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Autore: Hey Catnip    13/02/2014    6 recensioni
"...la mia attenzione cade su un’altra lettera, poggiata accanto alla mia bisaccia da caccia. Non l’avevo notata prima, deve averla portata Sae mentre dormivo. No, la data risale a mesi prima, poco dopo il mio rientro al distretto 12."
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gale Hawthorne, Haymitch Abernathy, Katniss Everdeen, Peeta Mellark, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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È notte quando atterriamo sul prato del Villaggio dei Vincitori. Metà delle case, compresa la mia e quella di Haymitch, hanno delle luci alle finestre. Quella di Peeta no. Qualcuno ha acceso un fuoco nella mia cucina. Mi siedo sulla sedia a dondolo lì davanti, stringendo la lettera di mia madre.
— Be’, ci vediamo domani — dice Haymitch.
Mentre il tintinnio della sua borsa piena di bottiglie di liquore si smorza in lontananza, bisbiglio: — Ne dubito—
Sono incapace di spostarmi dalla sedia. Il resto della casa sembra freddo e vuoto e buio. Mi copro il corpo con un vecchio scialle e guardo le fiamme. Immagino di aver dormito, perché, ancor prima di rendermene conto, è mattina, e Sae la Zozza sta sbatacchiando qualcosa davanti alla stufa. Mi prepara delle uova e del pane tostato e si siede lì finché non li ho finiti. Non parliamo granché.
Dopo colazione, Sae la Zozza lava i piatti e se ne va, ma torna all’ora di cena per farmi mangiare ancora. Non so se agisca solo da buona vicina o se sia sul libro paga del governo, ma continua a presentarsi due volte al giorno. Lei cucina, io mangio.
Cerco di immaginare la mia prossima mossa. Non c’è più niente che mi impedisca di togliermi la vita, ormai. Ma è come se aspettassi qualcosa. Di tanto in tanto, il telefono squilla, e continua a squillare per un bel po’, ma io non rispondo. Haymitch non passa mai a trovarmi. Forse ha cambiato idea e se ne è andato, anche se sospetto che sia semplicemente ubriaco. Non viene nessuno, a parte Sae la Zozza.
— Si sente la primavera nell’aria, oggi. Dovresti uscire — dice Sae — Andare a caccia.
Non ho mai messo piede fuori di casa. E nemmeno fuori dalla cucina, tranne che per raggiungere il piccolo bagno a qualche passo di distanza. Porto gli stessi vestiti che avevo quando lasciai Capitol City. Me ne sto semplicemente seduta accanto al fuoco. A fissare le lettere ancora chiuse che si accumulano sulla mensola del caminetto. — Non ho un arco. — Cerca nell’ingresso — ribatte. Una volta uscita Sae la Zozza, valuto la possibilità di un viaggio sino all’ingresso. E la escludo. Ma parecchie ore dopo, ci vado lo stesso, aggirandomi silenziosa e senza scarpe per non risvegliare i fantasmi. Entro nello studio dove presi il tè con il presidente Snow e trovo uno scatolone che contiene la giacca da caccia di mio padre, il nostro libro delle piante, la foto del matrimonio dei miei genitori, la spillatrice che mi inviò Haymitch e il medaglione che Peeta mi regalò nell’arena dell’orologio. I due archi e la faretra di frecce che Gale salvò la notte delle bombe incendiarie giacciono sulla scrivania. Indosso la giacca da caccia senza toccare il resto.
Mi addormento sul divano dell’elegante salotto. Segue un terribile incubo nel quale sono sdraiata in una fossa profonda e tutti i morti che conosco per nome sfilano uno a uno lì davanti per gettarmi sopra una palata di cenere. È un sogno piuttosto lungo, tenuto conto del numero delle persone, e più mi ricoprono, più fatico a respirare. Cerco di gridare per implorarli di smettere, ma la cenere mi riempie il naso e la bocca e non riesco a produrre alcun suono. E intanto la pala continua a raschiare, ancora e ancora … All’odore della cenere se ne unisce un altro, nauseante, intenso: sangue e rose.
Mi sveglio con un sobbalzo. La pallida luce del mattino filtra dai bordi delle persiane. Il grattare della pala cessa, ma l’odore continua a riempirmi le narici. Ancora mezza sprofondata nell’incubo, corro nell’ingresso, apro la porta e mi riempio i polmoni dell’aria leggera e fresca della primavera. Dopo un po’ rientro in casa, ma quell’odore persiste ancora. E allora capisco. Tremante per la debolezza e l’ansia, corro su per le scale. Il mio piede urta l’ultimo gradino e cado sul pavimento. Mi costringo a rialzarmi ed entro nella mia stanza. È lì. La rosa bianca tra i fiori secchi, nel vaso. È fragile e raggrinzita, ma conserva l’innaturale perfezione coltivata nella serra di Snow. Afferro il vaso, scendo incespicando fino in cucina e getto il suo contenuto tra le braci. Quando i fiori cominciano a bruciare, una vampata bluastra avvolge la rosa e la divora. Il fuoco batte le rose, ancora una volta. Tanto per non sbagliare, frantumo anche il vaso sul pavimento. Tornata di sopra, spalanco le finestre della stanza da letto per pulirla da ciò che resta del fetore di Snow. Ma lui persiste, è ovunque, sui miei vestiti e nei miei pori. Mi spoglio, e scaglie di pelle grandi come carte da gioco restano attaccate agli indumenti. Evitando lo specchio entro nella doccia e mi strofino via le rose dai capelli, dal corpo, dalla bocca. Con la pelle che pizzica e si è fatta rosa acceso frugo nell'armadio alla ricerca di qualcosa di pulito da mettermi. Mi ci vuole mezz’ora per districare i capelli. Sae la Zozza apre la porta d’ingresso. Mentre lei prepara la colazione io butto nel fuoco i vestiti che mi sono tolta.
Da sopra il piatto di uova le chiedo: — Dov’è andato Gale?
— Distretto 2. Ha un gran bel lavoro, là. Ogni tanto lo vedo in TV — risponde.
Scavo dentro di me, cercando rabbia, odio, rancore. Trovo soltanto sollievo. E nostalgia.
— Credi che tornerà? —
— Gale? No, a meno che qualcuno non gli dia un motivo per farlo. — risponde Sae, guardandomi attentamente.
— Oggi vado a caccia — dico, desiderosa di cambiare argomento.
— Be’, in effetti un po’ di selvaggina fresca non mi dispiacerebbe — commenta.
Mi armo di arco e frecce e vado fuori, con l’intenzione di uscire dal 12 attraverso il Prato. Vicino alla piazza, ci sono gruppi di persone che indossano mascherina e guanti e hanno carri trainati da cavalli. Esaminano minuziosamente ciò che quest’inverno giaceva sotto la neve. Raccolgono resti. Un carretto è fermo davanti alla casa del sindaco. Riconosco Thom, l’ex compagno di squadra di Gale, che si è fermato un momento per asciugarsi il sudore dal viso con uno straccio. Ricordo di averlo visto nel 13, ma dev’essere tornato. Il suo saluto mi dà il coraggio di chiedere: —Hanno trovato qualcuno, là dentro?
— Tutta la famiglia. E le due persone che lavoravano per loro — mi dice Thom.
Madge. Tranquilla e gentile e coraggiosa. La ragazza che mi regalò la spilla da cui ho preso il nome. È un boccone amaro. Mi chiedo se stanotte si unirà ai personaggi che popolano i miei incubi gettandomi palate di cenere in bocca. — Credevo che magari... visto che lui era il sindaco…
— Non penso che essere sindaco del 12 lo abbia favorito — dice Thom.
Annuisco e continuo per la mia strada, ben attenta a non guardare nel fondo del carro. Da un capo all’altro della città e del Giacimento la scena si ripete. La mietitura dei morti.
Più mi avvicino alle rovine della mia vecchia casa più la strada comincia a brulicare di carri. Il Prato non c’è più, o quantomeno è cambiato radicalmente. Vi hanno scavato una buca profonda che adesso stanno rivestendo di ossa, una fossa comune per la mia gente. Sopraffatta dal dolore non riesco ad andare oltre, mi volto e inizio a correre verso casa, ma la nausea e le vertigini sono tali che Thom deve darmi un passaggio con il carro dei morti. Entro in casa e mi acciambello sul divano del salotto, dove resto a guardare i granelli di polvere che volteggiano nei fiochi raggi di luce pomeridiana.
Giro la testa di scatto quando sento soffiare, ma mi ci vuole un po’ per credere che sia proprio lui. Com’è riuscito ad arrivare fin qui? Osservo i segni degli artigli di un qualche animale selvatico, la zampa posteriore leggermente sollevata da terra, le ossa sporgenti del muso. È venuto a piedi, allora, si è fatto tutta la strada dal 13. Forse lo hanno sbattuto fuori, o forse non è riuscito a rimanere là senza di lei, così è venuto a cercarla.
— Hai fatto un viaggio inutile. Lei non è qui — gli dico.
Ranuncolo soffia ancora. — Non è qui. Puoi soffiare quanto ti pare. Non troverai Prim. — Si rianima, sentendo quel nome. Alza le orecchie appiattite. Si mette a miagolare, speranzoso. — Vattene! — Schiva il cuscino che gli lancio contro. — Va’ via! Qui non c’è più niente per te! — Comincio a tremare, furibonda verso di lui. — Lei non tornerà! Non tornerà mai più qui! — Afferro un altro cuscino e mi alzo in piedi per avere una mira migliore. Senza alcun preavviso, le lacrime cominciano a scorrermi lungo le guance. — È morta. — Stringo forte le braccia intorno alla vita per attenuare il dolore. Mi lascio cadere sui talloni, cullando il cuscino e piangendo. — È morta, stupido gatto.
È morta. — Un nuovo suono, che in parte è urlo e in parte è canto, mi esce da dentro per dare voce alla mia disperazione. Anche Ranuncolo si mette a gemere. Qualunque cosa io faccia, lui non se ne andrà. Mi gira intorno, appena fuori tiro, mentre ondate su ondate di singhiozzi straziano il mio corpo. Poi perdo i sensi. Ma lui deve aver capito. Deve essersi reso conto che l’impensabile è accaduto e che sopravvivere richiederà azioni in precedenza inconcepibili. Perché ore dopo, quando rinvengo nel mio letto, lui è lì, alla luce della luna. Rannicchiato al mio fianco, con gli occhi gialli ben vigili,che mi protegge dalla notte.
La mattina dopo rimane stoicamente seduto mentre gli pulisco le ferite, ma estrargli la spina dalla zampa lo fa esplodere in una serie di quei famosi miagolii da gattino svenevole. Finiamo per piangere di nuovo tutti e due, solo che stavolta ci consoliamo a vicenda. È per questo che apro la lettera, quella che Haymitch mi ha consegnato da parte di mia madre, chiamo quel numero di telefono e verso qualche lacrima anche con lei.
Riaggancio il telefono e mi volto per andare in cucina, ma la mia attenzione cade su un’altra lettera poggiata accanto alla mia bisaccia da caccia. Non l’avevo notata prima, deve averla portata Sae mentre dormivo. No, la data risale a mesi prima, poco dopo il mio rientro al distretto 12. Riconosco subito la grafia ordinata e spigolosa in cui è scritto il mio nome sulla busta. Gale. In un attimo infinite immagini mi attraversano la mente: uno sperone di roccia che domina la valle, coperto da un cespuglio di more, il loro gusto delicato, il cielo azzurro, il profumo dei boschi, il volto di Gale, il sapore dei suoi baci, il suo profumo così familiare, le sue carezze, quegli occhi grigi e profondi, quelle dita agili e forti, le giornate passate a cacciare, parlare, ridere… vivere. Con mani tremanti apro la busta e inizio a leggere.


Catnip,
era da molto che desideravo scriverti questa lettera  
ma ogni volta che provavo a buttare giù qualche riga mi ritrovavo a fissare un foglio vuoto.

Ed ora eccomi qui ad affidare ad una lettera le parole che non sono riuscito a dirti l’ultima volta che ci siamo visti,
quando eri distrutta dal dolore per la morte di Prim... morte che potrei aver causato io stesso. 

So che non potrai mai perdonarmi, che nella tua mente io e la perdita di Prim saremo per sempre legati in modo indissolubile.
Mi tormento ogni giorno per quello che è successo, per il dolore che ti ho causato e… per non averti più nella mia vita.
Hai lasciato un vuoto incolmabile che cerco di riempire lavorando senza sosta e facendo ricerche e indagini con Beetee
per capire di chi fosse quella bomba e credimi quando ti dico che non avrò pace finché non lo avrò scoperto.
È questo che mi fa andare avanti, giorno dopo giorno.
Una parte di me continua a sperare che tu possa perdonarmi, ma sappiamo entrambi che tu non sei troppo brava a farlo.
Ti lascio il mio numero, nel caso avessi voglia di sentire un vecchio amico.
Ti amerò per sempre.
Gale


Rileggo la lettera più volte, le guance rigate da lacrime che tenevo dentro dal giorno in cui lo lasciai andare via senza dirgli nulla. Crollo in ginocchio, la lettera ancora stretta tra le mani e continuo a piangere, finchè non ricordo le parole di Sae. — Un motivo per tornare…— sussurro tra me e me. Scatto in piedi e afferro il telefono, compongo il numero e aspetto, aggrappandomi alla cornetta e trattenendo il respiro. Al terzo squillo risponde.
— Pronto? —
Se non ne conoscessi ogni sfumatura mi sarebbe impossibile riconoscere Gale in quella voce triste e vuota, così diversa dal suono caldo e rassicurante a cui ero abituata. Apro e chiudo la bocca più volte, il cuore che batte e il respiro irregolare. ­— Pronto? Chi è? — Provo a dire qualcosa, ma le parole non riescono a superare la barriera delle mie labbra e così riaggancio.
Sento la porta dell’ingresso aprirsi e vedo entrare Sae. — Non avevi detto che saresti andata a caccia? — mi chiede mentre prepara la colazione.
— Io…andrò domani, credo— alzo lo sguardo e vedo che mi sta osservando attentamente.
— Tutto bene, ragazza? —
— Si, sono solo stanca, non ho dormito bene stanotte — le dico fingendo uno sbadiglio. — Faresti bene a riposare un po’, allora. Tornerò per pranzo—
Mi trascino di nuovo in salotto e passo il resto della giornata a guardare le fiamme che danzano nel caminetto, mangio il pranzo e la cena di Sae e poi mi addormento accucciata sul divano con Ranuncolo accanto a me. Passano alcuni giorni ma nulla riesce a smuovermi da lì, finchè una notte mi sveglio di soprassalto con la sensazione di essere osservata. Cerco di ricordare il sogno che stavo facendo: passeggiavo nei boschi con l’arco in spalla, circondata dal silenzio e dalla pace che solo quei posti sanno darmi, alla ricerca di qualcosa da cacciare. Più mi inoltravo nella natura, più la sensazione che qualcuno fosse li a guardarmi aumentava, ma non c’era nessuno. Poi ecco spuntare degli occhi grigi tra le foglie, tendevo l’arco ma scomparivano prima che riuscissi a scoccare la freccia. E così ancora e ancora, occhi grigi che mi scrutavano e scomparivano non appena incrociavano il mio sguardo.
Scuota la testa per mandare via l’immagine di quegli occhi dalla mia mente e mi alzo per avvicinarmi alla finestra. La luce dell’alba inizia a illuminare il Distretto tingendo il cielo blu con striature rosa chiaro. Vado in bagno, faccio una doccia, lego i capelli nella solita treccia e mi vesto: è ora di andare a caccia.
Percorro quasi di corsa la strada fino al Prato, lo attraverso e penetro nei boschi dal mio solito posto.
È il tipo di giornata preferito dalla vecchia Katniss. L’inizio della primavera. I boschi che si svegliano dopo il lungo inverno. Penso di andare al lago, ma sono così debole che riesco appena ad arrivare al punto in cui io e Gale ci incontravamo. Mi siedo sulla roccia dove Cressida ci filmò, ma è troppo grande senza il suo corpo accanto a me. A più riprese, chiudo gli occhi e conto fino a dieci, credendo che quando li riaprirò, lui si sarà materializzato senza rumore, come spesso faceva. Devo ricordare a me stessa che Gale è nel 2, ha un gran bel lavoro, e probabilmente sta baciando un altro paio di labbra. Chiudo gli occhi un’ultima volta e quando li riapro lui è li, a tre metri da me, e mi osserva con un’espressione allo stesso tempo triste, timorosa, malinconica e divertita.
— Ehy, Catnip — dice con voce tremante.
— Gale — dico con un sussurro appena udibile — sei tornato —
— Era da un po’ che pensavo di farlo, ma c’era qualcosa che me lo impediva. Poi, quando ho ricevuto la tua telefonata…—
— Tu...come fai a sapere che ero io? Non ho detto nulla— lo interrompo, ritrovando la voce.
— Catnip, nel silenzio dei boschi ho imparato a conoscere anche il tuo respiro — risponde lui, con un sorriso amaro sulle labbra — Ci ho messo un secondo a capire che si trattava di te —
— Perché... perché non sei venuto subito? —
Gale resta in silenzio per qualche secondo.
— Paura. Avevo paura di rivedere nei tuoi occhi l’odio e il disprezzo che ci ho visto quando ci siamo salutati, a Capitol City. Poi ho pensato che se mi avevi chiamato forse c’era una speranza, seppur minima, che tu volessi parlarmi, vedermi e...—
— Si, è così. Io…— come al solito le parole mi muoiono dentro e me ne sto in silenzio, con il volto nascosto tra le mani.
— Katniss…?— Gale si avvicina, mi prende le mani e si siede davanti a me, il volto a mezzo metro dal mio, e così mi costringo ad alzare la testa e guardarlo negli occhi, quegli occhi grigi che così spesso hanno tormentato i miei sogni negli ultimi giorni. Ma c’è qualcosa di diverso in loro, sono circondati da occhiaie marcate e la scintilla che li illuminava si è spenta lasciando il posto al dolore.
— Mi dispiace — dico con un filo di voce. Gale mi guarda con aria interrogativa, ma resta in silenzio ad ascoltarmi.
— Ero distrutta, arrabbiata, dilaniata dal dolore e ho riversato tutto questo su di te, dandoti una colpa che non hai, dimenticando gli errori e i crimini che io stessa ho commesso, dimenticando che tu, più di ogni altro, ti sei preso cura della mia famiglia quando io non potevo farlo, ho cancellato tutto quello che abbiamo condiviso, quello che eravamo l’uno per l’altra. Non potrò mai dimenticare quello che è successo, né che i responsabili potrebbero essere stati i ribelli, ma non posso continuare a incolpare te — dico tutto d'un fiato, la voce roca.
— Katniss…—
— Non è stata colpa tua, Gale. Scusa se ci ho messo così tanto a capirlo —
Gale mi guarda per qualche istante, poi si schiarisce la voce.
— Ti.. ti avevo scritto che non avrei trovato pace finchè non avessi scoperto la verità, ricordi? — dice porgendomi una lettera — Me l'’ha mandata Beetee due giorni dopo che mi hai chiamato —
Le mani mi tremano così tanto che quasi non riesco ad aprire la busta.


Gale,
ho provato a chiamarti più volte, ma non eri mai in casa.
Non volevo darti questa notizia tramite una lettera, ma è troppo importante per aspettare ancora.
Sono arrivati i risultati della perizia, te ne allego una copia.

Beete


Prendo il secondo foglio e inizio a leggerlo. I miei occhi scorrono avidamente parole incomprensibili e termini tecnici alla ricerca della risposta che aspetto da mesi. Alla fine la trovo e la rileggo più volte prima di alzare gli occhi sul volto di Gale, rigato da lacrime silenziose.






Ciao a tutti!
Come avrete notato questo primo capitolo riprende parte del libro, ho pensato fosse il modo migliore per assicurare una certa continuità con l'originale.
Spero vi sia piaciuto e aspetto i vostri commenti! A presto con il prossimo capitolo :D
  
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