancati e le labbra rosse socchiuse.
 
- Paul? - Chiese, senza staccare gli occhi dai suoi.
- Come te - Rispose Annie, guardando suo fratello.

Paul avrebbe voluto dirle che si ricordava di lei, che si erano già visti, ma avrebbe dovuto spiegare un sacco di cose e quello di certo non era il momento giusto.
 
- Tu – Il ragazzino scattò in piedi rovesciando la chitarra a terra che finì ai piedi di Paul. Scosse la testa più volte, perdendosi nello sguardo dell’adulto di fronte al lui. - Tu sei quel Paul! – Urlò  puntandogli il dito contro, prima di scappare fuori al giardino, correndo come una furia.
 
Elizabeth strinse le braccia al petto mentre George fece per alzarsi ed andare da suo fratello.
Paul sollevò la chitarra da terra e non poté far a meno di notare le incisioni sul retro.
Judith aveva dato a suo figlio la chitarra che lui le aveva regalato il loro primo Natale insieme.
Paul la osservò ricordando l’espressione di Judith alla vista dello strumento, ne toccò i tasti al ricordo della ragazza seduta sulle sue gambe, con un’espressione concentrata dipinta sul volto, intenta ad imparare gli accordi che lui le spiegava con tanta pazienza.
 
Per Paul accettare la morte di Judith era difficile quanto accettare la morte di John, cosa che, seppur dopo quindi anni, non era riuscito ancora a fare. Avverrtiva ancora quella voragine nel petto nel momento in cui veniva nominato il suo amico, il suo migliore amico, quando distrattamente parlava della sua adolescenza con i suoi figli.
Poggiò la chitarra sul divano e chiese di poter accertarsi delle condizioni del ragazzo.
George lo guardò a lungo prima di annuire.
- La prego, Paul è un ragazzino. – Pronunciò prima di lasciare che Paul lo seguisse.
 
 

Era di spalle, strappava le foglie dalla siepe e le buttava a terra, ma la schiena sussultava di tanto in tanto.
Paul si avvicinò con cautela, attento a non spaventarlo e turbarlo più di quanto già non fosse.
- La mamma me lo diceva che un giorno l’avrei saputo, ma non volevo che fosse così. - Strappò un ciuffo di foglie, voltandosi.
- L’ho saputo stamattina anche io.
 
Ma il ragazzino proseguì come se non avesse detto nulla. – Lo immaginavo diverso, sai? Credevo che un giorno vi sareste rincontrati e che saremmo andati a vivere tutti insieme.
 
Paul sollevò gli occhi al cielo, reprimendo le immagini di un’ipotetica vita con il loro bambino, prima di guardarlo ancora.
Suo figlio singhiozzava sonoramente e in quel momento Paul combatté l'istinto di stringerlo tra le sue braccia per cercare di far svanire almeno un po' del suo dolore.
 
 - Anche io ho perso la mia mamma quando avevo la tua età. Reagivo allo stesso modo, con la chitarra. Appena sono entrato e ti ho visto di spalle l’ho capito. Prima di vederti. - Si avvicinò con cautela al ragazzino che sedeva a terra con le gambe incrociate, asciugandosi le lacrime con il dorso della maglietta.
 
 
Il piccolo Paul guardò l'uomo che per lui era ancora uno sconosciuto, esaminando i lineamenti di quel viso di cui la mamma spesso gli parlava.
 
- Parlava spesso di te, con me intendo – Pronunciò dopo un po' di tempo, accarezzando l'erba corta. - Diceva sempre "il tuo cognome è quello della mente e il tuo nome quello del cuore dei Beatles". - Fissò a lungo l'uomo che ormai, incapace di controllarsi, singhiozzava con il viso tra le mani.
 
Il piccolo Lennon lo osservò a lungo e tentennò parecchio prima di posare delicatamente una mano sulla schiena dell’uomo seduto al suo fianco.
 

“- Sai Paul, tuo padre era davvero bellissimo, e tu gli somigli davvero tanto! A volte mi sembra di vederlo, nel modo in cui scrivi, nel modo in cui sorridi. Gli somigli davvero tanto.”  Le aveva detto una volta, mentre Paul leggeva in giardino. Lui Aveva riso, aveva riso davvero tanto quando glielo aveva detto, ma adesso, avendolo a pochi centimetri di distanza si rese conto di quanto sua madre avesse ragione. Aveva davanti suo padre, il suo vero padre, e non riuscì a trattenersi.

Il ragazzino si fece spazio tra le braccia di Paul che non esitò a ricambiare la stretta, accarezzando i capelli di quello che sarebbe stato il suo ultimo ricordo della donna che aveva sempre amato.
- Oh Paul, mi dispiace così tanto, non sapevo nulla, Paul ti prego non essere arrabbiato con me – Pianse l’ex bassista dei Beatles, stringendo le piccole spalle del ragazzino – Ti prego.
- Non lo sono, ti credo – Esitò stringendosi forte l’uomo per sussurragli – papà.
 
Restarono in quel groviglio di braccia, di respiri mozzati dalle lacrime e dolore per ore e ore, non avevano intenzione di lasciarsi nemmeno per un minuto.
L'unica cosa che era rimasto ad entrambi era l'altro, Paul non aveva intenzione di lasciare suo figlio, voleva che il ragazzo stesse con lui. Il solo pensiero di lasciarlo andare era fisicamente doloroso per il musicista.

 
 
 

Il giorno del funerale Elizabeth prese la lettera che Judith aveva lasciato da leggere, le tremavano le mani talmente tanto che suo fratello George dovette sorreggerla.
Erano tutti seduti intorno al tavolo quadrato della cucina, guardandosi negli occhi l'uno con l'altro, tenendosi le mani a vicenda. 
 
Miei adorati,
a volte la vita gioca brutti scherzi alle persone migliori.
Questa volta è toccato a voi, perché se state leggendo questa lettera vuol dire che io non ci sono più.
Prima di piangere, prima di qualsiasi altra cosa, dovete ricordare solo questo: io vi amo. Vi ho sempre amati e continuerò a farlo adesso e per sempre.
Se ho preso questa decisione è perché non avevo più posto qui, ormai non ne faccio parte più da tempo.
Vi prego, non giudicatemi male, non pensate nemmeno per un momento che io vi abbia abbandonati perché non è così.
Voi quattro siete la cosa più bella che il mondo abbia mai visto, siete dotati di una luce che risplende dentro e contagia chiunque voi incontriate.
Siete i figli migliori che io possa avere e mi sento in colpa perché a voi sono capitata io come madre.
Ma ricordate sempre che voi,
Paul, Annie, George, Elizabeth,
Siete stati la pagina più bella della mia vita.
Judith.
 
Annie balzò dalla sedia per prima, per abbracciare sua sorella il cui pianto risuonava nella cucina poco illuminata, seguirono George e Paul che si chinarono su di loro per stringersi insieme. I ragazzi restarono stretti e il resto delle persone che si trovavano in casa non riuscì a trattenere le lacrime alla vista di quei quattro ragazzi distrutti dal dolore, nemmeno Paul che aveva ascoltato la lettera da dietro la porta riuscì a trattenersi, crollando su una delle sedie più vicine con il viso tra le mani.
 
Elizabeth si avvicinò lentamente verso Paul, dopo che tutti se n’erano andati e gli porse un cartoncino stropicciato. Paul sollevò lentamente gli occhi prima di afferrarlo lentamente.
 
“- Andiamo Paul, solo una foto! Per favore – Batté le ciglia in modo civettuolo una  Judith appena ventunenne.
- Ma sono in pigiama! – Si lamentò Paul sprofondando con la testa tra i cuscini del divano.
Judith si arrampicò addosso al ragazzo, puntellando i gomiti al lato della sua testa. – Ho detto fai una foto con me, bassista da strapazzo – Mormorò dritto nel suo orecchio, mordicchiando il lobo dell’orecchio del giovane.
Paul sospirò, soggiogato da quei gesti. Le sfilò la macchina fotografica dalle mani e la baciò a lungo, intrecciando le dita nei capelli ramati della ragazza. Poi un attimo prima di staccarsi dalle sue labbra scattò la foto ad entrambi, immortalando quel momento di genuina felicità all'inerno di una carta fotografica conservata gelosamente dal proprietario.
- Contenta, Lennon? - Chiese Paul dopo aver invertito le posizioni.
- Cristo Paul, tu mi fai impazzire – Sussurrò prima di abbandonarsi completamente a lui.”
Paul non riuscì a guardarla, non ne aveva la forza. La chiuse nel portafogli e sorrise alla ragazza, come ringraziamento. Elizabeth avrebbe voluto fargli tante domande, voleva sapere di più sul passato di sua madre, ma capì che non era il momento di chiedere nulla a Paul.

 
 
 
 
Paul aiutò i figli di Judith, passando spesso del tempo con loro, invitandoli a casa sua durante le feste, facendoli sentire meno soli. Infondo, li sentiva un po’ tutti figli suoi.
Annie decise di vivere con Elizabeth,  George studiava all’università di lettere e viveva Londra per conto suo. In una delle sue ultime telefonate aveva riferito al fratello di aver trovato “una ragazza fantastica!”.
 
Il test confermò la verità e Paul andò a vivere fino al compimento dei diciotto anni a casa dei McCartney, anno in cui andò a studiare in Italia, mantenendo il cognome di sua madre, scelta che suo padre aveva comunque rispettato.
 
E anche se Judith non c’era fisicamente, le cose, alla fine, andarono per il verso giusto.
 
 
 
Fine.
 
 
 
 
 
 
- John, possibile che con tutto questo spazio io debba tenere i tuoi piedi in faccia? Ma che schifo!
- Ma che lagna colossale che sei, Judith! Tanto sono eterei, nemmeno puzzano.
- Eterei o no, toglili da mezzo.
 
 
 
 
 
Angolo autrice.
 
Ebbene sì, ho messo la parola fine a questa storia, non potete immaginare quanto sia stato difficile ma ho dovuto farlo.
Non so cosa dire, è davvero strano scrivere il mio commento alla fine della storia, della mia prima storia.
Voglio ringraziarvi tutti, dal primo all’ultimo che ha letto questa storia, facendola balzare al secondo posto tra le più popolari. Ma non è questo che conta, è il fatto che voi, mie care lettrici, mi abbiate sempre supportata, scrivendo recensioni fantastiche, incitandomi a scrivere e a migliorare sempre di più, spero di non avervi mai deluse.
Ci sono persone che mi hanno seguita dall’inizio, che hanno aspettato i miei capitoli pubblicati con mesi e mesi di ritardo. Non so come ringraziarvi!
 
Come qualcuno di voi sa, ho cominciato un nuovo progetto, House of wax, spero di ritrovarvi anche lì!
 
Vi ringrazio tutti.
With love
JennyWren
   
 
Leggi le 11 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Beatles / Vai alla pagina dell'autore: JennyWren