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Autore: daffod_ils    10/02/2014    6 recensioni
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La storia di come un'iniziativa scolastica possa avvicinare tanto due persone da farle diventare qualcosa più che amici.
(Altrimenti detta: la storia di come Mario Gotze riuscì ad alimentare fino all'inverosimile l'ossessione che Marco Reus aveva verso di lui.)
(Mi scuso per la mia incapacità nello scrivere introduzioni as usual.)
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Angolo autrice:
Allora! Prima di dire o fare qualsiasi cosa: Premetto che i personaggi di questa storia non mi appartengono, perché sono reali e mi piacerebbe tanto se mi appartenessero *piange*
Sì, i personaggi sono proprio Marco Reus (Calciatore del BVB) e Mario Gotze (Bayern Monaco), unici e soli. Sono la mia otp, scusatemi. (E comunque è una AU, quindi non fatevi problemi se non li shippate o non sospettavate nemmeno la loro esistenza fino ad ora.)
Non so nemmeno perché sto pubblicando -anche perché ho già pubblicato questa storia su un altro sito con un account nominato "Frilaria"- ma mi andava perché è stata una faticaccia scriverla e quindi miao a tutti.<3
Buona lettura!

Mario Gotze Marco Reus

Mario Gotze                             Marco Reus

                                                                                                             Angelo Custode

 


Già in partenza, quello non era sicuramente un lunedì mattina come tutti gli altri. Quello era meglio, per quanto "meglio" potesse concordare con "lunedì". Insomma, non c'era niente di veramente speciale, per il momento, però quel giorno c'era l'assemblea d'istituto e poi l'assemblea di classe. Quattro ore di assemblea erano decisamente stressanti e noiose, ma erano sempre meglio di quattro ore di lezione con le materie assurde che c'erano quel giorno. Marco Reus, liceo classico, era appena arrivato a scuola e si era ritrovato con i suoi compagni di classe e la sua migliore amica, quando Mario Gotze fece il suo ingresso nel cortile della scuola. Mario Gotze, liceo linguistico, non aveva fatto davvero niente di speciale, non si sentiva niente di speciale, ma il suo semplice camminare a passo svelto attraverso l'ingresso del cortile era bastato per attirare l'attenzione di Marco e mandare in tilt il suo cervello per qualche minuto.
"Marco? Marco, dai.  Cos'hai? Un radar? Mai una volta che non lo vedessi entrare." la sua migliore amica parlava a vuoto, mentre Marco era concentrato solo su Mario, Mario che entrava in quel benedetto cortile, che sorrideva nella direzione dei  suoi amici e che andava a salutarli uno ad uno; sorrideva, scostava il ciuffo con un leggero movimento della testa e poi si avvicinava al gruppetto, chiamava il suo migliore amico e quando lui si girava lo stringeva in un flebile abbraccio.
"Marco, cos'hai che non va? E dai, Marco!" parole buttate all'aria, perché ora Mario era comodamente seduto su una panchina e stava ripetendo da qualche libro che teneva aperto sulle gambe, Marco se ne rese conto perché le vedeva muoversi, le sue labbra e dal fatto che non riuscisse a capire cosa stesse dicendo, si era accorto che probabilmente Mario doveva star ripetendo per qualche lingua che studiava; decise che se Mario fosse entrato a far parte della sua vita, l'avrebbe costretto ad insegnargliela solo per perdersi nel movimento sinuoso che le sue labbra facevano mentre la parlava.
"Marco, è davvero patetico. Almeno vai a parlargli, non lo so, fa in modo di farci amicizia. Marco. Marco? Dai. Sei un cretino. Davvero? Sono qui a parlarti da dieci minuti e tu non fai altro che fissarlo senza nemmeno parlargli? Cretino. Marco! Marco, senti, la campanella è suonata un minuto fa, quindi io entro okay? Ci vediamo quando uscirai da questo stato di trance in cui sei caduto da veramente troppo tempo, credo sia un tuo record. Ciao eh!" tutto inutile, Marco non aveva sentito nemmeno una parola, o la campanella. Tutti quei rumori erano soltanto un ronzio di sottofondo che accompagnava il movimento delle labbra di Mario Gotze. Era troppo che gli fissava le labbra, Marco lo sapeva, ma proprio non era capace di guardare altrove o pensare ad altro, niente era più importante al momento e nient'altro voleva sentire o vedere se non quelle agogniate labbra. Credeva che Mario avesse una forma delle labbra perfetta, ma non sapeva propriamente dire perché quelle labbra piene ma sobrie, potessero piacergli così tanto, l'unica cosa di cui era a conoscenza era che erano veramente bellissime e nessuno, se non lui o Martha -la sua migliore amica-, sapeva quanta voglia avesse di conoscerne il sapore, oltre che il modo in cui si sarebbero presentate a sfiorarle, magari con altre labbra, magari proprio con quelle di Marco.
Due minuti dopo, Mario Gotze aveva alzato il capo nella direzione del suo migliore amico, aveva sorriso, anzi, aveva addirittura riso e quella era l'unica cosa che Marco era riuscito a sentire prima che Mario posasse il libro in borsa, si alzasse e lo guardasse, proprio lui, fra centinaia di studenti.
Marco era scosso da centinaia di piccoli brividi che percorrevano l'intera lunghezza del suo corpo, sentiva le guance in fiamme ed era sicuro di avere le gote così arrossate da sembrare due caramelle alla fragola; allora sorrise in direzione di Mario, che già sorrideva, e si avviò verso l'entrata della scuola.
Una volta in classe, si sistemò accanto alla sua migliore amica, che lo guardava scettica mentre si avvicinava al loro banco abituale, dove lei già l'aspettava da qualche minuto.
"Ehi, sei sparita all'improvviso, potevi dirmi che entravi!" esordì Marco, sedendosi e sistemando le sue cose sul banco.
"Ah, davvero? Sul serio Marco? Io sono sparita? Erano dieci minuti che parlavo mentre tu non facevi altro che osservare, anzi, fissare, Mario Gotze. Dovrei sentirmi offesa, ma sono cinque anni che siamo in classe insieme e sono cinque anni che sono consapevole di quanto tu sia cretino, quindi ti perdono" l'aveva avvicinato e gli aveva sussurrato il tutto all'orecchio, in modo minaccioso ed inquietante tanto che l'altro aveva sbarrato gli occhi.
"Sul serio? E' che... scusami Mar, lo sai che m'incanto. Sono patetico, lo so" aveva detto, il labbruccio all'infuori.
"Va bene... no, Marco, è okay! Almeno dovresti provare a parlarci... " Martha aveva sospirato, aveva parlato in tono quasi rassegnato; dopo dovettero  smettere, a causa dell'entrata della prof: prima ora, Storia. Storia alla prima ora, di lunedì, era davvero devastante, per fortuna quel giorno era trascorsa abbastanza velocemente e fra una chiacchiera e l'altra, visto ch'era giorno d'assemblea, la professoressa non aveva nemmeno avuto la possibilità di spiegare tanto come faceva solitamente. Marco e Martha pensarono che quello fosse un miracolo, senza alcun dubbio.
Ovviamente, adesso li aspettava l'assemblea d'istituto, ben due ore di assemblea d'istituto in cui ognuno sarebbe stato a farsi i fatti suoi e nessuno avrebbe veramente capito di cosa si stava discutendo, per quanto potesse essere importante l'argomento. Marco osservava la platea, c'erano studenti seduti ovunque, era quasi difficile passare e spostarsi da un lato all'altro della stanza -anche perché si suppone che una persona non debba spostarsi, ma stare lì seduto ad ascoltare con interesse-. La cosa curiosa era che osservandoli tutti, uno ad uno, si vedeva solo una gigantesca chiazza di persone che parlavano fra di loro: con il compagno di lato, quello davanti, che chiamavano amici ed amiche seduti lontani, in ogni angolo della platea. Così come il resto del mondo, nemmeno Marco e Martha stavano ascoltando una sola parola di quello che i loro rappresentanti d'istituto stavano dicendo loro. Erano infondo alla stanza, seduti in cima alle scale, ad estraniarsi dal mondo, e l'assemblea era iniziata da cinque minuti scarsi; ad un certo punto, sentirono qualcuno scendere la rampa di scale prima di quella dov'erano seduti loro, che portava su una specie di pianerottolo dove c'era la porta per l'aula magna ed all'estremità c'era l'altra rampa di scale, quella dove c'erano seduti Marco, al primo scalino, con Martha, seduta al secondo scalino, appoggiata contro il muro e le ginocchia strette fra le braccia.
Marco si voltò un attimo, per vedere chi stesse scendendo le scale e se avesse bisogno di spazio e si ritrovò dinanzi i magnifici occhi ambra di Mario Gotze; il cuore di Marco perse qualche battito ed i brividi tornarono, tanto forti da indurre il suo cuore a salirgli in gola, poteva sentirlo bene. Si spostò più verso il muro, in modo di dargli tutto lo spazio di cui aveva bisogno per passare, invece Mario, seguito dal suo migliore amico, aveva scelto di sedersi proprio accanto a lui, mentre l'altro era andato a sedersi accanto a Martha.
"Allora" esordì Mario, "Di cosa si parla?" continuò, con il suo bel sorriso sfacciato stampato in viso. Il cuore di Marco, a vederlo, si alleggerì.
"Io... non ne ho idea, sinceramente" rispose, l'espressione tranquilla ed il cuore in subbuglio. Mario rise, forte, e Marco si riempì le orecchie di quel suono meraviglioso.
"Perfetto... comunque, io sono Mario, piacere" si presentò, guardandolo negli occhi.
"Io sono..." tentò di dire, invece, Marco, ma Mario non lo fece continuare.
"Lo so chi sei, Marco Reus" l'interruppe, facendolo sentire come se non ci fosse niente se non l'aria sotto di lui: completamente in bilico ed instabile. Marco lo guardò stranito, sgranando di poco gli occhi e corrucciando il viso. Mario si avvicino di più a lui, con le labbra che quasi sfioravano l'orecchio dell'altro e "Chiunque riesca a guardarmi in quel modo merita tutta la mia attenzione, e di essere conosciuto" aveva sussurrato. In quel momento Marco realizzò che Mario era sfacciato, vero, era trasparente ed incontenibile, diceva le cose come stavano, apertamente, senza vergogna; probabilmente era anche meglio di come Marco immaginava che fosse.
Intanto, Mario Gotze era riuscito a mandarlo in trance per qualcosa come la milionesima volta da quando gli piaceva e -mentre lui se ne stava beato a ripensare alle parole di Mario e a Mario in generale- gli altri avevano terminato le presentazioni e avevano iniziato a discutere di qualcosa di cui Marco non si curava per nulla, fin quando...
"Tu che ne pensi, Marco?" l'aveva interpellato il migliore amico di Mario -avrebbe poi scoperto che si chiamasse Uwe.
"Hm, come?" e Martha era semplicemente scoppiata a ridere, contagiando anche gli altri due, mentre Marco era ancora palesemente confuso dalla situazione intera -perché era assurdo, insomma, ricapitolando Mario Gotze era comparso dal nulla e si era accomodato accanto a loro, si era presentato e l'aveva mandato in trance dopo nemmeno cinque minuti che gli era vicino, era davvero surreale.
"Parlavamo di questa cosa dell'angelo custode di cui stanno discutendo all'assemblea" gli aveva chiarito le idee Mario, però era ancora molto confuso, non avendo ascoltato nemmeno una parola. Aveva guardato Martha, poi, chiedendogli con gli occhi di spiegargli la faccenda.
"L'hanno appena spiegato, Marco! Sei irrecuperabile. Fondamentalmente alla fine dell'assemblea gireranno con uno scatolone pieno dei nomi di tutti gli studenti della scuola e noi dovremo pescarne uno" aveva iniziato pazientemente a spiegargli, poi Mario l'aveva interrotta.
"Sì e dopo di questo dovrai essere l'angelo custode della persona che hai pescato, in che modo? Per esempio standogli vicino, conoscendolo, aiutandolo magari con qualche materia in cui sei più bravo, facendogli dei piccoli pensierini, come più ti pare. Detto questo, che ne pensi?" Marco aveva pensò che l'altro doveva provare gusto nell'interrompere le persone, ma pur di averlo nella sua vita se lo sarebbe fatto andare bene.
"Cosa ne penso? Che probabilmente nonostante sia una bella idea saranno davvero in pochi a farlo. Cioè, questa è un'iniziativa per persone sfacciate, non per gente timida e certamente non da aprire a tutte le classi. Io per esempio sarei troppo timido per fare una cosa del genere, a maggior ragione se non conosco la persona! In più se non la conosco come faccio a sapere cosa fare per renderlo o renderla felice? Credo sia organizzato male, non che sia una cattiva idea." Aveva risposto Marco, con tutta la calma e la tranquillità che era nella sua indole.
"Effettivamente ha ragione" avevano concordato Uwe e Martha. Mario, invece, se n'era stato zitto, fissandolo in modo indescrivibile e aveva annuito mentre sorrideva così tanto che l'altro avrebbe potuto contarli, i suoi denti; Marco un po' si era sciolto, andava ammorbidendosi, sciogliendosi sotto l'effetto dei sorrisi dell'altro, ogni volta che lo faceva.
La prima ora, su quelle scale, era subito volata fra una chiacchiera e l'altra; Mario e Marco erano talmente presi l'uno dall'altro che si parlavamo ininterrottamente da mezz'ora, non erano nemmeno più sicuri che Martha ed Uwe fossero ancora lì.
"Ehi, ehm... Voi due!"
Marco sobbalzò, troppo assorto nelle parole di Mario, gli stava parlando della scuola, di quanto odiasse Matematica e di quanto il suo professore di Matematica somigliasse a Gargamella, quando li avevano interrotti.
"Cosa c'è?" aveva chiesto Mario, girandosi verso il suo migliore amico.
"Niente, cioè, Martha ed io andiamo al bar della scuola, volete qualcosa?"
"No, grazie, io sto bene così" aveva risposto Mario, mentre l'altro aveva solo annuito, concordando silenziosamente con il castano seduto al suo fianco. Mar e Uwe quindi erano andati via, avvicinandosi al bar mentre chiacchieravano tra di loro.
"Quei due vanno già d'accordo" aveva costatato Marco.
"Già, ma dopotutto per noi è la stessa cosa, quindi non mi stupisco" gli aveva fatto notare.
"Anche questo è vero. Dicevamo?"
"Non ricordo, ormai è tardi per ritornare su quel discorso. Parliamo di te, liceo classico, giusto?"
Marco non era nemmeno sicuro che quella potesse essere propriamente chiamata "domanda", ma decise di rispondere, e le cose che aveva detto Mario non gliele aveva nemmeno chieste: "Sì, esattamente, frequento il liceo classico ma tecnicamente sono stato costretto, mia madre si aspetta molto da me ed ha voluto scegliere il liceo al posto mio. Non me la cavo nemmeno male, solo che il liceo linguistico mi sarebbe già piaciuto di più."
"Capisco, per fortuna io ho avuto la possibilità di poterlo scegliere da solo e grazie a questo sono arrivato in quarta con un percorso abbastanza liscio”.

"Ah, sì, quarto liceo?" aveva ghignato Marco, come se non lo sapesse da prima.
"Sì, sei più grande di me, terzo liceo classico, giusto? Quindi quinto anno" Marco aveva annuito, prima che li chiamassero al centro della platea per il pescaggio dell'angelo custode.
Camminarono vicini verso il grande scatolone in cui erano contenuti i bigliettini  con i nomi e prima di pescare "Ma Martha ed Uwe sono spariti?" aveva chiesto Marco, il bigliettino chiuso fra le mani.
"Sì, saranno rimasti bloccati da qualche parte" e gli aveva sfilato il bigliettino dalle mani.
"Congratulazioni, Marco Reus, a quanto pare sei il mio angelo custode" e gli aveva mostrato il biglietto, sorridendo.
"Hm? Credo che dovrei cambiarlo, tu ormai lo sai e non dovresti" lo canzonò Marco, prendendogli il biglietto dalle mani; Mario l'aveva fermato e "No, dai Marco, tienilo! Non fa niente, sarà più semplice e divertente sapere chi è il mio angelo custode, per favore!" aveva detto, e Marco a quegli occhi non poteva resistere, quindi l'aveva infilato in tasca e insieme erano tornati alle scale.
Si erano finalmente ricongiunti con Martha ed Uwe, quando la campanella della quarta ora era suonata, era ora di ritornare in classe per due lunghissime ore di assemblea di classe.
Per Marco, l'assemblea d'istituto era stata solo un grandissimo insieme di "Mario, Mario, Mario", ma le assemblee di classe, secondo lui, erano il peggio. Dopo aver salutato Mario, sperava solo che quelle due ore passassero in fretta.
Le ore non erano passate in fretta alla fine, a maggior ragione perché Martha l'aveva riempito di domande su quello che gli aveva detto Mario Gotze. E a proposito di Mario, ora cosa succedeva? Erano amici, si salutavano, erano conoscenti? Magari compagni di scuola, avrebbe dovuto salutarlo se l'avesse incontrato da qualche parte? Marco non lo sapeva e perciò lui per primo non sapeva nulla del suo rapporto -se così si poteva chiamare, alla fine avevano solo parlato una volta, Mario aveva detto cose, ma niente di serio, che lui sapesse- quindi come poteva rispondere alle infinite domande che la mente della sua migliore amica formulava? In più, poiché il meglio era finito, ma al peggio non c'è mai fine, fuori scuola il castano nemmeno si accorse di lui, intento a parlare con una ragazza che Marco credeva di non aver mai visto.


Il giorno dopo, lì a Dortmund pioveva, e l'umore nero di Marco non faceva che peggiorare, la ciliegina sulla torta era senz'altro il vento impetuoso che gli soffiava fra i capelli così forte da scombinarli completamente; se il vento fosse stato l'unico problema, Marco avrebbe potuto accettarlo, ma il vero problema era che a
Dortmund pioveva e lui era lì che correva sotto la pioggia, perché era una testa di cazzo ed aveva dimenticato l'ombrello.
Per fortuna, Marco non sapeva per quale miracolo, durante il tragitto era arrivato Mario che gli era corso in contro e l'aveva fatto riparare sotto il suo ombrello.
"Oddio Mario, grazie, sei un angelo!" aveva esclamato il biondo e l'altro gli aveva sorriso, guardandolo in volto. Una volta arrivati a scuola, al coperto, Mario chiuse l'ombrello e passò una mano  fra i capelli.
"Allora, Reus, non eri tu a dover fare a me da angelo custode? A me sembra il contrario!" l'aveva preso in giro, ridendo leggermente.
"Divertente, Gotze, e vero, ti ringrazio." Il castano non aveva detto una parola, gli aveva sorriso soltanto. Poi, aveva guardato i suoi capelli e "Posso solo immaginare a quante ragazze avrai spezzato il cuore con questa capigliatura" aveva detto Mario, dal nulla, come se ci pensasse da sempre e fremesse per dirlo.
"In realtà... Le ragazze non sono proprio il mio genere preferito. Beh, cosa c'è Gotze? Pensavo mi conoscessi!" ribatté  Marco, ironico come poche volte.
"Infatti, Reus, lo dicevo proprio per quello" aveva sorriso.
Marco l'aveva guardato in quel modo e gli aveva sorriso di rimando.
"Sono tentato dall'allontanarmi da qui" aveva esordito Mario, guardandolo negli occhi.
Marco nel frattempo si era intristito un po', "Perché?" .
"Perché quando sono lontano mi guardi più a lungo, mi guardi in quel modo, quello che mi ha spinto a volerti conoscere" e la campanella era suonata.
Quando Marco era arrivato in classe, scoprì che il suo sconosciuto angelo custode aveva deciso di migliorargli la giornata, aveva trovato sul banco, dal suo lato, una bellissima rosa gialla, con un cartoncino colorato di nero e la scritta gialla come la rosa.


"Ti ho preso una rosa perché è in questo modo che ti vedo: una meravigliosa rosa gialla nel pieno della fioritura, una anonima, accantonata, che guarda quelle rose rosse con tanta invidia, senza sapere d'essere speciale;  sei speciale, e sei meraviglioso, una meravigliosa rosa gialla dallo stelo senza spine; le ho tolte io, le spine, come voglio fare con le tua difese: voglio entrarti dentro, nella carne, come se una spina di quelle t'avesse punto. Sarai la mia piccola rosa gialla.
                                                                                                                          Il tuo angelo custode."
 
Marco aveva letto il biglietto e gli era venuta quasi l'ansia, tremava dalla voglia di scoprire chi fosse stato a prendersi tanto disturbo per lui e -soprattutto- chi  avesse potuto inquadrarlo così bene da riuscire a capirlo così nel profondo. Per un attimo aveva pensato a Martha, ma lei non avrebbe scritto una cosa del genere e non ce l'avrebbe fatta a mantenere il segreto in quel modo, in più, quel giorno non era nemmeno presente. Alla fine di quella giornata, la rosa fra le mani e quella frase nel cuore, Marco era tornato a casa con il cuore pesante a causa dei dubbi.
 
Nei giorni seguenti, dell'angelo custode non c'era stata nessuna traccia, Marco quasi se n'era dimenticato, troppo preso dal suo rapporto con Mario, anche se non sapeva ancora definirlo.
Si cercavano spesso, a scuola, la mattina Mario lo aspettava ed entravano insieme e trascorrevano insieme parte dell'intervallo, fin quando Mario non scappava da Julia, la abbracciava e si metteva a chiacchierare con lei. Diceva d'essere il suo angelo custode ma Marco non ci vedeva chiaro in quella storia ed era proprio in quel  momento, mentre ci pensava, che l'altro facesse la sua apparizione.
"Buongiorno, Marco" Mario era arrivato da dietro e gli aveva scompigliato i capelli.
"Buongiorno", l'altro aveva aggiustato i capelli e l'aveva guardato male.
"Che allegria stamattina, schatz! Come va con il tuo angelo custode? Perché il mio è completamente inesistente" aveva scherzato, canzonandolo perché era lui il suo angelo custode e nonostante Mario lo sapesse non aveva ancora fatto niente.
"Oh... Mario, scusami! Non è una questione personale, è che non ho idea di cosa fare per te e sono molto imbarazzato dal fatto che tu sappia" aveva ribattuto Marco, mettendo su la migliore espressione da cagnolino bastonato che gli era venuta.
"E va bene, Marco, prenditi il tempo che ti serve, fino a Natale ne hai di tempo!" aveva riso. Marco si beò della sua risata, "Va bene Mario, ora entro in classe, all'intervallo ci vediamo, hm?".
"Certo, a dopo Marcuccio"
E si divisero.
 
Marco aveva aspettato l'intervallo per tutte le precedenti tre ore e quando era arrivato, aveva incontrato Mario, più bello che mai. Peccato che a "rovinare" -in realtà non sapeva se davvero la rovinasse, oppure glielo facesse solo apprezzare di più- quella sua espressione innocente ci pensavano le mille bestemmie che fuoriuscivano da quelle sue labbra piene. Con le gote arrossate, si avvicinò al biondo pronunciando l'ultima di una lunga serie di bestemmie.
"Non posso crederci, Marco, un'altra insufficienza! Il recupero in matematica nessuno me lo toglie quest'anno!" stava ancora imprecando, ma Marco aveva avuto un'illuminazione.
"Caro Mario, ora so quale sarà la prima cosa che farò per te come tuo angelo custode" esclamò, guardando Mario che, ancora con le gote arrossate dalla rabbia, lo guardava in viso palesando il suo non aver capito di cosa parlasse.
"Hm, ucciderai Gargamella? Non credo che gli angeli facciano cose del genere"
"Per quanto io capisca il tuo sconforto, anche perché so di chi parli, quel professore è completamente incompetente. Comunque, io pensavo invece di darti qualche ripetizione; insomma, non me la cavo per niente male in matematica e sono sicuro che chiunque del quinto anno sarebbe in grado di spiegarti il programma di quarta meglio di lui!"
aveva proposto Marco, sperando che Mario accettasse; già sentiva il cuore accelerare, mentre l'altro guardava in un punto imprecisato del cortile.
Sorrise e "Marcuccio, tu...sei un angelo! Sarebbe fantastico, grazie!" aveva detto, dopo l'aveva abbracciato tanto forte che il maggiore aveva divaricato di poco le gambe per restare in equilibrio e sorreggere l'altro.
"Allora, che ne dici se c'incontriamo sabato pomeriggio a casa tua? Così magari, sempre che tu non abbia impegni, potremmo trascorrere la serata insieme!" aveva esordito, ancora, Mario.
"È perfetto" aveva sorriso il biondo.
"Ci vediamo sabato, ciao biondo" e per quel giorno il loro intervallo insieme era finito; Marco era felice, Mario stava andando da Julia, ma lui si sentiva leggero. Non vedeva l'ora che arrivasse sabato.
 

Quel tanto aspettato sabato, finalmente, era arrivato. Mario era a casa sua da una ventina di minuti, sua madre l'aveva subito adorato, come il resto della sua famiglia... E del mondo; Marco iniziava a pensare che fosse impossibile detestare una persona come Mario Gotze.
Di quei venti minuti, erano cinque minuti interi che il minore era fermo a fissare un esercizio di matematica con gli occhi sbarrati.
"Okay, hm, mi serve una pausa" aveva dichiarato, il viso dolce e supplichevole.
Marco rise, "Ma come? Mario, sei qui da venti minuti e sei sul primo esercizio da cinque minuti, non lo stai nemmeno svolgendo: lo guardi".
"Cinque minuti? Ancora peggio!" detto questo, aveva messo il tappo alla penna e l'aveva posata.
"Mario, come sei disordinato!" aveva esclamato il biondo, ed aveva preso la penna, allineando quella specie di protuberanza del tappo con la scritta della marca in oro che c'era su un lato.
Mario lo stava guardando con gli occhi fuori dalle orbite, Marco arrossì.
"Scusami... È...una mia mania, un'ossessione più che altro...è imbarazzante, lo so..." aveva detto, palesemente imbarazzato.
"No, no Marco! Tu sei...adorabile, davvero, e non devi preoccuparti. Ognuno ha le sue stranezze..." senza dubbio, dopo quelle parole Mario l'aveva rassicurato e...incuriosito.
"Oh, sì? Ognuno? E qual è la tua stranezza, Mario Gotze?" Questa volta, era stato il castano ad arrossire. "Io sono Mario Gotze, non ho stranezze... Se non il criterio con cui scelgo i vestiti, hm, un giorno te ne accorgerai, ora... Sono qui per fare matematica, giusto?" aveva sviato il discorso, e Marco glielo aveva concesso.
"Va bene, piccolo fifone completamente incapace in matematica, torna su quell'esercizio!"
Tuttavia, dopo altri cinque minuti che guardava quell'esercizio, Mario era sempre al punto di partenza. Il biondo l'aveva guardato, capendo che era ora di dargli una mano.
Mezz'ora dopo il minore aveva finito l'esercizio, l'aveva capito e stava guardando Marco con un bellissimo sorriso di riconoscenza.
"Ma come fai?" aveva chiesto Mario, dal nulla.
Marco l'aveva guardato con il viso contorto da un'espressione di dubbio, "Come faccio a fare cosa?"
"Ad essere... Così tutto. Insomma, non ti basta l'andare bene a scuola e l'essere simpatico, sei anche di bella presenza ed assolutamente bellissimo, credo che tu non sia umano. Per essere tutte queste cose insieme ed avere una vita sociale a volte penso che tu di notte non dorma, ma pensandoci nemmeno questo ragionamento quadra, perché sennò non riusciresti ad essere così bello. E allora devi non essere umano, per forza, oppure tu sarai il più grande mistero che la scienza possa conoscere. Sono sicuro che morirò prima di capirlo!" disse, con tanta serietà che Marco non riusciva a capire come lui facesse a fargli un effetto del genere. Era irrimediabilmente scoppiato a ridere e poi "Su, Mario, finiamo questi esercizi, credo che tutto questo sforzo ti stia facendo male!" l'aveva preso in giro. Mario gli aveva tirato uno schiaffo sulla nuca ed erano tornati a quei famosi esercizi di matematica.
Trenta esercizi dopo, Mario aveva fatto del biondo una sua divinità personale, ancora non poteva credere di essere riuscito ad imparare come si facevano quegli esercizi, c'era bloccato da un anno.
"Grazie, Marco, sei l'angelo custode migliore che potessi desiderare" l'aveva ringraziato e abbracciato, stretto, in modo calmo e non impetuoso; Marco si era goduto quell'abbraccio fino all'ultimo.
"Figurati, Gotze, per me è stato un piacere e sono troppo soddisfatto per noi" dopo aveva risposto all'abbraccio.
"Va bene, però per oggi basta, ti va di fare altro?" aveva proposto, il labbruccio sporto per intenerirlo.
"Certamente, cosa proponi?"
"Io... non lo so, so solo che stasera al cinema davano un film bellissimo che voglio assolutamente vedere!"
Erano bastate quelle poche parole di Mario, l'altro si era alzato, aveva preso la giacca a vento ed il portafogli, poi aveva aperto la porta e "Andiamo, allora, qualsiasi film sia lo vedrò con te, come premio, no? Mi racconterai la trama per strada" aveva detto. Il castano aveva sorriso, l'aveva abbracciato ancora ed avevano varcato la porta insieme.
Alla fine il film era stato carino e la serata era stata ancora meglio: un bel film, il buio, Marco al suo fianco, le loro mani che si sfioravano fra i popcorn, le labbra di Mario sulla birra che aveva preso Marco. Avrebbero assolutamente dovuto rifarlo.
 
 
Giorni dopo, Marco era arrivato in classe, aveva salutato la sua Martha che era appena rientrata dopo qualche giorno di malattia- e puntuale, dopo una settimana dal primo, sul suo banco c'era poggiato un cartoncino colorato di verde e la scritta era color ambra.
 
"E comunque, credo che tu sia adorabile. Ti guardavo, mentre eri sottopressione, facevi scivolare la mano fra i capelli biondi e poi questa finiva sul viso, schiacciava di poco la cartilagine del naso e finiva a torturare le labbra rosee. Eri adorabile, esposto, cristallino: eri veramente bellissimo.
 
                                                                                                                             Il tuo angelo custode"
 
Marco lo prese, lo lesse più volte e l'amò. Dopo lo aveva riposto nel taschino del diario, quando sarebbe arrivato a casa l'avrebbe conservato insieme al primo.
 
 
Quel mercoledì, Marco, per la prima volta da un po', camminava verso la scuola da solo. L'aria fresca era pungente sul volto, l'unico posto scoperto dal cappello e la grande sciarpa. Nonostante questo, però,  sembrava una giornata tranquilla, il sole splendeva flebilmente fra le nuvole e il cielo azzurro, mentre il profumo dell'asfalto ancora bagnato dalla pioggia di quella notte l'inebriava e gli trasmetteva una sensazione di pace ed armonia; lui si sarebbe anche rilassato, ma stava camminando verso la scuola, senza Mario, e non poteva fare a meno di sentirsi il cuore appesantito.
Quando era arrivato a scuola, aveva scoperto che Mario almeno stava bene, ma quello che stava vedendo non gli piaceva ugualmente. Il castano se ne stava vicino alle panchine, con Julia, e gli stava dando quella che da lontano sembrava a Marco una specie di lettera. Quello che più faceva male, o infastidiva, era l'espressione dell'altro: sorrideva, il volto deformato in un delizioso sorriso, di quelli che non gli aveva mai notato in volto. Marco si chiedeva s'era così che lui guardava Mario.
Pochi istanti dopo, il Minore si era girato verso di lui continuando a sorridere, aveva salutato Julia e si era avvicinato.
"Buongiorno, Marco" lo salutò.
"Buongiorno" 
"Marco, c'è qualcosa che non va? ... Con me?" aveva chiesto, l'espressione dolcemente corrucciata in una smorfia di preoccupazione.
"No, Mario, cosa te lo fa pensare? Perché dovrei essere arrabbiato con te?" Marco aveva tentato di assumere un tono di voce neutro, dopotutto era stupido essere arrabbiati per una cosa del genere, se l'altro non lo ricambiava non doveva fargliene una colpa. Però aveva bisogno di calmarsi, qualche ora.
"Perché stamattina non mi guardavi come mi guardi di solito" aveva detto Mario, con un filo di voce, come se volesse piangere, invece i suoi occhi erano ancora brillanti ed asciutti, senza il minimo segno di lacrime.
"Non so di cosa parli. A dopo, Mario, io entro in classe!" e non gli aveva dato nemmeno il tempo di rispondere, si era allontanato.
Quando era arrivato in classe, era vuota, ad aspettarli c'era solo l'ennesimo bigliettino. Il colore scelto dall'angelo custode misterioso quella volta era il rosa, ed il perché c'era scritto fra le righe.



"Questa volta, ho scelto il rosa perché è delicato, come te: come il tuo viso arrossato dall'imbarazzo o dal freddo, come te perché sei bello di una bellezza delicata, sopraffina ed elegante. Perché pur essendo la tua bellezza rosa, tu dentro hai l'arcobaleno.
                                                                                                 Il tuo angelo custode."
 
 
All'intervallo, Marco era molto più calmo, aveva elaborato l'accaduto ed aveva pensato che davvero non poteva fargliene una colpa, doveva scusarsi con Mario.
Ovviamente, il biglietto ritrovato sul suo banco aveva contribuito a calmarlo di molto; se solo fosse stato Mario a scrivergli una cosa del genere.
Quando l'aveva visto scendere le scale dal piano di sopra si era bloccato, era rimasto fermo ed aveva aspettato che lui si avvicinasse.
"Marco, ciao, io..." aveva tentato di dire e per la prima volta era stato Marco ad interrompere l'altro.
"No, Mario, aspetta, non devi dire niente, anzi, sono io che devo scusarmi, okay? Mi dispiace, ero nervoso e ti ho trattato male senza volerlo. Comunque ora devo rientrare in classe a ripetere, vai pure da Julia" e l'aveva salutato di fretta, lasciandolo interdetto, sospeso, senza avergli fatto realmente capire qualcosa.
Si era avviato verso la sua classe mentre si dava uno schiaffo mentale. Non poteva essere vero, aveva trascorso le precedenti tre ore a riproporsi di scusarsi con lui e quando era arrivato il momento si era comportato come un cretino,come al solito. Insomma, l'inizio poteva pure andare bene, però poi aveva dovuto aggiungerci quell'ultima frase che aveva rovinato tutto. Ora si ritrovava in classe da solo, tanto valeva ripetere per l'interrogazione che aveva l'ora successiva. Almeno, l'intento era quello, perché due minuti dopo aver preso il libro qualcuno aveva aperto la posta della classe, Mario Gotze era entrato e si era seduto accanto a Marco.
"Che cosa ripeti?" aveva chiesto, con tutta la naturalezza del mondo.
"Mario... Storia" Marco aveva tentato di scusarsi nuovamente, di spiegarsi, ma aveva realizzato che non ce n'era bisogno, perché Mario era tranquillo e gli aveva sorriso.
"Calmo, Marco, non ce l'ho con te per la tua gelosia, anche se non ho capito a cos'è dovuta"
E Marco era sobbalzato, era stato un cretino ed ora Mario doveva aver capito tutto, nonostante lui tentasse di negare.
"Non sono geloso, non so perché mi dà fastidio" aveva negato, quindi.
"Va bene, Marco", rideva, "Che ne dici se ti aiuto a ripetere Storia?"
"No, tranquillo, avrai di meglio da fare, va pure"
rispose il biondo, con gli occhi fra le righe del libro, senza mai iniziare a ripetere realmente.
"La smetti di ripeterlo? Non ho niente di meglio da fare in alternativa allo starti vicino" aveva detto Mario, e Marco decise che anche quello, l'argomento di storia che più odiava, era più bello in compagnia dell'altro.
 
 
 
 
"Mario?"
"Hm?"
"Ma com'è che ti guardo?" aveva chiesto Marco, in uno di quei pomeriggi che trascorrevano insieme, a casa di Marco, in compagnia degli esercizi di matematica di Mario.
"Come?" aveva chiesto come risposta Mario, un tantino disorientato da quella domanda.
"Fai sempre riferimento al modo in cui ti guardo, ma com'è che ti guardo?" aveva detto.
Mario aveva riso, "Non so di preciso come mi guardi, so solo che mi guardi come nessuno mai ha fatto. Mi guardi come se mi volessi tanto bene da aver paura, come se potessi perdermi girandoti, come se fossi prezioso. Mi guardi e gli occhi s'illuminano, brillano come se fossero diamanti, come il mare illuminato dal sole che squarcia le nuvole, mi guardi come se ti sentissi completo e poi sorridi, e mi sciolgo. Come mi guardi, Marco?" aveva parlato in modo incerto, si vedeva che nemmeno lui l'aveva veramente capito o sapesse cosa dire, sapeva che il modo in cui Marco lo guardava era speciale, come lo sapeva Marco.
"Ti guardo come se fossi innamorato di te, perché lo sono, perché ti amo" avrebbe voluto dirgli, ma non era ancora pronto, non ce la faceva; "Non lo so, Mario, ma hai ragione, non credo che qualcuno sarà in grado di guardarti come ti guardo io".
Il minore aveva sorriso, perché lo sapeva, e Marco aveva capito che lui sapeva, ma non aveva detto niente, qualsiasi cosa avesse detto sarebbe stato solo superfluo.
A quel punto erano tornati a studiare matematica, Marco aveva quasi il mal di gola tante le volte che aveva spiegato a Mario quel esercizio, ma non smetteva di parlare, di spiegargli come doveva fare, di aiutarlo, nonostante la gola gli facesse più male ogni volta. Si sentiva ripagato, però. Mario ne valeva completamente la pena.
Quella sessione di studio aveva dato i suoi frutti, come le altre, Marco credeva di essere proprio un buon angelo custode. Un buon angelo custode, ma mai meglio del suo, ogni settimana la sua curiosità cresceva sempre di più; aveva iniziato a pensare che qualcuno lo stesse prendendo in giro, era impossibile che qualcuno l'amasse così, specialmente se non si conoscevamo da vicino, perché fra i suoi amici più stretti non c'era nessuno che avesse potuto fare una cosa del genere. Era confuso e si stava perdendo fra i suoi pensieri, quando "Mi trovo, Marco, ci sono riuscito!" aveva detto Marco, e lui aveva sorriso, aveva controllato e "Sono fiero di te, Mario, ora fanne solo un altro e sei libero, siamo qui da tre ore contate!" aveva quasi urlato, tirandogli le guance.
Mario aveva alzato gli occhi al cielo ed aveva iniziato a fare l'esercizio successivo, terminandolo una decina di minuti dopo, con successo.
"Sei il miglior professore di sempre!" L'aveva ringraziato, prima di abbracciarlo forte.
Qualche minuto dopo, Mario stava aspettando i suoi genitori, mentre girovagava per la stanza di Marco e quest'ultimo lo guardava affascinato, mentre osservava e toccava quello che voleva, senza chiedere il permesso, che Marco non gli avrebbe comunque negato.
Curiosando un po' ovunque, era finito ad aprire il cofanetto dove il biondo conservava i bigliettini del suo angelo custode.
"Oh. Il tuo angelo è molto meglio del mio!" e aveva riso, "E pure più dolce, dici che dovrei essere geloso?" aveva scherzato, ma Marco non aveva avuto il tempo di rispondere, perché erano arrivati i genitori di Mario.
 


Ormai, era trascorso più di un mese da quando Marco e Mario potevano propriamente dire di conoscersi. Marco era sempre più preso da lui, anche s'era troppo incuriosito dal suo angelo custode; si era completamente immerso in quella storia, tanto che aveva iniziato a trascurare Martha, la sua migliore amica.
Era anche più di un mese che Mario e Marco si vedevano per le lezioni di matematica, usandolo come scusa per trascorrere tutti i sabato assieme; Marco era più allegro, felice, si sentiva sollevato ed utile, si sentiva bene quando stava con l'altro e gratificato ogni volta che lui lo ringraziava per quello che faceva per lui; in quei momenti Marco pensava di dover essere l'unico a ringraziare l'altro, per come lo faceva sentire, quello che gli faceva provare, e perché dopo tanto tempo che desiderava conoscerlo sul serio, Mario si era semplicemente seduto accanto a lui e gli aveva parlato, come se non ci fosse niente di più semplice o che desiderasse fare di più, dandogli una buona dose di fiducia ed autostima. Il biondo sentiva di doverlo ringraziare, di dovergli molto, ma non lo faceva, perché non ce n'era bisogno, perché si compensavano ed ognuno faceva qualcosa per l'altro, aggiustando ognuno le ammaccature dell'altro. Marco aveva rivalutato la sua idea di perfezione, dopo aver conosciuto l'altro, ora sapeva che il meccanismo perfetto era la loro unione, la sincronia, il loro completarsi. Poco più di un mese ed il castano gli aveva stravolto la vita, facendo in modo di diventarne il punto cardine.
Quella mattina, Mario non c'era. Il biondo non sapeva come né perché, o dove fosse, ed iniziava ad agitarsi; Martha gli aveva tirato uno schiaffo leggero sulla nuca.
"Ah...ma... perché?" le aveva chiesto Marco, portandosi una mano sulla nuca, di riflesso.
"Perché sei un cumolo di ansie, Marco! All'inizio Mario mi piaceva, prima che ti riducesse in questo modo, intendo!" aveva esclamato, dopo essersi seduta accanto a lui.
"In che senso?"
"In che senso? Guardati, Marco! Sei un mucchietto di ansie e preoccupazioni: "Mario non è venuto a scuola", "Oddio, dov'è Mario?", "Dovrei chiamare l'ambulanza per farlo ricoverare? Perché Mario mi ha detto di avere il raffreddore", "Non trovo Mario, è in ritardo di due secondi e non risponde al cellulare, chiamo la polizia?" smettila, per favore! A questo punto non sono nemmeno più sicura che la sua vicinanza ti faccia bene, a volte vorrei che il tuo angelo custode si facesse avanti, visto che ha trascorso quasi due mesi a mandarti bigliettini e tu non ti sei nemmeno degnato di cercarlo! E lo so che sarebbe inutile, perché tu sei veramente troppo preso da Mario. Ti sei quasi dimenticato di me. Lo sapevi che sono stata fidanzata con Uwe? Ovviamente no, ma non preoccuparti, perché tanto ci siamo lasciati giusto qualche giorno fa, e tu non ne sapevi un cazzo. Probabilmente non lo sapeva nemmeno Mario, perché anche lui è preso da te almeno quanto lo sei tu, andiamo! Mettiamoci pure che siete due cretini, perché state sprecando mesi, biondo. O ci vedete male o siete stupidi, perché l'avranno visto tutti, ormai!" Martha era stata ben attenta a regolarsi con il tono di voce, ovviamente non voleva urlare quella storia a tutti, nonostante fosse sicura che tutti ormai sospettassero qualcosa.
Marco, invece, era rimasto interdetto. Non aveva capito dove l'amica voleva andare a parare, nonostante dovesse dargli ragione sulla questione delle ansie e dell'essersi estraniato dal mondo per un po’, in poche parole, dopo più di un mese in cui Marco si era più volte interrogato sugli effetti negativi del loro rapporto, non riuscendo a trovarli, Martha glieli aveva forniti in poco più di cinque minuti. Mario gli faceva veramente un brutto effetto?
"Vedere cosa?" aveva quasi sussurrato, a metà fra l'aver capito ed il non volerci credere.
"Allora siete stupidi, è assodato, perché... vaffanculo! Voi vi piacete da morire e state perdendo soltanto tempo. Marco, guardami, okay?" e l'aveva guardato negli occhi, "Flirtate in continuazione, è una cosa no-stop. Io fatico a starvi dietro, vi eravate parlati per la prima volta giusto cinque secondi prima e lui già sapeva tutto di te e ti sussurrava all'orecchio con sfacciataggine e il giorno dopo eravate già immersi nel flirt totale, davvero, VAFFANCULO! Io ti voglio bene, Marco, voglio il meglio per te, sul serio: smettetela di rodervi il fegato in questo modo e parlatene, ma che cazzo! È raro che due persone si trovino come avete fatto voi e siano così presi l'uno dall'altro dopo così poco tempo" Martha l'aveva detto e Marco si era quasi pentito di averlo chiesto. In un certo senso l'aveva sempre saputo, insomma, era un ragazzo intelligente e in quanto tale si era accorto di quanto lui e Mario flirtassero, ma aveva sperato di poter continuare così ancora per un po'. La verità era che Marco era un codardo e che non poteva continuare a perdere tempo in quel modo.
"Vero?" Aveva detto, portandosi le mani al viso.
"Vero, Marco, anzi, non mi stupirei se il tuo angelo custode fosse proprio Mario. Siete fatti l'uno per l'altro"
Per fortuna, la prof di filosofia era entrata in classe e Marco aveva potuto smettere per un po' di pensare, o di parlare, di quell'argomento. Anche perché ripensando alle parole dell'amica, aveva ripensato a quel "Non mi stupirei se fosse Mario il tuo angelo custode" ed era entrato in trance, perdendosi fra i pensieri. Dopotutto, quello era proprio il modo in cui Mario si esprimeva, anche se non l'avrebbe mai immaginato il tipo da fare una cosa del genere, era sfacciato, diretto, non era il tipo da nascondersi dietro bigliettini colorati lasciati sul suo banco. In più, non l'aveva mai visto nelle vicinanze della sua classe di mattina, arrivavano sempre a scuola insieme, poi Marco raggiungeva subito la sua classe e Mario andava nella direzione opposta, mentre i bigliettini erano sempre lì prima che la campanella suonasse. Avrebbe dovuto fare più attenzione ai comportamenti di Mario.
All'intervallo, un Mario agitatissimo si era avvicinato a lui, con il panico stampato in fronte a caratteri cubitali, al biondo era bastato un solo sguardo per permettergli di capire come si sentiva, l'aveva avvicinato, stretto a sé, e "Cosa c'è?" gli aveva chiesto, preoccupato -probabilmente anche più di Mario stesso.
"Compito di Matematica" gli era bastato solo pronunciare quelle tre parole, che il panico s'era già impossessato anche di Marco.
"Cosa, quando?"
"La settimana prossima"
aveva detto, Marco era rimasto in silenzio, lasciando che l'altro continuasse: "Questo lunedì" e quella era stata una bella batosta per entrambi.
"Cosa? Ma oggi è venerdì! Mario, domani vieni a casa mia e non te ne vai fin quando non avremo finito gli esercizi del tuo e del mio libro di quarta, okay?" e forse quello più agitato fra i due era Marco, troppo preoccupato per ricordarsi i notevoli progressi di Mario con la matematica. Mario gli aveva sorriso, gli aveva mimato un "Grazie" con le labbra e l'aveva portato al bar della scuola, per offrirgli qualcosa in segno di gratitudine.
Tornato a casa, Marco aveva iniziato a scegliere gli esercizi che Mario avrebbe dovuto fare il giorno dopo, cercando di occupare la mente per non ripensare a tutte le cose che erano successe: il discorso di Martha, le sue consapevolezze, Mario ed il suo compito di Matematica. La mente di Marco era più disordinata dei suoi capelli.
 
 
 
Quel sabato tanto atteso, dal retrogusto al sapore d'agitazione, era arrivato. Per Marco era strano pensare di aver iniziato le ripetizioni sei sabati prima e che quello sarebbe potuto essere l'ultimo.
Erano le quattro e cinque minuti del pomeriggio ed il loro appuntamento era alle quattro; il maggiore se ne stava immobile aspettando l'altro da ben cinque minuti.
Come se l'avesse saputo, invece, il moro arrivò di corsa, col fiatone, scusandosi per il ritardo nonostante quest'ultimo fosse di soli cinque minuti; intanto, la madre di Marco li guardava intenerita dalla porta della cucina, Mario se ne accorse, perciò andò a salutarla calorosamente ed insieme a lei anche il resto della famiglia.
Dopo i necessari convenevoli, salirono in camera, dove il biondo aveva già disposto accuratamente i loro libri sulla sua spaziosa scrivania.
"Allora, piccola rosellina gialla, da dove iniziamo?" esordì Mario, facendo arrossire di poco l'altro e facendo affiorare nella sua mente il ricordo vivo di quel primo biglietto che il suo misterioso angelo custode gli aveva lasciato sul banco settimane prima.
"Piccola rosellina gialla?" aveva chiesto Marco, inarcando un sopracciglio e sedendosi alla scrivania.
"E' stato lo stato in cui sono ridotti i tuoi capelli adesso ad ispirarmi, cos'hai fatto? Sembra che tu li abbia tirati tutto il pomeriggio!" scherzò Mario; il biondo avrebbe tanto voluto dirgli ch'era così, ch'era talmente agitato da essere arrivato a giocare con i suoi capelli, rovinandone la forma perfettamente studiata. Ancor di più avrebbe voluto dirgli che la causa di tutto quello era solo ed unicamente lui, e se ne avesse avuto il coraggio, era certo, l'avrebbe fatto, ma per il momento si accontentò di sorridergli e di guardarlo in quel modo di cui parlava tanto l'altro. Per il resto del tempo che trascorsero insieme non fecero altro che esercizi di matematica; non si fermarono se non per ringraziare la brava donna ch'era la mamma del biondo per avergli portato la merenda.
Marco ogni tanto si fermava a guardarlo, guardava Mario e si chiedeva se davvero i suoi occhi facessero trapelare tanto sentimento quando lo guardava; mentre l'osservava, notava come il suo viso si deformava manifestando le varie emozioni. Ammirava il volto serio, impegnato su quello che stava facendo, i capelli spettinati dalla corsa che il moro aveva improvvisato per arrivare a casa sua. Marco lo guardava e Mario da un lato sarebbe rimasto così tutto il giorno, con il biondo che lo guardava, a leggere tutte le parole non dette che riusciva a scorgere da quegli occhi che gli piacevano tanto; lo sguardo del maggiore, però, era talmente intenso che il moro riusciva ad immaginarlo, se lo figurava nella mente e lo sentiva sulla pelle, scottante come il sentimento che entrambi tentavano invano di celare dietro quello scrutarsi. Quindi se le circostanze fossero state diverse, il minore avrebbe trascorso tutto il pomeriggio così: lasciando che Marco lo guardasse; però lunedì aveva un compito ed aveva seriamente bisogno di concentrarsi, cosa che gli riusciva difficile con quello sguardo puntato addosso; ogni tanto, allora, alzava gli occhi, li puntava in quelli dell'altro in una tacita richiesta a smettere. Marco acconsentiva e tornava alle sue faccende, senza perdersi però il sorriso tenero che Mario sfoggiava subito dopo.
Quasi quattro ore e una centinaia di esercizi dopo, Mario aveva supplicato l'altro di smetterla, tentando di convincerlo su quanto la sua preparazione fosse adeguata. Il biondo non aveva intenzione di cedere, fin quando non vide l'orologio segnare le sette e mezzo e il ricordo prepotente della cena di famiglia a casa della nonna si fece spazio fra i mille scatti di Mario che il maggiore teneva accuratamente conservati in mente.
"Mario, ascoltami" disse, "Tu devi andare via, okay? E non fraintendermi, ti prego, se fosse per me trascorrerei con te altre mille ore o giorni o l'eternità, va bene? E' che ho un importante cena di famiglia e devo ancora lavarmi e vestirmi... e... e devo dare una sistemata a questi capelli, insomma, guardali! Lo so che è solo una cena di famiglia, ma sono orrendi, impresentabili! E... è alle otto di stasera e... oddio..." Marco finì per balbettare e perdersi fra le parole, il moro pensò a quanto l'altro potesse essere logorroico alle volte, prima di stampargli un bacio sulla guancia e "Messaggio ricevuto, non c'è bisogno che tu ti scusi, lo capisco, ora metto a posto e vado via, okay? Ti ringrazio infinitamente, ciao rosellina!" dire, mentre raccoglieva i libri sparsi dalla scrivania e si chiudeva la porta della sua camera alle spalle. Marco corse a vestirsi, pensando che non ce l'avrebbe mai fatta.
Contro ogni sua aspettativa o pronostico, mezz'ora dopo si trovava a casa di sua nonna, il suo aspetto era decente ed aveva dinanzi la migliore cena che sua nonna gli avesse mai preparato.
Quando tornò a casa, quella sera, sulla sua scrivania trovò un quaderno dalla copertina variopinta, dove la calligrafia con cui era stato scritto il nome "Mario Gotze" risaltava in un angolo in alto a destra. Sicuro che non fosse troppo tardi per gli standard di Mario, gli inviò un messaggio:
"Ehi, hai dimenticato un quaderno qui."

A casa sua, Mario sorrise per quanto l'altro riuscisse ad essere impacciato anche attraverso i messaggi, ma digitò subito la sua risposta:
"No, biondo, te l'ho lasciato di proposito, è un quaderno dei temi. Mi piacerebbe farti leggere qualcuno dei miei temi e sapere che ne pensi, quando vuoi leggine qualcuno!"

Marco rilesse quel messaggio tre volte, s'infilò il pigiama e si mise a letto, con il quaderno fra le mani. Lesse qualche tema preso a caso e si stupì piacevolmente nello scoprire la bravura del moro; secondo Marco aveva davvero un bello stile, uno stile che però gli pareva familiare, come se quella non fosse stata la prima volta in cui leggeva qualcosa di Mario. Mentre Marco non sapeva più dove andare a sbattere la testa per capire dove aveva letto qualcosa di simile, la vibrazione del suo cellulare reclamò la sua attenzione.
"Letto qualcosa, piccola rosellina gialla?" diceva il messaggio di Mario ed in quel momento tutto gli fu chiaro; Marco si alzò di scatto per prendere i biglietti variopinti che il suo angelo custode gli lasciava, rileggendoli e confrontandoli con lo stile del moro. Non c'erano dubbi, non era mai stato più sicuro: o Mario era il suo angelo custode misterioso, oppure vendeva frasi smielate come quelle dei baci perugina a basso prezzo ai ragazzi ed alle ragazze innamorate della scuola -ma siccome questo non era possibile...
Decise, quindi, di rispondergli: doveva essere una risposta coincisa, in grado di fargli capire tutto.
"Assolutamente sì." gli scrisse semplicemente, alla fine, e sorrise fra sé e sé, aspettando la risposta dell'altro.
Questa non tardò ad arrivare e "Allora, che ne pensi?" recitava. Marco ghignò.
"Penso che domani dovremmo vederci, di mattina passi qui verso le dieci e poi decidiamo dove andare." digitò, si rigirò fra le coperte e s'assopì, senza nemmeno aspettare una risposta, non ammetteva repliche.
Mario, dall'altra parte, -anche lui aveva già capito tutto- seppure avesse voluto declinare quell'invito, il tono deciso che Marco sembrava avere da quel messaggio, era talmente invitante che per nulla al mondo sarebbe mancato: alle dieci meno cinque della mattina successiva sarebbe stato fuori casa sua.
 
 
Quella mattina, Marco si era svegliato nel suo comodo letto ed appena prese coscienza, si accorse che l'aria sapeva già d'agitazione e di uno strano profumo che non gli era per niente familiare. Si mise a sedere stiracchiando le braccia e, in un angolo della sua camera, si accorse che Mario era comodamente seduto sulla poltrona che c'era sotto la finestra e lo fissava con un sorrisetto sghembo. Il biondo quasi non ebbe un infarto, quando lo vide.
"Mario!" quasi urlò, girandosi a guardare la sveglia sul suo comodino e notando solo in quel momento l'orario: erano le dieci e venti minuti.
L'altro gli sorrise, si alzò dalla poltrona soffice sulla quale era seduto e si avvicinò a lui, per poi quasi sussurrare:"Sei veramente adorabile quando dormi, sembri quasi un angelo" e scompigliargli i capelli.
"E tu sei un idiota, potevi benissimo svegliarmi invece di aspettare... anche perché adesso dovrai aspettare un altro po', vado a vestirmi, tu resta qui" disse invece Marco, con le gote arrossate per quello che il moro gli aveva appena detto, tentando di farlo suonare come un rimprovero -che poi in realtà ci fosse lui dalla parte del torto... quello era un altro paio di maniche.
Il più piccolo sorrise istintivamente e "Come se avessi intenzione di andare via" pensò, guardando il biondo camminare energicamente verso la porta del bagno in fondo al corridoio.
Tempo dopo, Marco uscì dal bagno lindo e pinto, con i capelli perfettamente sistemati com'era solito fare e la sua felpa preferita, per combattere il freddo invernale.
Mario, nel frattempo, si era seduto alla scrivania ed aveva iniziato a rileggere i bigliettini che aveva fatto lasciare sul banco di Marco, in assoluta segretezza.
"Allora" esordì il biondo, "Io sono pronto e tu... che stai facendo?" continuò, fissando i bigliettini che Mario aveva tra le mani.
"Li stavo solo rileggendo, hm... suppongo che tu voglia delle spiegazioni sul mio piano geniale ed infallibile!" esclamò, confidando in un po' d'ironia per alleggerire l'atmosfera, mentre si portava una mano dietro la nuca.
"Sì, mi devi davvero tante spiegazioni." rispose Marco, prontamente, sedendosi dall'altro lato della scrivania.
"Oh... lo dici come se fossi arrabbiato." gli fece notare Mario, leggermente a disagio, mentre non smetteva di muoversi sulla sedia da scrivania con le rotelle di Marco, tanto che quest'ultimo dovette fermarlo; lo tirò con un braccio, lo guardò negli occhi e:"Non sono arrabbiato." gli disse, serio.
"Ma  sembra..." il più piccolo era piacevolmente sorpreso da quel lato deciso del biondo che solo adesso stava scoprendo, sembrava a suo agio, sicuro di sé; a Mario piaceva quel suo nuovo lato, decisamente, sembrava che Marco sapesse già cosa dire e cosa sarebbe successo, dava l'illusione di avere una sicurezza disarmante, ma infondo tentennava un po'. Il moro aveva imparato a conoscerlo così bene in quel piccolo arco di tempo in cui avevano preso a frequentarsi, che ormai sapeva leggerlo perfettamente. Poteva rivederlo nel leggero tremolio delle labbra e nel modo in cui pronunciò:"Non lo è, come potrei essere arrabbiato, è il gesto più dolce che qualcuno abbia mai fatto per me ed è incredibile e... non capisco, hai davvero delle cose da spiegarmi.", facendogli venire voglia di stringerlo in un abbraccio e riacquistare fiducia.
"Pare che ci vorrà tempo, ma adesso abbiamo poco tempo perché tu sei un dormiglione, lo sai?" scherzò, quindi, giocando con l'autocontrollo di Marco.
"Se tu mi avessi svegliato, magari..." disse soltanto l'altro, senza dargli soddisfazione alcuna.
"Ehi. Non incolpare a me se la tua sveglia non ha suonato... E poi non avrei mai potuto svegliarti, eri adorabile..." Mario quindi decise di giocare sporco, stuzzicando l'autocontrollo del biondo in modo diverso; però:"Adorabile? Intendi con gli occhi chiusi, chi sa quale buffa espressione stampata in viso ed i capelli
completamente spettinati?" rispose Marco, quasi scettico.
"Sembravi un angelo... ma forse hai ragione, ti preferisco da sveglio, così posso scompigliarti io i capelli e posso vedere i tuoi occhi." disse, non aveva intenzione di arrendersi.
"I miei occhi?" chiese il maggiore, con le gote che iniziavano a colorarsi di rosso, mostrando i primi segni di cedimento.
"Sì, i tuoi occhi. Sono... a volte sembrano ambra, tipo marroncino chiarissimo e poi hai quelle venature verdi... non sono nemmeno cangianti... sono... che colore sono?"
"Io..."
arrossì, "Non lo so, credo siano semplicemente marroni e verdi." e il labbro di Marco tremava un po' più forte, adesso.
"Semplicemente? Sono bellissimi!" Mario pensava di averlo in pugno.
"Credi? Forse dovresti venire a guardarli più da vicino..." e quando tutto sembrava già compiuto ed il moro già sfoggiava un sorriso beffardo, Marco decise che non poteva andare così, non avrebbe lasciato il più piccolo a dirigere ancora, come aveva fatto fino a quel momento.
Fece roteare le rotelle sotto la sedia e si avvicinò a lui, immobile, portando il suo viso a pochi centimetri di distanza e "Allora, Mario? Di che colore sono i miei occhi?" gli soffiò sulle labbra.
Mario deglutì, prima di dire "Io... Marroni... marroni e verdi" con la voce che tremava; tentò di avvicinarsi a lui, in modo da far combaciare le loro labbra, ma "Fermo, bello." disse Mario, dopo si allontanò e continuò: "Prima esigo spiegazioni.", mettendo su il sorriso più bastardo che potesse fare.
A quel punto fu il moro ad arrossire; sospirò, giocherellò con le dita, sistemò lo schienale della sedia ed infine si decise a spiegare:"Ebbene... fondamentalmente non c'è niente di grosso da spiegare. Tutto è iniziato per colpa tua, insomma, di punto in bianco hai iniziato a fissarmi in quel modo, a guardarmi come se fossi lì pronto a raccogliere i miei pezzi nel caso fossi crollato, anche se in realtà non avevamo nemmeno mai parlato. Era tutto così nuovo ed intenso, sentivo il tuo sguardo bruciare sulla pelle ogni volta che entravo nel cortile della scuola, ed a un certo punto ho deciso che io dovevo conoscerti." raccontò la prima parte con lo sguardo leggermente basso; nel frattempo, un paio di brividi avevano percorso la colonna vertebrale di Marco, facendolo fremere ed imbarazzare di poco nel sentire le sensazioni che gli provocava. Mario prese fiato e continuò:"Il giorno del sorteggio, quando ero seduto sulla panchina a ripetere spagnolo per l'interrogazione, tu eri lì che mi fissavi ancora in quel modo e decisi che era arrivato il momento di mettere fine a quella cosa. Cercavo un pretesto per parlarti e trovarti sulle scale al momento dell'assemblea fu solo una fortunata coincidenza, non ti stalkeravo, s'era questo che ti chiedevi. Certo... avevo chiesto in giro, a dei miei amici, se sapessero qualcosa di te, ma ne ho ricavato poco e... non guardarmi così ora, sentivo il bisogno. Per tutta l'assemblea ho desiderato di pescare il tuo nome, in modo da sfruttare quella situazione per conoscerti meglio, però poi tu hai pescato il mio nome ed io quello di Julia, mia cugina, visto che ci tieni tanto a saperlo. Dalla prima settimana in cui abbiamo iniziato a parlare ero già talmente perso da essere pronto a tutto e tu continuavi a guardarmi in quel modo. Decisi che per mia cugina non potevo fare niente, perché non era lei la persona della quale volevo essere l'angelo custode; alla fine sono stato molto fortunato perché un amico di Uwe aveva pescato il tuo nome ed abbiamo fatto cambio, dopotutto lui era carino e facevo anche un favore a Julia in questo modo. Successivamente ho iniziato a scrivere delle cose su di te ed ho deciso di fartele avere, anche se non tutte, ma mi serviva qualcuno che le portasse sul tuo banco e che non destasse sospetti, non potevo farlo io, visto che entravamo insieme. E' qui che è subentrata Julia, lei era tipo una valvola di sfogo perché era una specie di migliore amica con cui parlavo di tutto, specialmente di te e di quanto mi facessi impazzire e non trovassi le parole giuste per descriverti. Inoltre era lei che ti lasciava i miei biglietti in classe. Ed ora, ripensandoci, è stata una follia, ma per te la rifarei altre mille volte. Non so se questo è amore o cos'altro, so solo che dal momento in cui sei entrato nella mia vita non riesco più a fare a meno di te, della tua presenza e del modo in cui mi guardi e non posso fare a meno di guardarti allo stesso modo, perché sarei davvero pronto a raccogliere i tuoi pezzi nel caso crollassi, per quanto aguzzi possano essere o per quanto potrebbero ferirmi, perché per te ne vale la pena. Sei importante per me, Marco, non voglio perderti."
Marco quasi si pentì di aver chiesto spiegazioni, ansimava ed aveva le lacrime agli occhi pronte ad uscire, prepotenti, perché Marco si sentiva così pieno  che almeno le lacrime doveva lasciarle uscire; e allora pianse. Mario, guardandolo, si preoccupò e si affrettò ad abbracciarlo.
"Marco... cosa c'è?" sussurrava, mentre lo stringeva fra le braccia, e l'altro tremava.
"Ci sei tu, Mario, ecco cosa c'è. E' la cosa più bella che potesse capitarmi e tu sei la persona migliore che potessi desiderare, tu mi annienti ed allo stesso tempo sei l'unica cosa che mi tiene a galla, potrebbe crollarmi il mondo addosso ma tu mi salveresti, troveresti il modo di farlo ad ogni costo. Mi riempi, mi sento bene e completo quando sono con te, non mi manca nulla e mi rendo conto che ho troppo da perdere: te. Nemmeno io voglio perderti, Mario, non voglio" A quelle parole, Mario allentò la presa, lo guardò negli occhi lucidi e colorati di rosso a causa delle lacrime, promettendosi che mai più avrebbe permesso alle lacrime di solcare il suo splendido viso. Ne prese consapevolezza, anche i suoi occhi divennero lucidi e, con un solo sguardo, trasmesse all'altro tutto quello che provava; poi lo baciò. Lo fece con passione, una passione che gli veniva da corpo, lo travolgeva, ma con delicatezza, perché Marco era delicato e per nessuna ragione avrebbe voluto rovinare il loro primo bacio. Marco si staccò e gli sorrise, il moro avrebbe voluto dirgli qualcosa ma l'altro ricominciò a baciarlo, questa volta in modo diverso, approfondì il bacio e fece scontrare le loro lingue, mischiare i loro sapori, sentirli fondersi fra le loro labbra come poco prima avevano fatto i loro cuori.
"Marco?"
"Hm?"
"Adesso mi appartieni."
"Esclusivamente?"

Mario gli morse il labbro, "Ovviamente sì." E Marco rise.
 

Due mesi dopo, la loro relazione procedeva a gonfie vele e, nonostante non si fossero mai propriamente detti "ti amo", loro lo sapevano, perché i loro occhi lo urlavano ogni volta che si abbracciavano, si baciavano, quando si tenevano la mano e camminavano vicini, o quando dormivano insieme.
Alla fine il compito di Mario era andato discretamente bene, ma in quel momento Marco si ritrovò a contare i minuti, persino i secondi all'intervallo, perché Mario quel giorno riceveva i risultati dell'ultimo compito di matematica del trimestre e, ironicamente, Marco era più agitato di Mario stesso. Quest'ultimo appena suonata la campana si fiondò fuori dalla classe, incontrando Marco in mezzo alle scale, nel punto esatto in cui si erano parlati la prima volta; gli corse in contro, saltandogli fra le braccia lo baciò e "Otto... otto." disse, prima che Marco lo baciasse ancora.
"Ti amo." disse allora il più piccolo, mentre Marco lo faceva scendere dalle sue braccia.
Il biondo lo guardò incredulo, con gli occhi di quel colore indefinito che brillavano come uno di quei fari che si trovano in mezzo al mare.
"Ti amo anch'io." disse, quindi, prima di chinarsi a baciarlo ancora.
   
 
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