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Autore: Mata Turk    12/02/2014    0 recensioni
E' la storia di mia nonna, ciò che mi ha raccontato riguardo la sua esperienza durante la prima guerra mondiale.
Genere: Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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Passò del tempo e parve che ci fosse il momento adatto. Si dettero appuntamento alla stazione dei treni.
Orsola salì su uno  degli ultimi vagoni già pieni di soldati con i loro zaini.  Prese posto in un angolino e aspettò l’amica. Fino l’ultimo guardò fuori dal finestrino, ma l’amica non c’era “forse è salita prima” disse. Ci fu il fischio, il treno si mosse. Ci fu un leggero scossone, fischio del treno in stazione e confusione, ma il treno proseguì la sua corsa. Passate alcune stazioni il treno si fermò e fu ordinato ai passeggeri di scendere. Orsola si trovò in aperta campagna. Cercò la Mariuccia ma questa non c’era, così scelse una direzione per proseguire a piedi. Costeggiava la strada e vide dei carri con le sponde alte sostare vicino alla strada. Là si stendeva un prato e una casa lunga e bassa e quella la colpì era la presenza di una donna davanti alla porta di casa e stava in piedi e teneva le braccia sui fianchi senza far niente. Orsola si avvicinava al prato. Era molto strano il prato con oggetti bianchi indefiniti che stavano immobili uno sopra o a fianco dell’altro qualcuno sporgeva in su uno lungo lungo altri erano tondi e rivolti. Un odore tremendo le arrivò al naso. Vide che quelli erano corpi di giovani morti – tanti- portati là ammazzati in qualche battaglia. Non avrebbe mai pensato che un uomo caldo, allegro, lavoratore amante potesse essere simile a un orrendo inutile oggetto.
Si allontanò. NON CERCAVA PIU’ NIENTE SOLO ANDAR VIA.
Andava senza saper dove. Arrivò alla zona carsica, muriccioli di pietre bianche pungenti forate e disuguali segnavano i confini dei terreni. L’ultimo aveva tirato foglie colorate e arrossate tra l’erba. Il corniolo mostrava i suoi rossi frutti maturi e il sommacco purpureo dava allegria. Ma Orsola sentiva solo avvilimento e stanchezza. Si sedette nell’angolo nascosto di un prato, accanto il muretto di pietra tra erba e foglie secche. Riposava o dormiva.
Rumore di gente. Si accovacciò guardinga. Era un gruppo di soldati col loro comandante. Passavano avanti sulla strada. Orsola li sentì parlare. Avevano la voce del ragazzo che è quasi ancora bambino. Pensò a Michele. Non aveva trovato cibo, era senza Mariuccia. Trovò castagne sotto gli alberi. L’antico istinto del raccoglitore si risvegliò in lei. Veloce le raccoglieva mettendole in un sacco. Più in là doveva esserci un paese. Giunse ai margini di una dolina. Sui lati, in un frutteto, piccole mele rosseggiavano sui rami e fra l’erba. Non c’era nessuno. Così raccolse le mele mettendole nella tovaglia legata a fagotto sulla testa, nelle borse e adesso si che voleva tornare a casa. Era tardo pomeriggio quando la strada attraversò il margine di un paese. Le case erano tutte chiuse sbilenche, i camini spenti. Diede una voce, nessuno rispose. Proseguì. Le tonde mele sulla testa si erano rotolate sullo ovitek e le penetravano fin quasi sugli occhi come pugni. Ma non pensava certo di buttarle via. Udì il cigolio delle ruote. Dopo un a curva vide davanti a sé un carro con tanta roba sopra. Un cassone con un materasso, sacchi e masserizie. Tre creature che sedevano sul carro.
Una ragazzina con una donna che si davan da fare a spingere perché c’era una leggera salita. Tutto funzionava perché a tirare c’era qualcuno. Quando Orsola le raggiunse vide che era una vacca, non giovane con le mammelle pendule. - Di dove siete – di Comeno. – Oh, ma io conosco gente di Comeno. La guardavano sospettose. Dove andate?  - Non t’interessa, vai per la tua strada. Io vado a Trieste – ho là casa stalla letto da dormire  da mangiare. Era quasi tutto vero ma era importante convincere. Le mele sulla testa facevano troppo male. L’accordo fu raggiunto. Le mele appese a un gancio del carro e passin passetto tutto merito della resistenza della vacca, era notte quando la compagnia giunse in via della Ferriera. Certo ci fu della confusione quando, aperto portone e stalle, Bortolo Tac e Circe si diedero da fare con i nuovi venuti. Ma tutto si accomodò e mangiato un boccone ognuno trovò il suo riposo, chi sul fieno, chi sui sacchi. I bambini dormivano e Orsola pensava “Domani la racconto, no la mostro a Mariuccia e rideremo”.
La mattina dopo ebbe si la sorpresa. Era ancora buio che bussarono alla porta sulle scale. Era la Circe. Senza parlare la tirò giù alla stalla dove anche Bortolo aspettava. La notte, appena arrivata la donna di Comeno aveva fatto aprire il cassone. Lei sperava di fare in tempo, ma purtroppo il maiale che aveva messo dentro vivo a casa adesso lo trassero morto per asfissia.
“Io cercavo del lardo – tremò Orsola ma Bortolo conosceva chi macellava scuoiava e dava la concia alle carni. Fu una faccenda difficile, sporca e pericolosa che procurò lavoro e cibo a tanti. E Orsola ne uscì vittoriosa, si ma stremata per il rischio, la responsabilità.
Dopo tre giorni di lavoro, spartizioni, figli - la nuova famiglia – che trovò dove andare. Sentiva dentro di sé una mancanza, un rodimento. Mariuccia non la vedo, non la sento. C’era Bortolo Tac che la guardava un poco strano ma aveva tante faccende pure lui. Fu una conoscente, il quarto giorno a dirle meravigliata – Come, non lo sa! È morta cadendo in stazione. L’hanno sepolta ieri, - Non è vero – La difese nel rifiuto –
Per giorni si muoveva per la città, faceva, parlava sicura di incontrarla da qualche parte.
Incontrò Olga magra come uno spettro, teneva per mano il piccolo Sergio. Lo trascinava. Fu la certezza. Orsola sognò l’amica riversa sulle rotaie e finalmente pianse. Era il 1917 e aveva quattro figli, la più piccola Angiolina aveva quasi due anni eppure volle occuparsi del figlio dell’amica. Qualche pomeriggio lo teneva con i suoi, andava a portare qualche pandolce alla nonna che lo allevava, ma capì che non era gradita.
È per colpa tua che è morta” - no. Non era vero, ma non cambiava niente.
  
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