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Autore: teabox    12/02/2014    14 recensioni
Potessi scegliere di chi innamorarti, cambieresti idea?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota: questa è per emme, anche se lei non lo sa (ehi em, se stai leggendo, surprise!). 

Si meriterebbe meglio di questa storiella, ma è un semplice modo di augurarle buona fortuna con la sua avventura londinese e tutto il resto.

E’ venuta fuori così ed è l’ennesimo tentativo di provare certe cose. Spero comunque che sia ok (o abbastanza ok?).

A parte il fatto che quello che segue è pura immaginazione, preciso anche un’altra cosa - a costo di sembrare stupida e ovvia. “Bee” (ape, in inglese) si legge “bi”. Lo scrivo solo perché se qualcuno non lo sa e lo legge com’è scritto, allora suona strano.

Anche: è lunga. Volevo dividerla, ma alla fine l'ho messa qui tutta in una volta. 

Buona lettura (spero) e, al solito, grazie per la pazienza! Cheers!

 

 

Bee non è il suo nome, ma solo un nomignolo che le hanno dato da bambina e che, in qualche modo, lei non è mai riuscita a scrollarsi di dosso. 

Il nome della sua amica, invece, era davvero Jay, ma preferiva comunque accorciare ai minimi termini quel nome già così corto, riducendolo ad una semplice J. 

E ripensandoci ora, probabilmente quella era una delle poche cose davvero semplici della sua amica.

 


 

Quello che succede ora

 

 

 

A Bee piacerebbe poter dire come è iniziata. Poter puntare il dito ad un momento - un momento esatto - e dire, “ecco, qui, questo”. Ma non lo sa, non lo sa davvero. 

Quello che sa è che ad un certo punto si è trovata in mezzo a quello - sentimenti non richiesti, li definisce qualcuno - ma quando se n’era accorta, era già troppo tardi per tornare indietro. 

Perché Tom è il fidanzato della sua amica e nonostante questo, tutto quello che lei sembra sia capace di pensare da mesi a questa parte è solo un assurdo, complicato, doloroso groviglio di pensieri, di cui Tom è sempre il centro.

 

Anche in quel momento in cui si è nascosta nella cucina di J. con la scusa di prendere un bicchiere d’acqua, sa che la prima cosa che farà quando tornerà nel salotto sarà cercare lui. Rubare momenti, fotografie mentali con cui tormentarsi quando tornerà nel suo appartamento, tanto quanto con quei piccoli gesti che Tom sembra fare in continuazione, cose per farla sentire inclusa, dato che lei è l’unica nel loro gruppo a non avere davvero qualcuno accanto. Le battute che condivide con lei, gli abbracci improvvisi, le domande e la pazienza che dimostra nell’ascoltare le sue riposte, i baci veloci sulla fronte o sulle guance. 

Forse - probabilmente - è proprio questa la ragione per cui lei non ha davvero nessuno accanto. Perché l’ombra di Tom è sempre presente e prende tutto lo spazio che vuole.

 

«Ah, ecco dove ti eri nascosta.»

Bee quasi sussulta e sorride a Tom nervosa. 

«Non mi stavo nascondendo», mente alzando il bicchiere d’acqua. «Avevo sete.»

Tom stringe appena gli occhi. «Lo sai che non sei mai stata particolarmente brava a dire bugie.»

Lei vorrebbe ridere davanti a quella frase. Sono mesi che non fa altro e nessuno ha mai capito nulla. Si rifugia dietro una piccola risata, allora. «Ho solo un po’ di mal di testa.»

Tom lancia un’occhiata al salotto, dove il loro gruppo di amici sta ridendo di una battuta fatta da qualcuno. «Sicuramente qui è più tranquillo.»

«Già», risponde lei appoggiando il bicchiere sul ripiano della cucina. «Credo comunque che per me la serata sia finita. Vado a casa.»

Tom sembra dispiaciuto, abbassa la testa solo un po’ e infila le mani in tasca. «Ho come l’impressione che iniziamo ad annoiarti.»

Bee lo guarda sorpresa. «Cosa? Di chi parli?»

«Noi», le risponde Tom accennando un mezzo sorriso. «Sai, tutto il gruppo. Ultimamente cerchi sempre di spendere meno tempo possibile con noi.»

Lei scuote la testa e caccia nello stomaco le parole che vorrebbe pronunciare, ma che non può. Quella spiegazione che chiarirebbe tutto e che, allo stesso tempo, rovinerebbe tutto. «No, no. Il lavoro e l’università stanno richiedendo più energie del solito in questo periodo. E poi, comunque, sono praticamente un pesce fuor d’acqua qui, nel mondo delle coppie felici.»

Pronuncia le ultime parole ridendo, cercando di fargli credere allo scherzo, pregando perché lo faccia.

Tom ride sommessamente per un istante. «Non essere sciocca.»

«E tu non essere scemo», replica lei con lo stesso tono appena giocoso.

Lui alza un sopracciglio. «Solo se tu la smetti di essere un coniglio.»

Lei cerca di trattenere un sorriso, riconoscendo l’inizio di un gioco che loro due hanno inventato molto tempo prima. «Solo se tu la smetti di essere un ficcanaso.»

Tom la guarda con un’espressione di divertita sfida. Fa un passo verso di lei. «Solo se tu la smetti di essere la donna del mistero.»

«Solo se tu la smetti di essere un rompiscatole.»

«Ah», risponde Tom con finta altezzosità. Fa un altro passo verso Bee e spinge un dito nella sua spalla. «Solo se tu la smetti di essere sempre di fretta.»

Lei incrocia le braccia sul petto, fallendo nel tentativo di non ridere. «Solo se tu la smetti di essere il perfetto gentiluomo inglese.»

Tom non risponde subito, ma la fissa per un istante, una nota troppo seria nei suoi occhi.

Lei improvvisamente ha quasi paura. Si è resa conto solo in quel momento di quanto lui sia vicino e di come le stia fissando la bocca. Involontariamente si morde un labbro e vede Tom irrigidirsi appena.

«Solo se tu», dice poi lui lentamente, la voce bassa e quasi roca, «solo se tu la smetti di essere così carina.»

Lei spalanca un po’ gli occhi e socchiude le labbra in una muta espressione di stupore. Trattiene il respiro per un attimo, cercando disperatamente qualcosa da dire, ma non riesce a pensare a nulla. 

E un istante più tardi Tom fa un passo indietro, si schiarisce la voce, abbassa la testa, fissa lo sguardo per terra. «Scusa», mormora. 

Lei fa per replicare, ma J. - la fidanzata di Tom, si ricorda dolorosamente Bee - entra in quel momento e blocca sul nascere qualsiasi tentativo di spiegazione. 

Si aggrappa al braccio di Tom e gli dà un bacio sulla guancia, lasciando una traccia di rossetto sulla pelle. «Tutto bene, qui?», domanda allegra, la voce appena strascicata per l’effetto del terzo Martini della serata.

«Tutto bene», replica Tom con un sorriso teso.

E Bee si sente uno schifo, in quel momento. Riesce a far comparire una specie di smorfia allegra sul volto, prima di rivolgersi a J. «Stavo dicendo a Tom che vado a casa. Mal di testa.»

Lei la guarda comprensiva. «Mi dispiace. Chiedo a qualcuno di accompagnarti a casa?»

Bee scuote la testa. «No, davvero, non c’è bisogno. In fondo sono solo a meno di un isolato da qui.»

L’abbraccia velocemente e saluta Tom senza guardarlo. Fa un giro breve augurando una buona notte al resto degli amici ancora in salotto e poco dopo raggiunge l’ingresso, pronta ad uscire. 

E’ praticamente già a metà del corridoio, quando Tom la raggiunge. Ha un mazzo di chiavi in mano e ci gioca nervosamente. 

«Cosa…?», domanda lei vagamente agitata.

«Ordini superiori», risponde Tom cercando di usare un tono leggero. Indica un punto dietro di lui e lei guarda oltre la sua spalla, verso l’ingresso dell’appartamento che ha appena lasciato. Sulla soglia J. la saluta con una mano. Bee saluta di rimando, i sensi di colpa che crescono un po’ di più.

Non guarda Tom. Riprende a camminare lungo il corridoio, però. Lui silenzioso accanto a lei.

 

 

Quello che è successo prima

 

 

 

Si erano conosciute durante il primo anno di università, J. e Bee, e lei si era chiesta più di una volta come mai una ragazza così bella e così ovviamente popolare volesse diventare amica di una come lei che, nonostante non avesse nulla di sbagliato, non aveva nemmeno nulla di eccellente. 

Una sera in cui avevano entrambe bevuto un po’ troppo, glielo aveva chiesto e J. era scoppiata a ridere.

«Perché sei normale, ecco perché.»

Bee non aveva davvero capito la risposta, ma non si era comunque sentita offesa - o umiliata - da essa.

Pensava che in qualche modo lei fosse lì per bilanciarla. Dove la sua amica era estroversa, raggiante e, a volte, quasi aggressiva e quasi arrogante, Bee era più riservata e meno notabile, quasi sempre occupata a farle rivalutare azioni discutibili.

 

Aveva fallito miseramente una volta, però. La sera in cui avevano conosciuto Tom.

 

*

 

A quel tempo, mentre Bee si era preoccupata di lasciare curriculum in giro ed eventualmente ottenere un posto part-time in un’agenzia pubblicitaria, J. si era invece occupata di aumentare la sua lista di contatti di persone nel mondo dello spettacolo.

Era stato proprio uno di quei contatti che le aveva fornito due inviti per l’inaugurazione dei nuovi locali di Hermès dove, avevano promesso a J., avrebbe potuto conoscere "gente che conta".

Quella sera, aspettando che J. fosse pronta per uscire, Bee le aveva chiesto ridendo se avesse qualcuno di particolare in mente. 

J. aveva alzato le spalle, concentrata sul mascara che stava applicando sulle ciglia. «Non importa, purché sia qualcuno

Non c’era stata traccia di umorismo nella sua voce.

 

*

 

Era stata, in parte, colpa di Tom - un Tom, a quel tempo, che era appena diventato il Tom Hiddleston di fama internazionale. 

Era stato lui che aveva urtato per sbaglio il gomito di Bee, facendole perdere il Whisky Sour che aveva in mano. Era stato lui, poi, a scusarsi per quasi un minuto ed a voler andare personalmente a prenderne un altro. 

Era stata J., però, a quel punto ad aver fatto il resto. Gli aveva messo in mano il suo bicchiere vuoto e con un sorriso divertito e un accenno di malizia gli aveva chiesto di portare qualcosa anche a lei. «Saresti così gentile, dahling?»

(J. non pronunciava mai la “r” quando diceva “darling” e quando Bee le aveva chiesto perché, lei aveva semplicemente detto che suonava molto più affascinante così). 

Tom era tornato poco dopo con due drink e per il resto della serata Bee aveva assistito ad un non poi così velato gioco di seduzione tra J. e Tom, fatto di sguardi, sfioramenti di sola pretesa casualità, sorrisi e, alla fine della serata, scambio di numeri di telefono.

 

Quella notte, poi, tornando a casa dopo il party, Bee aveva scherzato sulla cosa, dicendo a J. che anche se non fosse stato “qualcuno”, Tom sarebbe stato comunque degno di nota.

J. aveva alzato le spalle. «Non saprei», aveva risposto. «Però è carino ed è qualcuno, perciò è inutile pensarci troppo sopra, no?»

Aveva riso, poi.

Bee non aveva trovato niente di divertente in quella risposta.

 

*

 

Doveva essere stato sei o sette mesi dopo l’inizio ufficiale della relazione tra J. e Tom che Bee si era trovata con un problema tra le mani. Che non era stato un problema vero e proprio - o quanto meno nulla che Bee non potesse affrontare da sola - ma J. aveva insistito per aiutarla e aiutarla a modo suo. 

«Senti», le aveva detto con un tono che ricordava quello di una madre che parla ad una bambina particolarmente testarda. «E’ una relazione su di una commedia di Shakespeare quella che devi fare per l’università, no? Allora lascia che chieda l’aiuto di Tom. Per l’amor del cielo, lui vive, respira e mangia Shakespeare.»

«E’ troppo occupato», aveva cercato di rifiutare Bee, «non voglio disturbarlo con qualcosa di così sciocco e che posso comunque fare da me. E La dodicesima notte è ad ogni modo uno dei miei pezzi preferiti, quindi-»

J. aveva alzato la mano interrompendola. «Sono sicura che sarà felicissimo di aiutarti, se glielo chiedo io.»

Bee aveva cercato di opporsi di nuovo, ma J. non aveva voluto sentire ragioni. Aveva chiamato Tom seduta stante e, come le aveva detto poi, aveva sistemato tutto.

«Non avresti davvero dovuto farlo, con tutti gli impegni che ha e soprattutto per una cosa di questo genere», l’aveva rimproverata Bee.

J. le aveva risposto con uno strano, piccolo sorriso sulle labbra. «Diciamo che lo stai facendo in parte anche per me.» 

Bee l’aveva guardata confusa. «In che senso?»

La sua amica aveva scosso una mano nell’aria. «Era una specie di piccolo test. Volevo solo essere sicura che la sua lista di priorità è corretta e che se ho bisogno di qualcosa da lui, lui è pronto ad aiutarmi.»

Bee aveva voluto dire qualcosa. Era rimasta zitta, invece.

 

*

 

Entrare nell’appartamento di Tom era stata una delle esperienze più strane che Bee si era trovata ad affrontare fino a quel momento. Era stato lui a chiederle di incontrarsi lì («Se puoi, se non è un problema», le aveva detto scusandosi. Lui si scusava). 

Bee era entrata con un certo nervosismo e un po’ di titubanza, imbarazzata non solo dal fatto che non si fosse ancora abituata al fatto di averlo in parte anche nella sua vita - per Bee, a quel tempo, Tom era ancora soprattutto Tom-l’attore e non Tom-la-persona - ma in difficoltà anche perché era il ragazzo della sua amica, e Bee si sentiva a disagio ad essere da sola con lui nel suo appartamento.

Ma Tom era sembrato completamente a suo agio. Le aveva offerto del tè, le aveva chiesto su quale lavoro di Shakespeare avesse intenzione di concentrarsi e poi aveva iniziato a parlare. 

Quasi due ore più tardi Tom aveva sviscerato aspetti della trama e sottolineato particolari che Bee, pur nella sua conoscenza del pezzo, non aveva mai notato. Era affascinante ascoltarlo, e non solo per l’ovvia passione che dimostrava nel soggetto, ma anche per la ricchezza di linguaggio che usava.

Era stato, poi, sul finire che Tom aveva accennato a qualcos’altro. Bee aveva scherzato sulla relazione tra due dei personaggi principali de La dodicesima notte e, davvero, voleva essere solo una battuta. «Prendi il Duca Orsino», aveva detto lei, «classico esempio di maschio nella norma. Vede Olivia, è bella, luminosa, e non la può avere perché lei si nega, allora lui la vuole anche di più. Un classico senza tempo.»

Tom aveva sorriso. «Ma è davvero così?»

Bee aveva sorriso di rimando. «Vuoi farmi credere che gli uomini non sono attratti dalle donne che brillano e si negano?»

«Sì e no. E comunque ci sono diversi modi di brillare.» Si era piegato un po’ in avanti, seduto in una delle poltrone del suo salotto, le dita delle mani intrecciate tra di loro. «Non credo che Orsino sia davvero innamorato di Olivia, piuttosto è innamorato dell’idea di essere innamorato di lei. E sì, certo, in parte è perché Olivia è una conquista difficile. Poi, però, arriva Viola e il gioco cambia. Orsino è attratto da lei anche quando pensa che sia un ragazzo.»

Bee gli aveva rivolto un’occhiata appena sarcastica. «Ah, già. L’amore vince tutto, giusto? In faccia alle differenze di età, classe sociale o quant’altro.»

Tom aveva riso sommessamente. «Forse. A volte.»

Bee lo aveva guardato divertita. «Certo, e il tuo mondo ne è la prova, vero?» Tom aveva alzato un sopracciglio, perciò lei aveva ripreso a parlare. «Voglio dire che raramente si sente di un attore che frequenta la cameriera che gli rifà la camera d’albergo o quella che gli serve il caffè la mattina. Sembra sempre che voi state fra di voi.»

Tom aveva alzato appena le spalle. «E’ complicato. Una persona dentro quel “mondo”, come lo chiami tu, capisce meglio gli orari, le necessità e i sacrifici che vanno fatti in questo lavoro. E comunque», aveva poi aggiunto puntandole scherzosamente il dito contro, «posso ricordarti che al momento frequento la tua amica, che non fa esattamente parte di quel mondo?»

Bee aveva sorriso. «Sì, però lei brilla

Tom aveva riso. «Sì, però io ti ho già detto che ci sono diversi modi di brillare.»

Lei aveva scherzosamente alzato gli occhi al cielo e in qualche modo aveva avvertito che era ora di andarsene. Si era alzata, aveva raccolto la sua borsa e lo aveva ringraziato per l’aiuto e per il tempo che le aveva dato. «E anche per il tè, era delizioso.»

«Felice che ti sia piaciuto, Bee.»

Lei si era fermata un attimo, perplessa. Poi aveva alzato una mano in saluto e si era diretta verso le scale che l’avrebbero portata all’uscita della palazzina. Ignorando il piccolo fremito che aveva sentito quando Tom aveva pronunciato il suo nome. Ignorando la strana sensazione che le aveva annodato un po’ lo stomaco. Ignorando quello strano, nuovo ritmo che il suo cuore aveva adottato per un attimo.

 

*

 

Qualche giorno dopo aver ricevuto il risultato della relazione, Bee si era trovata al telefono con J., quando improvvisamente aveva sentito la voce di Tom dall’altra parte del cellulare.

«Mi dicono che è andata bene.»

Bee per un attimo era rimasta senza parole per la sorpresa. «Sì. Più che bene, a dire il vero. Grazie mille di nuovo per l’aiuto.»

«Non c’è di che, e comunque non dovresti ringraziare me, ma te stessa.»

C’era stata una breve pausa in cui lei non aveva saputo che dire, ma che Tom aveva fatto presto a riempire.

«Vuoi sapere perché?»

Bee aveva esitato solo un attimo. «Perché?»

«Perché sei brillante.» La sua risata, poi, le aveva riempito le orecchie e lei, improvvisamente, aveva ringraziato il fatto che fossero al telefono e Tom non potesse vedere quanto fosse arrossita a quella frase.

 

*

 

Quello che Bee non si era aspettata, aprendo la porta del suo appartamento con in mano il libro su cui stava studiando e una matita tra i denti, era di trovarsi Tom di fronte a lei. 

Lui le aveva sorriso, ma qualcosa in quell’espressione era sembrata più di una semplice e cordiale forma di attesa.

«Tom?», aveva detto Bee togliendosi la matita di bocca.

«Beh, sì. Dal vivo e nel tuo corridoio», aveva replicato lui con un tono da annunciatore televisivo. Poi sorridendo aveva puntato al suo viso. «Graziosi.»

Bee aveva aggrottato appena la fronte, prima di ricordarsi che stava ancora indossando i vecchi occhiali dalla montatura enorme che usava quando, dopo troppo leggere, i suoi occhi cominciavano ad affaticarsi. Imbarazzata, aveva alzato una mano per toglierseli, ma Tom aveva scosso la testa.

«No, no, non toglierli. Ti stanno bene, sei carina.»

Era poi sembrato imbarazzato e sorpreso dalle sue stesse parole, e aveva abbassato appena la testa.

Bee non era riuscita a non arrossire. «Vuoi entrare? Posso aiutarti con qualcosa?»

Tom era tornato a guardarla, il disagio di solo un attimo prima cancellato dal suo viso, come se non fosse nemmeno mai stato lì. «Sono passato per questo», le aveva detto dandole una busta. «J. sapeva che ero in giro da queste parti e mi ha chiesto di portatelo.»

Bee aveva aperto la busta e ne aveva estratto un biglietto di cartoncino pesante. 

«E’ l’invito a qualche evento, non sono sicuro cosa. J. vuole andarci e mi ha chiesto di trovare un posto anche per te.»

Bee aveva sospirato. «Non avrebbe dovuto. Non avresti dovuto. Grazie mille.»

Tom era rimasto lì, sulla soglia dell’appartamento, dondolando sui piedi per un attimo. «Verrai?»

«Forse?»

Tom aveva riso. «Lo stai chiedendo a me?»

Bee aveva lasciato scappare una piccola risata. «Se posso vengo.»

«Bene», aveva risposto Tom. «Allora, se puoi, vieni.» 

L’aveva poi salutata e lei era rimasta per qualche attimo a guardarlo allontanarsi. Era stata sul punto di chiudere la porta, quando era stata richiamata dalla sua voce.

«E Bee? Indossa quegli occhiali più spesso.»

C’era stato un accenno di scherzo nella voce di Tom, ma Bee era arrossita comunque.

 

*

 

Il giorno prima del compleanno di J., Tom le aveva mandato un messaggio dicendole che voleva organizzare qualcosa di speciale e “posso chiederti l’enorme favore di darmi una mano?”.

Bee aveva risposto quasi subito e lui, quasi subito dopo, le aveva mandato un altro messaggio con un luogo e un’ora in cui incontrarsi.

Bee si era sentita stupidamente nervosa per il resto della giornata.

 

*

 

«Sei sicuro che lo possiamo fare?»

Tom aveva malamente trattenuto una risata. «Certo. Fidati di me.»

Bee gli avrebbe volentieri rivolto uno sguardo pieno di sarcasmo, ma la benda che Tom le aveva legato attorno agli occhi glielo aveva impedito. 

«Dimmi che hai chiesto il permesso», aveva detto allora lei trovandosi a sussurrare.

Tom aveva riso sommessamente di nuovo. «Ho chiesto il permesso.»

«Dimmi che hai davvero chiesto il permesso.»

Tom si era fermato e lei era quasi andata a sbattere contro di lui. «Ho davvero chiesto il permesso. E ora, se fossi così gentile.»

Bee aveva sentito le mani di Tom chiudersi sulle sue braccia e spostarla di qualche passo a destra. 

«Devo solo assicurarmi che l’effetto sia quello giusto. Voglio essere certo che la sorpresa sia perfetta.»

Bee aveva sospirato. «Ok, ok. Posso togliere la benda, adesso?»

«Non ancora», aveva sentito la voce di Tom rispondere divertita. «Stai qui e quando senti il mio via, allora la puoi togliere. Intesi?»

«Intesi», aveva replicato lei. 

Era stato strano come, anche senza poterlo vedere, aveva sentito che si era allontanato. Come se improvvisamente fosse mancato qualcosa nell’aria attorno a lei.

 

Si erano incontrati in un antico angolo di Londra e lui l’aveva portata ad un vecchio teatro che aveva tutta l’aria di essere chiuso e pressoché abbandonato. Erano entrati da una porta laterale - Tom aveva fatto più fatica del previsto ad aprirla con una chiave dall’aria rugginosa - e si erano trovati in un piccolo foyer illuminato solo da un paio di lampade dalla luce soffusa. Bee si era stupita di come il posto, dentro, fosse perfettamente pulito e profumato di cera d’api e limone. 

Il teatro era sembrato vuoto a parte loro due, e a quel punto Bee aveva iniziato ad avere qualche dubbio. “Qualche dubbio”, poi, era evoluto in “parecchi dubbi” quando Tom aveva estratto una benda dalla tasca della sua giacca e l’aveva guardata con un’aria divertita. 

«Se mi permetti», aveva detto alzando la benda.

Bee lo aveva guardato con una nota di apprensione e lui aveva riso.

«E’ solo per assicurarmi che tu non veda nulla. Ti guido io e quando siamo nel punto giusto, la puoi togliere.»

Lei aveva esitato un istante prima di accennare un sì. Tom si era allora spostato dietro di lei e Bee aveva chiuso gli occhi, e inaspettatamente era sembrata diventare molto più sensibile a certi piccoli dettagli. Il rumore della giacca di Tom quando aveva alzato le braccia, il calore appena avvertito del suo corpo così vicino, il suo respiro, le dita che le sfioravano i capelli. 

Senza sapere perché, le era venuta voglia di ridere. Forse si era solo sentita terribilmente nervosa. 

Poi le mani di Tom avevano catturato le sue con gentilezza e lui l'aveva spinta un po’ in avanti. Bee, impacciata dalla sua stessa agitazione, aveva fatto un passo in avanti senza considerare Tom davanti a lei ed era finita per sbattere contro il suo petto.

Lui aveva riso - il suono e la sua vibrazione erano entrate dentro Bee - e lei si era trovata a balbettare qualche scusa.

«Nessun problema, Bee», l’aveva interrotta lui. «Non sono fatto di vetro.»

Lei si era schiarita la voce, imbarazzata. «Andiamo, allora?»

Tom aveva riso di nuovo. «Adoro una donna impaziente.»  

Lei aveva liberato una delle mani dalla presa di Tom e l’aveva mossa ad intuito, colpendolo sull’avambraccio. «Smettila di essere uno scemo.»

Tom aveva ripreso la sua mano aggiungendo l’ennesima risata. «Solo se tu la smetti di essere così nervosa.»

Le mani di Tom l’avevano tirata con delicatezza e Bee si era mossa con più attenzione. «Solo se tu la smetti di essere così impertinente.»

«Solo se tu la smetti di essere così imbranata.»

«Ehi», aveva replicato Bee, «ho una benda sugli occhi.»

«Ok, hai vinto tu», aveva risposto Tom divertito. «C’è uno scalino, ora. E aspetta che apro la porta.»

Tom aveva abbandonato le sue mani per un attimo, e Bee aveva preferito ignorare come le avesse sentite vuote in quei pochi istanti.

Aveva quasi sussultato quando le aveva sentite di nuovo nelle sue. «Ok, andiamo.»

Inaspettatamente si era sentita anche più nervosa di prima. «Sei sicuro che lo possiamo fare?»

 

*

 

Era passata una manciata di secondi, probabilmente nemmeno un minuto, eppure per Bee, ferma lì da sola e senza vedere nulla, era parsa quasi un’eternità. 

Poi, improvvisamente, aveva sentito la voce di Tom, un po’ da lontano.

«Vai», aveva detto.

Bee si era tolta la benda e aveva sbattuto le palpebre un paio di volte. Si era trovata in mezzo alla platea del vecchio teatro in cui Tom l’aveva accompagnata, e le luci disseminate nel locale si erano lentamente accese, aumentando piano di luminosità e diffondendo un alone dorato sui velluti rossi delle poltroncine, il mogano scuro dei balconi e la ricchezza dei cristalli dei lampadari. Dall’affresco sulla cupola del soffitto pendevano costellazioni di piccole stelle argentee e dovunque Bee aveva posato gli occhi, aveva visto candelabri e fiori e altre stelle.

Tom era seduto sul palcoscenico, le gambe sospese nel vuoto della buca dell’orchestra, e la osservava con un sorriso nervoso. 

Bee lo aveva raggiunto quasi correndo.

«Pensi che le piacerà?», aveva domandato guardandola vagamente insicuro.

«Stai scherzando, vero?», aveva replicato lei con entusiasmo. «Certo che le piacerà. Lo adorerà, è bellissimo.»

Tom aveva allungato le mani e l’aveva aiutata a salire sul palcoscenico. Bee si era seduta accanto a lui. «Sono senza parole, è incredibile.»

«Non è ancora del tutto finito», aveva detto Tom allegro. «Ci sarà un tavolo con una torta e da bere da una parte del palco e dall’altra parte una postazione per il dj.»

«E’ davvero, davvero stupendo.»

Tom aveva riso. «Bene. Spero solo di vedere la stessa espressione che hai fatto tu sul viso di J. questa sera.»

Bee gli aveva sorriso. «Che espressione ho fatto?»

Tom aveva scosso la testa ridacchiando. «Impossibile da replicare. Sembravi davvero sorpresa, però. E contenta.»

«E chi non lo sarebbe», aveva risposto lei con un mezzo sospiro. 

Tom aveva alzato le spalle. «Non so. A volte le persone vogliono cose diverse?»

Bee lo aveva guardato vagamente perplessa, prima di spingergli scherzosamente una spalla. «Non essere assurdo. E’ tutto perfetto e J. lo adorerà. E’ una di quelle cose che succedono solo nei film, sai. Tranne che questa volta sta succedendo davvero. Sarà bellissimo. E’ bellissimo.»

Tom le aveva sorriso e le aveva appoggiato una mano sulla testa, arruffandole i capelli. «Grazie mille.»

Bee aveva chiuso gli occhi per un attimo.

 

*

 

J. aveva amato ogni minuto di quella festa. 

Bee, insieme al resto degli invitati, aveva atteso sul palco mentre Tom l’aveva accompagnata dentro, la benda su suoi occhi quella volta.

Era stato strano rivedere quello che era successo a lei, ma attraverso un’altra persona e con molta più gente nella platea.

C’era stato l’alone di un sapore amaro, nascosto da qualche parte nella bocca di Bee. Aveva bevuto troppo, allora, cercando di cancellarlo, di non pensarci, di illudersi che non fosse lì.

A quel tempo, però, non pensava ancora di provare dei sentimenti per Tom. Credeva soltanto di essere un po’ invidiosa di quello che lui e J. avevano.

Quella notte, poi, quando aveva deciso che era ora per lei di tornare a casa, aveva abbracciato una J. abbastanza ubriaca e aveva salutato con una mano Tom.

Era stato lui che l’aveva presa per il polso e l’aveva chiusa tra le sue braccia. Le aveva mormorato un grazie nell’orecchio - e Bee non aveva saputo per che cosa, quando era Tom che aveva fatto tutto - e le aveva dato un bacio veloce sulla guancia. 

Nel taxi, dopo, lungo la strada verso il suo appartamento, non era riuscita a pensare a nient’altro che a quello.

 

*

 

La prima volta che aveva ammesso a se stessa di essersi innamorata di lui era stato mesi dopo, nell’appartamento di J.

Lei e Tom avevano avuto una discussione al telefono. Tom si era trovato da qualche parte a girare un film e J. gli aveva detto che voleva andare a trovarlo. Tom - secondo quanto J. aveva poi raccontato a Bee - aveva declinato l’offerta. J. non l’aveva presa bene. Avevano discusso per un po’, poi Tom aveva chiuso la telefonata e J. aveva invece chiamato Bee. 

Lei aveva raggiunto l’amica al suo appartamento e un’ora e due bicchieri di vino più tardi, J. sembrava essersi calmata. Poi il cellulare aveva squillato e, dato che J. si era trovata in cucina a riempire di nuovo i bicchieri, Bee le aveva detto che era Tom che stava chiamando.

«Rispondi tu», aveva detto secca J., «e digli che non gli voglio ancora parlare.»

Bee aveva sospirato e preso il cellulare dell’amica. «Tom?», aveva detto, «Bee da questa parte. J. al momento non può rispondere.»

«Non vuole rispondere», l’aveva corretta J. dalla cucina.

«E’ ancora arrabbiata con me?», aveva domandato Tom quasi rassegnato.

«Temo di sì. Ma le passerà», aveva replicato Bee in un sussurro.

«Dille che mi dispiace, ok? Non è per lei, è che preferisco non avere distrazioni quando lavoro. E non potrei comunque dedicarle abbastanza tempo.»

«Riferirò.»

C’era stata una pausa. «Come stai? E’ da un po’ che non ci sentiamo.»

Bee si era morsa un labbro. «Tutto bene, al solito.»

«Bene.»

Lei lo aveva sentito sospirare e il suo cuore per un attimo sembrava aver perso un battito. «Le manchi, sai», aveva allora sussurrato. «Manchi a tutti, a dire il vero, quando non sei da queste parti.»

Tom aveva accennato una risata. «Già, Londra senza di me cos’è?»

Bee aveva esitato un attimo. «Noiosa. E meno brillante

Tom aveva riso, ma Bee aveva tagliato corto, ne aveva avuto abbastanza del suo cuore che sembrava sul punto di esploderle in petto. «Ti passo J.»

«Non cred-»

Bee non aveva nemmeno ascoltato la replica di Tom. Era andata in cucina e aveva passato il cellulare a J. «Parlagli», le aveva detto. Ordinato.

J. aveva incrociato le braccia e Bee le aveva forzato il telefono nella mano. «Parlagli», aveva ripetuto.

E quando l’aveva vista portarsi il cellulare all’orecchio, era ritornata in salotto e si era seduta sul divano, tentando con tutta se stessa di non scoppiare a piangere.

Aveva appena scoperto di essersi innamorata di Tom.

 

*

 

Tom lo aveva rivisto non molto tempo dopo. Era tornato a Londra e per celebrare il suo rientro aveva organizzato una piccola festa privata nel terrazzo di un locale da cui si ammirava una vista incredibile su parte della città.

Bee aveva socializzato per quanto possibile, poi quando non ne aveva potuto più di chiacchiere e discorsi che ascoltava solo per metà, aveva cercato e aveva trovato un angolo tranquillo e vuoto dove nascondersi per un po’. 

Almeno aveva pensato che fosse vuoto, finché non aveva visto Tom emergere dall’ombra di quel nascondiglio.

«Scusa», aveva detto lei immediatamente, «cercavo solo un posto dove riposarmi un attimo. Vado alla caccia di un altro.»

«No, tranquilla», aveva risposto Tom allungando una mano. «Sei più che benvenuta.»

Bee aveva guardato per un istante la mano tesa di Tom, prima di appoggiarvi la sua. Lui aveva chiuso le sue dita lunghe attorno alle sue e l’aveva guidata nella penombra. 

«Devi stare attenta, qui», le aveva detto. «La terrazza ha un paio di piastrelle che sporgono un po’ ed è facile inciampare e farsi male.»

Bee aveva balbettato un grazie. Non aveva avuto idea di dove Tom la stesse portando, ma - anche con i sensi di colpa - non era riuscita a non essere felice per quel momento.

Avevano raggiunto uno stretto parapetto laterale che apriva la vista sul London Eye. I rumori di Londra arrivavano attutiti da quelli della festa che avevano momentaneamente abbandonato.

«Sai che dicono che se sei nato a Londra, ma abiti da qualche altra parte del mondo, non stai facendo sul serio, ma stai solo aspettando il momento giusto per tornare a casa?»

Bee aveva sorriso. «Beh, sì, può essere veramente bella quando vuole, Londra.» Aveva poi guardato Tom con la coda dell’occhio ed aveva esitato un attimo. «Va tutto bene?»

Tom si era passato una mano tra i capelli. «Tutto bene, solo un po’ stanco. E probabilmente con uno o due bicchieri di troppo in corpo e in testa.»

Erano rimasti in silenzio per qualche istante, poi Tom si era girato verso di lei, il gomito appoggiato sul parapetto. 

Bee si era sentita studiata. «Cosa c’è?», aveva allora chiesto quasi ridendo.

«C’è qualcosa di diverso in te», le aveva risposto Tom soprappensiero, socchiudendo appena gli occhi. «Non riesco ancora a puntare il dito su qualcosa di preciso, ma l’ho notato subito quando ti ho vista stasera.»

Bee aveva cercato di nascondere la sua confusione scherzando. «E’ il fuso orario che ti confonde. O forse stai solo impazzendo. Tragico, ma possibile.»

Tom aveva ridacchiato. «Vedi? Sei sospetta.»

«Sospetta?»

«Sospetta», aveva ribadito Tom. «Guardati adesso, per esempio. Tutto il tuo corpo è chiuso, sei un riccio. Cosa stai cercando di nascondere?»

«Non so di cosa parli, Tom», aveva replicato lei con un tono leggero.

«Bee», aveva allora detto lui, allungando le “e” in maniera esagerata. «Bee è… preoccupata?»

Lei non aveva detto una parola.

«Bee… è stanca?»

Lei lo aveva guardato con sufficienza.

«Bee… è annoiata?»

Un sorriso era comparso, nonostante tutto, sulle labbra di lei.

«Bee… è innamorata?»

Lei si era irrigidita, rimanendo immobile per un momento. Poi aveva cercato di ridere, ma l’unica cosa che era uscita era stato uno strano suono gracchiante.

«Ah», aveva allora detto Tom. «Ecco cos’è. Bee è innamorata.»

«Tom», aveva detto lei con una nota di agitazione. «Non sono… davvero…»

Lui aveva scosso la testa e aveva riso. «Non ti preoccupare, sarà il nostro segreto. Promesso.» Aveva poi lasciato passare un attimo. «E’ un bravo ragazzo?»

Forse per l’assurdità della situazione, Bee era scoppiata a ridere. «Dipende. La maggior parte delle volte, credo.»

«E’ intelligente? Scusa, domanda sciocca, ovvio che è intelligente. Non riuscirei a vederti con nessuno che non sia intelligente.»

Lei aveva sorriso. «Beh, sì, lo è. Molto. Non sempre, però.»

Tom aveva alzato un sopracciglio. «E ti fa ridere?»

Bee aveva sorriso. «Sì.»

«Quindi», aveva riassunto Tom contando con le dita, «è un bravo ragazzo, la maggior parte delle volte. E’ molto intelligente, anche se non sempre. E ti fa ridere. Sembra accettabile.»

«Accettabile?», aveva ripetuto Bee con una nota incredula nella voce.

«Sì, ma deve comunque passare il mio giudizio, prima. Ti ricordo che ho due sorelle, Bee. Sono perfettamente qualificato per giudicare possibili fidanzati e ho un ottimo intuito per i caratteri delle persone, soprattutto quando si tratta di maschi.»

Lei aveva riso. «Grazie, ma non credo che ci sarà bisogno.»

«Non ti fidi del mio giudizio?», aveva chiesto lui con finta offesa.

«Non è quello. E’ che lui non sa che mi piace e, per quanto ne so io, non lo saprà mai.»

Tom aveva alzato un sopracciglio. «E perché mai?»

Bee aveva alzato le spalle tormentandosi le dita. «E’ complicato. E comunque non mi vedrebbe mai sotto quella luce, i suoi gusti in fatto di donne sono diversi.»

«Quindi non è poi così perfetto, questo fantomatico oggetto delle tue attenzioni.»

Lei aveva smesso di giocherellare con le dita per un attimo. «E perché?»

Tom aveva sospirato, spostando lo sguardo prima sulla città sotto di loro, per poi riportarlo lentamente su Bee. «Perché se non gli piaci, vuol dire che è un idiota.»

Lei lo aveva guardato stupita per un attimo - le guance in fiamme e il cuore che batteva ad un ritmo frenetico - prima di abbassare lo sguardo. 

«Bee», aveva detto Tom con un qualcosa di quasi supplichevole nel tono della voce. Aveva alzato una mano, sfiorandole il braccio. «Io…»

Lei era rimasta immobile, trattenendo per un istante il respiro.

«Io…», aveva ripetuto Tom, sfiorandole di nuovo il braccio. Si era fermato, poi, e aveva ritratto la mano quasi bruscamente. «Scusa. Credo di aver bevuto troppo.»

Aveva fatto un passo indietro, nascondendo le mani nelle tasche dei pantaloni e aveva appuntato lo sguardo sulla città. 

Bee aveva alzato la testa, un sorriso forzato sulle labbra. «Credo che lo abbiamo fatto un po’ tutti.» Era anche riuscita a ridere e ad aggiungere che tornava alla festa, prima di allontanarsi e lasciarlo lì. 

La confusione, però, quella non era riuscita a lasciarla dietro.

 

*

 

«Ha detto che vorrebbe farti conoscere uno dei suoi amici.»

Bee aveva guardato J. sorpresa. «E perché?»

J. l’aveva guardata divertita. «Perché? Perché pensa che tu e il suo amico potreste andare d’accordo. Essere una bella coppia, possibilmente.»

Bee aveva spostato gli occhi sul palco dove Tom stava facendo le prove per uno spettacolo. Il teatro era pressoché vuoto, a parte J., lei e un gruppo di tecnici intenti ad aggiustare luci e suono. 

«E’ carino sai. Molto carino», aveva ripreso a parlare J. in un sussurro. 

Bee era rimasta in silenzio per un po’. «Non sono sicura-»

J. le aveva dato un piccolo schiaffo sul braccio. «E’ da una vita che non esci con qualcuno. Provaci, cosa ti costa?»

Bee si era fermata a riflettere su quella frase. Cose le costava? Probabilmente molto meno di quello che le costava essere dove si trovava in quel momento. Aveva sospirato. «Ok.»

J. aveva lasciato scappare una specie di sommesso squittio di piacere. «Brava! Sono davvero contenta per te.» Aveva poi guardato l’orologio. «Ma per quanto tempo vanno ancora avanti con queste prove? Sono così noiose.»

Bee aveva abbassato un po’ la testa.

 

*

 

«Ho sentito dire», le aveva detto Tom più tardi, «che vorresti uscire con Jacob.»

Alla fine delle prove J. aveva convinto Tom a portare lei e Bee fuori a cena, e Bee si era ritrovata seduta accanto a lui. Era stato più facile, così, evitare di guardarlo e concentrarsi invece sul resto della sala e fingere di aspettare il ritorno di J. dal bagno. 

Bee, alle parole di Tom, aveva preso a giocare nervosamente con il tovagliolo. «Sì, se non è un problema.»

«Certo che non lo è», aveva replicato Tom velocemente. «Jacob è interessante. E’ un bravo ragazzo.»

«Grazie.»

Tom aveva scosso la testa. «Non devi ringraziare me. E’ J. che ha avuto l’idea l’altro giorno, dopo aver conosciuto Jacob. Ha detto che sarebbe stato perfetto per te.»

Bee aveva alzato gli occhi e appuntato lo sguardo su Tom. «E’ stata J. a suggerire l’idea?»

Tom l’aveva guardata appena confuso. «Sì. Fosse per me, io non… Noi uomini non ci interessiamo molto di questo genere di cose, no?»

Bee aveva riabbassato gli occhi. «Giusto. Devo aver capito male io, allora.»

Tom aveva cercato di chiedere qualcosa, ma era stato a quel punto che J. era tornata al tavolo e la domanda era rimasta inespressa. 

 

*

 

Bee era stata in attesa davanti all’ingresso di un piccolo ma lussuoso locale nel centro di Londra quando, invece dell’amico di Tom, aveva visto arrivare Tom stesso.

«Scusa», aveva detto lui con aria dispiaciuta. «Jacob mi ha mandato un messaggio. Ha avuto un’emergenza dell’ultimo minuto e non riesce a liberarsi stasera.»

«Oh», aveva replicato Bee cercando di ignorare quello che stava provando in quel momento. «Non c’era bisogno che venissi, potevi mandarmi un messaggio.»

Tom aveva alzato le spalle. «Ero di passaggio da queste parti comunque.»

«Non dovresti essere alle prove?»

Lui aveva sorriso. «Abbiamo finito prima.»

Bee aveva lasciato passare un attimo, incerta su cosa dire. «Grazie per essere venuto. Io allora mi avvio verso casa e-»

«Oh, avanti», l’aveva interrotta Tom. «Io ho un po’ di tempo libero e tu hai un vestito grazioso. Sarebbe veramente sgarbato da parte mia lasciarti andare a casa senza prima metterti un po’ in mostra.»

Aveva poi alzato il braccio e socchiuso la porta del locale, invitandola ad entrare con uno sguardo.

E Bee aveva riso, scosso la testa ed era entrata.

 

*

 

«J. mi ha detto che c’è la possibilità che tu ti trasferisca in Scozia, per la tesi o dopo l’università.»

Bee aveva tamburellato le dita lungo lo stelo del bicchiere di vino. «Sì, ma sto ancora valutando.»

Tom aveva preso un sorso della vodka tonic che aveva ordinato. «J. non è sembrata molto contenta.»

Bee aveva riso. «L’ha reso chiaro anche a te, vedo.»

«Le piace averti accanto, averti come amica», aveva detto Tom sorridendo. «E… e le piace avere le cose come le vuole lei.»

Bee aveva riso di nuovo. «Sì, è sempre stata così. “A modo mio o in nessun modo” era il suo motto preferito, quando l’ho conosciuta.»

«Lo dice ancora», aveva detto Tom ridacchiando. Si era fatto un po’ più serio, dopo, e aveva spostato lo sguardo lungo il locale. «Premesso che se l’opportunità è veramente buona, allora dovresti prenderla e basta, devo ammettere che un po’ capisco J., sai. Ci mancheresti.»

Bee aveva chiuso le dita sullo stelo del bicchiere e aveva cercato di scherzare. «Ne sono sicura. Tu tra i film, il teatro e chissà cos’altro, e J. sempre occupata a schivare le tue fan, sono certa che sentireste tantissimo la mia mancanza.»

Tom non era sembrato divertito. «Dico sul serio, Bee. Ci mancheresti. Mi mancheresti.»

A quelle parole la mano di lei aveva tremato appena e quando aveva cercato di ritirarla, aveva accidentalmente rovesciato il bicchiere di vino. Aveva mormorato un’imprecazione e si era scusata con Tom. «Sono sicura che i miei disastri non ti mancheranno per niente», aveva poi detto con un tono forzatamente allegro.  

Tom non aveva risposto, il suo viso ancora una maschera di serietà.

 

*

 

Si erano salutati all’uscita del locale. Bee aveva fatto qualche passo e poi si era voltata a guardare la schiena di Tom allontanarsi. 

Non era riuscita a dormire, quella notte.

 

*

 

«Tom sta diventando distante», aveva detto J.

«Abbiamo discusso di nuovo, l’altra sera», aveva aggiunto.

«Dice che è stanco, dice che è il lavoro», aveva continuato.

«Gli ho proposto di andare per un week-end da qualche parte e ha detto di no», si era lamentata.

«Credo di dover fare qualcosa per scuoterlo un po’», aveva concluso.

Solo a quel punto Bee aveva alzato gli occhi dal libro su cui stava cercando di studiare e aveva guardato l’amica con un filo d’ansia. «J. non fare nulla di avventato.»

J. le aveva rivolto uno sguardo divertito. «Oh, non ti preoccupare, Bee, nulla di strano. Solo un pochino di divertimento.» Si era fatta seria, poi, per un istante. «Tom è importante per me, non lo voglio perdere. Forse non andiamo sempre d’accordo e forse vediamo molte cose in modi diversi, ma lo amo e lui mi ama. Stiamo bene insieme. Siamo felici, la maggior parte del tempo.»

Bee aveva riabbassato lo sguardo sul libro, cercando con poco successo di concentrarsi sul testo.

«Non me l’ha ancora detto, sai.»

La voce di J., pensierosa e con un filo di tristezza, aveva catturato di nuovo l’attenzione di Bee. «Cosa?»

J. aveva fatto passare solo un attimo, lo sguardo perso nel vuoto. «Che mi ama. Non me l’ha ancora detto.»

Bee non aveva saputo cosa rispondere, ma J. l’aveva comunque preceduta facendo comparire un sorriso sulle labbra. «Ma sono sicura che lo farà presto. E ora cambiamo discorso, ok? Cosa stai studiando?»

 

*

 

Era stata una sera di qualche giorno più tardi che Bee aveva capito cosa J. avesse voluto dire quando le aveva detto “solo un pochino di divertimento”. 

Si erano trovati tutti a casa di J. - Bee, Tom e il resto del loro piccolo gruppo - per un party di “buon viaggio” per Tom, che era a pochi giorni dalla partenza per Toronto, dove avrebbe girato un film per qualche mese. 

J., in maniera per nulla velata, aveva passato la maggior parte del tempo attaccata al braccio di uno o l’altro degli amici di Tom.

Tom era parso più infastidito che geloso, e a tratti semplicemente annoiato da quel comportamento.

Bee si era rifugiata in cucina con la scusa di un bicchiere d’acqua. 

Tom l’aveva raggiunta.

E quando lei aveva cercato di scappare di nuovo - perché era stato esattamente quello che aveva cercato di fare - J. aveva chiesto a Tom di accompagnare Bee a casa. 

E si erano trovati così, uno accanto all’altro, silenziosi e in qualche modo attenti della reciproca presenza, a camminare lungo un marciapiede in una notte londinese con poche, pochissime stelle.


 

Quello che succede ora


 

Bee parla. Ha iniziato a parlare dieci minuti fa e ora non riesce a smettere. Qualsiasi cosa pur di non dover affrontare quel silenzio imbarazzante con Tom.

Quindi parla, parla, parla. Di Londra, del freddo, della pioggia, e di quel film assurdo che ha visto la sera prima. Dell’ultimo libro che ha letto e di quello che sta studiando, di cosa ha avuto per pranzo e dei trasporti pubblici della città.

E’ in mezzo ad un discorso sui benefici di non possedere una macchina a Londra, quando Tom la interrompe appoggiandole una mano sul braccio.

«Bee?»

«Sì?»

«Cosa c’è che non va?»

Bee finalmente tace. Si prende qualche istante. «Nulla.»

Tom la spinge appena con un gomito. «Cosa abbiamo detto riguardo a te e alle bugie?»

Bee sospira. «Ho deciso di andare in Scozia.»

Tom la guarda, ma rimane in silenzio. Abbassa la testa e tace per la lunghezza di qualche passo. «Quando?»

«Se tutto va secondo i piani, dovrei partire tra due settimane.»

«Ma io parto per Toronto dopo domani», replica Tom quasi ferito, «e starò fuori per almeno sei mesi. Vuol dire che non ci vedremo per quanto tempo?»

Bee alza le spalle. «Non so. Per un po’?»

Tom si richiude di nuovo nel suo silenzio ed è difficile per lei dire cosa gli stia passando per la testa. Lo guarda con la coda degli occhi, ma non osa fare di più. 

Non si dicono altro fino a quando raggiungono la palazzina di Bee. Lei fa un mezzo giro su se stessa e cerca di sorridergli. «Grazie per avermi portata a casa sana e salva.»

Tom la guarda serio, ma invece di parlare allunga una mano.

Bee ne è sorpresa per un attimo - sembra un modo così formale di salutarsi - ma allunga comunque la sua e stringe quella di Tom.

E prima che lei capisca cosa sta succedendo, lui la tira a sé e l’abbraccia. Non dice nulla, ma la stringe - forte, in maniera quasi dolorosa - e affonda il viso nei suoi capelli.

Bee allora si alza sulle punte dei piedi e lo abbraccia un po’ più forte, un po’ più stretto, un po’ più triste. Nasconde il volto nel collo di Tom e cerca di non piangere.

Ma lui le sussurra il suo nome nell’orecchio - il suo nome vero e non quel nomignolo infantile di cui non riesce a staccarsi - e lei allora non riesce a fermare le lacrime. 

Tom se ne accorge e le accarezza dolcemente la schiena, mormorando parole che lei non ascolta, perché tutte le sue energie sembrano essere concentrate nel imprimersi nella memoria quel momento e la sensazione delle braccia di Tom attorno a lei.

«Andrà tutto bene», riesce finalmente a raggiungerla la voce di Tom.  

Lei vuole ridere a quelle parole, ma quello che le esce invece è solo qualche lacrima in più. «Temo che sia troppo tardi per quello.»

Tom allenta l’abbraccio e cerca di guardarla in viso, ma lei si nasconde cercando di asciugarsi gli occhi e le guance.

«Cosa vuoi dire?»

Lei scuote la testa. «Niente. Non voglio dire niente. Ma è meglio se vado a casa ora.»

Tom scioglie l’abbraccio con riluttanza, ma le trattiene le mani. «C’è una cosa che devo fare.»

Lei alza finalmente lo sguardo su di lui, pur sapendo che probabilmente il suo viso è un assoluto disastro in quel momento. Guarda Tom avvicinarsi di un passo e chiudere quella poca distanza che li separa.

«Scusami», mormora prima di esitare solo un istante di più e piegarsi su di lei. Le sue labbra le sfiorano la bocca con un bacio che sembra solo accennato. C’è un attimo e l’attimo dopo non c’è più.

«Scusami», dice di nuovo.

E lei scuote la testa, accenna un no, senza sapere cosa fare o cosa dire a quel punto.

Non lascia le sue mani, però.

E’ lui che le abbandona, invece. Fa un passo indietro, non la guarda, si gira e si allontana.

E lei rimane lì, una manciata di secondi, le punte delle dita sulle labbra a proteggere l’alone di quel bacio che sta già scomparendo.

 

*

 

Non riceve nessun messaggio da Tom, né prima né dopo la partenza per Toronto.

E’ J., invece, che la chiama in lacrime. Dice che Tom la lasciata, dice che sta male. Piange, al telefono, e Bee si precipita da lei.

«Gli ho chiesto se c’era qualcun’altra e ha detto di no», è una delle prime cose di cui J. la informa quando arriva al suo appartamento. «Ha detto che non sente più quello che sentiva. E quando gli ho chiesto più spiegazioni, ha detto solo che gli dispiaceva, ma che non voleva più andare avanti con me.»

Bee si sente orribile mentre abbraccia J. in lacrime, perché sa che per quanto sia dispiaciuta per lei, c’è una parte che è felice di quanto è successo. Forse qualcosa - il disagio che Bee sente o i suoi sensi di colpa - emerge, perché J. lentamente si libera dell’abbraccio e si allontana. 

«E tra poco te ne vai anche tu», le dice lei con un tono freddo e ferito.

«E’ Glasgow, J., non dall’altra parte dell’oceano. Un’ora in aereo.»

J. trova un fazzoletto e si asciuga quasi con irritazione le lacrime dal viso. «Perché ci vai, Bee?»

Lei la guarda confusa. «E’ un’ottima occasione di lavoro e per fare esperienza-»

Una piccola risata sarcastica dell’amica la interrompe. «Ed è tutto qui?»

Bee sente il cuore in gola, ma non dice nulla. Se deve succedere, allora che succeda. E’ stanca di mentire, di mentirsi e di pretendere. 

«Tom non ha niente a che fare con la tua decisione di andartene? Di scappare?», le chiede J. gelida ma calma. «Cosa pensi, cosa pensate, che sia cieca? Stupida? Che non ho mai notato come vi guardavate?»

«J., ascolta, posso spiegarti-»

J. scuote la testa. «Non m’interessano le tue spiegazioni. Ma so, e sai anche tu, che se questo è successo, è anche in parte colpa tua.» 

«J. posso davv-»

J. esplode, a quel punto, ma non in maniera eclatante. Non grida, non urla, non fa niente di eccessivo. Si avvicina a Bee e con una freddezza che la fa rabbrividire, le sibila in faccia la sua risposta. «Non mi hai sentito prima? Ho detto che non m’interessano le tue spiegazioni. Tom ha fatto le sue scelte e tu hai fatto le tue. Le conseguenze sono queste. Io non sono più la sua fidanzata e tu non sei più mia amica. Vattene a Glasgow, Bee. Vattene dove ti pare. Anzi, inizia ad andartene fuori da casa mia. Il mondo è abbastanza grande e con un po’ di fortuna non ci vedremo mai più, noi due.»

Bee la guarda, le parole che vorrebbe dirle ormai morte in bocca. Tutti i “mi dispiace” per le cose che J. sa e non sa, per quello che è successo e per la parte che lei ha avuto in quella storia. Fa un passo indietro e si gira, uscendo dall’appartamento e chiudendosi la porta alle spalle. Sente J. singhiozzare dall’altra parte, ma si allontana lentamente. Sa che non può più fare nulla per lei.

 

*

 

Glasgow l’accoglie con una carezza un po’ ruvida, come quella di una signora anziana che sa ancora di essere viva. E’ diversa da Londra, manca forse un po’ di raffinatezza, ma a Bee piace. Sembra più rilassata, inesplorata, un punto di partenza.

Passano sei mesi e lei è ancora lì quando, tramite Twitter, scopre che Tom è tornato a Londra. Una parte di lei si aspetta un messaggio, un’altra parte sa che non arriverà.

Quando non arriva, nasconde la delusione dentro un angolo del suo cuore e torna a lavorare e a preparare la tesi. 

Il giorno in cui ha ufficialmente chiuso con gli studi lo passa da sola. Sa che gli amici che si è fatta lì le hanno organizzato una piccola festa nella serata, ma quel pomeriggio vuole passarlo con se stessa e assaporare cosa vuol dire sentirsi liberi e sapere di aver aggiunto una piccola pietra miliare lungo la strada della sua vita.

Nonostante il freddo, è seduta ad un tavolino all’esterno della sua caffetteria preferita al Royal Exchange Square e si gode una tazza di tè, assaporando il rumore di quella parte della città. Riflette oziosamente su tutto e su niente. Sorride.

«E’ difficile trovarti.»

Non alza gli occhi subito, anche se sa che deve sembrare davvero sciocca con la tazza di tè ferma così, a mezz’aria. La appoggia con una mano che trema un poco e finalmente solleva lo sguardo. 

Tom la sta osservando con un sorriso e l’ombra di un’aria incerta. Ha i capelli completamente nascosti in un cappello e un paio di occhiali dalla montatura scura. Sembra stanco e allo stesso tempo vivo. Luminoso.

«Posso sedermi?», domanda cercando di trattenere una risata.

Bee accenna un sì, chiedendosi come faccia. C’era tutto un mondo attorno a lei, fino ad un attimo prima. E ora, con lui lì, ogni cosa si è ridotta a quello. A lui.

«Cosa ci fai qui?», domanda cercando di non darsi risposte da sola a quella domanda.

Tom sembra vagamente imbarazzato. «Di passaggio.»

«Sei sempre di passaggio, tu. Da tutte le parti.»

Lui ride, la guarda e ride di nuovo. «Se ti dico una cosa, prometti che non mi prenderai in giro per il resto della vita?»

Lei gli sorride. «Non sono sicura di poterlo fare.»

«Correrò il rischio, allora.» Fa una pausa, in cui ordina un caffè al cameriere che li ha raggiunti al tavolo. Poi, torna a guardarla. «E’ da almeno cinque minuti che ti spio.»

Bee lo guarda sorpresa. «Scusa?»

Tom indica un punto nella parte opposta della strada. «Quando ti ho vista mi sono fermato lì a guardarti.»

Lei scoppia a ridere. «E perché?»

«Perché sei interessante da guardare.» 

Bee arrossisce e nasconde il viso in un sorso di tè. «Come mi hai trovata?»

«A costo di molte domande, qualche autografo, un paio di foto e molta, molta pazienza.» Ride. «Sono passato dal tuo appartamento, poi dalla tua università e alla fine dal tuo posto di lavoro. Lì mi hanno detto che con un po’ di fortuna forse ti avrei trovato qui.»

Lei si lascia sfuggire una risata stupita. «Come stai?»

Lui ringrazia il cameriere e prende il suo caffè, prima di risponderle. «Stanco, ma bene. Tu?»

«Lo stesso.»

«Ho saputo che ti sei laureata. Congratulazioni.»

Lei gli sorride. «Oggi. Grazie.»

Tom le rivolge un’occhiata divertita. «Lo so. Per questo sono qui.»

«Pensavo avessi detto che eri di passaggio», gli fa presente lei.

Tom alza le spalle. «Sono di passaggio, ma con una ragione.»

Alza una mano, poi, e le cattura una ciocca di capelli con una naturalezza che per un attimo fa mancare il respiro a Bee. 

«I tuoi capelli sono più lunghi di quanto ricordassi.» Sembra esitare un attimo, prima di lasciarli andare. «Ti stanno bene.»

Bee torna a nascondere ancora una volta il suo imbarazzo nella tazza di tè. «Grazie.»

Appoggia la mano sul tavolino, poi, non troppo distante da dove riposa quella di Tom.

«Allora, quali grandi piani di festeggiamenti ci sono in atto per te?», le domanda lui.

Lei scuote appena la testa. «Niente di particolare, solo una piccola festa tra amici.» Lascia passare un attimo, prima di tornare a parlare. «Vuoi venire? Se sei ancora qui stasera e sei libero, ovviamente.»

Tom le sorride. «Certo.»

«Per quanto ti fermi a Glasgow? Voglio dire», si corregge poi scherzando, «per quanto sei di passaggio

Tom le regala una piccola risata, poi il suo mignolo sfiora quello di lei. «Per quanto mi vuoi?»

Bee lo guarda stupita solo un attimo, prima di lasciare spazio ad un sorriso luminoso. «Vedremo», risponde ridendo.

 

I loro mignoli sono intrecciati.

 

Fin

 

It’s Only a Paper Moon

(1933, scritta da Harold Arlen)

 

It is only a paper moon
Hanging over a cardboard sea
But it wouldn't be make believe
If you believe in me

It is only a canvas sky
Sailing over a muslin tree
But it wouldn't be make believe
If you believe in me

Without your love
It's a honky-tonk parade
Without your love
It's a melody played on a penny arcade

It's a Barnum and Bailey world
Just as phony as it can be
But it wouldn't be make believe
If you believe in me

Without your love
It's a honky-tonk parade
Without your love
It's a melody played on a penny arcade

It's a Barnum and Bailey world
Just as phony as it can be
But it wouldn't be make believe
If you believe in me

It's phony it's plain to see
How happy I would be
If you believed in me


(Grazie mille a chi ha letto ed è arrivato fin qui. Avrei altre idee in testa, cose che volevo aggiungere ma non sapevo dove, e che quindi non ho messo. Spero comunque che questa, così com'è, vi sia piaciuta un pochino. E di nuovo, grazie.)

  
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