Isaia
era appena uscito dall’abitazione di Monsignor Castello, era già sera e dunque
avrebbe dovuto aspettare il giorno seguente per potersi recare alla sede
dell’associazione della quale aveva trovato numerosi volantini a casa del
povero ecclesiastico defunto. A ben pensarci, perché gli era stato detto che
Monsignor Castello era stato ucciso? Era morto cadendo dalle scale! Certo, le
circostanze non erano ben chiare, ma nessuno aveva mai detto ci fossero indizi
importanti che facessero pensare ad un omicidio … avrebbe chiarito la questione
al più presto.
Quello
non era neppure l’unico dei pensieri che gli vorticavano per la testa e che non
riusciva a spiegarsi. L’incontro con Serventi lo aveva profondamente colpito.
La vostra caccia
contro di me è solo un piccolo tassello di un grande destino che si compie,
Gabriel ne fa parte e anche tu, Isaia.
Quelle
parole tornavano ripetutamente ad affiorare nella sua mente e trascinavano i
suoi pensieri da un lato e dall’altro, senza che lui se ne rendesse conto.
Un grande
destino ….
… anche tu,
Isaia …
Un grande
destino …
Ne fai parte
anche tu.
Cosa
intendeva dire con quelle parole? Che la lotta contro la profezia era già
prevista dalla profezia stessa e che lui, casualmente, era finito avviluppato
in un conflitto inevitabile? O c’era qualcosa di più? … No, certo che no.
Quelle erano solo parole a caso, dette apposta per confonderlo, per creare
confusione nella sua testa e distrarlo dai suoi reali obbiettivi. Sì, doveva
essere per forza così!
Eppure
… Un anno prima avevano tentato di ucciderlo. Serventi aveva fatto molto per
cercare di eliminarlo: l’Alchimista gli aveva rifilato veleno al posto di
medicine, poi aveva provato ad iniettargli dell’aria nelle vene … ma per
fortuna lui era riuscito ad evitare entrambi gli stratagemmi e a mettersi in
salvo … o almeno così aveva creduto in un primo momento. Lì per lì non ci aveva
pensato e non lo aveva ancora fatto, prima di quel momento, ma che cos’era
stato a renderlo così sospettoso? Quale istinto gli aveva sussurrato
all’orecchio per metterlo in guardia dal medico? Non lo sapeva. Forse la visita
di Serventi, appena dopo la consegna del pranzo e le medicine, e quella sua
frase: presto uscirai da qui, lo
avevano messo d’allarme però … Non sapeva, era certo ci fosse qualcos’altro che
non riusciva ad identificare.
Dopo
la fuga dalla clinica, era stato tradito da Monsignor Demetrio ed era stato
consegnato a Serventi … Diamine, aveva quasi ucciso un uomo in quel momento.
Uccidendo il tuo
corpo, ti libererò dall’oppressione di Satana.
Così
aveva risposto alle suppliche, così si era giustificato. Poi, per fortuna, non
lo aveva fatto. Ottenute le chiavi, lui e l’altro prigioniero, avevano potuto
mettersi in salvo senza bisogno di uccidere l’Alchimista. Quante volte, però,
si era domandate che cosa avrebbe fatto davvero, se non ci fossero state quelle
chiavi. Sarebbe stato davvero in grado di uccidere un uomo? Si trattava di
legittima difesa: mors tua, vita mea,
si diceva, ma non ne era poi così sicuro. Gli sarebbe bastato privarlo dei suoi
arnesi e nessuno avrebbe più rischiato la vita. Lui, Isaia, aveva abbrancato il
suo boia, lo aveva in un certo senso disarmato e reso inoffensivo, eppure era
lì, in procinto di ucciderlo. Sapeva bene che non c’era sonnifero in quella
siringa, eppure la stava per affondare nel collo di quell’uomo. Perché? Che
cosa aveva provato in quel momento? Rabbia? Paura? Forse entrambe, forse
qualcos’altro, forse una sorta di vendetta, celata dal senso di giustizia: in
fondo quell’uomo aveva tentato di ucciderlo già due volte, probabilmente aveva
ammazzato molte altre persone, meritava di morire. Questo, però, non è un
pensiero da prete, questo è il pensiero di chi non conosce la misericordia di
Dio. Dio, che non perdona mai, perché non è mai arrabbiato. Era un pensiero non
proprio ortodosso, ma ci credeva profondamente. Il perdono è qualcosa di umano,
per questo Gesù ha detto che a chi noi rimetteremo i peccati, saranno rimessi
nel Regno dei Cieli. Quando si chiede il perdono a Dio, dopo un sincero
pentimento, si sta chiedendo perdono a sé stessi e si allontanano da noi tutte
le negatività. È la nostra rabbia, il nostro odio che condanna gli altri e poi
anche noi stessi.
Isaia
non ripensava spesso a quel momento, ne era spaventato e si vergognava, era
profondamente deluso da sé stesso. Adesso lo aveva perdonato, l’Alchimista? Sì,
lo aveva perdonato, ma non aveva perdonato sé stesso per quella debolezza e per
le altre che lo avevano accompagnato quell’anno: denunciare Gabriel, seppure in
forma anonima … credere che Immanuel fosse davvero il Messia … Chissà come
stava,ora, quel bambino? Sperò bene, sinceramente, si era affezionato a lui e
doveva anche a lui la sua salvezza, lo aveva favorito nello scappare da
Serventi.
Già,
era riuscito a sfuggire a Serventi.
All’epoca
si era detto che volevano ucciderlo poiché aveva scoperto il segreto di Gabriel
e non voleva lo rivelasse. Ora si chiedeva se non ci fosse qualche altro
motivo.
Un grande
destino che sta per compiersi, Gabriel ne fa parte e anche tu, Isaia. … Isaia
... Isaia.
Inutile
allontanare quella voce, trovava ugualmente la maniera di riecheggiargli nella
mente.
Un
dubbio aveva iniziato già da qualche ora ad affiancarsi a quel ricordo: forse
lui era quello che avrebbe potuto impedire alla profezia di compiersi. In che
modo però?
No,
via, via, questi erano pensieri superbi! Non doveva credersi diverso dagli
altri. Su una cosa Serventi aveva ragione: lui era un uomo e solo un uomo! Non
aveva poteri, non aveva nascite strane, era solo un semplice uomo, eppure non
avrebbe mai più vacillato nella propria fede, non avrebbe esitato a compiere
qualsiasi gesto, anche il supremo sacrificio, se sarebbe servito a difendere
Dio e la Chiesa.
La divinità,
quella che tu credi di pregare e cercare è tutt’altra cosa.
Ecco
che ora queste parole gli tornavano alla mente, come a sfidare la sua fede,
come a deridere tutte le sue convinzioni.
Serventi
lo aveva anche accusato di non vedere la verità.
I
suoi occhi erano dunque velati?
Serventi
non aveva mai detto nulla contro Dio, solo contro la Chiesa, come se essa
adorasse un falso idolo. Serventi non era satanista, non invocava il potere del
demonio, ma parlava di Dio.
Questo
turbava parecchio Isaia, ma egli, d’altronde, sapeva bene che il male indossa
spesso la maschera del buono, per compiere meglio e più facilmente la propria
opera.
Serventi
era il male, la profezia era qualcosa di diabolico, Gabriel era in pericolo e
con lui l’intera Chiesa. Questo era ciò che doveva bastare ad Isaia.
Isaia
non si sarebbe tirato indietro. Aveva giurato fedeltà a Dio, conosceva il
proprio dovere. Troppe volte in passato non era stato integro, non avrebbe
ripetuto quegli errori né ora, né mai. Avrebbe difeso Dio, la Chiesa e ogni
animo buono di questo mondo; li avrebbe protetti dalle insidie di Serventi e
del diavolo. Lui era un esorcista, lui sapeva scacciare i demoni dai corpi,
allora avrebbe potuto scacciarli anche dal mondo, se sarebbero venuti,
ovviamente con l’aiuto di Dio.
Lo
sapeva, era assolutamente consapevole e lo aveva ribadito e giurato anche di
fronte a Serventi qualche ora prima: Sì! … Sì, lui sarebbe andato fino in
fondo, avrebbe fatto il proprio dovere.
È questo il tuo
compito?
Riecheggiò
allora la voce di Serventi.
È questo il mio
compito?
Si domandava Isaia.
“Padre
Morganti!?”
Lo
chiamò qualcuno. Isaia si scosse da quella tempesta di pensieri e tornò presente
alla realtà. Si guardò intorno e si accorse di essere arrivato presso il parco
di villa Borghese, cinque chilometri più in là del Vaticano, di dove doveva
andare. Talmente assorto nelle sue riflessioni non aveva fatto caso alla strada
ed era finito fin lì. Gli era capitato altre volte di camminare soprapensiero,
ma ciò non gli aveva mai fatto perdere la via di casa, quella sera, invece, i
suoi piedi lo avevano condotto così fuori mano.
Si
guardò attorno e subito vide chi lo aveva chiamato: a qualche passo da lui,
sulla sinistra, c’era una ragazza sulla ventina più o meno, ammantata in un
cappotto verde oliva, col doppio petto, in testa portava un basco, forse
grigio, la luce dei lampioni era fioca e non si riuscivano a distinguere bene i
colori. Quella ragazza aveva i capelli sciolti e mossi, decisamente scuri. I suoi
occhi erano grandi, castani, ma parevano pervasi da un certo ardore
indefinibile.
Isaia
ebbe subito l’impressione di conoscerla, anzi ne era certo, tuttavia non
avrebbe saputo dire chi ella fosse, forse una sua vecchia studentessa.
“Padre
Isaia Morganti? È lei?” chiese nuovamente quella
giovane, dopo alcuni momenti di silenzio.
“Sì.”
rispose il prete, ancora confuso praticamente da tutto “Ci conosciamo?”
“
… Più o meno.” rispose l’altra, sorridendo. Si avvicinò all’uomo, come divisa
tra contentezza e timidezza.
Isaia
le leggeva in volto la gioia, ma anche incertezza, una vaga paura; riusciva ad
avvertire la sua emozione, era certo che in quel momento il cuore della ragazza
stesse battendo molto forte, come quando si incontra per la prima volta una
persona che si è ammirata e stimata da sempre. Non capiva.
“Nel
senso che tu sai chi sono io, ma io non so chi sei tu?” ipotizzò il prete,
cercando di avere delle spiegazioni.
“Sì
… più o meno è così.” rispose la giovane, dopo averci pensato per qualche
momento e comunque non proprio convinta.
“Come
mi conosci? Hai seguito le mie lezioni all’università?” Isaia era comunque
calmo e conciliante.
“No.”
la ragazza era evidentemente in difficoltà, cercava le parole “È difficile da
spiegare … forse un’altra volta … Non so che dire …” nel farfugliare quest’ultime
cose, si era lasciata prendere da una certa agitazione, come se si fosse
innervosita per il fatto di non riuscire a parlare.
“Calma,
tranquilla.” la confortò Isaia, intenerito, attraverso gli occhiali la guardo
con occhi rassicuranti e pazienti “Prenditi il tempo che ti serve. Potresti iniziare
col dirmi come ti chiami, è una buona idea, non credi?”
“Oh,
sì, giusto, mi chiamo Michela.” rispose velocemente lei, tornando sorridente.
“Bene,
Michela, potresti continuare col dirmi che cosa ci fai in giro da sola, di
notte, non è prudente.”
“So
difendermi.” precisò subito la giovane e poi cercò di spiegare: “Però non
saprei dirle perché sono qui. Ho sentito che dovevo venire e sono uscita.”
“Sentito?”
si accigliò il prete.
“Sì.
Ho avvertito dentro di me una forza che mi diceva di venire in questo posto e
io ho obbedito, non sapevo perché, non me lo sono chiesta, ho obbedito e basta.”
c’era una nota onirica nella sua voce “Ora, però, penso di sapere perché sono
stata guidata fin qui.”
“Ah,
sì? E perché?” Isaia era decisamente incuriosito, sia da quella ragazza, sia
dal fatto che entrambi si erano ritrovati lì spinti da qualcosa di indefinibile.
Michela
lo guardò, forse si sentì stringere la gola, era tornata ad emozionarsi, e disse
a mezza voce: “Per incontrare lei.”
“Per
incontrare me?” ripeté interdetto l’uomo, irrigidendosi e nella mente gli
balenò il terribile dubbio che quella donna potesse essere stata mandata da Serventi,
ma a che scopo? Se volevano uccidere, non era necessaria quella sceneggiata.
“Sì,
credo che entrambi ci siamo ritrovati qui, in questo momento, perché era giunto
il tempo di conoscerci dal vivo, personalmente.” disse ciò con maggiore
sicurezza rispetto a tutto il resto.
“Non
capisco.”
“Lo
so, ma capirà. Ora, mi scusi, è meglio che io vada.”
“No!”
ordinò Isaia, irritato “Tu, ora, mi spieghi chi sei e per chi lavori.”
“Adesso
non è il caso, non capirebbe. Lo troverebbe assurdo!” replicò la ragazza.
“Assurdo?
Dubito fortemente che riterrei qualcosa assurdo, dopo tutto quello che ho già
visto.”
“Lo
so cosa ha visto.”
“Com’è
possibile?” sbalordì il prete.
“Visto?
Ritiene già questo assurdo. Perdonami, ma se le raccontassi tutto adesso, non
solo non mi crederebbe, ma probabilmente potrebbe decidere di non fidarsi di
me.”
Isaia
non riusciva a provare avversione per quella ragazza, nonostante la ragione gli
suggerisse che poteva essere pericolosa, e dovette sforzarsi per mantenere un
tono duro, nel ribadire: “Per chi lavori? Cosa vuoi da me?”
Se
fino a quel momento c’era stato circa un metro di distanza tra di loro, Michela
si avvicinò moltissimo e guardandolo dritto negli occhi, come chiedendo scusa,
si limitò a dire: “Per ora le basti sapere che sono consacrata a qualcuno che
ha il mio stesso nome, ma al maschile.”
Isaia
corrugò la fronte: quella frase non voleva dire assolutamente nulla!
La
ragazza, esitò un attimo, poi timidamente appoggiò il proprio palmo sinistro
sul petto del prete.
A
Isaia sembrò di sentire una sorta di energia in quel punto di contatto.
“Sei
molto agitato in questo periodo, stai correndo dietro a mille pensieri e mille
preoccupazioni. Prenditi il tempo di sgombrare la mente da tutto, ritrovati. Senti
il tuo calore interno, il tapas, il prana, il ki, lo Spirito Santo. L’hai sempre fatto, ma ora la troppa
fretta ti ha distolto da ciò. Prenditi il tempo.”
Il
prete era rimasto colpito da quelle parole. Effettivamente tra la
congregazione, le verifiche effettuate e il problema di Gabriel, era già da
diverse settimane che non si raccoglieva più in preghiera o contemplazione come
invece era solito fare. Sì, diceva le sue orazioni, andava a messa, ma aveva
sempre la mente assorbita in altri pensieri, o era troppo stanco. Erano passati
parecchi giorni dall’ultima volta che si era rivolto al Signore con animo
quieto e libero. Sì, doveva davvero riprendere le sue sane e benefiche
meditazioni.
Come
faceva, però, quella ragazza a saperlo? Forse aveva solo tirato ad indovinare
.. Ehi, ma … dov’era finita? Non era più lì. Ce l’aveva davanti agli occhi ed
era sparita senza che lui se ne accorgesse, mentre rifletteva sulle strane
parole.
Isaia
sospirò e si diresse verso il Vaticano, la strada era lunga.