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Autore: YamaTheShepherd    07/02/2014    1 recensioni
[BaDeul]
Il cuscino si affossò ancora di più, sotto al peso della sua testa e, istintivamente, lasciai che la maggior parte del mio peso finisse sul lato del corpo più lontano da lui, come se avessi paura di finirgli addosso. Ma lo spazio tra i nostri corpi era ugualmente minimo, tanto che sentivo il suo respiro sulla mia guancia. Era vicino, mi osservava, ma io continuavo a guardare le doghe del letto di sopra, ignorando quella graduale accelerazione dei battiti del mio cuore e l'inspiegabile impazienza che non mi rendeva le cose più facili.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Baro, Sandeul
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'autrice (o delle autrici?):
Finalmente siamo arrivate al secondo ed ultimo capitolo. Non ho molto da dire se non che avrei voluto pubblicarlo prima, ma continua ad esserci qualcosa che non mi convince tanto e sono insicura se pubblicarlo sia la cosa giusta da fare. Ma è passato molto non penso che riuscirei a ricavarci qualcosa di migliore, quindi basta. Spero possiate gradire.
- Yama


Capitolo Due



Ci sono state volte in cui mi sono detto che se lo sarebbe dovuto aspettare, che un po' era anche colpa sua se ci ritrovavamo in una situazione del genere. Che magari sarebbe dovuto venire da me per mettere in chiaro le cose, scusarsi, spiegarmi le motivazioni del suo gesto. Il perché del suo comportamento, dopo tutto quello, dopo avermi dato delle speranze, dopo avermi illuso... Ma per quale motivo si sarebbe dovuto scusare per qualcosa che, in realtà, mi era piaciuto?
Ed infatti era così, a me tutto quello era piaciuto. Mi era piaciuto restare solo con lui, avere il suo respiro addosso, sentirlo addormentarsi tra le mie braccia, e soprattutto mi era piaciuto quel bacio. Un bacio al quale, per settimane, avevo sperato in un seguito, ma che pian piano aveva portato solo al peggio.
Perché invece di avvicinarci, quel bacio, ci aveva allontanati? Per giorni ha continuato a sfuggirmi, a trattarmi come se non fossi nessuno, dimenticandosi persino che ero il suo migliore amico. E io da bravo stupido ho continuato ad andargli dietro, a farmi trattare male. Come se il solo vederlo non facesse già stringere il mio cuore in una morsa.
E in quel momento non sapevo neanche perché continuavo a farmi venire così tanti pensieri se lui, magari, nemmeno voleva cercare di risolvere questa cosa. Magari gli stava bene così, in fondo se l'era cercata.
Fu la voce di Jinyoung ad interrompere, finalmente, la serie di riflessioni che correvano nella mia testa. Era venuto ad avvertirmi del fatto che, lui e gli altri, avevano deciso di uscire insieme, approfittando del tempo libero di cui disponevamo.
Io non avevo alcuna intenzione di andare con loro. Mi ero sdraiato sul mio letto da meno di mezz'ora - ed era questo il motivo per il quale mi erano tornate in mente tutte quelle cose e quel giorno che tanto avevo cercando di dimenticare - avevo bisogno di riposare, e sicuramente non avevo voglia di passare del tempo con una certa persona le cui parole risultavano essere sempre troppo pungenti per i miei gusti.
Ad ogni modo, ci pensai un attimo prima di rispondere. Non è che non mi facesse piacere l’idea di passare del tempo insieme a loro, senza pensare al lavoro o ad altre cose stressanti, e magari mi avrebbe anche aiutato a mettere da parte, almeno per un po', tutti quei pensieri.
Però non me la sentivo proprio. Accettare mi avrebbe sicuramente fatto ritrovare in qualche situazione spiacevole. Magari mi sarei ritrovato a parlare con Baro di qualcosa che non riguardasse il lavoro, rischiando di arrivare ad un discorso imbarazzante, da cui difficilmente sarei riuscito ad uscire, finendo per incasinarmi ancora di più per la situazione che si sarebbe andata a creare.
«Scusami, ma forse è meglio che resti a casa. Lo sai, è tutto il giorno che ho mal di testa, ne approfitterò per riposare» mi limitai a dire, sperando che non se ne sarebbe uscito con qualche domanda a cui non sarei stato in grado di rispondere.
Il mal di testa non era una scusa. Ero stanco, parecchio stanco e, come ultimamente mi capitava, anche quella mattina mi ero svegliato con le tempie che mi martellavano e, di sicuro, avere quei pensieri per la testa non migliorava la situazione.
«Va bene, tranquillo… Risposati però, okay? Torneremo dopo cena, quindi preoccupati di mangiare qualcosa e non dormire troppo.»
Fu tutto ciò che mi disse. Il suo tono era gentile, come al solito, e i suoi modi poco invasivi. Probabilmente avrebbe voluto sapere di più, farmi altre domande, e trascinarmi giù da quel letto, ma non lo fece. Era tanto premuroso da preoccuparsi per un semplice mal di testa, ma aveva anche abbastanza riguardo da rispettare le decisioni di tutti noi, anche se queste andavano contro i suoi principi.
Così, quando tirai un sospiro di sollievo e annuii alla sua domanda, capì che era tutto lì; non avevo tanta voglia di parlare e lui mi lasciò stare, come desideravo.
Dopo avermi dato una pacca sulla spalla e augurato un buon riposo, si richiuse la porta alle spalle, facendo sprofondare la stanza nel silenzio.
Grazie a lui ero riuscito nuovamente a reprimere tutti quei pensieri; di sicuro non mi sentivo bene, ma ero abbastanza in pace da riuscire ad addormentarmi.
Non so quanto tempo passò: secondi, minuti o addirittura ore, non ne ero sicuro. In quel momento l'unica cosa a cui prestai attenzione fu il materasso che si abbassava al mio fianco, il quale mi risvegliò da quella specie di sonno in cui ero caduto poco prima.
Non ero neanche sicuro fosse la realtà, magari stavo solo sognando, per questo non pensai neanche di spostarmi da quella comoda posizione rannicchiata, in cui mi ero sistemato poco prima di addormentarmi.
Tutti quanti erano usciti, ero solo in casa, e non doveva essere passato troppo tempo da quando avevo chiuso gli occhi, quindi gli altri non potevano essere già rientrati. Eppure continuavo a percepire quella presenza lì affianco e questo iniziava a farmi sentire inquieto.
Un'improvvisa paura cominciò a salire; in quel momento, la cosa che mi spaventava di più, era che lì ci fosse qualche estraneo. Dopo tutto avevo logicamente escluso, a prescindere, tutti i membri del gruppo, essendo convinto fossero usciti. Ero ancora insicuro della veridicità di quelle sensazioni, ma - che fosse realtà o sogno - la cosa mi aveva letteralmente pietrificato.
Ero incapace di reagire, e persino respirare mi sembrava difficile. Proprio come un bambino spaventato dai rumori la notte, che si rifugia sotto le coperte, rimanendo in silenzio e cercando di fare attenzione a non fare il minimo movimento; che sta attento a tutto ciò che ha intorno, finché non si convince che è meglio ignorare, altrimenti non sarà mai in grado di addormentarsi. Ed in quel momento paragonarmi ad un bambino spaventato era la cosa più giusta.
Mi resi conto che non si trattava di un sogno, solamente quando una mano si andò ad appoggiare sul mio braccio. Sussultai leggermente, cercando di contenere il più possibile le mie reazioni, ma fu grazie a quello che scoprii chi realmente fosse, poiché riconoscerei fra mille quel tocco e quella mano: si trattava proprio di quella persona che in tutti i modi avevo cercato di evitare. Eppure quella scoperta non mi intimorì come avrebbe dovuto - come avrebbe fatto poco prima.
Tra tutti i mali che mi erano passati per la mente in quei pochi attimi, non avevo pensato neanche per un secondo alla possibilità che lui fosse rimasto a casa. La cosa mi fece sentire stranamente sollevato - non dovevo temere nulla di realmente pericoloso - e anche un po’ felice.
La sua mano si spostò lungo il mio braccio e raggiunse la mia, per poi andarla a stringe con delicatezza, iniziando ad accarezzarne il dorso col pollice.
Non sembrava aver paura di svegliarmi, o forse aveva già capito non stavo dormendo, dato che i miei muscoli non erano più rilassati e il ritmo del mio respiro era cambiato fin troppe volte.
Lo sentii piegarsi in avanti, e la cosa non fece altro che aumentare la mia tensione, tanto che, involontariamente, strinsi la sua mano. Mi fermai appena me ne resi conto, era stata una stretta così debole che sperai non se ne fosse accorto. Ma non ne ero tanto sicuro, non era il tipo da lasciarsi sfuggire questo genere di particolari, lo conoscevo bene e per certe cose eravamo decisamente troppo simili. Probabilmente lui se n'era accorto, come io mi ero accorto che il suo volto era a pochi centimetri dal mio. Il suo respiro, infatti, rimbalzava sulla mia guancia, e la tentazione di girarmi verso di lui e colmare quello spazio era tanta. Era quasi un movimento che il mio corpo mi spingeva a compire di sua iniziativa. Ma io di certo non ero intenzionato a farlo. Dovevo ricordarmi che ero arrabbiato con lui, che il suo comportamento mi aveva ferito per giorni, e che non volevo avere nulla a che fare con quel ragazzo.
Era quindi una fortuna che fossi girato da un lato e gli stessi dando le spalle. Non sarebbe riuscito a rubarmi un altro bacio, o almeno lo speravo, ma averlo così vicino era snervante, e mi sembrò fossero passati minuti su minuti, senza che lui muovesse un muscolo, finché non si decise.
Fu brevissimo, un attimo. Le sue labbra si posarono sulla mia guancia così velocemente che non ebbi neanche il tempo di reagire, ma non fui in grado - e neanche volli - di trattenere il sorriso che si formò sulla mia bocca.
Non me lo aspettavo assolutamente. Dopo tutto quel "ghiaccio" era riuscito nuovamente a riscaldarmi, con un gesto tanto carino da farmi dimenticare quanta paura avessi a rimanere solo in sua presenza.
Ma questo non voleva dire che non fossi ancora arrabbiato con lui.
«Perché sei qui?»
Sussultò leggermente alla mia domanda, probabilmente non se l'aspettava, eppure doveva essersi accorto che non stavo più dormendo. Fatto sta che lo sentii irrigidirsi e lasciò immediatamente la mia mano, forse spaventato. Balbettò qualcosa di incomprensibile per un po', parole troppo basse per essere comprese, e soprattutto confuse, non facendomi capire nulla di quello che stava dicendo.
«Cosa?» chiesi sforzando un po' il tono della mia voce, che inizialmente era più calmo e pacato, quasi volessi farmi rispettare da lui. Se facevo una domanda volevo una risposta, soprattutto se si trattava di qualcuno che per giorni mi aveva evitato e che sconti sulle sue pene non me ne faceva mai.
Tra un bisbiglio e l'altro lo compresi, quell'«Ero preoccupato» che mi fece perdere un battito di cuore, neanche mi avesse fatto una dichiarazione d'amore. Il mio sguardo si fermò su di lui, ero impietrito e se prima il mio cuore aveva smesso di battere, ora lo sentivo correre all'impazzata.
«Tu, preoccupato? Per me?» dissi inizialmente impacciato, ancora frastornato da quelle parole. Ma pian piano alzai il tono, mentre mi giravo verso di lui e mi sollevavo a sedere sul materasso, andando a guardarlo in volto. Una risatina mi sfuggì dalle labbra, mentre distoglievo un attimo lo sguardo, per poi ritornare serio su di lui. Sarei potuto cadere ai suoi piedi da un momento all'altro, ma delle semplici parole non mi sarebbero bastate, non più. Non dopo tutto il tempo che avevo atteso, aspettando di fare luce su quello che provava per me; ora mi sembrava quasi volesse prendermi in giro.
«Sì... Mi sono preoccupato» la sua voce continuava ad essere bassa e confusa; il suo sguardo si era andato a posare sulle sue mani che da un po' continuavano, irrequiete, a giocherellare con le proprie dita, cercando una distrazione.
«Preoccuparti per cosa? Non c'è niente che non vada, no? Va tutto bene, no?» il mio tono, a differenza del suo, continuava ad alzarsi, il mio petto a gonfiarsi e le mie guance a farsi rosse. Mi facevo coraggio da solo, cercavo di essere forte e, per una volta che potevo, magari sarei anche riuscito a fargliela pagare per quei mesi infernali.
Mi faceva piacere che fosse preoccupato, e anche troppo, ma più ascoltavo le sue parole più mi tornava in mente quello che mi aveva fatto passare. Più avevo voglia di sputargli tutto in faccia.
«... Preoccupato per il tuo mal di testa... E, ultimamente, sei strano.»
Scoppiai a ridere, questa volta in modo particolarmente rumoroso, ma non ero divertito da quello che stava dicendo, per niente, mi stava solo facendo salire i nervi.
«Io sono strano?» continuavo a ridere e aspettai di smettere prima di riprendere a parlare. Questa volta avrei messo in chiaro le cose; gli avrei detto chiaro e tonto quanto stronzo fosse stato. «Se ho mal di testa, se sembro pensieroso, strano, se mi allontano, è solo colpa tua, Sun Woo» non lo chiamavo quasi mai con il suo vero nome, solamente se quello che gli stavo dicendo era qualcosa di serio, che esigeva attenzione, esattamente come in quel momento. «E guardami quando ti parlo.»
Il suo sguardo si rialzò, lentamente, sul mio. «Mi dispiace...» continuava a parlare in quel modo fastidiosamente basso, quasi dovevo sforzarmi per capirlo. «Mi dispiace di essere la causa di tutto. Ma... Tu... Non puoi capire.»
«Non posso capire cosa? Perché devo essere trattato da schifo da quello che consideravo il mio migliore amico? No, devo essere sincero non lo capisco.»
«Non è quello... Non puoi capire quello che sento.»
«Neanche te lo puoi capire» sentii il vuoto nel mio cuore ricrearsi. Quel vuoto che qualche minuto prima mi aveva dato l'illusione di essersi riempito.
Scivolai giù dal letto, deluso. L'unica cosa che volevo era allontanarmi da lui. Questa volta sarei stato io a scansarlo, non mi sarei più fatto calpestare da lui. Ma appena feci un passo mi sentii tirare. La sua mano era andata a stringere un mio polso e, vista la forza con cui mi tratteneva, direi che non aveva intenzione di lasciarmi andare. Per quanto gli chiedessi di lasciarmi, lui non mollava la presa, trattenendomi lì.
«Io sono rimasto perché volevo parlarti. Parlare solo con te, senza gli altri intorno.»
«Parla allora» mi girai verso di lui un po' incuriosito, volevo sapere cosa mai avesse da dirmi, che giustificazioni avrebbe trovato.
«Sì, ma tu siediti e non andare via.»
Feci come mi aveva detto, appoggiandomi nuovamente sul materasso, ma senza promettergli che sarei rimasto. Volevo sentirmi libero di andarmene se volevo, ed evitare di sorbirmi altre sue stupide scuse.
Nonostante avesse detto che voleva parlarmi, riprese a stare zitto. Si massaggiava i palmi sul tessuto dei pantaloni, chiaramente teso, deglutiva fin troppo spesso e i suoi occhi vagavano per la stanza non riuscendo a rimanere mai fermi su qualcosa troppo a lungo.
Seppur fossi arrabbiato, a differenza sua, gli lasciai il suo tempo. Non ero così stronzo da mettergli ancora più ansia, nonostante mi pesasse stare lì ad aspettare. Ma alla fine si decise ad aprire bocca, e quello che mi disse fu la rovina.
«Sono confuso» inizialmente fu tutto ciò che uscì dalla sua bocca.
«E allora?»
«Sono confuso e spaventato. Ho paura di fare qualcosa che possa rovinare per sempre la nostra amicizia e la mia vita, e ho paura di non farne un'altra che potrebbe renderla mille volte migliore.»
«Non preoccuparti, la nostra amicizia sei già riuscito a rovinarla» il mio tono era duro e freddo, ma la mia voce calma. Se mi stava parlando sinceramente aveva il diritto di farlo e io invece non lo avevo per prenderlo in giro o dire cretinate. Mi limitavo quindi a fargli notare quale fosse l'attuale stato delle cose.
«No... Non dire così. Io ci tengo a te, sei ancora il mio migliore amico.»
«Che? Mi stai prendendo in giro?»
«No, non ti sto prendendo in giro. Tengo a te più che a chiunque altro, non voglio perderti, ma ho fatto un errore imperdonabile.»
Affondò i polpastrelli nelle sue cosce. Notai il tessuto dei suoi pantaloni ripiegarsi sulle sue dita e farne sparire parte della falange. Le sue mani si erano irrigidite, riuscivo chiaramente a vedere le ossa spuntare dalla pelle.
Vederlo così, stranamente, mi rilassò. Riuscivo a percepire la sincerità nelle sue parole e nel suo atteggiamento. Sembrava starci seriamente male. E allora perché aveva creato tutto questo?
«L'hai fatto. Ed è stato allontanarti da me» il tono della mia voce si era abbassato ulteriormente. Volevo apparire calmo, ma anche fermo e convinto, doveva capire che quello che avevo vissuto non era stato piacevole.
«L'ho fatto perché ho avuto paura.»
«Paura di cosa?»
«Paura di perderti per sempre.»
«E non stai facendo la stessa cosa in questo modo?»
«Sì... Ma, non posso vivere continuando a far finta di niente. Ed è più facile allontanare che essere allontanati.»
«E cosa ti fa pensare che io ti avrei allontanato?» A quel punto il suo sguardo si rialzò improvvisamente sul mio.
«Quello che ho fatto. Quello che provo... Non penso di essere in grado di nascondertelo ancora per molto.»
«Perché non mi hai chiesto cosa ne pensavo io?»
«Per paura di sapere cosa mi avresti risposto. Per paura di essere respinto.»
«Sei uno stupido.»
«Lo sono.»
«E sei stato uno stronzo.»
«Lo sono stato.»
«Vorrei mandarti via.»
«Non farlo...»
«Non posso» il suo sguardo era fisso nel mio; i suoi occhi mi catturavano senza darmi modo di distoglierli da essi; le parole sembravano aver abbandonato del tutto quel tono intimidatorio, ora probabilmente sembravo solo ferito. Lo ero, a causa di tutto ciò che aveva fatto. Ma ero anche perdutamente innamorato di lui, lo sapevo fin troppo bene.
«Se vuoi, puoi.»
«No Sun Woo, non posso mandarti via, per quanto ti abbia odiato in questi giorni, non sarà mai abbastanza.»
«Fai bene ad odiarmi.»
«Finiscila. Potresti meritare molto di più.»
«No, non posso.»
«Puoi, basta poco.»
«Non eri tu ad odiarmi?»
«Sei un idiota» lo dissi mentre mi allungavo verso di lui, mentre infrangevo quella barriera che si era creata tra noi e arrivavo alle sue labbra. Lo baciai velocemente, tanto che sentii appena il contatto con le sue labbra, ma non doveva essere così per lui. Si pietrificò davanti ai miei occhi, neanche avesse visto un fantasma.
Risi. Fu una risata sincera, dovuta a quella reazione adorabile. Lo osservai mentre i suoi occhi si abbassavano sulle mani che avevano rilasciato, finalmente, il tessuto dei pantaloni. Lo osservai mentre una di queste si sollevava lentamente e andava a sfiorare le sue labbra. Lo osservai mentre, ancor più lentamente, si girava verso di me, gli occhi spalancati, la mano ancora sulle labbra, incredulo.
Sorrisi.
Dov'era finita tutta la rabbia? Dove erano andati tutti i ricordi spiacevoli che avevo accumulato per giorni?
Sun Woo, sono mai stato veramente arrabbiato con te? O forse volevo solo che mi notassi? Che tu mi desiderassi. Che fossi tuo, e tu mio... Solamente questo. Era tutto ciò di cui avevo bisogno.
«Cosa significa?» Le sue labbra tremolavano, mentre si muovevano e pronunciava quelle parole. Capivo perfettamente quella sensazione, come se il corpo non volesse più rispondere, come se si temesse di crollare da un momento all'altro. Se, il giorno in cui era stato lui a baciarmi, avessi provato ad aprire bocca, probabilmente non sarei riuscito a far uscire neanche una parola.
«Che sei scemo» risposi portando una mano davanti la bocca a coprirla, mentre un'altra piccola risatina sfuggiva alle mie labbra. «E che mi piaci.»
Sembrava sbalordito. Tutto di lui me ne dava la conferma.
Afferrai la mano che ancora toccava le sue labbra, anche se queste ora erano leggermente aperte e sembrava più volesse entrare ed esplorare l'interno della sua bocca. La scostai, andando a sostituirla ancora una volta con le mie labbra.
Chiusi gli occhi, mentre cercavo di rilassarmi e di rendere il bacio meno impacciato e più sicuro. In fondo anche io ero teso, emozionato, e addirittura sorpreso da quello che io stesso stavo facendo. Ma riuscii a calmarmi - per modo di dire - solamente quando sentii le sue labbra rilassarsi sulle mie, distendersi morbide anche se ancora un po' tremolanti, e l'altra sua mano andarsi ad appoggiare alla mia guancia.
«Sono innamorato di te, Sun Woo. Ora prenditi le tue responsabilità, trasforma le mie speranze in qualcosa di reale, e non abbandonarmi più.»
Non riuscii ad allontanarmi troppo dalle sue labbra, tanto che, mentre parlavo, finivo per strusciare contro la sua pelle morbida e calda, consapevole del fatto che non avrei dovuto aspettare molto per poterla riavere indietro, in qualche altro breve e ancora timido bacio.
Riaprii gli occhi solamente perché lo sentii spostarsi. Lo osservai mentre si sdraiava al mio fianco e, continuando a trattenere il respiro, mi tirò con lui, facendomi sdraiare al suo fianco. Lo spazio era quello di un misero letto ad una piazza, metà del mio corpo era sopra al suo, il mio capo appoggiato sulla sua spalla, sollevato così che le sue labbra potessero continuare a riempire di attenzioni le mie.
Mi ricordai del nostro primo bacio, di quando ci addormentammo abbracciati, di quando da quel giorno avessi aspettato di poterlo stringere nuovamente in quel modo. Eppure erano le sue di braccia che ora si stringevano intorno alle mie spalle, era la sua mano che ogni tanto andava ad accarezzarmi i capelli o la schiena.
Avevo immaginato tante volte il momento in cui avremmo fatto nuovamente pace, in cui saremmo abbracciati, baciati di nuovo. Ma avevo dimenticato quanto buono fosse il suo odore da una distanza così ravvicinata, di quanto dolce fosse il suo sapore e caldo il suo corpo. Ero sicuro che quello non fosse solamente un sogno. Finalmente non lo era, e questa volta lo avrei vissuto appieno, non mi sarei addormentato.
   
 
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