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Autore: lilac    16/06/2008    4 recensioni
Tutte le persone che si trovavano su Namecc durante lo scontro tra Goku e Freezer sono state trasferite sulla Terra. C’è solo una cosa da fare perché tutto torni come prima e Bulma ha appena invitato i namecciani alla Capsule, in attesa che le sfere namecciane si riattivino. Dovranno passare solo centotrenta giorni prima di poter riabbracciare Goku e gli altri; ma, fin dalle primissime ore, non si preannuncia un’attesa troppo serena. Soprattutto per Vegeta, ovviamente, a causa della velenosa ossessione che ha appena cominciato a divorarlo.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà di Akira Toriyama, che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione, non esistenti in Dragon Ball, appartengono solo a me.

Questa storia è stata scritta per un contest/sfida su Writers Arena. Tema e personaggio principale dovevano essere obbilgatoriamente e rispettivamente: i centotrenta giorni precedenti alla riattivazione delle sfere namecciane e Vegeta.
Spero che il risultato non sia pessimo (vista la difficoltà del tema)^^'. In ogni caso, come sempre, ringrazio in anticipo chi ha aperto questa pagina e vi auguro una buona lettura.
Grazie di cuore anche a chi ha commentato la mia ultima one-shot "E quindi uscimmo a riveder le stelle"^^.




OSSESSIONE


Non poteva vedere la sua espressione, mentre mangiava, seduto di fronte ad una tavola che pareva imbandita per un intero battaglione; era assorta, distante. Eppure pareva più viva che mai, come non lo era da tempo. Il profumo dei piatti appena cucinati peraltro, e una fame atavica e vorace, che pareva averlo aggredito nel momento stesso in cui veniva ammansita, non sembravano essere l’unica fonte di quella sotterranea, velata vitalità.
Se uno dei vicini avesse anche solo intravisto la quantità di pietanze approntate nella cucina della Capsule Corporation, probabilmente non se ne sarebbe neanche stupito, visto che nelle ultime ore la dimora dei Brief era stata letteralmente invasa da un considerevole numero di strani ospiti. Solo i padroni di casa però, erano a conoscenza del fatto che, in realtà, per sfamare la quasi totalità di essi, sarebbe stata sufficiente della semplice acqua corrente e che invece, tutto quel cibo bastava appena a sfamare un’unica persona.
In un primo momento, la notizia delle abitudini alimentari dei namecciani aveva inferto una cocente delusione alla più che premurosa e bionda padrona di casa, ma la donna non si era data per vinta e, caparbiamente, aveva finito per riversare tutte le sue cure sull’unico tra i suoi ospiti da cui poteva trarre in qualche modo soddisfazione. Il risultato di tanta solerzia e generosità era stato ben ripagato, in fondo; non di certo con ringraziamenti, dimostrazioni di riconoscenza o qualcosa di anche lontanamente simile, quanto piuttosto col semplice fare onore alla tavola, sui cui si ammonticchiavano piatti e vassoi vuoti a un ritmo sostenuto e regolare ormai da qualche minuto.
Una sorta d’istinto di conservazione, unito alla curiosità di osservare da vicino il pianeta in cui aveva vissuto il suo nemico, aveva indotto il principe dei saiyan ad accettare l’offerta, seppur con riluttanza e con un certo fastidio. Senza volerlo tuttavia, non appena aveva iniziato a mangiare, la sua espressione si era distesa sensibilmente. Boccone dopo boccone si era ritrovato ad assaporare, assieme al gusto di quelle pietanze, anche quello di un insolito stato di quiete; e l’imperturbabilità del suo sguardo aveva assunto l’impercettibile sfumatura incredula di chi aveva sospeso ogni giudizio. La cinguettante terrestre dall’aspetto frivolo, assorbita in chissà che assurdi e allegri pensieri, non si era curata dell’assoluta freddezza con cui il suo ospite l’aveva bellamente ignorata; si era congedata con una naturale spensieratezza, presumibilmente alla frenetica ricerca di qualche altro ospite da compiacere e, dopo essersi accertata per sommi capi che il pranzo fosse di suo gusto, lo aveva abbandonato ai suoi pensieri.
Vegeta pareva aver dimenticato l’ultima volta che aveva avuto la sensazione che nutrirsi non fosse null’altro che un meccanico rituale di sopravvivenza; più probabilmente, non aveva mai provato davvero una sensazione diversa. Aveva dimenticato anche che cosa significasse non sentirsi costantemente in pericolo, non vivere in continuo stato di allerta; quello strano senso di calma apparente tra una missione e l’altra, quando tutto quello che poteva fare era aspettare e guardarsi le spalle. Nemmeno in quei momenti aveva avuto mai la sensazione di essere completamente libero, emancipato da quell’istinto tipicamente saiyan che un nemico fosse in agguato dietro ogni angolo, in ogni ombra. Difficile ignorare quell’impulso naturale per qualsiasi saiyan, perfino in momenti come quello, soprattutto per un saiyan che aveva vissuto la sua intera vita nel regime di terrore di Freezer e nella sua tirannia.
In realtà non si trovava fra amici, di questo era consapevole. Non ci si sarebbe mai trovato piuttosto; non esistevano creature in tutto l’universo che il principe dei saiyan avrebbe mai potuto chiamare amici e, di questo, era ancora più consapevole. Quel luogo, semplicemente, non rappresentava una minaccia concreta, un problema; non per il momento almeno.
Quella sensazione inerziale di calma e di stallo, che iniziava a pervadere il suo spirito oltre che le sue membra, aveva finito per scontrarsi aspramente con l’istinto del combattente, i cui sensi erano costantemente tesi a percepire il minimo anelito di un vento di guerra. Era questa, di fatto, la battaglia più cruenta che lo assorbiva al momento; e non era una battaglia meno feroce e sanguinaria di quelle cui era da sempre abituato. Tuttavia, l’unica avvisaglia che una guerra dentro di sé continuava a combattersi violenta si manifestava unicamente nel vivido contrasto tra la compostezza e la sobrietà con cui continuava a sfamarsi e la voracità e l’avidità del suo appetito. Lo sguardo del saiyan, altrettanto vorace, divorava oltre al cibo i pensieri, fagocitandoli prima ancora che si palesassero sul suo volto, immobile.
“Ma da quant’è che non mangi?” La giovane donna dai capelli azzurri lo fissava, in disparte, con occhi lievemente increduli e una smorfia divertita sul volto. Vegeta mosse appena lo sguardo in direzione di lei, senza smettere di mangiare; unico segno che avesse ascoltato la sua voce o che avesse coscienza della sua presenza.
“Certo che è proprio come pensavo. Tu e Goku vi assomigliate parecchio.” Constatò la donna con una leggera inflessione sorpresa e con l’aria di chi avesse appena tratto una conclusione.
Non ha tutti i torti, Vegeta. In fondo siamo saiyan, tu ed io.
“Kakaroth è un saiyan.” La fissò per la prima volta, sollevando lo sguardo dal piatto con aria sprezzante. “A parte questo non ho nulla a che fare con quel ridicolo buono a nulla”. Il tono sostenuto con cui Vegeta aveva puntualizzato la sua opinione sull’amico parve non sortire alcun effetto apparente sulla donna terrestre; questa si limitò a scrutare il volto del saiyan, che aveva ritrovato una freddezza imperturbabile, con una certa concentrazione. Il lieve contrarsi dei lineamenti dell’uomo, nel momento in cui aveva pronunciato quel nome, aveva tradito senza ombra di dubbio un reale risentimento.
“Beh, sarà anche un ridicolo buono a nulla come dici tu” replicò lei con un certo sarcasmo “Ma è riuscito a sconfiggere Freezer e a salvarci tutti, come ha sempre fatto”.
Già, io ho sconfitto Freezer, Vegeta. Non tu. Io sono un super saiyan.
Il rumore della forchetta che cadeva con violenza nel piatto e la sedia che si scostava bruscamente dal tavolo la fecero sussultare. Per un istante, la giovane terrestre spalancò gli occhi con un certo timore, incrociandoli con quelli furenti del saiyan, che era scattato in piedi. Il tono con cui lui le rispose, nuovamente flemmatico e beffardo, contrastava visibilmente con il fuoco che sembrava bruciargli nello sguardo e con la sua reazione improvvisamente nervosa. “Quell’inetto si è fatto ammazzare come un idiota. Qualsiasi buono a nulla con un briciolo di cervello avrebbe evitato di farsi esplodere assieme al pianeta Namecc”.
Se ti fa piacere pensarlo, Vegeta... Ma scommetto che l’avresti fatto anche tu.
La donna sussultò nuovamente, scostandosi istintivamente di un passo, quando il saiyan lasciò la stanza con un paio di falcate nervose, ancora una volta improvvisamente furente. Lo osservò per un attimo sconcertata, mentre si allontanava lungo il corridoio chiaramente infastidito, serrando i pugni in una postura irrigidita.
“Aspetta un momento, Vegeta!”. Si riscosse in un lampo, seguendolo e cercando di non farsi seminare. “Aspetta, ti ho detto!”. Accelerando il passo, lo raggiunse e si piazzò di fronte a lui per impedirgli di proseguire. Il saiyan si limitò a incrociare le braccia sul petto e a fissarla con aria truce. “Che diavolo vuoi?!” sbottò contrariato.
“Senti, pensa pure quello che ti pare” Tagliò corto la donna, sminuendo i toni della conversazione appena avvenuta. “Voglio solo farti vedere dove puoi dormire o fare una doccia”. Sembrava del tutto sincera, ma al sorriso di lei, il saiyan rispose in silenzio con uno sguardo glaciale.
Sei curioso.
“Per di qua” seguitò candidamente la terrestre, ignorando l’espressione minacciosa dell’altro. Si avviò nella direzione opposta a quella che aveva preso lui, voltandosi appena per assicurarsi che la accompagnasse, senza insistere ulteriormente. Vegeta la osservò per qualche istante, prima di decidersi a seguirla.

La donna scomparve dietro ad una delle ultime porte, in fondo al corridoio. Quando Vegeta la raggiunse, la trovò intenta a spalancare un armadio. Sentendo la sua presenza si voltò verso di lui; continuava a sorridere. “Questa è la tua stanza” illustrò con fare gentile “lì c’è il letto e nell’armadio c’è qualche vestito che può andarti bene. Immagino che in centotrenta giorni quella tuta avrà bisogno di essere lavata, almeno un paio di volte” puntualizzò poi con una punta d’ironia, socchiudendo le palpebre beffarda, nel notare il lieve moto di disappunto dell’altro a quell’ultima proposta.
“Non indosso questi sudici abiti terrestri” sentenziò il saiyan in tono piatto, mentre si guardava intorno.
La terrestre non sembrò curarsi particolarmente della risposta ostile di lui. “Fai come credi” sbuffò indifferente, richiudendo l’armadio. “Non abbiamo sudici abiti saiyan da queste parti, comunque”.
So quello che stai pensando, Vegeta. Ti stai chiedendo se anch’io ho vissuto in un posto simile a questo.
Sul punto di aggiungere qualcos’altro, la donna si bloccò per un istante osservando incuriosita il suo ospite. Questi non aveva dato segno di aver ascoltato le sue ultime parole di scherno, assorto in quella che sembrava una vera e propria ispezione accurata della stanza. Quando lo vide aprire la porta sulla parete di fianco al letto, credette di anticipare i sui pensieri. “Quello è il bagno. Nei hai uno personale, contento?”. Con la stessa sollecitudine con cui aveva parlato, lo seguì, mentre scompariva dietro quella porta. “Se vuoi farti una doccia, c’è tutto l’occorr... Ma che stai facendo?!”. Schizzò letteralmente fuori dalla stanza da bagno, un secondo dopo aver fatto capolino dallo stipite; le guance arrossate per l’imbarazzo e gli occhi saldamente piantati sul pavimento, sul suo volto era comparso un accenno d’irritazione. “Che razza di zotico villano!” farfugliò a bassa voce, intenta a scacciare dalla mente l’immagine dell’uomo seminudo che si era trovata improvvisamente davanti. Lui non la sentì, né colse la strana espressione impacciata e nervosa di lei.
“Che pensi che stia facendo, stupida donna?” Il tono sprezzante e freddo che le fece pervenire in risposta dalla stanza accanto, attutito dal rumore dell’acqua che aveva cominciato a scrosciare copiosa, parve indispettirla ulteriormente. “Ma come ti permetti?!” gridò infuriata. “Beh, sai che ti dico?! Non osare posare le tue luride zampacce su di me, brutto cavernicolo maleducato!” proseguì poi in tono stridulo e a voce alta, per farsi sentire, dopo aver borbottato più a bassa voce qualcosa che il saiyan non comprese. La porta della stanza da letto si chiuse con un colpo secco, eccessivamente nervoso, dopo appena un istante, e Vegeta si trovò involontariamente a inarcare un sopracciglio perplesso; per la seconda volta quel giorno, da che gli aveva offerto ospitalità, quella donna aveva puntualizzato qualcosa del genere, con la stessa, insolente faccia tosta.
Benvenuto nel mio mondo, Vegeta.
Lo sguardo del saiyan s’incupì in un momento, fisso sulla sua immagine riflessa nello specchio. Percorse vacuo e assente una profonda cicatrice sul torace. Le donne terrestri erano di certo l’ultimo dei suoi pensieri in quel momento; se poi erano tutte rozze come quella, non sarebbe stato nemmeno difficile non averli affatto, pensieri di quel genere. Socchiuse gli occhi, mentre apriva lo sportello di vetro del box doccia, investito da un’ondata di vapore caldissimo.


Nemmeno aveva idea del perché avesse sentito il bisogno di chiudersi nella doccia.
Forse volevi restare solo. Hai bisogno di riflettere, vero?
Non aveva bisogno di restare solo e non aveva bisogno di riflettere. Era tutto fin troppo chiaro. Freezer era morto. E non era stato lui a ucciderlo.
Il getto d’acqua che lo investiva violento sembrava infrangersi ostinatamente contro un nemico al di là della sua portata. Si frantumava, si disperdeva in schegge sottili e precipitava al suolo; lo investiva, senza scalfire né minimamente intaccare la figura granitica che si nascondeva nella nebbia del vapore; e pareva desistere, incapace di mondare la brutalità di quell’espressione assorta, ostile.
Freezer era morto, sconfitto, scomparso per sempre; assieme alla sua sete di vendetta. Le iridi scure del saiyan sembravano immerse in una foschia ben più densa di quella che lo avvolgeva, umida e calda, vincolate a un punto imprecisato sulla parete; acuminate come lame, parevano assorte nel tentativo di fendere quella nebbia e di scorgere un’immagine che non voleva apparire. L’acqua si trasformò in sangue nei suoi pensieri, lo scroscio che lo investiva in grida di dolore, il calore in fuoco; ma quell’immagine, l’immagine di Freezer agonizzante, sofferente, morente... le carni straziate... quell’immagine non riusciva a vederla. L’acqua... Continuava a scorrere, un fiume d’acqua; e la sua sete non pareva placarsi.
Io non sono morto, Vegeta. Io sono ancora vivo.
Kakaroth non era morto. Kakaroth non sarebbe mai morto se non per mano sua; questa pareva l’unica immagine più che nitida davanti ai suoi occhi. Le sfere del drago l’avevano riportato in vita, avevano riportato in vita la sua volontà, il suo bruciante desiderio di potere e quella tensione spasmodica a un destino di onnipotenza che gli apparteneva per diritto, che si era conquistato giorno dopo giorno. Kakaroth non sarebbe mai morto, se non per mano sua. Non avrebbe voluto altro da quelle sfere, adesso; lo sguardo determinato che il saiyan sollevò con lentezza, come a sfidare quel getto d’acqua che lo investiva, pareva quello di un messo di morte.
Ma tu non puoi sconfiggermi, io sono più forte di te. Sono un super saiyan.
L’acqua continuava a scorrere copiosa; scivolò sulle pieghe di un pugno chiuso con violenza e si tinse di rosso. Un rivolo di liquido scuro percorse il solco di una vecchia cicatrice lungo il polso dell’uomo e cadde senza fare alcun rumore, mentre un solco nuovo apparve sul volto del saiyan, le labbra contratte in una smorfia sprezzante di collera; una nuova ferita.
Vegeta sembrava stringere quella mano a pugno come se in essa vi fosse il suo destino, come se l’avesse afferrato per la prima volta realmente, dopo tanto tempo, e sentisse al contempo che gli stava già sfuggendo. Abbassò lo sguardo su quella mano. Il sangue era il suo destino; quello che avevano versato i suoi nemici, per mano sua, e quello che scorreva nelle sue vene. Il suo sguardo si fece determinato. Il sangue avrebbe lavato ancora una volta l’umiliazione che aveva subito, avrebbe placato finalmente quella sete.
È per questo che hai suggerito ai miei amici il modo per farmi tornare in vita?Solo perché vuoi essere tu a sconfiggermi? Tu sei un saiyan; e vuoi dimostrarlo anche a te stesso che sei davvero il più forte.
Doveva vederlo. Un gesto brusco arrestò il getto d’acqua e improvvisamente nella stanza calò un assoluto silenzio. Vegeta uscì dalla doccia e tornò a fissare vacuo la sua immagine nello specchio. Non poteva scorgere che una figura indistinta dai contorni sfumati, deformata nelle miriadi di goccioline microscopiche di vapore acqueo. Afferrò un asciugamano e si asciugò distrattamente; ogni gesto compiuto in modo meccanico nascondeva un pensiero distante.
Doveva vederlo. Una necessità impellente, più forte di ogni logica e desiderio di dominio, l’aveva travolto come una deflagrazione, devastante e improvvisa. Aveva parlato prima ancora di riflettere sulle sue reali possibilità di sconfiggere Kakaroth, ore prima, in quel bosco, ma non era affatto pentito di ciò che aveva detto. Voleva vedere di che cosa era capace un super saiyan, doveva battersi con lui. E ucciderlo; perché niente e nessuno avrebbe impedito al principe dei saiyan di essere il più forte e, soprattutto, nessun altro guerriero saiyan sarebbe mai stato più forte di lui. Era questo ciò che doveva accadere. E un giorno sarebbe accaduto. Ne era sicuro.
S’infilò velocemente la battle suit come guidato da quell’istinto di guerra e uscì, dopo aver gettato un’occhiata carica di disprezzo a quella che avrebbe dovuto essere la sua stanza.
Io sono ancora vivo, Vegeta.
Kakaroth era ancora vivo; non sarebbe mai morto se non per mano sua. Non aveva il diritto di morire in quel modo stupido; doveva pagare il suo debito con lui. Era questo, ciò che doveva accadere. Un giorno, sarebbe accaduto.

Doveva aspettare, su quel pianeta, centotrenta giorni terrestri. Così avevano detto i namecciani. Non l’avrebbe fatto con le mani in mano, questo era certo; una delle cose di cui doveva occuparsi quanto prima era trovare un luogo adatto per allenarsi. Da quello che ricordava, esisteva più di un posto su quel pianeta che avrebbe fatto al caso suo; anche se quello era forse un problema irrilevante, poiché di spazio avrebbe potuto farsene in ogni caso, quanto ne voleva. Ma prima di questo, c’era qualcos’altro che sentiva spontaneamente l’impulso di fare; doveva rendersi conto di dove era finito e di chi fossero realmente le persone che gli avevano offerto ospitalità. Se n’era già fatto un’idea parlando con il vecchio, presumibilmente uno scienziato, e avendo a che fare con le due terrestri, una più indisponente dell’altra; ma prima di pensare al resto doveva verificare alcune cose.
Con questi propositi percorreva i corridoi dell’edificio scrutando ogni anfratto, ogni stanza e soffermando di tanto in tanto lo sguardo su qualche oggetto che suscitava vagamente il suo interesse. In apparenza distratto e assorto in qualche pensiero, pareva piuttosto non considerare quell’occupazione realmente importante, ma l’istinto del guerriero gli imponeva di sapere e di verificare; e lo sguardo indolente che riservava all’intorno, così come l’apparente vagare senza una meta precisa, nascondevano un impercettibile stato di curiosità e di attenzione.
Vorresti sapere che cosa ho a che fare io con tutto questo. Conosci il tuo nemico, giusto?
Doveva conoscere ogni cosa di lui. E doveva conoscere ogni luogo o individuo con cui avrebbe avuto a che fare, soprattutto quando le sue intenzioni non prevedevano, entro breve, l’eliminazione definitiva di tali individui. Uccidere gli insignificanti amici di Kakaroth, sterminare i terrestri e distruggere quel pianeta non erano tra le sue priorità, infatti; non in quel momento, perlomeno.
Lo sguardo del saiyan si assottigliò lievemente all’imbocco di un corridoio più buio degli altri; lo percorse mentalmente, fermandosi un istante, passando in rassegna le varie porte di metallo. Il leggero movimento degli occhi in direzione di una di esse, in apparenza casuale, fu l’unica manifestazione del fatto che Vegeta avesse appena tratto una qualche conclusione su quell’ala dell’edificio.
Non esisteva più nessuno a cui doveva rendere conto di ciò che avrebbe fatto e in quel momento aveva solo un pensiero per la testa; un’unica, impellente priorità.
Sono io la tua priorità.
Kakaroth. Che i suoi amici lo trattassero con condiscendenza per paura, per incoscienza o semplicemente per stupidità non sfiorava minimamente i suoi pensieri come qualcosa su cui interrogarsi. Nessuno di loro avrebbe potuto impensierirlo in quanto a forza e tanto bastava per relegare la loro esistenza in balia di quella corrente d’informazioni inconsistenti che fluiva ai margini della sua coscienza. La vera tempesta si consumava violenta e terribile attorno ad un unico scoglio, che pareva resistere alle ondate più feroci e rabbiose dei suoi pensieri; Kakaroth, un’infima terza classe che era riuscito a diventare un super saiyan. Un guerriero insignificante, nella sua scala di valori, che era riuscito a oltrepassare quel limite; quello che il principe dei saiyan non aveva ancora superato. Non ancora.
Io ci sono riuscito. Non te l’aspettavi, Vegeta. Vero?
La luce fredda dei laboratori impallidì al cospetto di due occhi glaciali, aridi, eppure brucianti di rancore. Per lo spazio di un momento, il freddo metallo dei macchinari parve rabbrividire di fronte al saiyan, come se avesse percepito la sua collera, e il ronzio sommesso dei computer si fece più silenzioso; la stanza deserta si ammutolì intimorita, desolata. Il buio di quegli occhi registrò senza alcuna emozione la natura di ciò che gli si parava davanti; solo il lieve aggrottarsi delle sopracciglia tradì per un istante una certa attenzione. Un secondo dopo, il saiyan imboccò una porta che dava all’esterno dell’edificio, ritrovando un’imperscrutabile espressione assorta, in apparenza assorbito da un qualche ragionamento. Ciò che vide, appena oltrepassata quella porta, sul prato nel retro della casa, sembrò assumere un significato improvvisamente importante; si fermò per un momento, contemplando l’oggetto dei suoi pensieri.

Preso da tutt’altri avvenimenti ben più rilevanti, su Namecc non si era soffermato troppo a lungo a cercare di capire come avevano fatto quei terrestri a raggiungere il pianeta. La sua sorpresa nel trovarli lì era durata lo spazio di un breve momento; il tempo di focalizzare la sua attenzione sullo scopo del loro viaggio e le modalità di quel viaggio erano divenute presto una cosa irrilevante. Così come irrilevante era stato nelle sue riflessioni il modo in cui anche Kakaroth era arrivato su Namecc, quando la sola idea che sarebbe stato lì era bastata a eccitare la sua smania di vendetta; contro di lui, contro Freezer e contro l’universo intero.
L’espressione del saiyan di fronte alla navicella spaziale parcheggiata sul prato, assunse una sfumatura compiaciuta; come di chi avesse finalmente dato un nome a qualcosa d’indistinto che aveva finito per dimenticare, ma che aveva assunto di nuovo una certa importanza, proprio nel momento in cui gli era tornato alla mente. Ascoltando le vaghe spiegazioni del vecchio qualche ora prima, aveva finito per registrare meccanicamente quell’ennesima informazione, nonostante avesse dovuto ammettere di esserne stato assolutamente sorpreso.
... La stessa navicella che ho usato per raggiungere Namecc... Tuttavia, aveva finito per concentrarsi principalmente sull’unica notizia che aveva trovato degna di considerazione... La stessa navicella che ha usato Kakaroth...
In quel momento, dopo aver dato un’occhiata ai laboratori, un pensiero diverso, che inconsciamente aveva relegato ai margini della sua coscienza fino a poco prima, aveva cominciato a balenargli sempre più consistente alla mente; non sarebbe rimasto bloccato per sempre in quell’inutile pianeta dalla tecnologia arretrata. E a giudicare dal lavoro del vecchio con l’astronave e a quello che aveva visto nei laboratori, quei terrestri potevano decisamente tornargli utili, in più di un modo. L’increspatura beffarda delle sue labbra abbozzò una sorta di ghigno soddisfatto. Era un’eventualità a cui non aveva ancora avuto il tempo di pensare concretamente, ma risolvere un problema prima ancora che si presentasse era di sicuro qualcosa di inaspettatamente positivo. Quel sogghigno si spense tuttavia in un istante in una sorta di ringhio sommesso.
Non avrai mica intenzione di scappare, Vegeta? È qui che mi troverai. O pensi di dartela a gambe come hai fatto con Freezer, quando ti sei accorto che non potevi batterlo.
Si allontanò dalla navicella con uno scatto nervoso, dirigendosi istintivamente nella direzione da cui sentiva provenire delle voci indistinte, visibilmente incupito e inquieto.
Kakaroth avrebbe scontato anche quello smacco. Era stato lui a suggerire a quei buoni a nulla dei suoi amici il modo per farlo tornare. Lui, il principe dei saiyan, gli avrebbe ridato la vita; e poi gliel’avrebbe tolta. E il conto sarebbe stato chiuso per sempre. Non aveva alcuna paura di lui; chiunque gli avesse dato del codardo avrebbe pagato quell’onta lavandola nel sangue. Il principe dei saiyan non aveva paura di niente e di nessuno.
Non hai paura di un super saiyan? Nessuno lo può sconfiggere.
Un’ondata di rabbia lo investì brutale, implodendo al di là di quello sguardo furibondo con una raffica di colpi violenti di pura energia; da entrambe le mani strette a pugno cominciarono a propagarsi lievissime scariche elettriche. Il principe dei saiyan non aveva paura; nessuno tra i suoi simili era destinato a essere più forte di lui. Non un’inutile terza classe. Essere il più forte era il suo destino, ciò che gli spettava di diritto. Kakaroth avrebbe pagato col sangue quest’affronto, alla fine. Lui e tutti i suoi inutili amici; uno dopo l’altro.


Fu il namecciano cresciuto sulla Terra ad accorgersi per primo della sua presenza e, soprattutto, dell’aumento della sua aura. Se ne stava in disparte, lontano dagli altri, levitando a qualche centimetro da terra, apparentemente assorbito nella meditazione. Si voltò verso Vegeta e lo scrutò con fare sospettoso e lievemente incuriosito, senza scomporsi, né dare segno alcuno di essere in qualche modo turbato. Parve intuire ben presto che il motivo di tanta collera non rappresentava una minaccia, lì e in quel momento, per lui e i suoi compagni. Lo fissò tuttavia per alcuni istanti, corrucciando lo sguardo e tradendo un vago tentativo di comprendere il perché il saiyan fosse pervaso da tanta rabbia. Vegeta rispose a quello sguardo con un’occhiata ostile e impenetrabile, come se avesse intuito l’intenzione dell’altro di carpire i suoi pensieri. Ritrovò la calma e un’espressione glaciale di vago disinteresse in un istante, appoggiandosi distrattamente al tronco di un albero; e il namecciano tornò a socchiudere gli occhi e a rivolgere la sua attenzione altrove.
Non sottovalutarlo.
Vegeta continuò a studiarlo per qualche momento, ma una risata cristallina attirò improvvisamente la sua attenzione. Si soffermò a osservare la donna con i capelli azzurri che chiacchierava con un gruppetto di namecciani, a diversi metri di distanza. Con una rapida occhiata si ritrovò istintivamente a mettere a fuoco i presenti; il figlio di Kakaroth discuteva animatamente con il moccioso namecciano che aveva poteri curativi, con altri namecciani e con alcuni terrestri che non aveva mai visto, appena a qualche metro di distanza dalla donna; con lei c’erano anche il vecchio scienziato e un altro gruppetto di namecciani, tra cui quello che aveva preso il posto del capo dei saggi. L’amico namecciano di Kakaroth invece, se ne stava in disparte, a distanza. Non c’era traccia dell’altra donna, ma Vegeta riusciva a sentirla anche da lì, o così lasciava intuire la sua espressione lievemente infastidita, mentre discuteva animatamente all’interno dell’edificio; percepiva appena altre voci, presumibilmente la donna di Kakaroth o qualche altro namecciano. Non tutti avevano dato segno di aver notato la sua presenza; a parte qualche occhiata astiosa inoltre, il piccolo mezzo saiyan si era limitato a constatare semplicemente la sua presenza.
Osserva, Vegeta. Questo è il mio mondo.
“È semplicissimo, vedete?” La voce della donna terrestre dai capelli azzurri spiccava decisamente su tutte per intensità e acutezza. Vegeta si sorprese lievemente irritato nell’essere costretto ad ascoltare, suo malgrado, sopraffatto da quella tonalità e da quell’inflessione pungente. Continuò a osservare ciò che stava facendo, con un’espressione annoiata.
“Op-là!”. La giovane donna gettò una sorta di piccolo involucro sul prato. Una nuvola di fumo si materializzò improvvisamente, accompagnata dal rumore sordo e attutito dell’aria sottoposta a un rilascio di pressione. Nel fumo, dissipato in un istante, prese corpo una specie di motocicletta. Gli altri namecciani che erano in disparte, e il resto del gruppo dopo di loro, si avvicinarono anch’essi alla donna incuriositi dalla dimostrazione, commentando divertiti e affascinati.
“Visto?” La terrestre, evidentemente insuperbita e compiaciuta da tutta quell’attenzione, elargiva sorrisi soddisfatti a chiunque incrociasse il suo sguardo. “Per riporla nella capsula basta premere quel pulsante.” proseguì allegramente e con un moto di orgoglio. “Andiamo molto fieri di questa invenzione, qui alla Capsule Corporation, sapete?”.
Vegeta si ritrovò per la seconda volta a registrare senza particolari emozioni l’ennesima informazione; la sua espressione impassibile lasciava intuire che, probabilmente, quella fosse una notizia poco rilevante nella sua personale scala di valori, ma l’attenzione che traspariva appena percettibile dal suo sguardo, e che non accennava a scemare del tutto, dimostrava come il saiyan stesse continuando a formulare le sue ipotesi. Si limitò a incrociare le braccia sul petto, ma senza distogliere lo sguardo dalla donna.
Osserva, Vegeta. Questa è la mia vita.
“E si può incapsulare qualsiasi cosa” continuò a illustrare lei con entusiasmo. “Be’, ecco... Accidenti, questo modello di moto è davvero vecchio” ammise con un lieve imbarazzo. Parve riflettere un istante e sorrise con una certa malinconia. “Credo risalga addirittura al mio primo viaggio in cerca delle sfere... Quando conobbi Goku”.
L’interesse del saiyan parve riacutizzarsi improvvisamente udendo quel nome che non si aspettava di sentire, un fremito lo colse repentino e violento, inducendolo a irrigidire lievemente i sensi, oltre che la postura. Per un istante si trovò involontariamente a registrare l’espressione nostalgica e intenerita della donna e a notare, subito dopo, come quel nome avesse suscitato diverse emozioni anche in molti dei presenti; aveva rilevato un impercettibile mutamento perfino nel volto del namecciano che se ne stava in disparte, come se anche lui fosse improvvisamente interessato al discorso, pure se esteriormente sembrava essere ancora completamente assorto nelle sue meditazioni.
Tutti qui contano su di me. Sono miei amici. E anch’io posso contare su di loro.
Una smorfia disgustata si materializzò, in un moto spontaneo, sul volto del saiyan, lentamente. Scemò in un sogghigno sprezzante, beffardo, con altrettanta lentezza. Le domande premurose e le manifestazioni di affetto dei namecciani verso la donna e il piccolo mezzosangue, il loro tentativo di confortarli e rassicurarli sull’esito del compimento dei loro desideri, erano piovute su quell’espressione nauseata e caustica infrangendosi come se non avessero avuto consistenza, sbriciolate dall’impatto con un muro di disprezzo, come parole vuote, senza alcun significato. L’espressione felice del moccioso e quella sollevata della donna, in risposta a quelle manifestazioni di partecipazione, parevano aver solleticato i suoi istinti più brutali, risvegliando in lui una sensazione di compiaciuta e crudele superiorità. Uno sguardo di spietata esaltazione incrociò per un istante, istintivamente, ancora una volta quello del namecciano, che in quest’occasione rispose visibilmente ostile. Quella reazione parve sortire l’unico effetto di compiacere ulteriormente il saiyan; Vegeta si limitò a ricambiarlo con un’espressione ancora più beffarda.

“Che cos’è un fidanzato?”
Quella domanda, il tono spontaneo e innocente, attirò l’attenzione del principe dei saiyan senza alcun motivo apparente. L’espressione sprezzante di lui non scomparve, né accennò a trasfigurare in qualche sentimento diverso, nemmeno quando tornò a rivolgere lo sguardo al gruppetto che chiacchierava animatamente. Se fosse stata semplicemente quella domanda a suscitare il suo interesse o la reazione della donna terrestre, eccessivamente in imbarazzo e in preda a qualche evidente nervosismo, fu l’ennesima questione irrilevante che finì ai margini della sua coscienza, senza alcuna risposta.
Osserva, Vegeta. Osserva e basta.
“Be’... ecco...” Il tono della donna si era fatto improvvisamente basso e titubante. “Insomma... Ma a voi che importa?!” tagliò corto, dissimulando una certa noncuranza “Sul vostro pianeta non esistono le donne, no?”. La terrestre riservò un sorriso imbarazzato al giovane namecciano che le aveva rivolto la domanda; prese a mordicchiarsi le labbra nervosa, arrossendo, mentre il resto dei namecciani la fissava con evidente esitazione. Lo scatto d’ira che la colse improvvisamente tuttavia, un istante dopo, produsse nel saiyan una simile e del tutto involontaria reazione di perplessità; Vegeta si sorprese suo malgrado incuriosito da quel repentino moto di collera.
“Vecchio pervertito che non sei altro!”. La donna si rivolse a uno dei terrestri, che se la rideva apertamente sotto i baffi, alzando all'improvviso il tono e agitando un pugno minacciosa davanti al suo naso. Questi si allontanò agitando le braccia e con un’espressione a poco a poco sempre più intimorita. “Su, Bulma, stavo solo scherzando. Non te la prendere”.
“Taci, brutto vecchiaccio maleducato!” lo incalzò lei “Io e Yamcha siamo buoni amici, è chiaro?! Non sono affari tuoi! E tieniti per te le tue volgari insinuazioni. Sono una signora, io!”.
“Certo, certo... calmati”. Il vecchio si nascose dietro ad uno dei namecciani, facendosi scudo col suo corpo, e il malcapitato ospite impallidì visibilmente di fronte allo sguardo furente della giovane terrestre, che incedeva minacciosa. In quel momento, la risata spontanea del piccolo mezzo saiyan, che non riuscì più a trattenersi di fronte a quella scena, scoppiò fragorosa e sincera, finendo infine per contagiare anche gli altri, che a uno a uno cominciarono a ridere di gusto. Persino sul volto del guerriero namecciano, in disparte, per un instante si materializzò un abbozzo di sorriso divertito.
Osserva, Vegeta. Questo è il mio mondo. Ciò che amo.
La donna, con un’espressione imbronciata, si voltò di scatto incrociando le braccia, offesa, dando le spalle agli altri. Sul punto di socchiudere gli occhi e ridarsi un tono, finì, però, per accorgersi della presenza del saiyan. Incrociò per un momento il suo sguardo sostenuto, velato da un’evidente ombra di disprezzo e si ritrovò a fissarlo con aria confusa. Sembrò udire appena il commento di uno dei namecciani, alle sue spalle, che si rivolgeva al figlio di Kakaroth. “Non vedo l’ora di conoscere i vostri amici, se sono tutti simpatici come voi”.
A quelle parole, il disprezzo che appariva allusivo sul volto del saiyan si palesò in maniera sempre più evidente e marcata. L’uomo continuava a sostenere lo sguardo della terrestre, che inarcò un sopracciglio dubbiosa.
“Anch’io non vedo l’ora di farvi conoscere i miei amici e mio padre” rispose il ragazzino in tono allegro. “Anche lui sarà felicissimo di conoscervi”.
Mi aspettano tutti con ansia.
“Siete patetici”. La donna seguitò a fissare Vegeta palesemente perplessa, anche quando lui distolse con aria beffarda lo sguardo, improvvisamente colto da un moto di stizza, e si avvicinò al gruppetto, manifestando apertamente la sua presenza e pronunciando quelle parole a voce alta. “Siete solo un branco di illusi. Pensate forse di essere a una festa?”. Lei si voltò e lo seguì con lo sguardo, mentre la oltrepassava senza degnarla della minima attenzione, incedendo minaccioso verso gli altri. “Sono io che sto aspettando Kakaroth.” Puntualizzò, squadrando i volti ammutoliti che lo fissavano sconcertati. Un sogghigno sprezzante e derisorio gli incurvò tagliente le labbra. “E vi assicuro che non sarà divertente”.
Il saiyan li scrutò uno a uno pervaso da un brivido di onnipotenza e di eccitazione, le iridi scure che si posarono arroganti sui volti impauriti e animosi parvero esaltarsi nutrendosi di quell’odio e di quel terrore.
“Ti ho già detto che sei tu quello che s’illude. Mio padre te la farà pagare, vedrai!”. Vegeta rispose con una risata sguaiata alla minaccia del piccolo mezzosangue, come se l’astio del ragazzino, tradotto in una vana quanto illusoria intimidazione, fomentasse maggiormente il suo orgoglio e la sua sicurezza.
Smettila Vegeta!
La risata del saiyan si affievolì in un sorriso beffardo e sfrontato.
“Smettila, Vegeta!”. Si voltò in direzione di quella voce con aria di sfida. Il namecciano aveva lasciato il suo angolino e lo fissava visibilmente ostile; appariva calmo, ma il suo tono di voce tradì un certo nervosismo. “Per quanto tempo ancora hai intenzione di provocare?” chiese con una punta di sarcasmo.
Lo stesso sarcasmo gli fu restituito centuplicato in scherno e disprezzo. “Oh, ma bravo, vedo che ti sei svegliato finalmente”. Vegeta soffocò a malapena un’ennesima risata sprezzante, di fronte alla replica silenziosa e fin troppo eloquente dell’altro. Si fece poi improvvisamente serio, scrutando di nuovo i volti dei presenti. Le emozioni più disparate si avvicendavano negli sguardi che incrociava; dalla paura alla rabbia, dal disprezzo all’esitazione, all’incertezza.
Smettila, Vegeta!
L’ennesimo sogghigno insolente. “Siete veramente patetici.” dichiarò con una tranquillità glaciale “e fareste meglio a non rallegrarvi troppo... ” si rivolse ancora una volta al namecciano “tutti quanti... Potrei farvi fuori tutti e servirmi delle sfere. In qualsiasi momento”.
“Tsk. Tu non lo farai”. L’altro replicò sogghignando a sua volta, senza tradire il minimo turbamento “hai troppa voglia di incontrare Goku. Sei curioso di vedere che faccia ha un super saiyan”.
Ha ragione.
Il tono del saiyan s’inasprì impercettibilmente e assunse una sfumatura sinistra e brutale. “Mi sembri fin troppo sicuro di conoscere le mie intenzioni. Pensa piuttosto a non fare una brutta fine”. Il suo interlocutore parve captare quell’improvvisa inclinazione e i lineamenti del suo volto s’indurirono in un istante. Vegeta vi lesse una serie di emozioni contrastanti; frustrazione, rabbia e una sottile soddisfazione per aver colpito nel segno.
“Tu non farai un bel niente, capito?!” Il piccolo mezzo saiyan intervenne sbottando in un moto di collera.
Non sottovalutare nemmeno lui.
Vegeta lo osservò ritrovando in un lampo un’espressione divertita e sfrontata. “Sei proprio cocciuto. Dì un po’, non ti è bastata la lezione, moccioso?”.
“Ma insomma, smettetela di litigare!”. La totalità dei presenti si voltò all’improvviso verso la giovane terrestre, ognuno con la medesima espressione sorpresa. Vi fu un momento di assoluto silenzio, che lei si apprestò a colmare, sostenendo gli sguardi apprensivi dei suoi ospiti e quelli ancora frementi di rabbia del ragazzino e del suo amico namecciano. “Che diavolo vi prende a tutti quanti?!”. L’ultima persona cui si rivolse fu il saiyan, che ricambiò l’espressione sdegnata di lei con un’occhiata glaciale e indecifrabile.
Non farai loro del male. È me che vuoi.
“Tsk. Non m’importa niente di voi... per ora”. Vegeta scandì quelle ultime parole con lentezza e un’inflessione estremamente minacciosa. Gettò un’ultima occhiata di disprezzo all’intero gruppo, che continuava a fissarlo in preda alle emozioni più disparate, mentre si alzava in volo e si allontanava da quell’edificio. Notò il namecciano che tratteneva per un braccio il piccolo mezzosangue, che aveva fatto per seguirlo e sogghignò ancora una volta, tra sé e sé. Si accorse a malapena, con la coda dell’occhio, dell’espressione della donna, che sbuffò esasperata, scuotendo la testa; e quel sorriso si spense, scemando in un’espressione esitante, lievemente irritata. Quando vide il deserto, aveva già dimenticato quella strana sensazione di frustrazione che aveva avuto di fronte a lei, che non aveva mostrato paura; solo un’altra sensazione insignificante, che finì per perdersi, assieme a mille altre, in quel flusso di pensieri ai margini della sua coscienza... dove non infuriava la tempesta.


Volò verso nord, per diversi chilometri, prima di atterrare.
Questo è il mio mondo, Vegeta. Lo proteggerò. A qualsiasi costo.
Non poteva immaginare, che aveva sorvolato e osservato luoghi che avrebbero segnato per sempre la sua vita, in futuro. Non poteva immaginarlo, perché ci sarebbero voluti solo centotrenta giorni, prima che le sfere di Namecc si riattivassero. Se fossero stati sufficienti a superare Kakaroth, lo avrebbe saputo solo allora. Quanto altro tempo ci sarebbe voluto, era un’altra cosa irrilevante; perché quel giorno sarebbe arrivato. Era questa l’unica cosa a cui pensava.
Io sono ancora vivo, Vegeta.
Non poteva immaginare, che il vero confronto con Kakaroth, si sarebbe consumato proprio nel luogo in cui si trovava in quel momento; in quel deserto, fra quelle montagne rocciose. Non avrebbe aspettato soltanto centotrenta giorni; lo avrebbe atteso per anni, alimentando quell’ossessione giorno dopo giorno. Non immaginava che avrebbe dovuto rinunciare a qualcosa quel giorno, qualcosa che non avrebbe mai immaginato di possedere; perché sarebbero successe molte cose nel frattempo. Ma quel giorno sarebbe arrivato. Era questa l’unica cosa a cui pensava.
Aspettami.
Non poteva immaginare, accecato dall’euforia per aver avuto una seconda vita, che ne avrebbe avuta anche una terza; e che quel mondo che fantasticava di distruggere nel suo delirio di onnipotenza, sarebbe diventato anche il suo mondo; e che l’avrebbe protetto anche lui. A qualsiasi costo.
In quel momento, non riusciva a pensare ad altro.
Ti aspetto, Kakaroth.




FINE
  
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