Han detto
mi
di
fare pratica di
interazione umana
ed
io
eseguo,
mi
riabituo
mi
situo
in un
esiguo numero
di conoscenze
neanche tanto
approfondite;
trascinandomi
in
uno dei luoghi
di culto,
la piccola cittadina
si stringe
bassa e
greve
attorno al rito da
cui mi dissocio, non
credo
di
essere
ancora
pronto,
formulare qualcosa che
non
sia
monosillabico è
un’impresa,
incastro le vocali
con le consonanti,
le semplificazioni
che
si presentano col
danno congenito
delle
semplificazioni,
il vento mi taglia
le guance,
gli occhi indiscreti
trapassano i davanti
e
i
dietro.
Perdo la facoltà di
parola,
fanno domande a
cui non so
rispondere,
proteggendomi
in
serie
una
di
movimenti
preconfezionati
scivolo dalle
mie mani,
mi inquadro
nell’ottica di
una
socializzazione
rimasta a lungo
atrofizzata,
che si dimostra
e scompare sotto
le palpebre, nei
pochi istanti frazionati
in
cui
sono
sicuro
al
dai discorsi sulle vastità
musicali
del punk metallico,
che sicuramente
saranno molte
ma
cui non tendo
dal mio vetro
infrangibile
di elettronica
instabile,
resto convulso
rimpiangendo le
variegate solitudini
e
aspettando il mio turno,
poi passo,
non mi apro a
questi amici
estranei,
indistinguibili
nell’agglomerato di
personalità viste
e
riviste in
technicolore,
che riempiono
i vuoti con
parole
pre-adolescenti
altrettanto
vuote
e
scarne
sull’amore e tutto
ciò che lo riguardi,
vedo accendersi tra le
loro
dita un
imprecisato numero
di sigarette,
ben attenti a farsi
guardare nel
malinconico
gioco d’apparenza,
d’inalazione
del grigio
piacere nicotinico,
sono
vorticosi nel
loro
interconnettersi
e nell'ermeticamente
chiudersi
in falangi,
nell’emarginare
il poco interessante
paradigma
d’esistenza
con cui mi
identifico.