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Autore: AuraNera_    10/02/2014    3 recensioni
Non serve superare degli esperimenti genetici per essere speciali. Si può scampare alla morte... o essere posseduti.... non saperlo è pericoloso.... ma se ne sei a conoscenza, come va a finire? Qual è il tuo futuro? Perché combattere? Per chi?
Ma soprattutto..... contro chi?
Genere: Drammatico, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~~Capitolo 1: finalmente libera
Egypt.
Correvo veloce sopra i tetti della città, nel buio quasi totale, a parte i radi lampioni e alcune finestre accese, nonostante l’ora tarda. Era una fredda notte di febbraio, si congelava, ma il freddo era l’ultimo dei miei problemi. Era la mia prima missione e non potevo fallire. Dopotutto ora il mio destino era quello. Guardai la mia compagna, che mi correva affianco, un tantino più avanti. Valkirya. Era questo il nome che usava. Lei era la mia compagna, quella con cui avevo legato, e una mia collega. E’ con lei che è cominciato tutto. Sì, è stata Valkirya.... anzi, Kathleen Seven. E io sono, anzi, ero Lucy Ranuby.
E’ cominciato tutto il primo giorno di scuola superiore...
La campanella emise il suo suono freddo e calcolato. Camminavo nervosamente per i corridoi, eregendomi nella mia modesta altezza di quattordicenne, i capelli biondo grano legati da dei nastri rossi, la cartelletta in una mano e la scarpette tirate a lucido che segnavano il ritmo regolare dei miei passi accompagnati dal fruscio della gonna della divisa scolastica. Ero in prima superiore e volevo cogliere l’occasione di una classe nuova per farmi, finalmente, degli amici. Vivevo in una lussuosa villetta e i miei genitori mi avevano sempre pagato insegnanti privati e per questo motivo non ero mai uscita da casa mia e non conoscevo nessuno al di fuori dei miei della servitù e di amici ricchi dei miei ricchi genitori. Così, volevo provare a cambiare il mio monotono stile di vita e a farmi degli amici veri, miei coetanei. Arrivai nel grande atrio della scuola, osservando incuriosita gli studenti più grandi che si stringevano la mano, battevano il cinque e si abbracciavano, per poi sorridere e andare in classe insieme. Varcai poi l’imponente soglia dell’aula magna, dove si trovavano vari ragazzi e ragazze, tra cui dovevano esserci i miei nuovi compagni di classe. Notai però con malinconia che tutti i ragazzi chiacchieravano con altri, si salutavano e si dicevano parole di conforto a vicenda. Tutti conoscevano qualcuno, un amico, anche nemici o persone a loro indifferenti. Tutti, tranne me. Molti vorrebbero essere ricchi sfondati come i miei genitori, ma io invidio loro che hanno amici. Ho sempre saputo che la vera fortuna sta nell’essere liberi, e per me, una bella casa, una situazione agiata e tanto denaro erano una palla di ferro legata alla mia caviglia. Cominciavo a sentire i brividi freddi. Non avrei legato con nessuno, me lo sentivo. Cominciai a strascicare i piedi per terra, lo sguardo basso, avevo voglia di mettermi a piangere, urlare e scappare. Ma non l’avrei fatto. No ce n’era motivo. “Tutto bene?” Chi aveva parlato? Alzai la testa con una lentezza immane, il cuore che mi martellava nel petto, sembrava volesse far sapere a tutti che io ero lì e mi stavo agitando. Ma a parlare era stato un signore distino, il preside credo, a una ragazza poco distante da me, coi capelli lunghi e corvini, molto pallida e con gli occhi neri. Era per terra, quindi probabilmente il presunto preside l’aveva appena travolta. Dopotutto aveva un pancione a mongolfiera tale che lui non doveva andare a memoria su quando c’erano i gradini e a quanti erano. Riabbassai la testa, desiderando che nessuno avesse notato il bagliore di fugace speranza che doveva essersi visto nei miei occhi. Sentivo che stavo per vomitare. Proprio io che avevo tanto desiderato uscire dalla mia lussuosa vita, che mi ero preparata i discorsi davanti allo specchio, che avo dormito assieme alla divisa scolastica e che aveva fatto una lista di discorsi possibili con cui parlare ai miei nuovi amici... non mi ero preparata ad un possibile fallimento.  Sarei dovuta tornare alla vita di prima, la vita vuota e lussuosa, senza un briciolo di divertimento. Sola con Lucky, la mia cagnolina, una Golden Retriver di quattro anni e mezzo. Sola con lei, a giocare in giardino, a leggere e a studiare, fino a farmi marcire il cervello. Mi stava venendo un crampo al collo, ma io non l’avrei alzato, no, non l’avrei fatto, per nulla al mon... “Scusa.... anche tu sei nuova?” non stavano parlando con me.... non ci sarei cascata di nuovo. “Ehi.... mi senti? Parlo con te!” No, non sta parlando con me, non può essere, sono in mezzo ad una mandria di persone, figurarsi se qualcuno... “EHI!” Qualcuno mi battè sulla spalla. E allora mi girai. Era la ragazza di prima, quella che era stata scaraventata a terra dal pancione e che ora mi guardava, a  metà tra il divertito e lo scocciato. “Ti ho chiesto se sei nuova. Gradirei una risposta” e si mise a guardarmi fisso con i suoi occhioni pece. “S-sì....” cominciai, confusa. Quella si sporse, una mano sull’orecchio “Eh? Che dici? Siamo in mezzo ad una folla, per la miseria, se parli così non ti sento nemmeno se parli col megafono e io sono con l’amplifon!” mi fece quella esasperata. Io alzai la voce “Sì, sono nuova. Anche tu?” quella mi rivolse un sorrisone da un orecchio all’altro, a trentadue denti,: “Alleluja! Ora ti sento! Sì, sono nuova, sorella, proprio come te! Mi chiamo Kathleen Seven, qua la zampa!” e mi tese la mano. Io la strinsi ridacchiando ”Ma come parli? Io mi chiamo Lucy Ranuby, piacere” Anche io le lanciai un mega sorriso, ero felice. La mia nuova vita cominciava da qui.
Io e Kathleen eravamo in classe assieme, e meno male, perché nessun altro sembrava intenzionato ad avvicinarsi agli altri, e rimanevano tutti appiccicati ai rispettivi conoscenti. “Che classe smorta” sbuffò Kathleen. Io le sorrisi “Forse sono tutti un po’ timidi, magari tra poco saremo grandi amici tutti!” Quella mi guardò divertita “Si vede che non sei mai uscita dal tuo angolo di paradiso. Le vedi quelle? – indicò delle ragazze truccate e pettinate – si credono sopra al resto del mondo, perché si credono “trasgressive”. E quelli – un gruppo di ragazzi pieni di gel, tutti con la cresta e piercing, che ridevano senza ritegno – saranno i “fighi” della classe. Ossia arroganti e imbecilli. Se non rientri in queste due categorie, sei fuori.” Quella concluse il discorsetto con un’energica annuita. Io mi strinsi sulla sedia, pensierosa. Poi mormorai “Chissà...” Poi entrò la Prof (una certa signora austriaca, che insegnava matematica, si chiamava Frei-qualcosa_del_genere) e iniziò la lezione. Il livello di matematica era piuttosto scarso, direi, con i miei insegnanti privati ero arrivata molto più avanti. Seguirono un’ora di lettere e due di Latino, e il prof era lo stesso, e insegnava pure geografia e storia. Era un signore pomposo e rosso in viso, che chiamavamo il mr. Tomato. E invece si chiamava Paul qualcos’_altro. Mentre uscivamo da scuola Kahleen mi chiese “I tuoi che ne pensano del tuo ingresso a scuola?” Io mi bloccai, le braccia tese lungo i fianchi, i pugni serrati, lo sguardo basso e furente di chi non può ribellarsi. “Io li odio” veleno puro che usciva dalla mia bocca. “Li odio con tutto il mio cuore. Non ci sono mai per me, sono solo uno strumento per tramandare la loro ricchezza avanti con le generazioni. E’ per questo che mi hanno tenuta sigillata per tutti questi anni in quella odiosa villa. Li odio, LI ODIO!” Rialzai lo sguardo su Kathleen, che aveva un’espressione indecifrabile. Poi mi sorrise, un sorriso dolce e compassionevole. “Vedrai che presto le cose cambieranno, ti farai valere.” Poi si girò e se ne andò lasciandomi da sola con la mia rabbia. Tornai a casa marciando come un soldato, inveendo contro i miei. Poi mi bloccai. Kathleen mi stava forse incitando a ribellarmi? Cominciò a cadere una pioggerellina leggera, ma fitta. Restai un po’ ferma ad annusare l’odore di terra bagnata e d fresco, poi ricominciai a camminare ed arrivai a casa. Ma qualcosa non andava. Lucky non mi stava aspettando come faceva sempre al mio ritorno. La porta era aperta. E poi c’era un silenzio surreale. Col cuore in gola mi avvicinai allo steccato del giardino e spinsi il cancelletto. Era chiuso. Suonai il campanello. Nessuno mi rispose, ma il cancelletto di aprì cigolando come suo solito, ma in quella circostanza il suono sembrava alquanto sinistro. Camminai sui lastroni di pietra, i piedi congelati. Arrivai davanti alla porta aperta e il color arancio del salotto mi accolse. Macchiato di sangue. Sentii un odore dolciastro, mentre il mio corpo si irrigidiva e la vista mi si annebbiava. Che cos’era quella sensazione? Mi sentivo svuotata. Non provavo nulla. Entrai.
Mio padre era sdraiato per terra, la faccia sul pavimento. Lo girai con un calcio, per guardarlo negli occhi vuoti e vitrei. Qualcosa lo aveva trapassato da parte a parte a livello dello stomaco, ma sembrava che avesse ricevuto una forte scarica elettrica che lo aveva scosso fino ad ammazzarlo. Scavalcai il suo cadavere, diretta verso la cucina. Mia madre era lì, legata per i polsi al ventilatore a pale, lasciata a penzolare giù. La testa giaceva ai suoi piedi. Era stata decapitata. Aggirai il corpo appeso, verso un'altra porta, che dava sul cortile sul retro. Mi affacciai. E urlai disperata.  Lucky, la mia cucciolona, giaceva in un lago di sangue in mezzo al giardino. Cominciai a piangere incontrollata. Perché anche Lucky? Che cos’era successo? Mi girai e ricorsi in casa da un’altra porta, che dava sul salotto, accanto all’atrio, dove avevo trovato mio padre. In piedi in mezzo al cerchio di divani c’era qualcuno, qualcuno che non conoscevo. Aveva una mano sporca di sangue, e il perché era scritto sul muro. ECHO. La scritta recitava così. Allora capii. Avevo sentito di un gruppo si assassini che uccideva su scopi precisi precise persone e tutti in quel gruppo si firmavano con il sangue delle loro vittime. Io avevo davanti uno di loro. Anzi, una di loro. Era una ragazza. Aveva i capelli a caschetto celeste brillante, a parte qualche ciocca che le arrivava ai fianchi. Portava i guanti fin oltre il gomito e gli stivali oltre al ginocchio, poi un vestito corto con due buchi ellittici sulle ossa del bacino. Il tutto rigorosamente nero pece. Lei aprì i suoi occhi, di uno spaventoso rosso sangue, e mi fissò dritta nei miei di occhi, che sono grigi, per inciso. Notai che nella mano ancora guantata, quella senza sangue, reggeva un arma. La identificai come una doppia alabarda, con le lame e la forma più strana che avessi mai visto. Una lama era bianca e dalla base partiva una spirale di luce celeste che la avvolgeva. Il bastone lungo e nero terminava con un pezzo di ferro bianco che mandava un alone rosso. Da là si staccava la seconda lama, nera e illuminata da una potente luce rossa. Rialzai gli occhi sulla ragazza. “Perché?.... Lucky.... perché?” riuscii a dire, a mezza voce, la bocca impastata. Lei mi guardò triste. “Ordini” rispose, la voce chiara e limpida. “Mi ucciderai?” chiesi di nuovo io. Lei scosse la testa “Torna a scuola, Lucy. Qualcuno ti sta aspettando” E uscì dalla sala, mentre le luci che l’arma emetteva svanivano. Rimasi un po’ ferma e zitta. E poi accettai il consiglio. Tornai come inebetita a scuola, nella mente ancora l’immagine della morte della mia cagnolona. Mi fermai e incrociai lo sguardo della persona che mi aspettava davanti a scuola, seduta su un muretto, lo sguardo scuro. La guardai, ferita. Lei sospirò. “E’ traumatico per tutti, Lucy. Dovrai passarci su. – si voltò – ora andiamo. Ti guiderò verso la tua nuova vita”. Mi avviai dietro a Kathleen, verso un futuro che non conoscevo. Poi un pensiero. Ero finalmente libera dalle mie catene. Un po’ drasticamente.
  Angolino nascosto nel nulla: Zelve a tutti! *saluta* ..... beh, più che a tutti, a nessuno, perché delle storie originali a nessuno gliene importa nulla, ma pazienza!! :DD E' la mia prima fanfiction che posto, ma l'ultima che ho ideato. Divertente? neanche un po' ^^ Se recensite mi fareste mooooolto piacere, specialmente perché questa storia l'hanno letta due persone e basta... e sono entrambe mie amiche, quindi non mi direbbero mai che è brutta, e fanno bene a temere la mia ira.... cioè.... *coffcoff* recensite tranquillamente. Tanto non lo farà nessuuuunoooo!!! Beh, spiriti inquieti (?) ci si becca ;D
  
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