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Autore: Melanto    09/02/2014    5 recensioni
Le scelte che compiamo e le loro conseguenze tracciano la storia, disegnano la realtà così come la conosciamo. Costruiscono il mondo che ci circonda.
Ma cosa sarebbe successo se una scelta fosse stata diversa? Come sarebbero cambiate le conseguenze? Che mondo avrebbero costruito?
Mamoru e Yuzo non avrebbero mai pensato che potessero segnarne addirittura la fine.
Genere: Introspettivo, Mistero, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Altri, Mamoru Izawa/Paul Diamond, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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The Bug - cap. I

Nota Iniziale: E rieccomi qui, non proprio con la storia che avrei voluto, ma quando l’ispirazione ti coglie, che puoi fare? XD
Si dice sempre ‘sì’, in queste occasioni!!!
Quella che vi apprestate a leggere è una fic un po’ particolare, poiché parte da un “What if?”, ma poi si intreccia in una sorta di trama definibile come ‘fantascientifica’.
Non ho messo ‘AU’ perché lo spazio in cui la vicenda si svolge è quello che conosciamo, modificato in alcune cose a causa del “What if?”.

Per il resto… la storia è CONCLUSA! :DDD
Questo significa che gli aggiornamenti saranno regolari e settimanali! ;)

Ci ritroviamo nelle note di chiusura!
Buona lettura! :D

 

The Bug
- I: la viscosità del sangue, il sibilare del cobra -

 

“In un altro tempo, noi saremmo stati come uno solo.
In un altro posto, le nostre vite sarebbero appena cominciate.
Camminiamo sotto il sole, ci sdraiamo sotto le stelle.
Cresciamo sulla Terra ed è questo ciò che siamo.
Non sarebbe dovuta andare in questo modo ma è questo ciò che siamo.”

 

La pazzia di Marzo era negli occhi di chi non sapeva apprezzarla e guardava al suo cielo che non era né sì e né no, ma aveva strisce di grigio nell’azzurro nascosto oltre le nubi.
Marzo era il ‘bug’ stagionale di troppi colori e troppi profumi che spezzava l’ordine meteorologico costituito.
L’Estate era calda, l’Inverno era freddo, l’Autunno era tiepido come la Primavera, ma Marzo non rispettava le regole, giocava sporco e negli occhi di chi non sapeva apprezzarlo era solo una seccatura. Occhi che non erano quelli degli studenti, di sicuro, perché per loro Marzo era sinonimo di vacanza. E le vacanze erano sempre bellissime e splendenti, anche quando il cielo minacciava tempesta.
«Due settimane! Letto mio, preparati ad avere il fosso che farà il mio corpo sopra di te!»
Kenta allargò le braccia, quasi avesse voluto stringere tutti quelli che aveva davanti, amici e sconosciuti. In quel preciso istante, voleva bene all’universomondo!
Yuzo aveva il borsone caricato sulla spalla e un paio di libri sottobraccio. Rideva, mentre Theodore mollava una gomitata al compagno.
«Tu il fosso lo lascerai solo sui libri! Lo sai che devi recuperare Giapponese e Inglese, vero? Good morning, sunshine!» Poiché aveva la madre britannica, Theo Miyamoto vantava la pronuncia migliore di tutto il gruppo, persino di Morisaki, che era ‘il secchione’ della squadra.
«Grazie per avermi fatto tornare con i piedi per terra, Capitano. Almeno un minimo di illusione potevi concedermela.» Kenta mise il broncio e incrociò le braccia, ma subito quello di Theo gli cinse il collo, con un po’ di difficoltà data la differenza di altezza.
«Tanto lo sai che ti aiuterò io! Almeno con Inglese, mentre in Giapponese puoi contare su Yuzo! Vero, fratello?»
«Presente, presente.» Una mano alzata e la disponibilità concessa su di un piatto d’argento.
Kenta batté il cinque a entrambi e un po’ si sentì sollevato nel sapere che non avrebbe dovuto sbattere la testa al muro. Sui suoi amici avrebbe sempre potuto contare. Si conoscevano dalle elementari, e poi alle medie erano stati addirittura compagni di classe. Fino alle superiori, comunque, avevano vestito i colori della stessa squadra di calcio, la Mizukoshi, e ne andavano fierissimi quasi fossero i campioni universali e non una squadretta provinciale senza la minima possibilità di accedere al Campionato Nazionale. Loro erano felici di quello che avevano, del mettere piede in campo e del divertimento nello stare insieme, con gli altri compagni, che tutto il resto sembrava quasi non contare più. La felicità era già nel sentire la solidità del pallone tra le mani e sotto i piedi. Ti faceva volare.
Anche quel giorno, l’ultimo che apriva la strada alle due settimane di vacanza tra la fine dell’anno scolastico e l’inizio del nuovo, si erano allenati tutti insieme. Gli altri erano stati salutati alcuni metri più in là, ognuno che aveva preso la strada di casa, ma la loro era la stessa. Stessa direzione.
E ora, sul far della sera, eccoli sempre lì, a camminare fianco a fianco: Kenta, con le sue gambe lunghe e la schiena un po’ curva – per apparire più basso –, era la ‘giraffa’ del centrocampo; Yuzo, la sua solidità e quell’aria da ‘ragazzo perbene’, difendeva la porta con umiltà, mentre Theo, il sangue misto che appariva evidente nei tratti poco giapponesi e i capelli chiari, con il suo carisma e la statura minuta rispetto ai compagni con cui si accompagnava, era il ‘signore della difesa’, nonché Capitano della Mizukoshi. E forse non potevano vantare trofei da sfoggiare nella bacheca scolastica o medaglie da tenere appese al muro della propria camera ma di sicuro avevano il primato di essere la squadra più benvoluta della zona. Andavano d’accordo con tutti, avevano amici in ogni quartiere e quindi sul campo, non avevano rivalità storiche con nessuno.
Anche se…
Ecco, forse c’era qualcosa – o qualcuno – che faceva di tutto per evitare che potessero accaparrarsi di diritto quell’unico traguardo che nessun altro avrebbe potuto vantare.
Loro e i ragazzi della Shutetsu non si erano mai potuti soffrire. Un’insofferenza – non si poteva chiamare neppure rivalità – che si trascinavano dietro fin dall’inizio, dalle elementari. E ora che la Shutetsu e la Nankatsu si erano fuse le cose non erano cambiate.
Certo, erano sempre andati d’accordo con i membri della Nankatsu, chi non conosceva Ryo Ishizaki?, ma con quelli della Shutetsu non c’era stato proprio nulla da fare, neppure con l’andare del tempo e degli anni.
E fu proprio a causa loro che Kenta si fermò e fermò anche i compagni, allungando un braccio.
«Ohi. Tre Moschettieri a ore dodici.»
«Tutti per uno…» proclamò ironicamente Theodore, nello scorgere distintamente Izawa, Kisugi e Taki che avanzavano, direzione opposta alla loro, dal fondo della strada.
«…e spine in culo per tutti.» conclusero, altrettanto ironicamente, Ken e Yuzo.
Quest’ultimo sospirò.
«Si potrebbe attraversare la strada? Non ho la minima voglia di incrociare la mia con la loro, tanto poi lo sappiamo come va a finire.»
«Perché dovremmo essere noi a cambiare marciapiede?» Kenta non era d’accordo, però si incurvò appena un pelo in più. «Così è come dargliela vinta.»
«Lo so, ma non mi va di fare questioni. Cosa inevitabile con Izawa tra i piedi.» Scosse il capo, caricando meglio il borsone sulla spalla. «Quello non mi può vedere.»
«Sentimento reciproco a giudicare dalle parole d’amore che vi scambiate.» Kenta sbatté le ciglia e in cambio si beccò una gomitata.
Da buon capitano, Theo si intromise. «Nessuno cambia strada. È ora che finisca questa sorta di ‘guerriglia’, ormai siamo grandi, dimostriamo di essere persone adulte: cammineremo per la nostra direzione e ce li lasceremo alle spalle, senza battutine o frecciate. Intesi? Ve lo ordino come capitano.»
Yuzo sospirò ancora. Guardò Kenta e quest’ultimo si strinse nelle spalle.
«E sia.»
Tanto più che ormai anche I Tre Moschettieri li avevano visti e, a giudicare dal mezzo sorriso che si era aperto sulle labbra di Izawa, Yuzo seppe che non sarebbe stata diversa dalle altre volte, con tanti saluti ai ‘buoni propositi’ di maturità.
Spronati dal capitano, ripresero a camminare tutti e tre, fianco a fianco, in silenzio. Avevano delle facce così serie che sembrava fossero morti loro il cane, il gatto e il criceto contemporaneamente. Passo rigido, tensione nei muscoli.
Per contro, Taki aveva la solita aria spavalda, sulla divisa lasciata aperta, e le mani in tasca; Kisugi aveva il mento sollevato con una certa altezzosità, mentre Izawa sorrideva. E sorrideva in quel modo che a Morisaki faceva venire l’irrefrenabile desiderio di prenderlo a calci sulle gengive fino al prossimo millennio.
Di lontano, su quel pensiero, si sentì il sottile gorgogliare di un tuono.
Tra la gente che passeggiava per il centro, le rispettive figure apparivano e scomparivano e divenivano vicine, di un passo ogni volta.
«Ma guarda un po’.»
Izawa era sempre il primo a prendere la parola. In maniera inspiegabile sapeva anticipare tutti. Doveva avere la sua entrata trionfale, sembrava destino.
Yuzo non  ne era stupito: non aveva mai creduto che si sarebbero passati accanto, magari sfiorati spalla a spalla nella moltitudine di persone e poi ignorati, ognuno per la propria strada; con Izawa non era possibile, soprattutto quando c’era anche lui nel mezzo.
«Le cheerleader della Mizukoshi. Dove avete lasciato i pon-pon?»
«Nell’armadietto, ma se vuoi ho il bastone, perché non te lo pianti lì-dove-sai?»
Ecco, appunto. Yuzo sollevò per un attimo gli occhi: addio diplomazia, maturità, felice ignorarsi. Kenta aveva parlato duro senza attendere il parere di Theo, però si era fatto più piccolo, ancora più curvo; e dire che superava Izawa di abbondanti dieci centimetri.
«Quelle con i bastoni sono le majorette, ma grazie per averci provato, Kirinriki.(1)
Taki sghignazzò apertamente, mentre Kisugi si limitava a scuotere il capo con una certa condiscendenza.
Izawa aveva quella smorfia trionfante che si allargava di puro piacere nel vedere Kenta arrossire e infossare il collo tra le spalle: aveva grandi complessi a causa della sua altezza e quando gliela facevano notare perdeva tutta la propria ironia, apparendo incredibilmente piccolo e indifeso. Izawa lo sapeva benissimo, per questo lo sfotteva.
- Quanto sei stronzo. - Il pensiero rimase tale, nella mente di Yuzo, e non si concretizzò in suono solo perché Theo lo precedette. Come amico e come capitano, si sentiva sempre in dovere di difendere gli altri: lo faceva in campo, perché fuori le cose avrebbero dovuto essere diverse?
«Senti, Izawa, non vogliamo fare storie. Perché, semplicemente, non passate? Noi faremo altrettanto.»
«Uh? Chi ha parlato? Mi è sembrato di sentire una voce.» Il centrocampista della Nankatsu finse di guardarsi intorno e poi abbassò lo sguardo in direzione di Theo, che era ben più basso di lui. Per fortuna, Miyamoto non era uno che si offendeva se lo si prendeva in giro per essere minuto, ma Izawa sapeva come ovviare, poiché anche Theo aveva il suo ‘tallone d’Achille’.
«Oh! Eccoti qui, Capitan Gaijin
Theo ringhiò, mostrando proprio i denti e sporgendosi in avanti, tanto che Yuzo fu costretto ad afferrarlo per un polso. «Io non sono un gaijin
«Uh, vero. Tu sei un ‘mezzo’. Mezzo sangue, mezzo capitano… mezza sega.»
Stavolta trattenerlo e basta non fu sufficiente e Yuzo dovette intervenire più duramente, tirando via l’amico nei cui occhi nocciola chiaro brillava tutta l’intenzione di cavare quelli di Izawa.
Tra i due contendenti ci si frappose in prima persona.
«Adesso piantala, ok? Hai fatto il tuo show, vuoi l’applauso?»
A brillare, ora, erano gli occhi di Izawa. Yuzo lo poté vedere distintamente, sembrava non avesse aspettato altro che aprisse bocca per sentirsi autorizzato a dargli contro. Cazzo gli avesse mai fatto per essere preso di mira in quel modo, Morisaki continuava a ignorarlo e, detta fuori dai denti, non gliene fregava un accidenti: se a Izawa stava sulle balle, beh, la cosa era reciproca e tanti saluti.
«Salvi il Capitano? Che bravo bambino
«Non so che problema tu abbia, ma stai esagerando.»
«Io non ho nessun problema, siete voi che vi infervorate subito. Coda di paglia?»
Izawa aveva degli occhi neri che attraversavano cose e persone. Yuzo aveva imparato a conoscerli sul campo e quando se li trovava così vicini capiva il timore di cui era vittima Kenta, ma col cazzo che si sarebbe piegato. Non lui, non in questa vita, e neppure nell’altra.
Li fronteggiò con tutto il coraggio che aveva, mentre l’altro continuava.
«E’ solo un goliardico sfottò. Forse è perché non vi insegnano l’agonismo, alla Mizukoshi, che siete le ultime ruote del carro.»
«Puoi tenertelo il tuo ‘goliardico sfottò’, non te l’abbiamo chiesto.»
«E se non volessi tenermelo? Che faresti?»
Izawa avanzò di un passo, tolse il borsone dalla spalla e drizzò la schiena. Qualche centimetro in più di lui ce l’aveva e lo mise in mostra come un pavone la coda per imporre una sorta di superiorità fisica. Peccato che Yuzo avesse una corporatura più spessa, tanto che la loro ‘sfida’ finiva in parità, almeno da quel punto di vista. Sul piano delle parole, chissà. Se la giocavano sempre sul filo del rasoio. Di solito l’ultima l’aveva sempre Izawa, sillabata con gusto e quel mezzo sorriso sulle labbra di chi si divertiva a provocarlo.
«Vorresti venire alle mani? Non credevo fossi un duro.»
«Se pensi che fare la voce grossa attacchi con me, mi spiace deluderti, non mi fai paura neppure un po’, in compenso…»
Izawa lo ascoltava con attenzione, curioso di sentire cosa si sarebbe inventato e Yuzo, più del solito, calcò la mano.
«…devo ancora decidere se quelli come te mi fanno più pena o più schifo.»
Il tuono spezzò ogni cosa. Irruppe con un rombo tra loro, che non smisero di fissarsi neppure quando il fragore sembrò volesse anticipare la caduta del cielo e chiunque, lì, tra passanti e contendenti, sobbalzò, colto di sorpresa.
Taki guardò il cielo, si era improvvisamente chiuso nonostante fino a poco prima sembrava volesse risparmiarsi la pioggia per un’altra occasione.
«Ehi, Mamoru, forse è il caso di avviarsi o ci becchiamo l’acqua.»
Ma Mamoru era troppo preso a fissare Morisaki perché gli importasse della pioggia imminente, di bagnarsi o chissà che altro. Il sorriso era stato ingoiato da un’espressione rigida come marmo.
Quel portiere da due soldi…
Quel fottuto portiere da due soldi…
Desiderò con tutto sé stesso di tirargli un pugno in mezzo agli occhi e costringerlo a chiuderli. Non sopportava l’onestà che vi leggeva né l’aura da ‘buono e bravo’ che si portava dietro; gli davano ai nervi. Era stato così fin dalla prima volta che l’aveva visto. Una di quelle sensazioni a pelle che non si potevano ignorare e finivano con lo stazionare lì, da qualche parte nel sangue.
Quasi a rallentatore, Mamoru si sporse appena un po’ perché l’altro potesse sentirlo bene.
«Alla prossima partita, ti farò talmente tanti goal che ti basteranno per tutta la vita. Lo giuro sugli Dei.» Lo masticò adagio, parola per parola, con una cattiveria che montava da dentro lo stomaco e veniva vomitata fuori.
Non si aspettò una risposta diretta alla provocazione e non l’ebbe, perché Morisaki si arroccava dietro una stoica resistenza e, almeno su questo, doveva rendergli merito: lui non sarebbe stato tanto bravo.
Yuzo lo ascoltò e sentì una vampata di calore salirgli, dai piedi, fino alla testa. Una fiammata improvvisa, come avesse preso fuoco dall’interno. Avvertì il volto farsi rosso per la mortificazione, per l’avere anche lui un punto debole su cui Izawa poteva calcare la mano, ma piuttosto che rispondergli, preferì mordersi il labbro a sangue e ingoiare quel sapore di ferro e collera.
«Fai pure. Tanto voi perderete ancora contro il Toho. Proprio come l’anno scorso.»
Si girò appena, le loro iridi si trovarono e provò un leggero sollievo nell’avergli almeno fatto sparire il sorriso stronzo. Gli occhi di Izawa divennero come quelli di un cane idrofobo. Ci mancava solo che iniziasse a ringhiare e sbavare, eppure lui non faticò a immaginarlo proprio in quel modo: un cane rabbioso che voleva balzargli alla gola.
Non accadde altro. Forse quella volta era finita pari; lui non era bravo a capirlo.
Vide Izawa fare un passo indietro, tornare nella propria porzione di spazio e restare lì, aspettando che se ne andassero, perché era chiaro: lui non si sarebbe mosso, non avrebbe deviato il proprio percorso per scartarli e se si voleva chiudere la questione, dovevano essere loro a piegarsi e cambiare strada per pochi centimetri.
Gli altri compagni forse neppure colsero quella sottile presa di posizione.
«Andiamocene, ragazzi.» Kenta fu il primo a superare il gruppo della Nankatsu, seguito da Theo che continuò a fissare in cagnesco il profilo di Izawa, il quale era tutto per Yuzo, ultimo a spostarsi, leggermente in ritardo.
Il portiere distolse lo sguardo, si fece da parte e li superò. Poi la via venne di nuovo ripresa da tutti e tre, anche se per un solo passo.
«Morisaki!»
Davanti a lui, Yuzo vide Taro Misaki che sorrideva e aveva una mano alzata in segno di saluto. Tutto lo scazzo di qualche momento prima sembrò sciogliersi nel portiere che ricambiò il sorriso.
Misaki era della Nankatsu, ma non aveva niente a che fare con i membri della Shutetsu, per fortuna. Era simpatico e gentile, una vera rarità.
«Ah, Misaki!»
Anche Taro aveva il borsone sportivo; osservò quello del portiere e dei suoi compagni.
«Ultimo allenamento prima delle vacanze?»
«Magari fosse l’ultimo!» Kenta piagnucolò. «Questo schiavista ha detto che non ci lascerà in pace!»
«Vuoi smetterla di lamentarti sempre?!» Theo gli mollò uno scappellotto un po’ storto e Taro rise, poi si accorse che non erano da soli.
«Ragazzi! Ci siete anche voi!»
«Ce ne stavamo andando.» Mamoru fu lapidario.
Misaki guardò brevemente sia I Tre Moschettieri, com’erano chiamati a scuola e sul campo, che i tre membri della Mizukoshi. Non faticò a capire che dovevano essere volate parole grosse, come al solito. Quei sei sembravano incapaci anche solo di ignorarsi.
«Vieni con noi?»
«Mi spiace, non posso.» Taro sorrise. «Devo passare in un negozio a prendere alcuni libri. Ho da studiare durante le vacanze o finisce che Morisaki mi batte di nuovo alle Olimpiadi dell’Istruzione
Yuzo si schermì, leggermente in imbarazzo, e a Mamoru non seppe cosa lo infastidisse di più se vederlo arrossire per un semplice complimento, quando non aveva battuto ciglio alle sue provocazioni, o il modo realmente contento in cui sorrideva.
Falso modesto del cazzo. Falso.
«L’anno scorso sono stato solo fortunato perché l’argomento era tra i miei preferiti. Quest’anno sarà dura, ci sono anche gli esami in vista.»
«E’ vero! Già gli esami» sospirò Taro.
«Come vuoi. Ci vediamo domani.» Mamoru spezzò di nuovo la conversazione e si volse, riprendendo a camminare. Hajime e Teppei salutarono Misaki e seguirono il compagno.
Mentre si allontanavano e le loro schiene non erano che macchie che scomparivano tra quelle degli altri passanti, Kenta assunse una postura più dritta.
«Dio, quant’è stronzo Izawa!» Non era proprio riuscito a trattenersi oltre. «Scusa, eh, Misaki. Lo so che è amico tuo, ma è proprio uno stronzo dentro!»
«Dai, Ken, lascia stare, ok? Sono andati via, non pensarci più.» Theo provava a fare da paciere, ma Fukui si era trattenuto così tanto che adesso aveva bisogno di sfogarsi. Detestava non essere in grado di rispondere a tono quando poteva, e così dopo finiva sempre col buttare fuori tutto, quasi a raffica.
«Ogni volta ti chiama ‘gaijin’! E poi non capisco perché ce l’ha tanto con Yuzo! Cazzo, non lo sopporto! Lo prenderei a sberle, quel maledetto figlio di papà!»
Theo sospirò, dando leggere pacche sulla schiena del compagno. Guardò Taro e sorrise.
«Da che parte è il negozio dove devi andare?»

«Io… non credo di avere parole.»
Taro camminava lentamente. La busta con i libri gli toccava la gamba a ogni passo che percorreva sulla via del ritorno. I ragazzi della Mizukoshi l’avevano accompagnato e lui aveva saputo tutta la storia, se tale potesse esser chiamata, dopotutto.
«Non è mai esistito un motivo valido, ma è da che ho memoria che la Shutetsu e la Mizukoshi sono in conflitto. Ormai è divenuta una routine.» Theo non era più arrabbiato per la questione del ‘gaijin’, era un tipo che dimenticava in fretta.
«Ma poi…» Taro scosse il capo, guardò il portiere con evidente perplessità. «Perché con te, Morisaki? Mamoru non è tipo che prendere di mira le persone.»
«Non so che dirti.» Yuzo si strinse nelle spalle. «Giuro che non gli ho mai fatto nulla. Credo che la prima volta che ci siamo incontrati sia stato alle elementari e non gli ho mai rivolto la parola, almeno fino alle medie. Frequentiamo scuole diverse, abitiamo in quartieri diversi, io… non lo so. Ma posso dirti che è stato davvero un bene che non abbia tentato il provino per entrare alla Nankatsu, alla fine delle elementari. Ti immagini che incubo se ce l’avessi fatta? Non saremmo mai riusciti a stare insieme nella stessa squadra!»
Yuzo ne era sicurissimo, ci avrebbe messo una mano sul fuoco. E anche se, al tempo, un po’ si era pentito di non aver neppure voluto tentare, col senno di poi aveva capito di aver fatto la scelta migliore. Passare le medie e le superiori fianco a fianco di una persona che ti detesta e che detesti a tua volta non sarebbe stata una passeggiata.
Taro era davvero basito e continuava a scuotere il capo. «Io non so… Se vi dicessi che invece Mamoru è una persona leale e disponibilissima con i compagni e gli amici, addirittura protettiva, e corretta verso gli avversari non mi credereste, vero? Eppure è così, posso garantirvelo.»
«Non ci crederei neppure se lo vedessi.» Tra i tre, Kenta era il più scettico. «Non è che sotto sotto gli rode per aver perso la maglia numero dieci? Alle elementari era la sua…»
«No, no! Anzi! È stato lui a proporre, dopo la partenza di Tsubasa, che nessun altro la vestisse più perché non sarebbe mai stato al livello del nostro ex-capitano. Lo ha sempre rispettato e seguito le sue direttive.»
«E allora è posseduto dagli alieni!» Kenta agitò un pugno in aria, facendo ridere gli altri, mentre raggiungevano la prima casa, ed era quella di Misaki.
Taro si fermò accanto alle scale che portavano ai piani superiori e all’appartamento in cui viveva col padre.
«Mamoru è così diverso con noi…»
«Non preoccuparti, Misaki.» Theo scosse il capo, ma sorrideva. «Ormai siamo abituati a questo continuo botta-e-risposta.»
Taro assentì più per circostanza che reale condivisione di quella strana ‘routine’. Guardò Yuzo e gli poggiò una mano sulla spalla.
«Non prendertela troppo.»
«Oh, ma io non me la prendo mica. Ho solo la sensazione che un giorno di questi arriveremo alle mani.» Yuzo fece nuovamente spallucce. «Non che l’idea di tirargli un pugno mi dispiaccia, eh.»
Kenta era scettico anche su quello. «Tu non faresti male a una mosca. E non ne faresti neppure a Izawa. Ci scommetto quello che vuoi.»
Yuzo guardò altrove, fingendosi offeso, però sbuffò un mezzo sorriso che non poteva smentire le parole del compagno. Anche se desiderava avere una sorta di rivalsa fisica su Izawa, era consapevole che non avrebbe mai risposto con le mani alle sue provocazioni.
«Misaki, devi sapere che il nostro Yuzo ha il cuore del leone, però miagola.»
«Miao! Miao!» fece il verso Kenta alle parole di Theodore.
Yuzo arrossì leggermente. «Non ne viene per niente un’immagine virile, Capitano!»
«Domani ti porterò un bel nastrino rosso!»
«Piantala, Kenta!»
La Giraffa cinse con foga il collo del portiere in un abbraccio un po’ rude e divertito, entrambi ridevano, allontanandosi di qualche passo per riprendere la strada verso casa. Solo Theo si attardò un ultimo istante.
«E’ stato un piacere scambiare due parole con te. E, sotto sotto, son contento che Izawa non sia lo stronzo integrale che appare. Ci vediamo, Misaki.»
«Ciao!» salutarono in coro anche gli altri due, ora impegnati in una sorta di lotta senza vincitori.
«A presto, ragazzi! E grazie della compagnia!» Così dicendo, Taro li osservò andare via prima che il sorriso sulle sue labbra si incrinasse appena nel pensare allo strano comportamento di Mamoru.

«Sono a casa!»
Yuzo lasciò le scarpe all’ingresso e si mosse in fretta per raggiungere la sua stanza.
Dalla cucina, udì la voce della madre arrivare come un’eco lontana che gli dava il bentornato e poi restava immersa nel lavoro domestico quotidiano. Profumo di paprika e cumino.
Suo padre non era ancora rientrato, non ne aveva visto le scarpe e, dopotutto, era ancora presto.
Lasciò il borsone accanto alla porta, ripromettendosi di svuotarlo prima di cena, e se andò alla finestra per sfogliare il libro che aveva comprato quando avevano accompagnato Misaki. Adesso che aveva la trilogia completa de ‘Il Ciclo del Demone’ poteva dare una seconda opportunità a Terry Brooks; la prima l’aveva piuttosto fallita, ma non si bocciava un autore dopo un solo morso.
Mentre sfogliava distrattamente le pagine de ‘Il fuoco degli angeli’, Yuzo ripensò alle parole che il talentuoso giocatore della Nankatsu aveva detto.

«Se vi dicessi che, invece, Mamoru è una persona leale e disponibilissima con i compagni e gli amici, addirittura protettiva, e corretta verso gli avversari non mi credereste, vero? Eppure è così, posso garantirvelo.»

Izawa una persona leale e disponibile. Corretta. Protettiva.
Diosanto, in quale universo?
A Yuzo nacque un mezzo sorriso pieno di ironia e sollevò lo sguardo oltre i vetri. Il cielo era plumbeo. Strano che non avesse ancora piovuto, lui un po’ se l’era aspettato.
Mamoru.
Izawa Mamoru.
Quel nome scivolò nella mente in maniera vischiosa, come sangue denso su una superficie che si espandeva seguendo i rigagnoli delle mattonelle.
Leale, corretto e disponibile.
Colui che protegge.
Chissà chi, chissà da cosa.
Il mezzo sorriso si approfondì di più.
Se l’avesse visto comportarsi in maniera leale probabilmente non ci avrebbe creduto nemmeno lui, come Kenta. Non riusciva proprio a immaginarlo fuori da quei panni pieni di boria, privo dell’espressione supponente e di quel sorrisetto trionfante che metteva in mostra ogni volta che si incrociavano per le strade della città o sul campo da calcio, all’inizio e fine di una partita.
Lui ci aveva pensato davvero a lungo per trovare un punto in cui quell’astio era cominciato. Era tornato indietro così tanto da risalire alla prima volta che si erano parlati, il primo anno delle medie.
Avevano disputato una partita e avevano perso. Al termine, Mamoru era andato verso di lui con passo sicuro; la sua falcata sembrava potesse tagliare lo spazio.
Yuzo aveva ricordato con incredibile precisione quel momento, con suo stesso stupore, e davanti agli occhi la divisa bianca e rossa della Nankatsu era apparsa nitida quasi l’avesse vista quello stesso giorno e invece erano trascorsi anni. Mamoru aveva avuto i capelli più corti di come li portava adesso, ma che già si appoggiavano sulle spalle, sempre nerissimi. Gli aveva teso la mano quando era stato a un passo e lui, con l’ingenuità di cui conservava ancora degli strascichi, l’aveva stretta con un sorriso.
«La prossima volta segnerò il doppio dei goal che ti ho fatto oggi.»
Erano state le prime parole che Mamoru gli aveva rivolto, accompagnandole con il sorriso che ora era divenuto una costante.
Sul momento, Yuzo ci era rimasto spiazzato perché non c’era sportività, quanto il chiaro l’intento di ferire.
«Lo vedremo.» Aveva replicato stringendo con troppa forza le dita dell’avversario e tramutando il sorriso in una smorfia.
La loro rivalità era cominciata lì, anche se Yuzo non aveva mai saputo spiegarsi il perché. Izawa gli era andato vicino proprio per provocarlo e non riusciva a spiegarsi neppure quello. Eppure, anche se il tempo era passato e l’astio aumentato, lui non era stato capace di dimenticare nulla di quel momento, quasi ce l’avesse tatuato nella testa.
‘Mamoru’ era un bel nome, ma lui l’aveva sempre chiamato solo ‘Izawa’. Il suo nome non l’aveva mai pronunciato neppure per caso; non conosceva altri che si chiamassero così.
Oltre il vetro, tra il grigio delle nubi vide un corvo appollaiarsi sulla sommità del palo della luce che c’era al di là della strada. In quel nero rivide gli occhi di Izawa che lo cercavano di proposito.
Yuzo picchiettò distrattamente le dita sulla copertina rigida del libro. La bocca si aprì di pochissimo, quasi lo infastidisse il desiderio di provare a pronunciarlo, per vedere come suonasse detto da lui e non udito dagli altri.
«Ma… mo… ru.»
Nelle prime gocce di pioggia che si appoggiarono sui vetri chiusi, pensò che avesse davvero la viscosità del sangue.

«Sei proprio sicuro di non voler venire in centro con noi? Siamo in vacanza.» Hajime inarcò un sopracciglio di fronte al secondo rifiuto di Mamoru di fare quattro passi per Nankatsu, magari a rintanarsi in qualche bar, visto che il tempo non si era messo proprio al meglio.
Anche Teppei, accanto lui, appariva perplesso.
«Lo so, ma sono stanco. Mister Furuoya ci ha spremuti per bene, voglio solo buttarmi sul letto e rilassarmi.»
La Silver Combi si scambiò un’occhiata fugace, poi Taki sollevò e spalle.
«Come vuoi. Allora ci vediamo domani.»
«Non è che ti sei innervosito per la discussione con quelli della Mizukoshi?» Teppei incrociò le braccia andando subito al punto. «Inizio a pensare che Miyamoto abbia ragione: ignoriamoci e basta. Un paio di battute vanno bene, ma quando vedi Morisaki… non capisci più niente! A volte non sembri neppure tu!»
Mamoru si girò come una furia e i capelli neri serpeggiarono nel movimento, come selvaggi.
«Cos’è che non sembro, io?!»
«E’ inutile che ti incazzi. Ce ne siamo accorti sia io che Hajime.» Teppei rimase solido sulla sua posizione. «Morisaki ti sta sul cazzo, l’abbiamo capito, ma dovresti lasciarlo perdere. Ogni volta sembrate sempre sul punto di darvele e secondo me, prima o poi, alle mani arriverete davvero.»
Mamoru sbuffò un sorriso di scherno. «Io alle mani con quello? Lo stenderei con uno sputo!» Scosse il capo. «Non mi abbasso a simili livelli, dovresti saperlo, e ora piantala di seccarmi con queste cretinate. Ci vediamo domani.»
Mamoru chiuse la discussione in maniera brusca e volse le spalle a entrambi, prendendo la via di casa.
«E tu fai come ti dico. Lascia perdere Morisaki!»
«Sì, sì.» Agitò una mano, non si volse nemmeno ma ruotò gli occhi con fastidio.
Era incazzato perché Teppei aveva ragione su entrambe le cose: la discussione con quelli della Mizukoshi l’aveva irritato e il desiderio di dare contro a Morisaki era talmente forte che neppure lui si riconosceva. Lo feriva con un impegno che gli era estraneo e che non aveva avuto verso nessuno. Anche perché a lui non piaceva ferire le persone in maniera gratuita. Avrebbe saputo ignorare senza troppi problemi gli altri, come gli aveva suggerito Teppei, e infatti avrebbe voluto farlo quando aveva visto Miyamoto e Fukui, solo che poi aveva scorto anche Morisaki e lui, no, non riusciva proprio a ignorarlo, nemmeno se ci si fosse impegnato. Ma non avrebbe mai saputo spiegare e spiegarsi il perché. Ci aveva provato, quando dopo che si erano lanciati occhiatacce e parole pesanti si era reso conto di aver calcato la mano in maniera inutile che non era nel suo stile, e questo avveniva tutte le volte, ma la risposta sembrava impossibile da trovare. Sembrava quasi che fossero destinati a scannarsi per tutto il tempo in cui le loro strade si fossero incrociate e lui non pareva in grado di spezzare questa specie di maledizione.
A complicare le cose, c’era che Morisaki aveva sempre quell’aria così ‘buona’, un sorriso aperto e disponibile; era simile a Misaki. Eppure, per quanto lui si trovasse benissimo in compagnia di Misaki, non riusciva a sopportare tutta quella bontà e carineria nel portiere della Mizukoshi. Gli faceva arrivare il sangue alla testa in un attimo.
Era tutta una questione di sensazioni: arrivavano, colpivano come spilli e scatenavano le reazioni. Poi si ritiravano e a lui non restava che ragionare sul ‘latte versato’.
La pioggia iniziò a cadere che era quasi nei pressi di casa; aveva tenuto più di quanto previsto. Dopo quel tuono – che lui non aveva neppure sentito, se non gliel’avesse detto Hajime – non era scesa neppure una goccia.
Mamoru sistemò meglio il borsone e accelerò il passo, pensando, piuttosto di punto in bianco, che Morisaki non avesse un nome molto comune. Di ‘Yuzo’ conosceva solo lui.
Yuzo.
Sibilava sopra la lingua come il verso di un serpente, un crotalo velenoso. O una vipera, un cobra. Sì, un cobra. Si ergeva sulla coda in maniera lenta e accorta, apparendo quasi innocuo, ‘buono e modesto’, poi allargava il collo, mostrava la lingua ed era un attimo che ci impiegava a mordere e uccidere.

«Tanto voi perderete ancora contro il Toho. Proprio come l’anno scorso.»

Una serpe, di cui non aveva mai pronunciato il nome anche se ‘Morisaki’ era diventata una delle parole che usava più spesso, con cui aveva confidenza. Ma col suo nome…
Non si pronunciava mai il nome proprio di qualcuno se non lo si conosceva, perché dopo, volente o nolente, sarebbe stato come aver instaurato comunque un legame. Mamoru pensò che non facesse differenza, perché tanto un legame d’odio ce l’avevano già, non se ne sarebbe potuto instaurare un altro.
«Yuzo…»
La chiave girò nella toppa di casa e la pioggia, alle sue spalle, si fece più intensa.

 

“Non siamo mai andati in nessun posto dove non siamo mai stati prima.
Non è così che deve andare.
Questo non è ciò che siamo.”

Les FrictionString Theory

 


[1]KIRINRIKI: è il nome di un pokèmon XD, il cui nome occidentale è ‘Girafarig’; Kirinriki è quello giapponese! (per la giraffina: *clicca qui*)


Curiosità:

In teoria, il personaggio di Theodore Miyamoto era nato per un'altra storia che non è stata più scritta ed era sempre il capitano della Mizukoshi. Sono contenta di averlo finalmente potuto usare :3 Un po' mi ci ero affezionata.
XD Evviva il riciclaggio di idee-e-pg!!!


Nota Finale:
La storia è nata tutta da questa canzone dei Les Friction. È stata un’ispirazione folgorante e non ho saputo trattenermi, mettendomi subito al lavoro e accantonando l’altra storia che avevo iniziato e il sequel di “Elementia” (che è quasi terminato, giuro!, devo solo fare delle aggiunte che non erano in programma! O/).
E, boh, ho avuto questa illuminazione e mi ci sono dedicata tirando fuori sette capitoli per un totale di dodici aggiornamenti. In meno di un mese. Mi fa quasi credere d’aver trovato un equilibrio che pensavo perduto dopo essermi trasferita e aver cambiato le mie abitudini. Ma alla fine si tratta solo di ‘adattarsi’ e non pretendere di riavere gli stessi equilibri, quanto di crearne di nuovi.
Staremo a vedere! :D

Nel frattempo, penso che il ‘What if?’ sia piuttosto palese: Yuzo non ha tentato la selezione per la Nankatsu e questo ha avuto delle conseguenze che scopriremo e capiremo meglio nei prossimi capitoli! :D

Spero di avervi un po’ incuriosito e che questo primo capitolo sia stato di vostro gradimento! ;D
A presto!

   
 
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