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Autore: CinziaBella1987    11/02/2014    4 recensioni
Viola è una ragazza che combatte e guarda dalla finestra mentre la terapia si infonde nel suo corpo; Riccardo è un anima dura che lotta con il mondo e con se stesso per trovare un posto tutto suo.
Due anime in subbuglio, due anime forti che decidono di incontrarsi e provare, insieme a sognare, perché se a diciassette anni una malattia atroce rischia di bruciare tutto quello che ancora devi vedere e costruire, non può anche impedirti di sognare e sperare, un giorno, di riuscire ad innamorarti.
Riccardo e Viola, due anime forti, che insieme, forse, hanno trovato il loro posto per far crescere un sogno.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa OS nasce in un pomeriggio di noia, mentre mia mamma dorme in ospedale, ricoverata per una frattura ad una vertebra, che non ha niente a che vedere con i protagonisti della mia storiella, né con il loro male. Questa OS non vuole offendere nessuno, so che significa fare chemioterapia, so che significa stare male durante e dopo ma so anche, da figlia che ha sofferto, cosa significa per chi sta male avere qualcuno vicino che ti allevia il dolore, che ti riporta un po’ di colore nelle lunghe ore in cui si è costretti a farsi iniettare dei veleni nel corpo. Per esperienza diretta e per esperienza di amiche molto giovani che hanno subìto la stessa atroce trafila, ho deciso dopo tanto tempo di dipingere Riccardo e Viola, affinché si possa parlare anche di chi sta male con delicatezza e speranza, nel pieno rispetto della malattia e di chi soffre.
Spero che queste (tante) righe possano farvi bene come lo hanno fatto a me, mentre le buttavo giù: ho rivissuto momenti difficili della mia vita, in cui ho visto soffrire la persona più cara che avevo al mondo ma sono finalmente riuscita ad incanalare quei brutti ricordi e a trasformarli –spero- in emozioni.
Dedico questa OS a chi soffre e a chi sceglie, volontariamente, di stargli vicino.

 
 
 


 
L’odore di medicina si insinua nelle sue narici e si spande nella sua gola sotto forma di uno sgradevole sapore metallico che, sa già, persisterà nella sua bocca per i successivi tre giorni; la sacca della chemioterapia goccia lentamente e Viola se ne sta seduta su quella odiosa poltrona di pelle marrone a guardare fuori. Una sola richiesta, da quando ha scoperto di avere un brutto linfoma che sporca il suo sangue: poter fare la terapia davanti alla finestra, perché a lei piacciono i paesaggi e vuole fingere di essere seduta altrove, mentre la gocciolina cade dalla sacca di plastica, nel tubo collegato al suo braccio. Una volta è a Montmartre a guardare Parigi che si estende sotto ai suoi piedi proprio come aveva fatto con i suoi genitori due anni fa, quando per festeggiare i vent’anni di matrimonio dei suoi, erano partiti tutti insieme per un viaggio in una città magica; un’altra è a Malmantile, il paese di sua nonna, e la meravigliosa campagna toscana si estende davanti ai suoi occhi, come quando era bambina e nonna Cristina la faceva addormentare sul terrazzo di casa sua, con l’aria calda che le spostava i capelli sulla fronte.
Oggi è una giornata di pioggia e Viola finge di essere a Londra, davanti a sé il Tamigi che scorre lento e il Big Ben che la osserva; sebbene siano soltanto le nove del mattino, Viola è già stanca come se avesse lavorato quindici ore in miniera; è l’effetto devastante e crudele di quel cocktail di medicine che le iniettano per cercare di pulire il suo corpo dallo schifo della malattia e che la fa sentire una vecchia, rallentandole i movimenti.
A soli diciassette anni, ha già visto la morte in faccia due volte e continua a combatterla costantemente da cinque mesi, da quando si è sentita male per la prima volta.
Il suo linfoma è uno di quelli rari, che colpiscono i giovani e in genere sono fulminanti; il suo è altrettanto grave ma dicono che siano riusciti a fermarlo in tempo.
Viola è una ragazza solare e positiva, che ha accettato silenziosamente il ricovero a lunga degenza e ha ingoiato con coraggio la notizia che il tumore del sangue le stava mangiucchiando l’esistenza. Lei ha già provato tutto quello che una ragazza della sua età non dovrebbe provare mai, eppure non si è arresa: è decisa a combattere, ha la forza di un leone anche quando la chemioterapia la fa vomitare, anche quando sono caduti i capelli e lei ha indossato la parrucca che sua sorella le ha portato da New York, perché lì ce le hanno belle e le ragazze le usano tutte, non solo quando hanno un male così importante che le sue cure ti fanno restare calva.
Ne ha scelte due: una dal taglio corto, a caschetto, leggermente sfilato e rosa shock; la indossa quando le danno il permesso di tornare a casa per qualche giorno e può passare del tempo con i suoi amici. L’altra è più simile ai suoi capelli veri: lunghi e castani un po’ meno lucenti di quelli sintetici della parrucca ma altrettanto belli. L’oncologa ha detto che i suoi ricresceranno ancora più sani e forti quando finirà le chemio ma lei sa che c’è anche il pericolo che quella tortura non avrà un epilogo lieto e forse, non farà mai in tempo a rivedere i suoi folti capelli scendere sulla schiena.
I pensieri tristi, Viola cerca di accantonarli eppure ogni tanto si annidano lì, fra la forza e il coraggio e la fanno piangere.
Guarda la pioggia che scende fitta, seguendo la volontà del vento che la sposta e vede riempirsi il vetro di gocce; la sua vita di prima le manca da morire, vorrebbe uscire, correre, cantare e non guardare la pioggia cadere da una finestra appannata dell’ospedale dove è ricoverata.
Il sapore metallico in gola si fa più forte, un caldo anormale le attraversa le membra e la fa sudare, la nausea arriva puntuale e fastidiosa.
 
 
Riccardo se ne sta in silenzio, le braccia incrociate sul banco con la testa stancamente poggiata sopra, lo sguardo distratto; è stufo di starsene lì, a sentire la Bergonzi parlare di Dante mentre quei mentecatti dei suoi compagni si passano sottobanco le formazioni del fantacalcio e le ragazze si scrivono dediche sui diari. Nessuno sembra essersi accorto che oggi sono cinque mesi che quel posto in seconda fila resta vuoto; sono tutti presi dai loro affari, tutti troppo concentrati a fare i coglioni adolescenti che preferiscono ignorare anziché prendersi a cuore qualcosa di serio, di importante.
Lui no. Lui non è così. Lui sa che Viola manca da cinque mesi perché sta lottando contro qualcosa di atroce che forse non la farà più tornare o forse, se riuscirà a vincere, la cambierà comunque per sempre, perché alla sua età ha già dovuto affrontare una prova terribile.
“Moretti, mi hai sentita?” La professoressa di italiano interrompe i suoi pensieri e lui no, non la stava ascoltando.
“No.”
“Ma insomma Moretti! Sei in classe o dove? Ti ho chiesto che cosa succede nel quinto canto dell’Inferno!”
Riccardo sa che la sua situazione scolastica è già piuttosto precaria e il suo destino da studente è appeso a un filo: ha parecchie insufficienze e la metà dei professori preferirebbe farsi sparare in testa piuttosto che promuoverlo ma a lui non gliene frega niente, gli stanno sul cazzo tutti: studenti, insegnanti e persino quel coglione del preside, che lui conosce bene perché è stato nel suo ufficio almeno una decina di volte, solo quest’anno.
Non gliene frega niente di essere bocciato, perché a lui non piace studiare a comando, non ama imparare nozioni a memoria e non teme il giudizio dei suoi genitori: suo padre è talmente impegnato a considerarlo una nullità che non ha tempo di dispiacersi per i suoi brutti voti, sa già che non può ottenere niente da una testa di rapa che pensa solo a suonare la sua chitarra e far casino con quelle bestie dei suoi amici; sua madre poi è una vera imbecille, succube di suo marito e completamente dipendente da lui.
Riccardo, per i suoi genitori è uno che fa cazzate, un irresponsabile che fuma come una ciminiera ed è un buono a nulla; non sanno che ama leggere Baudelaire e Bukowski, che vorrebbe fare il Servizio Civile appena finisce quel cavolo di liceo e che non gliene frega niente di avere una bella macchina e dei vestiti firmati, perché per lui, le cose importanti in cui credere sono altri. Nessuno ha mai preso in considerazione i suoi sogni; nessuno gli ha mai chiesto che cosa vorrebbe lui dalla vita e perché è tanto arrabbiato.
E lui, di tutta risposta, è convinto che nessuno è degno della sua considerazione, nessuno tranne chi occupava quel posto in seconda fila e che ora chissà cosa sta facendo.
“Prof, lei sa che oggi sono cinque mesi che…”
“Moretti, non tergiversare!” Lo interrompe lei, gli occhiali a metà naso e lo sguardo da vipera: “Lo sai o no che succede nel quinto canto?”
“Ma veramente io volevo ricordare a lei e ai miei compagni che oggi sono cinque mesi che Viola Baldini…”
“Moretti adesso basta: o mi rispondi o stai zitto!”
Riccardo sente la rabbia crescergli dentro, ma come fa una stronza del genere a restare impassibile di fronte al quinto mese di assenza di Viola?
“Non lo so, che succede nel quinto canto del suo cazzo di Inferno!”
La Bergonzi sgrana gli occhi e improvvisamente, in classe, cala un silenzio surreale.
“Moretti ti pare questo il linguaggio da usare? Ti meriti un due per l’impreparazione e una nota sul registro per la maleducazione.”
Riccardo non riesce più a trattenersi, esplode e perde le staffe, come è sua abitudine.
“Lo sa che le dico? Che non me ne frega proprio un cazzo, della sua nota. Anzi, facciamo una bella cosa, dica al preside che  mi autosospendo così me ne vado da questo schifo di posto!”
Riccardo si alza di scatto dalla sedia che fa un rumore bestiale sul pavimento vecchio e rotto; afferra di corsa il suo Eastpack color blu oltremare, consunto e pieno di scritte e esce dall’aula, sbattendo forte la porta e lasciando attoniti i suoi compagni e quella stronza della Bergonzi che scuote la testa e pensa che queste nuove generazioni non sanno neanche dove sono di casa, le buone maniere.
Riccardo cammina a grandi falcate, scende rapidamente le scale e non risponde al portiere che gli chiede dove crede di andare e gli grida che non può uscire; lui ha diciott’anni, può fare quello che gli pare e non sarà certo un coglione di bidello a fermarlo. È deciso, salta sul motorino scassato che si ritrova, si infila il casco senza allacciarlo e va, spedito verso casa, dove prenderà la chitarra e poi andrà da lei, perché lui se lo ricorda che giorno è oggi. Lui lo sa che Viola sta male e si sente sola e forse lui è l’unico che può fargli compagnia degnamente perché una cosa in comune, quelle due anime perse ce l’hanno: condividono una solitudine nera, figlia della disperazione.
 
 
L’infermiera le sgancia la sacca vuota e prontamente ne inserisce un’altra sull’alberello di plastica che regge le flebo; è la terza che finisce e la quarta che inizia e deve farne ancora almeno altre due. Viola è sfinita, i suoi grandi occhi azzurri sono ricoperti da una pellicola lucida e sono arrossati nei contorni. L’effetto della terapia del lunedì è devastante e lei ci si sottopone sempre meno volentieri.
L’infermiera è una donnona paffuta con una divisa verde smeraldo e i capelli neri fino alle spalle che le sorride sempre; si chiama Marianna e prova una gran tenerezza per Viola. Pensa anche lei che non sia giusto che una ragazzina così giovane debba già soffrire così tanto e dire che lei ne ha visti di casi disperati: fa l’infermiera da vent’anni e da dieci è al reparto di oncologia; ha visto i volti scavati dei pazienti che sono passati qui nel corso degli anni, sono incisi ad uno ad uno nel suo cuore ma Viola ha lasciato un segno particolare. Saranno i suoi lineamenti dolci, quell’aria spaventata eppure così forte, la sua continua solitudine nelle lunghe ore di chemio ma quella ragazzina che dovrebbe essere a scuola a quell’ora, come i suoi figli, ha guadagnato un posto speciale nel suo cuore.
“Allora, dove siamo oggi?”
“Vorrei essere a Londra ma oggi sto troppo male anche per immaginare.”
Viola gira lentamente la testa verso la finestra, ad osservare ancora una volta quella pioggia incessante che ticchetta, proprio come la goccia della nuova sacca piena che Marianna ha appena agganciato.
“Forza Viola eh! E cerca di bere, così smaltisci le sostanze della chemio che non ci servono.”
“Devo vomitare.” La voce flebile ed educata della ragazza esce quasi come un soffio, Marianna non può far altro che passarle il secchio blu che tutti i pazienti hanno a disposizione e vederla rimettere.
“Si può?”
Proprio mentre Viola ripassa il secchio a Marianna, una testa di riccioli bruni e due grandi occhioni scuri fanno capolino nella stanza delle chemioterapie. È un ragazzone alto, dalle spalle larghe e lo sguardo arrabbiato, che porta una chitarra sulla spalla e una t-shirt a maniche corte, anche adesso che è Febbraio e farebbe meglio ad indossare un giaccone.
A Marianna, quel ragazzo sembra un James Dean in erba, uno di quelli che da grandi diventeranno belli e stronzi, come gli uomini con cui ha fatto due figli e che l’hanno lasciata perché non si sentivano in grado di metter su famiglia.
Viola si gira, lentamente, con le sue poche forze e quando individua la faccia di Riccardo, si illumina in un flebile sorriso; non si aspettava di vederlo e sicuramente per essere lì con lei a quell’ora, ha saltato un altro giorno di scuola.
Riccardo Moretti è una delle persone più intelligenti che Viola abbia mai conosciuto e come tale, rifiuta le regole, le imposizioni e i doveri, per questo l’ambiente scolastico non è il luogo più adatto a lui: uno che sa usare la testa e dice quello che pensa in maniera schietta e diretta non è ben accetto al liceo. Devi piegarti e dire ‘sì’ come fanno tutti, altrimenti i compagni ti giudicano e i professori ti prendono sott’occhio. E lui è il bersaglio preferito degli uni e degli altri, solo che lui se ne frega.
Le piace Riccardo, anche se fra loro non c’è mai stato un vero rapporto di amicizia; lei gli ha spiegato il genitivo sassone e lui le derivate ma non hanno mai fatto niente che li potesse definire davvero amici. Eppure ora eccolo, l’unico dei suoi compagni di scuola ad avere il coraggio di andare a trovarla, anche adesso che è irriconoscibile, senza capelli e che ha appena vomitato.
L’unico che in quei cinque mesi le era mancato.
“Certo, giovanotto ma non me la strapazzare troppo.”
Marianna li lascia soli e, anche se non potrebbe, accosta la porta della camera dove Viola fa la chemio, per concedere a quei due ragazzini almeno un po’ di privacy nel caos di un ospedale.
“Ciao Moretti.” La voce di Viola è quasi un sussurro, bisogna fare molta attenzione per percepire bene cosa dice.
Riccardo la guarda, è così pallida e magra e quelle due profonde occhiaie violacee sotto ai suoi occhi la fanno sembrare più vecchia; il suo sorriso però è sempre bello, un po’ meno luminoso forse ma altrettanto vivo.
“Ciao Viola.”
“Che fai qui a quest’ora?”
“Avevo voglia di vedere come stai.” Riccardo poggia a terra la chitarra e si siede sulla sedia di fòrmica davanti a lei.
Viola sorride un po’ di più: Riccardo non lo ammetterebbe mai ma anche lui ha sentito la sua mancanza durante quei cinque mesi, perché sebbene nessuno dei due abbia mai trascorso la ricreazione con l’altro, sapere di entrare in classe la mattina e trovarsi con la faccia ancora insonnolita, era una sicurezza. In mezzo a quella classe di sfigati, almeno c’era qualcuno per cui rimanere seduti lì dentro per sei lunghissime ore.
“E come ti sembra che sto?”
“Eh, un po’ palliduccia e secca come un chiodo ma tutto sommato bene.”
“Secca e brutta vorrai dire.”
Riccardo ci pensa bene, la osserva ancora un po’: è diversa da tutte le ragazze con cui esce di solito, eppure è di gran lunga più bella di loro, che escono truccate e ben vestite e non hanno il volto scavato di lei. In nessuna di loro c’è la luce che Riccardo riesce a vedere in Viola e nessuna gli parla a quel modo.
“Scusa ma non riesco proprio a vedere niente di brutto.”
“Lo dici solo per essere gentile.”
“Lo dico perché è vero.”
E Viola non riesce ad aggiungere altro, però sa che Riccardo è uno sincero quindi si limita a sorridere ancora e sente le guance arrossire. Il suo sangue non è tutto completamente malato e quello buono decide sempre la cosa sbagliata: arrossire come una ragazzina di fronte a Riccardo è quasi più imbarazzante di farsi trovare in pigiama e attaccata alla chemio.
“Come mai non sei a scuola?”
“Mi fa schifo quel posto.”
Viola sa anche questo.
“E poi oggi sono cinque mesi che sei qui, volevo venire a trovarti.”
“Dobbiamo festeggiare?”
“Certo! Sono cinque mesi che non vedi quelle facce di merda dei nostri compagni di classe!”
Viola non riesce a trattenere una risata e per un attimo, tutto il dolore e il senso di vomito della chemio si dissolvono, lasciando posto ad una gran voglia di vivere, di farcela, di prendere a cazzotti quel tumore che le insozza il sangue e la costringe su una lercia poltrona di pelle che ha visto morire chissà quanta gente prima di lei. La risata fresca e mascolina di Riccardo, che si congiunge alla sua, è una ventata di aria fresca che entra nella sua vita e la fa rinascere; è meglio di qualsiasi chemioterapia: Viola per guarire ha bi
sogno di quella risata, ne è sicura.
“Bella vista da qua, eh?” Riccardo indica col mento la visuale che si vede dalla finestra di Viola; piove ancora e lui pensa che sia un’ingiustizia che lei debba sottoporsi a chemioterapia in giornate come questa.
“Oggi siamo a Londra.”
“Ah sì? E di solito dove sei?” Riccardo ha capito tutto senza che Viola dovesse spiegare che quello di immaginarsi in altri posti, in realtà è il suo gioco per evadere dalla realtà schifosa che le è toccata.
“Dipende. Se c’è il sole posso essere da mia nonna, in Toscana, oppure al mare, in una grande villa che ho costruito apposta per me. Se invece il cielo è nuvoloso, sono in qualche città d’arte o ovunque io abbia voglia di andare.”
“Figo. Vedi tutto il mondo senza pagare il biglietto così!”
Viola annuisce ma dentro di sé pensa che non ci sia proprio niente di figo, perché lei forse ‘tutto il mondo’ non lo vedrà mai e non può fare altro che limitarsi ad immaginarlo, mentre Riccardo probabilmente lo farà davvero: viaggerà in ogni angolo di mondo e magari si farà accompagnare da qualche bella ragazza, come quelle con cui esce di solito.
“Quella la suoni davvero?” Chiede Viola, indicando la chitarra che se ne sta ai piedi della sedia di Riccardo.
“Scherzi? Sono il mago della chitarra classica! Ti va se suono un po’?”
“Speravo me lo chiedessi!”
Ormai Viola non riesce più a contenere il suo sorriso e Riccardo è felice di riuscire a regalarle almeno un po’ di pace; inoltre, il ragazzo è convinto che non c’è più alcun altro posto dove gli piace stare: è strano da dirsi, in genere le persone evitano di stare ad oncologia, perché è il reparto dove più si percepisce la sofferenza, dove capisci che la malattia ti porta via tutto: la felicità, la serenità e anche la dignità; dove vedi uomini grandi e grossi diventare magri, magri con la faccia scavata e il respiro pesante, che si addormentano mentre fanno la chemioterapia perché quelle cure sconfiggeranno pure il tumore ma fanno male, tanto male all’organismo che ne esce debilitato e stanco; stanco di essere preso in giro, stanco di essere torturato e tutto quello che vorrebbe è tornare ad essere normale, come prima: ad essere un impiegato, una moglie che si prende cura dei figli, una ragazza di diciassette anni che ancora vorrebbe fare tante cose, vedere tanti posti, conoscere mille ragazzi e innamorarsi poi di soltanto uno.
Riccardo si sente bene lì, perché può fare compagnia a lei; lei che appena lui muove le dita sulle corde, accennando ai primi accordi di una canzone di Vasco, il suo preferito, sente i brividi pervaderle il corpo e stavolta non per colpa della terapia. Viola lo guarda incantato: Riccardo se ne sta tutto curvo sul suo strumento, lo carezza delicatamente, lo modella a seconda del suono che vuole far uscire; è sicuro, deciso ma tenero, sembra come se non volesse fare male a quella chitarra. È la sua amata e lui sembra uno di quei poeti trovatori che cantavano alla propria bella un amor cortese che oggi non esiste più.
Sally cammina per strada senza nemmeno guardare per terra…” La voce roca e un po’ intimidita di Riccardo la fa emozionare; gli occhi di Viola si riempiono di lacrime e quella canzone poi… Un groviglio di emozioni accantonate in chissà quale angolo del suo stomaco sembrano adesso fare a gara per uscire, tanto che le provocano un po’ di dolore.
Sally è una donna che non ha più voglia di fare la guerra. Sally ha patito troppo, Sally ha già visto che cosa ti può crollare addosso
Dio se è vero! Improvvisamente Sally diventa Viola e Viola diventa Sally; lei sa che tutto il mondo intero ti può cadere sulle spalle all’improvviso, come quando ti dicono che hai una rara malattia del sangue e che le possibilità che scompaia e tu non muoia sono ridotte ai minimi storici ma c’è bisogno che tu lotti, che ti dia da fare, che ‘faccia la guerra’.
Sally è già stata punita per ogni sua distrazione o debolezza, per ogni candida carezza, data per non sentire l’amarezza…
Viola tira su col naso mentre Riccardo incrocia il suo sguardo, la vede con le lacrime agli occhi e per cercare di farla sorridere ancora, le fa un occhiolino sbilenco e poi torna a muovere deciso le dita sulla sua chitarra; Viola starà bene, la vita glielo deve ed è troppo giovane per non provare l’inebriante follia del primo, grande amore, della paura per l’esame di maturità, della libertà dell’andare a vivere da soli, dell’incazzatura per quello stipendio troppo basso per lei, che dovrebbe diventare una laureata con lode. Non può morire adesso, a diciassette anni, senza prima aver provato tutte queste emozioni.
Senti che fuori piove, senti che bel rumore.
E l’acqua cade ancora imperterrita, ticchettando sulla finestra e su ogni altra superficie esterna, scandendo il ritmo della canzone.
Sally cammina per strada sicura, senza pensare a niente, ormai guarda la gente, con aria indifferente. Sono lontani quei momenti quando uno sguardo provocava turbamenti, quando la vita era più facile e si potevano mangiare anche le fragole…
Viola continua a guardare incantata Riccardo; è vero, non riesce nemmeno più a ricordare l’ultima volta che si è emozionata di fronte allo sguardo del ragazzo che le piaceva ma adesso, di fronte a Riccardo, capisce che qualcosa in lei si sta risvegliando e che forse non è tutto perduto.
Perché la vita è un brivido che vola via, è tutto un equilibrio sopra la follia. Sopra la follia…
Le lacrime solcano nette il volto magro e sfinito di Viola, mentre Riccardo accenna agli ultimi accordi; è così bravo e intenso e la guarda in quel modo che la fa sentire ancora una persona normale. In un attimo, i capelli sono tornati sulla sua testa, le ossa del suo corpo si contano con meno facilità e i dolori della chemio sono assolutamente sopportabili. La pioggia, la chitarra e la gocciolina della flebo hanno creato un concerto magnifico e la voce di Riccardo si è inserita alla perfezione nella melodia.
“Ma insomma, ma vi siete impazziti?” Un infermiere, uno nuovo che Viola tollera a malapena, entra di colpo nella stanza, interrompendo la magia: “Viola, mi meraviglio di te! Lo sai che qui c’è gente che sta male, non possiamo mica sopportare voi che giocate al Karaoke!”
“Ho freddo.” Risponde secca Viola, ignorando completamente l’inutile e alquanto noiosa predica che l’infermiere ha appena concluso; non lo sa che la musica, a diciassette anni, riempie la vita? E soprattutto, non lo sa che può far bene anche agli altri pazienti, costretti come lei su una poltrona scomoda, a sentire l’unico rumore della pioggia che cade e come unico odore quello metallico delle medicine?
“Vuoi metterti a letto? Mancano due sacche di chemio, puoi finirle sul letto se preferisci.”
Riccardo guarda Viola e solo ora si accorge che, in effetti, le occhiaie sotto ai suoi occhi sono più marcate; è spossata e stanca e continua a torturare il tappo della bottiglietta di plastica che ha in mano senza un vero motivo; deve soffrire molto eppure, per quei due minuti in cui lui ha suonato per lei, l’ha vista felice. Vuole essere tanto presuntuoso da pensare che sia stato lui a regalarle un attimo di pace nell’inferno della chemioterapia, vuole sperare che la chitarra, le sue note e le parole della canzone di Vasco, un classico per chi si intende del genere, abbiamo spezzato per qualche istante la bruttura della situazione e l’abbiano fatta sognare.
“Mettiti a letto, Viò, io vado via.” Annuncia Riccardo alzandosi.
Ma è un attimo, una frazione di secondo, il tempo di un battito di ciglia: Viola afferra rapida il polso di Riccardo, lo guarda con uno sguardo deciso, lo blocca:
“No!” Afferma decisa. “No, ti prego, non te ne andare.”
E allora improvvisamente tutto acquista un nuovo senso: il suo scatto in classe, la voglia di andare da lei, l’urgenza nel volerle cantare una canzone. Tutto ha un sapore nuovo, adesso: Viola ha bisogno di lui.
L’infermiere adagia il corpo magro e attaccato alla flebo della chemioterapia sul letto di ferro e con le lenzuola asettiche e Viola emette un sospiro di chi soffre, di chi è stanco e non ha più voglia nemmeno di stare sdraiata; è talmente eloquente che fa stringere il cuore.
Riccardo la guarda immobile, una fitta allo stomaco di fronte a tanto dolore; è bella Viola, nella sua fragilità e con i suoi lividi. È bella e non sa di esserlo; è bella perché si preoccupa di aggiustarsi la parrucca per non farsi vedere calva, anche adesso che non ha più la forza nemmeno di stare seduta ma a lui non interessa: le piacerebbe anche senza capelli finti, perché a legarlo a lei c’è qualcosa che va ben oltre l’apparenza e l’aspetto fisico.
Riccardo non sa se passerà l’anno, se riuscirà ad essere promosso e se suo padre lo considererà mai un ragazzo in gamba, se scoprirà mai di avere un figlio con poca voglia di studiare ma con una mente e un cuore talmente grandi che si potrebbero clonare e il mondo sarebbe un posto migliore. Sa poco del suo futuro, questo ragazzone dagli occhi tristi e i riccioli ribelli ma di una cosa è certo: niente gli è mai importato tanto, quanto il bene di Viola.
I minuti passano in un silenzio scandito solo dalla pioggia che fa da eco alla gocciolina della flebo che cade nel tubino che finisce nel braccio di lei, in cui Riccardo non sa cosa fare, dove mettersi, che cosa dire. Sa soltanto che non ha intenzione di muoversi da lì, perché farebbe qualsiasi cosa pur di farlo cosa gradita.
“Moretti, non fare il timido. Vieni qui, stenditi accanto a me.”
Tanta spregiudicatezza, si dice Viola, deve essere frutto dell’effetto della chemioterapia, perché mai prima di allora ha chiesto a un ragazzo di sdraiarsi vicino a lei; Riccardo si muove piano, quasi avesse paura di far crollare il pavimento sotto ai suoi piedi e poi, sempre con la stessa delicatezza, si allunga piano in quella metà di letto in cui uno della sua stazza non può fisicamente entrare. A volte la magia che c’è fra due persone batte anche tutte le regole della fisica e un corpo più grande può entrare in uno spazio più piccolo, perché il corpo grande si sa rannicchiare, sa incastrare un braccio sotto al collo dell’altro corpo per farle da cuscino e sa circondarle la vita con quell’altro.
Viola e Riccardo se ne stanno così, abbracciati e in silenzio; Viola si chiede se una malata terminale ha diritto a sognare e ad innamorarsi; non sa cosa prova per Riccardo, esattamente come non lo sa lui: tutti e due si stanno trasportando lontano, l’uno nelle braccia dell’altra senza farsi domande e senza cercare risposte.
Ciò che entrambi sognano e sperano, in silenzio e senza il bisogno di dirselo, è di potercela fare insieme, di potersi vedere ancora, di poter strappare insieme Viola a quel male che la sta mangiucchiando e che sembra tanto prepotente da infischiarsene anche della chemioterapia.
L’amore è per i coraggiosi e in quella stanza di ospedale che sa di disinfettante e medicine e anche se nessuno osa sperare di uscirne presto, due piccole anime forti stanno pregando che un giorno, il sogno di innamorarsi possa toccare anche loro, che di coraggio e grinta ne hanno da vendere.
 
  
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