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Autore: LittleBell    14/06/2008    5 recensioni
Ed era così, in effetti. Perché ancora una volta, per l’ennesima volta, Pansy stava ripensando a quel maledetto momento. A quella notte che le pareva lontanissima ed al contempo fin troppo vicina. Desiderava lasciarsi tutto alle spalle, lo desiderava per davvero. Ma mai qualcosa in vita sua le era parso tanto complicato e difficile. I sensi di colpa l’attanagliavano, le mozzavano il respiro. Non poteva evitarlo, lo sapeva bene. Aveva preso una decisione quel giorno, durante la battaglia, e non aveva voluto tornare indietro. Si era fatta violenza, aveva voltato il viso e tappato le orecchie per non vedere, non sentire. Per evitare di cedere alla tentazione di seguire il suo istinto, I suoi sentimenti. Aveva giurato che non ci sarebbero stati né rimorsi, né rimpianti. Ma, in fondo, era sempre stata una bugiarda. Con tutti, senza distinzione.
Genere: Romantico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: George Weasley, Pansy Parkinson | Coppie: Draco/Pansy
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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I'm so tired of being here

Suppressed by all my childish fears
And if you have to leave
I wish that you would just leave
'Cause your presence still lingers here
And it won't leave me alone

Sono così stanca di rimanere qui
Oppressa da tutte le mie paure infantili
E se te ne devi andare
Mi auguro tu voglia semplicemente andartene
Perché la tua presenza indugia ancora qui
E non vuole lasciarmi sola

Hogwarts – 1997

La battaglia infuriava ancora attorno a lei. Pareti e soffitti crollavano, lampi di luce di rincorrevano e rimbalzavano gli uni contro gli altri. Il rumore era assordante. La ragazza correva a perdifiato per i corridoi, schivando e lanciando di tanto in tanto incantesimi alla cieca. Le gambe le si facevano ogni secondo più deboli e faticavano a sorreggerla, ma lei non era disposta ad arrendersi.
Si fermò un istante, appoggiandosi al muro di pietra di una nicchia riparata, riprendendo fiato ed asciugando il sangue che copioso le imbrattava la manica del mantello. Un profondo taglio le incideva il braccio destro, eppure non sentiva nemmeno il bruciore della ferita.
Il cuore batteva all’impazzata, tanto che ne sentiva il ritmo accelerato anche ad orecchio ed in mezzo al baccano terribile della battaglia. Si portò una mano al petto, chiudendo gli occhi e poggiando la fronte sulla roccia fredda ed umida. Doveva schiarirsi le idee al più presto, non poteva permettere per nessuna ragione che il panico o l’angoscia s’impadronissero di lei.
Era sempre stata razionale e controllata al massimo. Anche fredda, forse. Ma di sicuro non aveva mai lasciato che le emozioni la soprafacessero a quella maniera, né che la lucidità l’abbandonasse.
Avrebbe desiderato con tutta sé stessa cercarlo e assicurarsi che stesse bene, che non fosse ferito o peggio, magari anche abbracciarlo e poter sentire le sue braccia forti cingerla ancora una volta. Ovviamente sarebbe stata la cosa più stupida che potesse fare in un momento del genere, con centinaia di Mangiamorte nei paraggi ed i suoi genitori schierati in prima fila. No, l’unica cosa da fare in quel momento era semplicemente riprendere la battaglia, relegare ogni sentimento in fondo al cuore ed assicurarsi che vi rimanesse, chiuso a chiave, fino a che quell’orrore non fosse cessato.
Doveva tornare ad indossare quella maledetta maschera che tanto odiava. Doveva indossarla e fingere che nulla fosse. In fondo lo aveva fatto per diciassette lunghissimi anni, che differenza faceva una sola notte di più? Nessuno se ne sarebbe accorto, così come nessuno se n’era accorto fino ad allora. Nessuno tranne lui.
Pansy serrò le dita attorno alla bacchetta che ancora teneva in una mano e si asciugò le lacrime che, ribelli, le solcavano le guance. Era una guerra quella. E loro erano nemici.
Nessun rimorso, nessun rimpianto, intimò a sé stessa lasciando la nicchia nella quale si era nascosta e gettandosi nella furia del combattimento.

I suoi passi risuonavano nel silenzio innaturale del castello. Ogni rumore pareva amplificato, rimbombava fra le pareti. Figure silenziose scivolavano lungo i muri, nessuno parlava. Ogni tanto si udiva un singhiozzo, l’invocazione di un nome. Ma erano solo attimi.
A Pansy sembrava di trovarsi in un sogno. Un sogno terribilmente reale e spaventoso. Camminava lentamente per i corridoi, dirigendosi verso la Sala Grande. Sapeva che non avrebbe dovuto, sapeva che poteva essere pericoloso. Tutti i Mangiamorte erano già fuggiti, cercando di salvarsi, dopo la sconfitta. Eppure era rimasta. Nemmeno le grida di sua madre, le intimazioni di suo padre, le suppliche di Draco l’avevano smossa.
Ovviamente nessuno sapeva perché era voluta rimanere, né quali fossero le sue intenzioni. E nemmeno dovevano saperlo. Le bastava poter assicurarsi solo che lui stesse bene e se ne sarebbe andata. Sarebbe scappata, come una codarda. Come un’assassina. Cha altro era, in fondo? Sarebbe scivolata via dalla sua vita, silenziosamente e gli avrebbe permesso di continuare sereno, felice. Senza di lei. Senza essere costretto a combattere per un amore che, lo sapevano fin troppo bene, tutto era meno che realizzabile.
Raggiunse la grande porta di legno e la varcò, nascondendosi nell’ombra. Non voleva di certo attirare sguardi su di sé. L’ansia l’attanagliava e le gambe le tremavano, mentre lo cercava con lo sguardo, fra la folla, fra i feriti a cui Madama Chips prestava le sue cure. I suoi occhi però rifiutavano di guardare a terra dove, sdraiati ordinatamente gli uni accanto agli altri, giacevano i corpi delle vittime. Voleva con tutta sé stessa essere forte, magari perfino distaccata, ma non riusciva ad accettare che lui potesse davvero essere morto.
O almeno fino a che non li vide. Otto teste rosse, inginocchiate sul freddo pavimento.
La signora Weasley singhiozzava, stretta al petto del figlio, mentre suo marito la sorreggeva. L’angoscia la pervase e, freneticamente, fece scorrere lo sguardo sui vari membri della famiglia, cercando quello sguardo che tanto amava. Un nodo alla gola le rendeva difficile respirare.
Ma si allentò, per un momento. Era lì, era lì. Accanto alla madre, i lunghi capelli scarlatti a ricoprirgli il volto e le guance rigate di lacrime trasparenti. Pansy s’aggrappò a quella speranza, tentando di controllare il battito del suo cuore, che furioso s’agitava nel suo petto. E’ lui, è lui, si ripeteva, sperando che il ragazzo alzasse gli occhi su di lei. Doveva vederlo negli occhi. Doveva.
Ma quando lui finalmente alzò il viso capì qual’era la verità. La pure a semplice verità. Così dolorosa da lasciarla del tutto svuotata. Gli occhi dorati che era riuscita a scorgere in quell’attimo non erano quelli di George.
Perché per il mondo magari erano semplicemente gemelli lui e Fred, ma lei non li avrebbe mai confusi. Ed era sicura di non sbagliarsi.


Sei anni dopo

Faceva dannatamente freddo quella notte, pensò la giovane dai lunghi capelli corvini, stringendosi di più nel lungo maglione viola che indossava.
Seduta su quella vecchia altalena, di dondolava lentamente avanti ed indietro, gli occhi fissi alle acque scure ed increspate del lago che si stendeva davanti a lei.
Il suo sguardo era incredibilmente vuoto. Pareva non vedesse nemmeno ciò che le stava di fronte, come se tutti i suoi pensieri, la sua mente fossero lontani mille miglia da quel luogo.
Ed era così, in effetti. Perché ancora una volta, per l’ennesima volta, Pansy stava ripensando a quel maledetto momento. A quella notte che le pareva lontanissima ed al contempo fin troppo vicina.
Desiderava lasciarsi tutto alle spalle, lo desiderava per davvero. Ma mai qualcosa in vita sua le era parso tanto complicato e difficile. I sensi di colpa l’attanagliavano, le mozzavano il respiro. Non poteva evitarlo, lo sapeva bene.
Aveva preso una decisione quel giorno, durante la battaglia e non aveva voluto tornare indietro. Si era fatta violenza, aveva voltato il viso e tappato le orecchie per non vedere, non sentire. Per evitare di cedere alla tentazione di seguire il suo istinto, i suoi sentimenti.
Aveva giurato che non ci sarebbero stati né rimorsi, né rimpianti.
Ma, in fondo, era sempre stata una bugiarda. Con tutti, senza distinzione. Gelida calcolatrice, Serpe per davvero. L’aveva giurato ed era venuta meno a quel giuramento.
Rivoletti di sudore freddo le colavano lungo la schiena, mentre con tutta la forza che possedeva combatteva contro le lacrime che si affacciavano ai suoi occhi.
Ti prego, sussurrava fra sé come una litania, vattene e lasciami in pace. Fa già abbastanza male senza che il tuo ricordo continui a tormentarmi.
Ma Pansy non sapeva che quella presenza silenziosa avrebbe continuato a tormentarla ancora a lungo. Non sapeva che era dentro di lei ad essersi spezzato qualcosa, e che era stata lei stessa la causa di quella rottura. Forse sarebbe cambiato qualcosa se quella notte, per la prima volta in vita sua, avesse deciso di seguire il cuore e non la mente, se avesse scelto ciò che voleva e non ciò che le conveniva. Forse sarebbe stato diverso o forse no, ma lei non poteva fare a meno di chiederselo, nonostante tutto.
 
These wounds won't seem to heal
This pain is just too real
There's just too much that time cannot erase

Queste ferite non sembrano guarire
Questo dolore è troppo reale
C’è semplicemente troppo che il tempo non può cancellare

“Pansy.” una voce profonda la distolse dai suoi pensieri.
Le mani calde dell’uomo alle sue spalle le si posarono sui fianchi, mentre sentiva il suo respiro spezzarsi  e la sua mente scacciare i pensieri che fino a poco prima l’avevano affollata, con disperazione e affanno, quasi temesse che lui potesse intuirli.
“Sì, Draco?” domandò, con tutta la calma e l’indifferenza di cui era capace.
Era ridicolo che dopo quattro anni di matrimonio le cose fra di loro fossero ancora così formali. Si era illusa che un pezzo di carta avrebbe potuto rendere tutto diverso, ma era stata una stupida. Come sempre.
“E’ tardi. Sarà meglio tornare dentro, non vorrei ti ammalassi.”
“Certo.”
Afferrò la mano fredda che lui le tendeva e si alzò, seguendo lo sposo dentro casa. Il cuore sanguinante e lo sguardo impassibile, impenetrabile. Non avrebbe fatto domande, Draco, no. Era abituato al comportamento bizzarro, solitario, scostante della consorte e non se ne era mai preoccupato. Perché avrebbe dovuto, poi? Il loro era un matrimonio di facciata, di convenienza. Perfino i muri lo sapevano.
Si limitavano a condividere la stessa casa, lo stesso letto. Partecipavano agli eventi mondani mano nella mano, ogni tanto azzardavano anche un mezzo discorso, giusto per spezzare il silenzio opprimente che regnava a Malfoy Manor. Ma nulla di più.
Non vi era mai stato amore e, con ogni probabilità, non ci sarebbe stato.
Ognuno combatteva la propria battaglia quotidiana contro i fantasmi del passato, ma mai ne parlavano, mai si confidavano l’un l’altra.
Curavano le proprie ferite in silenzio, lontano dagli occhi indiscreti dell’altro.
Così aveva imparato a fare anche lei, Pansy, per tentare di ricucire quel taglio che la lacerava in due da troppo tempo perché potesse ricordarne l’inizio. Quel taglio che probabilmente avrebbe smesso di tormentarla solo e solamente quando fosse stata in grado di dire addio una volta per tutte ad ogni ricordo. E lei lo sapeva che prima che arrivasse quel momento ne sarebbe passato ancora tanto, di tempo.
Perché tutto ciò che c’era stato fra lei e George non poteva essere semplicemente cancellato dallo scorrere ritmico dei secondi e dei minuti. Nemmeno se l’orologio sul comò avesse continuato a ticchettare per l’eternità.

When you cried I'd wipe away all of your tears
When you'd scream I'd fight away all of your fears
I held your hand through all of these years
But you still have
All of me

Quando piangevi asciugavo tutte le tue lacrime
Quando urlavi combattevo tutte le tue paure
Ho stretto la tua mano per tutti questi anni
Ma tu hai ancora
Tutto di me

Le lenzuola di seta nere si increspavano fra le dita sottili e pallide della donna, mentre le stringeva convulsamente, aggrappandosi ad esse e puntando lo sguardo fuori dalla finestra della camera. Il suo corpo immobile, del tutto in balia delle voglie del Principe delle Serpi.
Vi era abitauata, Pansy. La trattava alla stregua delle sue numerose amanti, la usava e non ne aveva nessun riguardo. E, cosa ancor più stupefacente, lei lo lasciava fare senza mai fiatare. Non le importava nulla, niente di niente.
La bocca dell’uomo baciava  la sua pelle bianca, catturando ogni tanto le sue labbra. Le sue spinte si facevano sempre più veloci e ravvicinate, mentre le sue mani la esploravano, accarezzandola con ben poca dolcezza.
Pansy strinse i denti. Sarebbe finito in fretta, si ripeteva, imponendosi di mantenere la calma, di non lasciare che lo sconforto e il dolore la sopraffacessero.
Sarebbe finito come tutte le altre volte, lasciandola fredda e vuota come un guscio. Sola con i suoi rimorsi e i suoi rimpianti a farle compagnia in quel letto troppo grande. Si sentiva sporca, e non riusciva ad evitarlo. In realtà non faceva nulla di male. Lei e Draco erano sposati. Eppure ogni volta era come una scossa, un sapore amaro le riempiva la bocca.
Un stella luccicò nel cielo, mentre Draco, esausto, si abbandonava a peso morto su di lei, poggiando la testa sul suo seno. Non parlarono, nessuno dei due aveva da dire nulla. Si limitarono a voltarsi ognuno dalla propria parte del letto, lui già per metà addormentato, lei gli occhi sbarrati nel buio e la pelle pervasa da tremiti.

You used to captivate me
By your resonating life
Now I'm bound by the life you left behind
Your face it haunts
My once pleasant dreams
Your voice it chased away
All the sanity in me

Tu mi catturavi
Con la tua luce accecante
Ora sono prigioniera della vita che hai lasciato indietro
Il tuo volto popola
I miei sogni una volta piacevoli
La tua voce scaccia
Tutta la sanità che c’è in me

Non poteva dormire. Nemmeno quella notte sarebbe caduta fra le braccia di Morfeo trovando conforto nell’oblio del sonno. Lo sapeva già, dopo essersi rigirata insonne fra le lenzuola, il corpo di Draco addormentato a pochi centimetri dal suo.
Si alzò, infilando una vestaglia color cremisi e scese al piano di sotto, in sala da pranzo.
Il pavimento di pietra le gelava i piedi, scalzi, facendola rabbrividire.
Forse, se si fosse distesa e avesse per lo meno tentato di rilassarsi sarebbe riuscita ad assopirsi. Ma non aveva nemmeno voglia di provarci, troppo spaventata che il suo viso potesse apparirle all’improvviso davanti agli occhi come già era successo in precedenza.
Un’immagine vivida e chiara che le se parava davanti prendendola alla sprovvista e facendola irrigidire e sgranare gli occhi, terrorizzata e boccheggiante. Convinta forse, per una frazione di secondo, che fosse reale e non solo uno scherzo crudele della sua mente.
Ovviamente non si trattava d’altro che di quello, perché ogni volta che aveva tentato anche solo di sfiorarlo, di accarezzare quei capelli rossi o le sue labbra rosee e sottili lui era svanito, dissolvendosi come una bolla di sapone troppo delicata per essere anche solo toccata fuggevolmente.
La sua vita si era trasformata in un incubo. In meno di sei anni si era ritrovata intrappolata in un matrimonio che non desiderava, schiava di un uomo che non amava, né stimava. Non aveva amici, non aveva familiari, nessuno che le volesse bene, nessuno che si preoccupasse anche solo minimamente di lei. Tutti i rapporti della sua vita erano mera finzione, una semplice facciata per tenere alto il suo nome e quello di suo marito.
C’era stato un tempo in cui Pansy era stata convinta di poter cambiare le cose per davvero.
Aveva davvero creduto che il suo futuro potesse dipendere solo e solamente da lei e che se l’avesse desiderato sarebbe stata lei l’artefice del suo destino.
Solo ora si accorgeva di essersi illusa inutilmente. Lui l’aveva illusa.
Con i suoi sogni, i suoi progetti. Le aveva giurato di amarla, le aveva mostrato un mondo che lei nemmeno poteva immaginare. Un mondo genuino e bellissimo, dove i sentimenti contavano per davvero e non si trattava solo di sangue e casata. Dove la gente ti giudicava per quello che eri, per chi eri. Non per le tue discendenze o il tuo conto alla Gringott.
Lui le aveva mostrato tutto ciò e lei, ingenua, aveva creduto di poter farne parte un giorno.
Aveva fantasticato come una stupida, arrivando perfino ad immaginarsi vestita di bianco mano nella mano con lui, in una piccola cappella di campagna.
L’aveva convinta che fosse bello poter sognare e costruire castelli in aria e lei, ancora una volta, ci era cascata. Se n’era accorta troppo tardi di quanto potesse essere doloroso vedere i propri desideri calpestati e stracciati, troppo tardi aveva capito che forse quei castelli era meglio non costruirli se poi il loro destino era finire distrutti fra mille calcinacci.
Era rimasta prigioniera della vita che lui le aveva promesso, ma che mai aveva avuto l’occasione di donarle per davvero. L’aveva catturata e racchiusa fra quelle illusioni e lei non era in grado di uscirne. Lo odiava, per quello.
Lo odiava per averla abbandonata in balia di quel mondo per il quale altro non era che la Regina delle Serpi, la moglie di Malfoy, la padrona di Malfoy Manor.
Attraversò il salone, raggiungendo un grande pianoforte d’ebano che troneggiava nel mezzo. Il silenzio che la circondava era quasi surreale. Si sedette sul piccolo pouf di velluto e sollevò la copertura, scoprendo i tasti neri e bianchi dello strumento.
Le sue dita scorrevano veloci, mentre una melodia dolcissima e struggente si diffondeva per la stanza, avvolgendola con le sue note.

But you still have
All of me...
All of me...
All of me...
All of me...

Ma tu hai ancora
Tutto di me…
Tutto di me…
Tutto di me…
Tutto di me…

Una volta avevano suonato assieme, ad Hogwarts.
Un sorriso triste increspò le labbra della mora, mentre chiudeva gli occhi e lasciava che i ricordi le sia affacciassero alla mente.
Era incredibile quante cose avessero scoperto di avere in comune, oltre l’apparente diversità che li aveva sempre divisi. Potevano parlare per ore di mille argomenti differenti senza mai annoiarsi o rimanere a corto di parole. Si sentiva diversa in sua presenza, anche se non avrebbe saputo spiegare come tutto fosse iniziato, come fosse possibile che a farla sentire così speciale, così importante fosse un Weasley che da sempre disprezzava e sbeffeggiava. Eppure era accaduto.
Pansy smise di suonare, bloccandosi per un attimo, le mani ancora posate sulla tastiera e gli occhi ombreggiati da un indefinibile sofferenza. Un lampo di decisione attraversò quelle pozze corvine, illuminandole per un attimo.
Si alzò, dirigendosi con sicurezza verso un piccolo armadietto di legno cesellato.
Prese una delle bottigliette di vetro e versò in un bicchiere una grande quantità del liquido scuro che conteneva. Poi sollevò il calice e scrutò le venature ambrate della bevanda.
Tornando a sedersi sullo sgabello vicino al pianoforte, bevve una lunga sorsata e tornò a suonare, come se nulla avesse interrotto quel piccolo concertino.
Era aggraziata nei gesti, nello far scivolare le lunga dita bianche sui tasti, nell’agitare leggermente la testa ogni qualvolta il ritmo della melodia cambiava.
Ed era bellissima. Questo nessuno avrebbe mai potuto negarlo.
Lui glielo ripeteva spesso e lei lo trovava estremamente fastidioso, eppure le mancavano i suoi complimenti. Nessuno gliene faceva più, nemmeno suo marito.
La paragonava sempre ad una fata, nonostante non fosse bionda né dolce o angelica.
Diceva che la sua pelle diafana gli ricordava la neve e lei l’aveva sempre trovato un paragone buffo dal momento che le pareva soltanto un pallore mortale il suo e di certo non gradevole. Ma lui riusciva sempre a vederla sotto una luce diversa.
In fondo, non era mai stato un ragazzo comune. Quello era poco ma sicuro.
La stupiva ogni volta. E lei amava essere stupita.
La faceva ridere con poco. E lei era rimasta colpita da quanto potesse essere bello ridere con lui.
Se ne usciva sempre con frasi o battute del tutto imprevedibili e lei non poteva fare a meno di sorridere, dolcemente.
Era innamorata, Pansy. Per la prima ed ultima volta in vita sua Pansy Parkinson, purosangue dal cuore freddo e impenetrabile, era stata innamorata per davvero.
Senza limiti né inibizioni.
D’un tratto le tornò alla mente una frase che lui le aveva detto un giorno, mentre se ne stavano comodamente sdraiati davanti al camino nella Stanza delle Necessità, e fuori pioveva a dirotto.
“Quando compro un libro io leggo l'ultima pagina per prima, così se muoio prima di finire so quello che succede. Questo, amica mia, è il lato oscuro.”
Era scoppiata a ridere nel vedere la sua espressione seria e il tono solenne in cui lui aveva pronunciato quelle parole, seguita subito anche dal rosso.
Ora, però, qualcosa in quelle parole la turbava terribilmente.
George non aveva potuto leggere l’ultima pagina della loro storia e non aveva mai saputo come sarebbe andata a finire. Era morto senza saperlo. Senza sapere troppe cose, a dire il vero. Era morto portandosela con sé, ma lasciando il suo corpo, vuoto e apatico, sulla terra.
Doveva per forza esserci un errore.
E Pansy avrebbe rimediato, avrebbe scritto e letto lei quell’ultima pagina a George.
Sentì il liquido ingerito poco prima diffondersi nel suo corpo, intorpidendolo.
Continuò a suonare fino a che le forze non l’abbandonarono del tutto ed allora si lasciò cadere a terra, mentre il calice appoggiato al suo fianco, si frantumava in mille pezzi sul freddo pavimento della sala.
Era vuoto lo sguardo che incontrò il mattino seguente Draco Malfoy, quando rinvenne il corpo della moglie. Era fredda la sua pelle, rigidi i suoi muscoli.
Ma sorridevano, le sue labbra.


Questa fanfiction è stata scritta per il Primo Contest organizzato dal forum "Mischief Fangril" (http://georgeandpansy.forumfree.net/?t=27377853).
La citazione usata è:  “Quando compro un libro io leggo l'ultima pagina per prima, così se muoio prima di finire so quello che succede. Questo, amica mia, è il lato oscuro.”  [Harry ti presento Sally]

Disclaimer: I personaggi non mi appartengono e non ne possiedo i diritti. Tutto ciò che vi è scritto nella storia è frutto della mia fantasia e non è stato scritto con l'intento di offendere nessuno.

  
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