Libri > Percy Jackson
Ricorda la storia  |       
Autore: AxXx    08/02/2014    5 recensioni
Salve, popolo di EFP e amanti della Percabeth in particolare. Questa storia parla di un mondo senza genitori divini, Dei o mostri vari a cui dare peso.
Annabeth è una ragazza ricca che desidera diventare architetto, ma un giorno la sua vita cambia radicalmente e lei si ritrova isolata dal mondo, senza memoria e senza nulla che glielo faccia ricordare. Solo una persona la aiuta: un ragazzo di nome Percy Jackson.
Il passato, però, torna sempre a tormentarci e lei lo scoprirà nel modo peggiore.
[Percabeth]
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Luke Castellan, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

                                                   RAPITA

 

 

 

 

La vita può cambiare radicalmente, da un giorno ad un altro. Spesso cambia lentamente, altre volte, invece, cambia così velocemente che quasi non te ne accorgi.

Io ho avuto quest’ultima possibilità.

La mia vita cambiò radicalmente da un momento ad un altro. Non ci credete?
Allora ricominciamo dall’inizio vero e proprio.

Il mio nome è Annabeth Chase ho 17 anni, figlia del molto più famoso architetto Fredrick Chase e Atenia Chase, titolare di una grande industri per l’alimentazione energetica. Diciamo che dire che sono ricca è un eufemismo. Mio padre è uno dei più famosi architetti del mondo. Conteso tra decine di aziende e agenzie, ed è persino riuscito a vincere un appalto per ristrutturare un’ala della Casa Bianca. Mia madre, invece, era una delle donne in carriera più importanti della costa occidentale. La sua azienda  forniva energia a quasi tutti gli stati della California ed era diventata particolarmente nota perché era stata una delle prime a sfruttare energia rinnovabile in grande quantità. Aveva contratti milionari in molti stati.

 

 

Era una bellissima mattina di fine inverno nella bellissima New York ed io ero felicemente sveglia nella mia stanza. Ero in un ricco appartamento pagato da mio padre per farmi partecipare ad un corso di studio per architetti, dato che il mio sogno era succedere a mio padre come architetto di carriera. Casa mia era una villa sulla costa californiana, ma non mi era mai piaciuto ostentare troppo la ricchezza su cui potevo contare.

Non mi piacevano i vestiti ricchi, nemmeno fare shopping, se per quello. La mia passione più grande era soddisfare la mia curiosità visitando musei, monumenti e altre grandi opere del presente e del passato. Quando potevo mi infilavo in biblioteca o in una libreria, infatti camera mia a casa, era strapiena di libri, mentre il mio armadio tendeva ad essere sempre un po’ carente.

Quella mattina avrei dovuto prendere l’aereo privato che mio padre aveva noleggiato a posta per farmi tornare a casa in tutta comodità. Il mio appartamento aveva solo una camera da letto, una piccola cucina e una toilette personale. Comodo, ma non particolarmente ricco. Inoltre, al contrario di altri, mi occupavo io di tutto, compresa la pulizia. Non mi dispiaceva la solitudine.

Quando la sveglia suonò mi rigirai subito nel letto, spegnendola: erano ancora le 8.30 e io avevo ancora mezz’ora prima che l’autista di mio padre venisse a prendermi. Non mi piaceva molto, avere un autista, ma ogni tanto i miei insistevano non mi opponevo, d’altra parte non era male.

Mi alzai, indossai un paio di jeans e una camicetta e feci una veloce colazione a base di caffelatte e dei biscotti, mentre guardavo le ultime notizie alla televisione.
Mentre aspettavo che arrivasse l’ora di partire mi misi a leggere, spegnendo l’apparecchio. Quasi non mi accorsi di quanto tempo fosse passato, ma la mia attenzione fu attirata dall’orologio verso le 8.50, facendomi intuire che era il momento di partire. Una fortuna che avessi preparato i miei bagagli la sera prima. In realtà avevo solo uno zaino in cui avevo messo un paio di libri, il mio cellulare e il mio portafoglio. In una valigia, invece, avevo messo tutti i miei ricambi. Indossai una giacca e uscii.

Scesi con l’ascensore fino al parcheggio sotterraneo, dove notai subito la limousine che mi attendeva. Mi avvicinai con calma, incurante di tutto, finché non mi avvicinai alla portiera posteriore.

Qualcuno mi afferrò alle spalle, bloccandomi un polso dietro la schiena. Provai ad urlare, ma l’altra mano soffocò le mie grida, tappandomi la bocca. Altre due mani, mi afferrarono e i due uomini mi gettarono dentro la macchina con forza.

“Dai, metti in moto!” Urlò uno dei due che si posizionò accanto a me.

Cercai di guardare in faccia il mio aggressore, ma il volto era coperto da un passamontagna e l’unica cosa che riuscivo a distinguere erano i suoi capelli neri, che un po’ uscivano dalla copertura e gli occhi neri ricolmi di rabbia.

“C-chi siete? Cosa volete da me?”

Subito, le mie domande furono interrotte da uno schiaffo così forte che mi fece sbattere contro la portiera. I capelli mi erano finiti sugli occhi. Provai a toccarmi il viso. Faceva male e io avevo iniziato a tremare. La mia mente faticava ad elaborare la situazione, tanto ero spaventata.

“Ora dormirai un pochino, tesoro.” Sussurrò l’uomo, avvicinandosi di nuovo a me.

Aveva in mano un panno che avvicinò alla mia faccia. Intuendo quello che voleva fare, tentai di sottrarmi, ma lui era molto più forte di me e non potei impedirgli di premermi il panno sul naso e la bocca. Tentai di non respirare, ma lui premeva con forza, provocandomi un terribile fastidio, così dischiusi le labbra e una sensazione di stanchezza e torpore mi pervase.

 

 

Non capii quanto tempo fosse passato da quando mi avevano narcotizzata. Ero confusa e terrorizzata e avevo una sensazione di nausea che mi faceva venire il voltastomaco.
Le mie narici erano invase da un forte odore penetrante, probabilmente benzina e le tenebre che mi circondavano mi gettavano in una profonda inquietudine.

Non ero nemmeno certa di dove fossi e, quando tentai di alzarmi, mi resi conto di non poter né camminare né parlare.

Le mani erano state legate dietro la schiena con delle strette manette, mentre del nastro adesivo mi stringeva le caviglie. Provai ad urlare, ma dalla mia bocca bloccata uscì solo un mugolio confuso. A giudicare dal sapore di plastica che mi arrivava alla lingua, ero anche stata imbavagliata con del nastro isolante.

Mi colse la claustrofobica sensazione di essere in trappola, come un topolino. Presto sarei stata sbranata, se non avessi cercato una via di fuga. Cercai di ignorare la paura che mi attanagliava il cuore e mi guardai intorno, alla ricerca di qualsiasi cosa potesse aiutarmi a fuggire.

Vidi poco lontano, nell’oscurità, la sagoma di una macchina, anche se non avevo idea di che marca fosse, accanto a lei c’era un tavolo da lavoro, con delle taniche e altri attrezzi, probabilmente utili per ripararla. L’unica via di fuga visibile era una pesante serranda metallica. Probabilmente, quindi, ero in un garage.

Cercai in ogni modo di raggiungere il tavolo, ma era impossibile, dato che le manette erano state fissate al muro, per impedirmi la fuga. Fui colta da un senso di impotenza e frustrazione, così tentai di liberarmi quasi alla cieca, contorcendomi inutilmente. Fu tutto inutile: mi era impossibile rompere le catene che mi ferivano i polsi.

Dopo un tempo che mi parve infinito, la serranda si alzò e fui colta dal panico. Mi rannicchiai come per proteggermi. Intravidi quello che doveva essere un ragazzo. Non aveva il volto coperto, ma indossava un cappuccio che mi impediva di coglierne i lineamenti. I suoi occhi erano azzurri e freddi come il metallo. Una cicatrice gli deturpava il volto all’altezza dello zigomo. Nella mano destra teneva il mio cellulare acceso, nell’altra aveva una pistola. Doveva avere sui ventun’anni, ma questo non lo rendeva meno minaccioso.

“Non ti muovere, tesoro.” Mi intimò freddamente, puntandomela contro.

Subito sentii il sangue fluirmi al cervello impedendomi di ragionare correttamente. Il petto mi si alzava e abbassava frenetico. Lui si avvicinò e mi strappò il nastro adesivo dalla bocca e anche un gemito di dolore. Dopodiché mi premette il cellulare contro l’orecchio.

“Il paparino è al telefono, parla.”

Per un attimo la paura mi impedì di ragionare, ma intuii ciò che volevano loro: soldi. Ovvio che li volessero, mio padre era ricco. Io ero solo uno strumento per raggiungere lo scopo di quei criminali. Non ero nient’altro che un oggetto, come un manichino: tutti lo guardano perché indossa un abito bellissimo, ma nessuno si accorge davvero della sua presenza. Il mio abito erano i soldi di mio padre.

“Qualsiasi cosa ti chiedano non farla!” Urlai, cercando di controllare il tremore nella mia voce.

Gli occhi del ragazzo scintillarono di rabbia e allontanò il cellulare, mettendoselo all’orecchio: “Come ha potuto sentire, non le stiamo mentendo, sua figlia è in mano nostra… e se vuole rivederla viva inizi a cercare i soldi. La richiameremo noi.”

Ecco, avevo indovinato. Soldi, dannati pezzi di carta senza valore. Mi imposi l’autocontrollo, mentre cercavo di capire cosa stesse dicendo mio padre, ma non sentii la sua risposta. Il mio rapitore sembrò soddisfatto e riattaccò la chiamata per, poi, voltarsi verso di me. Il suo sguardo glaciale mi puntava come un leone punta la gazzella, pronto a sbranarlo.

Se solo avessi potuto correre…

“Chi sei tu!?” Urlai, sperando di ottenere qualche informazione in più e, allo stesso tempo, cercare di non farmi sopraffare dalla paura.

Per tutta risposta lui mi si avvicinò e mi sorrise: “Sei troppo curiosa, Annabeth Chase, il tuo solo compito, in questo momento è stare zitta e… forse… potrai tornare a casa.”

Quel forse mi fece sentire male, come se fossi sul punto di vomitare, ma mi imposi un contegno.

“Siete solo degli animali! Volete solo dei soldi!” Urlai disperata. Non sopportavo di sentirmi in trappola.

“Oh… allora è vero che sei intelligente.” Mi schernì lui senza nemmeno fingere di essere offeso. Dopodiché si chinò e mi accarezzò la guancia con la mano libera. “Lo sai che sei proprio carina?”

“Non mi toccare, animale!” Urlai, ritirandomi per quello che le manette mi permettevano.

Iniziai a dimenarmi come una puledra ribelle, cercando in ogni modo di liberarmi, spinta solo dal desiderio di essere libera, fuori da quella gabbia di ghiaccio che l’inverno non avrebbe mai sciolto. Ma la mano del ragazzo si fece dura e uno schiaffo mi colpì di nuovo, facendomi voltare di lato, mentre la pelle offesa pungeva come il disinfettante su una ferita.

I miei capelli furono afferrati vicino alla radice, costringendomi a guardarlo negli occhi. Era vicinissimo e io avevo paura.

“Cerca di fare la brava… non voglio rovinare il tuo bel faccino.” Minacciò con un sorriso freddo, che mi parve un ghigno.

“Luke! Il capo vuole parlarti.”

A parlare era stata una voce dall’altra parte della serranda e il mio aguzzino mi lasciò andare, ma non prima di avermi imbavagliata di nuovo. Avrei dovuto immaginare che non fosse lui la mente dietro quel meschino rapimento: era troppo giovane. Però potevo immaginare che era comunque pericoloso. Sentivo che non aveva lanciato minacce a vuoto, se avessi tentato di scappare, lui me l’avrebbe fatta pagare, ma io non potevo non tentare. Non ero stupida: si erano nominati per nome più volte e quel ragazzo, Luke, si era fatto vedere il faccia. Questo significava una sola cosa: appena ottenuti i soldi che volevano, mi avrebbero uccisa.

 

 

 

La notte arrivò prima di quanto pensassi. L’oscurità si fece ancora più opprimente e la poca luce naturale che vedevo sparì del tutto. Si accese una luce artificiale da una lampada posta sopra di me, il che mi accecò, dandomi l’impressione di avere un forno sopra la testa.

Avevo tentato ogni cosa per liberarmi, tutto si rivelò inutile. Ero seduta per terra, sporca, prigioniera e stanca. I polsi mi facevano male per le convulsioni che avevo tentato inutilmente. Dovevo avere la pelle arrossata e sanguinante e le escoriazioni bruciavano al minimo movimento. Faticavo a respirare a causa del nastro adesivo.

La serranda si rialzò e quel tipo, Luke, si fece di nuovo vedere.

“Passeremo la notte insieme, dolcezza…”

Non osai nemmeno guardarlo in faccia. Mi dava un forte senso di nausea e disprezzo. Era come un serpente, un essere strisciante e disgustoso, pronto a colpire le prede a tradimento con il suo veleno, ma pronto a fare il lavoro sporco per altri. Solo vederlo mi faceva venire il vomito.

“Pensa a quanto sei fortunata, ti farò compagnia.” Disse, sedendosi accanto a me.

Io digrignai i denti per la rabbia e desiderai ardentemente aggredirlo e cavargli gli occhi dalle orbite. Quei dannati occhi di ghiaccio che odiavo.

Mi tolse il nastro adesivo dalla bocca e provò ad imboccarmi per farmi mangiar un creker, ma la sua sola presenza mi aveva tolto l’appetito. Ero convinta che qualsiasi cosa stessi per mangiare sarebbe stata espulsa subito dopo. Ci riprovò un paio di volte, ma alla fine sembrò arrendersi e mi lasciò in pace.

“Presto arriverà la polizia.” Ringhia, cercando di darmi un po’ di contegno. “Vi arresteranno tutti e voi passerete il resto della vostra vita in galera.”

Lui rise di gusto, accarezzandomi una guancia con la sua viscida mano, provocandomi un brivido di disgusto.

“Dovresti vederti… sembra quasi che tu ci creda.”  Sentenziò divertito.

“Stronzo!” Gli sputai in faccia. Non ero mai stata particolarmente scurrile, ma anche io avevo la mia buona scorta di insulti e parolacce da usare. Non ero una signorina come certe mie compagne che si scandalizzavano subito.  

Me ne pentii subito.

La sua mano si strinse sulle mie guance in una morsa d’acciaio, stringendo così forte che i miei denti mi provocarono delle dolorose ferite all’interno nella bocca. Il suo sguardo glaciale si posò su di me, furioso e divertito al tempo stesso.

Mi fu addosso, bloccandoli con tutto il suo peso.

“Bene, mocciosetta… dato che ti farò compagnia, per sta’ notte, che ne dici di divertirci un po’?”

Io mi sentii soffocare dal senso di impotenza e paura, mentre iniziava a baciarmi avidamente il collo, infilando una mano sotto la mia camicetta. Provai a liberarmi e scappare in ogni modo possibile per sottrarmi a quella violenza. Provai ad urlare, ma le sue mani mi serravano la mascella, lasciando uscire solo qualche gorgoglio strozzato.

“Fa silenzio… sono certo che ti piacerà.”

Lui mi schiacciò con forza per terra, strappandomi famelico, la camicetta lasciando scoperto il reggiseno nero. Lanciai un grido che lui non riuscì a fermare, ma era tutto inutile. Provai a divincolarmi ancora, ma lui continuava a tenermi a terra, baciando ogni lembo della mia pelle immacolata.

Desiderai morire, mentre la sua saliva viscida mi sporcava.

Scese sulle mie caviglie in modo da potermi possedere con facilità, ma appena potei muovere liberamente le gambe, iniziai a scalciare, cercando di allontanarlo da me. Schiacciata a terra, però, potevo fare poco o nulla per salvarmi. Lui continuava a toccarmi, provocandomi un forte dolore sia fisico che mentale.

Non volevo che finisse così.

Mi agitai sempre di più ignorando il dolore ai polsi che sicuramente stavano sanguinando come se me li avessero tagliati. Luke iniziò a muovere le mani verso i miei pantaloni e io sobbalzai, quando iniziò a rimuovere i bottoni dall’asola, facendo scendere un po’ l’indumento.

“Lasciami!!!” Urlai con tutte le mie forze, colpendolo al volto con una ginocchiata, anche se forse mi feci più male io, data l’impossibile posizione in cui mi trovavo.

“Mi hai scocciato, sta zitta!” Sbottò lui, afferrandomi per i capelli e facendomi sbattere violentemente la testa sul duro pavimento.

Tutto iniziò a scivolare via, come se un fiume mi stesse strappando i ricordi. Le palpebre si fecero pesanti e il dolore sparì, come la pressione del corpo di Luke sul mio. Adesso sembrava terrorizzato, mentre la serranda si riapriva. Luke mi stava scuotendo cercando di farmi rinvenire, ma io mi sentii scivolare via, mentre percepivo nitidamente il mio sangue scorrere fuori dalla ferita, come la mia anima dal corpo.

Le voci, i suoni e i colori si fecero confusi. Riuscii solo a sentire delle proteste: i compagni di Luke lo stavano accusando di qualcosa, ma io non lo vidi, mentre l’oscurità più totale mi avvolgeva.

 

 

 

Freddo… buio… vuoto…

Non sentivo altro, non ricordavo nemmeno più chi ero.
Avevo freddo.
Sentii dei passi.
Provai a parlare per attirare l’attenzione, ma mi uscì solo un gemito.

Eppure qualcuno avevo attirato, perché dai miei occhi socchiusi vidi due sagome indistinte avvicinarsi.

“…Non puoi… chiama il 911 e lasciala qui.. oppure portala in ospedale tu stesso.”

“Sei matto!? Quell’idiota del commissario Grace non vede l’ora di sbattermi dentro. Mi accuserà di averle messo le mani addosso!”

“Ma non possiamo nemmeno lasciarla qui!”

“Chiama Rachel, se non sbaglio lei sta per prendere una laurea in medicina, anche se sembra grave è alla sua portata.”

“Ti caccerai nei guai, lo sai anche tu!”

“Finiscila e chiamala!”

Le voci dei due ragazzi mi rimbombavano in testa come un fastidioso martellare, ma poi sentii una piacevole sensazione di protezione, mentre due braccia forti mi sollevavano delicatamente, cercando di non farmi male.

“Mi senti?” Provò il ragazzo, mentre lo sentivo camminare, portandosi dietro il mio peso. Avrei voluto rispondere di sì, ma ero a malapena cosciente. Riuscivo solo a vedere pochi tratti del viso, ma prima di sprofondare nuovamente nell’oblio riuscii ad intravedere due bellissimi occhi verdi come il mare che mi osservavano preoccupati.

Erano belli, luminosi e tristi, tanto che pensai che, forse, non sarebbe stato male, affogarvi dentro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Hola, popolo di EFP e amanti di Percy Jackson, sono di nuovo io, AxXx con una storia diversa che si slega completamente da quella principale a cui sto lavorando con la mia collega/amica/ compagna/sorella di scleri Water_Wolf. Sì, questa è una storia diversa che, probabilmente, andrà a rilento, visto che dobbiamo continuare la serie originaria. Tuttavia mi sono voluto imbarcare nella mia mini-long (una decina di capitoli, credo) Percabeth, personale.

Spero di non aver esagerato con questo primo capitolo, perché non ero per nulla sicuro di come iniziare. Teoricamente questo capitolo, non doveva nemmeno esserci, poi, però, ho pensato che un minimo di spiegazione ci doveva essere.

Così ho deciso di iniziare da qui, spero di non aver esagerato e di essere rimasto fedele al rating.

AxXx

PS: Se volete avere un assaggio di mio, in un'altra storia di Percy Jackson, ecco a voi la storia che sto scrivendo con quella pazza (Scherzo :P ) di Water_Wolf: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2290649&i=1

 

  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: AxXx