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Autore: Fear    15/02/2014    2 recensioni
[Dark, OOC, whump; bad ending ― Mary!centric]
Cit/: Le tazzine erano contornate da petunie rosa e decorate manualmente, ne andavi fiera all'epoca, aggiungevi sempre dello zucchero; la mamma le aveva chiamate "proiettili di zucchero" data la loro estrema dolcezza.
«Coraggio, giochiamo. Le mie bambole non diranno mai a nessuno quello che avete fatto, loro cercano solamente di cantare l'unica canzone che conoscono».
Diede anche all'altro bambino un pezzetto di cioccolato, infilandoglielo in bocca con un sorriso disperato sul volto.
«Era squisito, vero? Ti sporcherò la maglietta con del miele, poi costruiremo un castello di carte insieme. Voglio cantare, canteremo insieme» disse Mary, questa volta accarezzando i riccioli castani, mentre con un fugace gesto tirò il cucchiaino per il tè contro il muro.
[...]
• {scritta perché Mary aveva bisogno di un proiettile vero; 1196 parole}
Genere: Angst, Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mary Kozakura
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Tè alla vaniglia ~
{ proiettili di zucchero }



Le fiamme che hanno abbattuto i muri,
e dolcemente trasformato in polvere tutto quello che amo.


 
Mary, tu volevi solamente giocare.
Avevi portato i tuoi amici nella foresta; volevi presentarli alla mamma, così avrebbero potuto vedere il tuo servizio da tè nuovo di zecca: le tazzine erano contornate da petunie rosa e decorate manualmente, ne andavi fiera all'epoca, aggiungevi sempre dello zucchero; la mamma le aveva chiamate “proiettili di zucchero” data la loro estrema dolcezza.
In quel momento non sapevi che sarebbe andata a finire così. Correvi all'entrata della foresta con i due bambini, macchiandoti di terra il vestito color lavanda, perché sapevi che Shion non si sarebbe mai arrabbiata. Ridevi, immergendo le mani nel letto del bosco; le foglie morte s'insinuavano sotto le unghie e il forte odore di pino e abete ti inondava le narici di un nasino con la punta all'insù.
Adoravi sporcarti le mani in quel modo, dolce corpo inesperto e fragile, proprio come un angelo.
Il sorriso non ti aveva abbandonato nemmeno quando il bambino ti spinse a terra, ti dimenticasti perfino il suo nome. Ma quello non era un gioco, candida Mary. Loro avevano il fuoco negli occhi, mentre tu possedevi il cielo azzurro delle anime che portavi nel cuore, quel cielo che però si sarebbe facilmente annebbiato con il fumo dei ricordi.
Quando i loro piedi ti causarono dolore con quei calci ripetuti, in quel momento non ti accorgesti che il cielo si stava oscurando, pensavi di morire. E tutto successe in pochi attimi, con un paio di movimenti eccole: le braccia calde di Shion ti avvolsero, proteggendoti come le coperte in una notte di tempesta. Non ricordi altro, vero Mary? No, tu non vuoi ricordare. L'amore della mamma che usciva lentamente dal suo corpo mentre una figura fatta d'ombra si avvicinava furiosamente. Chiudesti gli occhi, forse, o forse no; volevi solamente riposare.
Sogni d'oro, Mary.


I lunghi boccoli avorio erano ordinatamente pettinati dietro una fascia magenta adornata da un delizioso fiocco sbarazzino. Il vestitino blu svolazzava ad ogni suo movimento. C'era un tavolino rotondo al centro della stanza, cinque piccole seggiole davano supporto ad altrettante bambole di porcellana. Mary versava delicatamente del tè alla vaniglia nelle tazze di ceramica palesemente bianche con alcune venature verdi.
«Momo, a te piace con il miele, vero? Ne sono sicura» commentò allegramente riferendosi ad una delle bambole; essa aveva dei corti capelli dorati ed indossava un cappellino azzurro, Mary era convinta che assomigliasse molto a Momo, nonostante non sentiva la stessa energia positiva che emanava la sua vera amica.
Con un cucchiaino aggiunse attentamente il miele nella tazzina per poi spostare lo sguardo fuori dalla grande finestra. I suoi compagni non erano in casa, e l'atmosfera era silenziosa. Il sole andava e veniva, giocando a nascondino con le nuvole ed il vento, scaldando e illuminando faticosamente la stanza di Mary. Adorava conversare con le sue bambole di porcellana quando era sola, perché non si sentiva a disagio con loro, ed erano sempre pronte ad ascoltarla, non la rimproveravano nemmeno quando rovesciava il tè sul tappeto; osservavano con i loro occhi spenti la macchia ingrandirsi mentre lei correva a prendere una pezza per asciugare il danno fatto.
Si stava per sedere a terra e finire uno dei suoi libri preferiti quando sentì degli schiamazzi provenire da fuori. Si alzò e aprì la finestra, mentre i suoi occhi si minimizzarono alla vista di una scena che pensava di aver per sempre cancellato dalla sua mente: c'erano due bambini al di là del muretto, sul marciapiede, e avevano in braccio un gattino dalla pelliccia grigia e bagnata, nonostante fuori non stesse piovendo. Uno dei due bambini gli offrì un pezzo di pane, ma il gatto non lo guardò nemmeno, troppo occupato a tremare e dimenarsi. Allora il secondo bambino posò a terra l'animale e gli spinse il muso verso la crosta di pane, facendolo miagolare dalla presa troppo accentuata. Esso non la mangiò e cercò di scappare, fallendo, così i due bambini lo tirarono per la coda, piegandogli le zampe e spintonandolo verso il muro con un calcio all'addome. Tutto sotto dei sorrisetti presuntuosi.
Il resto del mondo scomparse quasi per magia mentre Mary si avvicinava lentamente, a piedi nudi. L'unica cosa che le rimase impressa nella mente per diversi minuti fu l'immagine del piccolo gatto steso a terra, con la zampa sanguinante e il petto fermo.
Mary afferrò le mani dei due bambini stringendo eccessivamente e li trascinò all'interno del giardino, ed infine in camera, con diversi spintoni. I due cercarono di liberarsi dalla presa ferrea di Mary, ma non ci riuscirono ed inciamparono all'interno della camera tappezzata di rosa e azzurro. Mary serrò la finestra e chiuse le tende in pochi secondi mentre il suo corpo iniziò a tremare violentemente. Camminò verso le sue bambole e con la mano che oscillava paurosamente versò il tè in altre due tazze, facendolo strabordare, macchiando il tavolo in legno.
«Mela o albicocca, la marmellata è buona in entrambi i casi», porse le tazze di tè ai bambini seduti a terra con un espressione spaventata, incapaci di muoversi. Le guance di Mary si colorarono di un rosso acceso, sporcando maliziosamente la bianchezza della sua carnagione color della neve. Con le braccia ancora tese verso i bambini, lasciò la presa e fece cadere le tazzine ai loro piedi; esse si frantumarono rumorosamente e cocci splendenti tagliarono i piedi nudi di Mary, contaminando la carne vellutata.
Sorrise e prese una delle sue cinque bambole.
«Coraggio, giochiamo. Le mie bambole non diranno mai a nessuno quello che avete fatto, loro cercano solamente di cantare l'unica canzone che conoscono», fece una pausa e si sedette a gambe incrociate davanti ai bambini, guardandoli negli occhi, ma non vedendoli. Non se ne accorse, ma proprio le sue iridi fecero fermare il tempo nei loro corpi, cessando il tremore, il batticuore.
Aveva una sola ed unica tasca nel suo vestitino blu oltremare, nascondeva del dolce cioccolato. Esso stava colando quando lo mise nel palmo della mano di un bambino, chiudendolo poi intorno alla morbida delizia. Lo prese per i capelli vedendo che non afferava il dolcetto, spintonandolo a terra e facendogli sbattere la testa contro lo spigolo del comodino. Vide del sangue, ma non ne fu così sicura, però fu certa di vederlo quando ruppe la teiera in viso all'altro bambino. Gli diede anche uno schiaffo, schiacciandogli la fronte, proprio come lui aveva fatto con il felino. Semplicemente lo stesso. Diede anche a lui un pezzetto di cioccolato, infilandoglielo in bocca con un sorriso disperato sul volto.
«Era squisito, vero? Ti sporcherò la maglietta con del miele, poi costruiremo un castello di carte insieme. Voglio cantare, canteremo insieme» disse Mary, questa volta accarezzando i riccioli castani, mentre con un fugace gesto tirò il cucchiaino per il tè contro il muro, illuminandosi il volto con qualcosa di più affilato.


Quando Momo tornò a casa corse immediatamente verso la camera di Mary; voleva farle vedere la sorpresa che le aveva comprato; sapeva che le tazze esclusivamente bianche non le erano mai piaciute, così gliene aveva comprate delle nuove, con delle rose rosse dipinte.
Aprì la porta.
Quello che sentì dopo fu solo una frase pronunciata nell'odore del sangue che avvolgeva Mary e nel rumore di altre tazze che si frantumavano.
«Ho bisogno di un proiettile vero».

 



Note dell'autrice; prendo la parola in un fandom a me ancora sconosciuto. All'inizio ho voluto restare nella mia beata ignoranza e rimanere dell'idea che la storia sarebbe stata troppo complicata, senza anime non l'avrei seguita correttamente e avrei solamente gironzolato qua e là, tra immagini ed informazioni su vari siti web. Poi però, soprattutto grazie a Shirokuro, ho scoperto che c'era un manga. Lo sto leggendo ancora adesso e devo ammettere che non mi piace leggere così... vorrei la versione cartacea, però per adesso mi devo accontentare. Kagerou Project aka Kagerou Days aka futuro Mekakucity Actors (nome che personalmente trovo stupendo) è una storia davvero singolare, che mi ha colpito già dall'introduzione dei personaggi. I disegni sono molto belli e spero che Jin (creatore della storia) riesca a gestire tutti i personaggi con il dovuto rispetto, perché non vorrei vederne troppi messi da parte e non trattati con la giusta attenzione. Mi sto dilungando troppo, ma io sono una persona che la tira sempre per le lunghe e va fuori tema ogni volta – stranamente mi manca un voto per l'eccellente in inglese (dato che vivo in Germania e non faccio più italiano; vado in una scuola internazionale). Comunque, visto? Lo sto facendo ancora. Parlando – ancora – della shot: avete potuto leggere di un lato nascosto di Mary, un personaggio che è uno dei miei preferiti, cioè, è perfetta. La amo. In sé è un po' triste, specialmente perché il tutto è avvolto dalla morte e dalla disperazione di non ricordare ciò che è successo in passato, e dalla vendetta della mamma di Mary: Shion Kozakura. C'è questa scena che ricorda a Mary del suo passato, di un giorno preciso, e cercando di fare del suo meglio (come fa sempre, dopotutto), la situazione prende una brutta piega, ma a Mary va bene così, no? Il primo paragrafo è scritto in seconda persona perché è come se il narratore fosse in qualche modo un osservatore di quella scena e che dà in parte la colpa a Mary per la morte della madre. Vi prego, non odiatemi per un fine del genere, ma è così che l'ho pensata all'inizio e cambiando e ricambiando il testo, l'unico pezzo rimasto intatto è proprio l'ultimo. Quelli che dovrebbero essere i pensieri di Mary sotto il titolo sono tratti dalla canzone "Things we lost in the fire" dei Bastille – che adoro, venero. Però, per il lato oscuro della protagonista mi sono lasciata trasportare dalla canzone "Sweets Time Midnight" di East New Sound – Flandre Scarlet. Spero di ricevere qualche recensione, anche perché tutte le scrittrici su questo fandom sono molto brave talentuose. Miku.
   
 
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