Fanfic su artisti musicali > Metallica
Ricorda la storia  |      
Autore: Marguerite Tyreen    08/02/2014    5 recensioni
Il tuo sorriso mi dava sempre un brivido disturbante, perché era quello che mi rivolgevi prima di inchiodarmi sul letto o di fare a pugni. Chissà cosa mi faceva più male: ogni contatto con te mi lasciava, comunque, sconfitto e dolorante. Che tu mi stringessi con rabbia o con desiderio, sentivo la mente bruciare, l’ombra nera staccarsi dal muro dei pensieri, estendersi, diventare reale e trascinarmi via. Sarebbe stato facile abbandonarmi tra le percezioni eternamente falsate della follia, per non provare più nulla, per non ricordare più nulla.
***
James e Dave. Non è stato facile amarsi da ragazzi, nonostante i sogni e le speranze. Lo è stato ancora meno lasciarsi per proseguire da soli. Ma, adesso, la Musica e la Sorte li hanno messi nuovamente sulla stessa strada: cos'è rimasto da salvare? Quando è necessario trovare il coraggio di dirsi addio?
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Note sparse:
La storia – raccontata in POV di James Hetfield – è ambientata durante la reunion della line-up originale dei Metallica nel dicembre 2011. Il flashback centrale non ha una collocazione precisa e non è importante che ce l’abbia: ma indicativamente potrebbe trattarsi dell’estate dell’82.


Ringraziamenti:
Un grazie speciale a Silvia perchè, senza quel post di Tumblr, probabilmente non avrei partorito questo delirio e - sicuramente - non l'avrei pubblicato qui ^.^

 

 

Loneliness is not only felt by fools


 

10 dicembre 2011. San Francisco.

I tuoi capelli sono rimasti sempre uguali: una fitta nube di scintille e fiamme rosse, che ricadono in onde morbide sulle spalle. Anzi, più ti guardo, più sembra che tutto sia rimasto lo stesso. Riesco persino ad illudermi che il tempo non ci abbia nemmeno sfiorati, lasciandoci intatti: due ragazzi folli e pieni di sogni.
Invece, qualcosa è inevitabilmente cambiato. Hai sguardi pacati e maturi, adesso, da rivolgere a lui, mentre ti sorride e ti sfiora le mani. Una volta, erano per me, soltanto per me.
Ellefson ti cinge le spalle con finta casualità, per infonderti coraggio. Mi risulta stucchevole o, forse, ne sono soltanto geloso. Ti sistema la cinghia della chitarra e mi sembra che, quella stessa cinghia, sia avvolta attorno alla mia gola, talmente stretta da togliermi l’aria.
Non credevo che rivederti avrebbe potuto farmi questo effetto.
Non so se tu sia felice, ma è evidente che sei sereno. Dovrebbe farmi piacere e, invece, mi ritrovo a strozzare il collo della mia chitarra, fino a farmi diventare bianche le nocche. Ci eravamo promessi che l’avremmo trovata insieme, la felicità.
E ora siamo qui. Non ci siamo mai veramente perduti, ma non posso più raggiungerti. C’è troppa distanza, tra noi, la distanza di quando si appartiene ad altri.

 

- Dave? Ehi, Dave?
Quando eri intento a suonare, rispondevi di rado. Ci avevo fatto l’abitudine a vederti raggomitolato sul letto sfatto, con la schiena contro il muro, la chitarra in grembo e l’espressione assorta. Meglio, assente. Era un mondo soltanto tuo, quello, dove a nessuno era consentito entrare, neppure a me.

Non ti ho mai capito davvero, nonostante quelle note aspre a volte aprissero uno squarcio dove, altrimenti, ci sarebbe stato solo il silenzio. Il dolore e la rabbia delle confidenze scorrevano insieme alla birra, nelle notti, ma non era mai abbastanza.
Ho sempre pensato che il tuo talento fosse il tuo rifugio, l’unica cosa che possedessi in pieno e per la quale non avresti dovuto accusare né ringraziare nessuno al di fuori di te stesso.
In quei momenti, o ti assestavo un pugno sulla spalla, perché era ridicolo guardarci giocare agli artisti ispirati, o ti abbracciavo. Così, senza una ragione, senza parole, senza note, in una quiete fragile e forzata che mi permetteva di ascoltare persino il tuo respiro teso. Era difficile stringerti: le tue inquietudini finivano per attaccarmisi addosso, per mescolarsi con le mie che, da sole, bastavano ad indicarmi – troppo spesso – il baratro della pazzia, pronto a franare.
- Pianeta Terra chiama Mustaine.
- Jamie! Ero… distratto. – avevi la voce impastata di alcol, fumo e stanchezza.
- Che ti prende?
- Niente.

- Non vendermela come se stessi bene, Dave.
- E’ colpa dei fottutissimi giornalisti: non ci lasciano la minima speranza di successo.
- Sta’ allegro, David. Sei l’unico che la critica salva, qui dentro.
Non eri convinto e mordicchiavi l’angolo del plettro, coscienziosamente, come se fosse stata un’operazione di fondamentale importanza.
- Sai, Jamie, la cosa non mi rallegra affatto.
- Avanti, adesso non ti ci mettere anche tu con tutte queste stronzate sul fatto che siamo un gruppo e che se affondiamo o sfondiamo lo facciamo tutti insieme.
Allungai la mano verso il comodino, scoprendo con disappunto che la birra che vi stava sopra era calda e aperta da epoca immemorabile, ma mi costrinsi a portarla ugualmente alle labbra.
- Mi ci metto, sì, ma non per le implicazioni romantiche che credi.
Implicazioni? Dove cazzo le trovavi, certe parole? Lo sguardo mi cadde su una copia sgualcita de Il Principe, che aveva fatto da sottobicchiere alla birra fino ad un attimo prima.
- Sei la persona più assurda che conosca.
- Grazie.
- E allora? Quali sono queste implicazioni?
- James, guardami bene: conosci la merda in cui sono cresciuto. Sai cosa ho fatto per arrivare fin qui, non sempre ne vado orgoglioso, ma non ho avuto scelta. Se voi andate a fondo, ci portate anche me e io, indietro, non ci voglio tornare.
Mi scostai, davanti al lampo di violento disprezzo che ti aveva fatto sussultare. Il tuo sorriso mi dava sempre un brivido disturbante, perché era quello che mi rivolgevi prima di inchiodarmi sul letto o di fare a pugni. Chissà cosa mi faceva più male: ogni contatto con te mi lasciava, comunque, sconfitto e dolorante. Che tu mi stringessi con rabbia o con desiderio, sentivo la mente bruciare, l’ombra nera staccarsi dal muro dei pensieri, estendersi, diventare reale e trascinarmi via. Sarebbe stato facile abbandonarmi tra le percezioni eternamente falsate della follia, per non provare più nulla, per non ricordare più nulla.

Mi chiedo come abbia potuto risalire sempre la fossa, dove abbia trovato la forza di continuare ad essere presente a me stesso, se in te o nella Musica.
- Ti faccio paura, Jamie? Beh, fai bene ad averne perché, se questa band va a puttane, io ve la farò pagare cara. Cosa avevo in testa quando ho accettato?
- Guarda che la porta è sempre là. Magari fai anche un favore a tutti.
- Soprattutto a te, non è vero? Avresti tutta la scena a disposizione.
- Finiscila. Non voglio che tu te ne vada, ma nemmeno che ci spali merda addosso. Il nostro gruppo merita rispetto.
- E io no? Ho passato i venti e ancora faccio il mercenario per altri.
- Se il rispetto, per te, significa comandare tutti quanti, allora no, non lo meriti.
La bottiglia cadde a terra, coprendo il pavimento di schegge e facendomi realizzare che mi avevi colpito sulla guancia. Era stato il rumore a riscuotermi, più del dolore di quando mi avevi scostato i capelli dal viso e preso a tamponarmi il labbro, per non sapere che fare.
- Scusami… Scusami, Jamie, non volevo, mi dispiace. Devo sempre rovinare tutto, io. Jamie, ti prego, so che sono uno stronzo, ma non andar via. Per favore, rimani un po’.
Anche avessi voluto andarmene, mi stringevi talmente tanto forte i polsi da impedirmelo.
- Non me ne vado, ho solo bisogno di una birra.
- La prenderai dopo.
- Come vuoi.
Ti tremava la voce e non riuscii a dirti di no. Fuori, la notte regalava finalmente un po’ di tregua alla città dal caldo insopportabile di quell’estate. Il tempo di distrarmi a guardare dalla finestra i fari delle macchine confondersi con le luci dei palazzi e già tu eri scivolato a terra, seduto sul pavimento, incurante dei cocci.
- A volte penso che le cose andrebbero meglio per tutti se mi togliessi di mezzo. Sono sempre stato un peso, fin da ragazzino.
- Piantala di dire cazzate, certe cose non le devi nemmeno pensare. Sarà Dio a decidere quando verrà il tuo momento.
- E se io volessi sostituirmi a Dio? – una delle schegge più grosse, premuta di punta sul polso, lasciò stillare una goccia scarlatta, che macchiò la tua pelle bianchissima – Sarebbe facile farla scorrere più a fondo, no? Chi me lo potrebbe impedire?
Ti strappai il vetro dalle mani e ti gettai sul letto, tenendoti le braccia imprigionate ai lati del viso.
- Che stai facendo, James?
- Ti impedisco di fare l’idiota. Perché io ci tengo a te, razza di coglione.

La mia fronte contro la tua: ansimavamo entrambi. Anche se ti dibattevi, avrei voluto baciarti; ma mi girava la testa, forse per il maledetto fondo di quella birra, forse per il profumo dei tuoi riccioli. Allentai la presa, sperando che fossi tu ad accarezzarmi, ma la carezza non arrivò: guardavi lontano.
- Io voglio diventare il migliore, James. Non voglio più essere lo sfigato della scuola, con i capelli rossi e la famiglia allo sfascio. Voglio essere ricordato come il grande Mustaine, che fa ciò che gli pare con la sua chitarra. Voglio restare nella storia della musica.
- Ma tu sei già il migliore.
Non resistetti oltre e affondai le dita tra i tuoi capelli, ricevendo – adesso sì – un bacio sulle labbra. E un altro e un altro ancora, in un divorarsi delle nostre bocche. Bastava sfiorarsi appena, bastava respirare più pesantemente, che già ci cercavamo.
- Dimmelo di nuovo, Jamie.
Non aveva senso tentare di oppormi, schivare i baci sempre più profondi che continuavi a darmi, dopo avermi rovesciato sotto di te e premuto contro il materasso. Naufragavo in un mare di piacere, seta rossa e perdita di dominio. Le mie mani, aperte sul tuo petto, volevano respingerti, ma ne erano incapaci, mentre tu cercavi le mie spalle sotto la stoffa della maglietta, con disperazione, e mi lambivi il collo con la punta dei denti, costringendomi a trattenere un gemito.
Giusto o sbagliato che fosse, ti volevo tra le mie braccia, ti desideravo, al di là di tutto quello che mi avevano insegnato da bambino.
- Sei il migliore, Dave. Lo sei. And you’re my everything, too.
Dovevo essere ubriaco marcio. Ma pensavo davvero ciò che avevo detto. Mi aspettai una risata di scherno che, invece, non arrivò.
- Avrai ciò che sogni, Dave: hai talento e te lo meriti.
La tua lingua si faceva strada e io mi lasciai condurre finché non ti vidi calmarti e rotolare al mio fianco. Starmene sdraiato tra le tue braccia era sempre spiazzante, eppure finivo per acciambellarmi fiducioso per farmi accarezzare. Ci ritrovavamo a rassicurarci a vicenda, smarriti entrambi nell’ora più buia delle notti e delle nostre paure.
- Jamie, lo sai perché voglio avere successo? – mi baciasti la fronte – Perché voglio emergere dallo schifo? Perché ti voglio portare via con me.
- Ma quanto cazzo hai bevuto, Dave?
- Tanto. Ma non abbastanza da non capire quello che sto dicendo. Ciò che sogno per me è ciò che sogno anche per te. Non permetterò che qualche accidenti di giornalista si prenda la libertà di stroncarti. Eppoi hai patito abbastanza anche tu. Un giorno o l’altro ti porto via, te lo prometto. Saremo felici, Jamie. Tutto il mondo sentirà parlare di noi. Saremo ricchi, famosi e felici.
- Insieme, Dave? – mi rilassai sotto il tuo tocco fattosi lieve, abbandonandomi sulla tua spalla e cingendoti i fianchi.

- Insieme, Jamie.


Magari non avrei dovuto dare così tanto peso al delirio di onnipotenza di due ragazzini con troppa fantasia. Abbiamo fatto grandi cose, è vero, ma è insostenibile constatare come le abbiamo portate a termine su strade così distinte.
Ma adesso Ellefson sarà andato a sedersi in prima fila, meglio così: sei rimasto solo e l’illusione che il tempo si sia fermato è ancora più viva.
- Dave!
- Oh, James! Nervoso per lo show? Non continuerai ad aver paura di parlare in pubblico?
Sei di buon umore e mi viene da scherzare: - Anche se mi mancano le stronzate che sparavi dal palco, ho imparato a dirne di altrettanto valide. Adesso m’è rimasta solo la paura di parlare in privato.
- In privato?
- Sì, con te. Sai, Dave, sono felice che tu abbia accettato di venire ad esibirti con noi.
- Credo che farà bene a tutti per… non so, gettare nuove basi.
- Mi dispiace, Dave. Intendo, per quello che è successo. – ormai le parole escono da sole – Non credere che non abbia dovuto convivere con i sensi di colpa fino ad oggi.
- Jamie, non ce l’ho mai avuta poi così tanto con te. Cioè, i primi tempi forse sì, ma avrei spaccato il mondo per il rancore. Poi ho capito che non era colpa tua. Quando mi hai messo su quel bus, quando abbiamo rischiato di scoppiare a piangere entrambi… - lasci morire le parole sulle labbra.
- Potevo almeno darti venti dollari per il viaggio.
- Ma chi se ne frega dei soldi! Era te che non volevo perdere.
È un attimo stringerti contro il muro. Hai lo stesso profumo di allora e i tuoi capelli tornano a solleticarmi il viso, mentre ti bacio la gota.
- No, ti prego, Jamie, fermati!
- Solo una volta, solo un’ultima volta. – appoggio la mia bocca alla tua.
- Che Dio mi perdoni per questo.
- Che ci perdoni entrambi.
Ti metto a tacere. Metto a tacere le voci delle nostre coscienze, avventandomi sulle tue labbra in questo bacio che sa di desiderio, di attesa, di addio.
Forse, per un istante, si riaccende quella fiamma che credevamo sopita, perché ti stringi a me, d’istinto, all’improvviso, rispondendomi con passione mal trattenuta.
- Davey, quanto mi sei mancato!
Ti stacchi bruscamente, ravviandoti i riccioli: - Non dire niente. Non dire niente, per favore. Quel tempo è finito. Scusami, ma io lo amo, Jamie.
Lo so, lo so che lo ami, ma io… No, che senso avrebbe, adesso?
- Jamie, mi dispiace: sono passati tanti anni.
- Tranquillo. Hai ragione tu: c’è lui adesso. Ci vediamo sul palco, eh, Davey?
Tu sorridi, rassicurato e, in fondo, è tutto ciò che conta. David ti rende felice, non mi metterei mai tra voi. È vero: quel tempo è finito. Non mi appartieni, non potrai più appartenermi. Ma non sei mai stato troppo lontano dal cuore e non lo sarai nemmeno ora. Possiedo ciò che abbiamo avuto, per questo posso lasciarti andare da lui. Ti guardo sparire dietro la cortina pesante del sipario.
Va’, David. E’ giusto così.

 
   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Metallica / Vai alla pagina dell'autore: Marguerite Tyreen