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Autore: beagle26    15/02/2014    4 recensioni
New York. Elena fa da assistente in un importante studio di PR di Manhattan. E' indipendente, determinata, ma dal punto di vista sentimentale è molto fragile ed immatura, a causa di una serie di situazioni che hanno messo alla prova le sue rigide convinzioni e minato le sue certezze.
Damon è tornato in città dopo un lungo viaggio in giro per il mondo. Si porta dietro un bagaglio di esperienze straordinarie, ma non è riuscito a liberarsi di ciò che lo tormenta. Tende a mettere alla prova le persone, a mostrare solo il lato peggiore di sé nascondendo un profondo bisogno di essere accettato.
Dal testo:
"Da qui posso vedere bene il profilo della Statua della Libertà, una piccola sagoma verde immersa tra le nuvole. Così ben piantata a terra, lo sguardo fiero puntato all’orizzonte, mi ricorda un po’ me stessa fino a poco tempo fa.
Oggi però la mia libertà la voglio immaginare diversamente.
Come una piuma che ondeggia nell’aria e si appoggia su un ramo per godersi un raggio di sole.
E poi, in una giornata di pioggia, un’improvvisa folata di vento la porta via con sé… ma non fa niente. Potrebbe essere un bel volo."
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Stefan Salvatore | Coppie: Damon/Elena
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Ci sarà qualcuno ad aspettarti.
Forse c’è già qualcuno
E tu non lo conosci ancora.
Lo incontrerai per caso,
tra molti anni e ti sembrerà di aver vissuto
solo nell’attesa di quell’incontro.
E solo allora ti sentirai viva.
Ognuno di noi ha qualcuno che lo aspetta”
 
 
Non sopporto le giornate uggiose come oggi. Il cielo carico di nuvoloni pesanti  non smette più di piangere le sue lacrime sulla città brulicante di umanità frettolosa, indaffarata e distratta. E pensare che da bambina adoravo uscire per strada quando pioveva e saltare nelle pozzanghere più profonde con i miei stivaletti colorati, ridendo come una pazza scatenata.
Poi crescendo, la pioggia ha perso la sua romantica malinconia e sono rimasti solo la fretta, il fastidio, i contrattempi. Salgo a due a due gli scalini della metro, sospinta dalla marea umana, facendo a malapena in tempo ad aprire il mio ombrello verde, sicura che con la fortuna che mi ritrovo, il vento che sferza Manhattan questa mattina riuscirà a capovolgerlo in pochi minuti. Sollevo gli occhi verso i tabelloni luminosi e colorati, verso la cima dei grattacieli dove i familiari sbuffi di vapore si confondono con le nuvole grigie. Mi stringo un po’ di più nel cappottino di lana cercando di ripararmi dall’aria gelida e incamminandomi a passo spedito verso l’ufficio. Il cellulare vibra forte nella tasca: “Al diavolo!” sospiro tra me e me, ma poi penso che potrebbe essere un messaggio del mio boss e decido di infilarmi sotto un portone per poterlo leggere. Mentre cerco faticosamente di estrarre il telefono, reggo contemporaneamente il mio ombrello sgangherato e la pesante borsa di tela con i depliant che mi sono portata a casa dall’ufficio.
“Portami il solito caffè. R.” I miei sospetti erano più che fondati. Faccio una linguaccia al display prima di gettarmi di nuovo sotto la pioggia scrosciante maledicendo mentalmente la mia capufficio. Da quando sono riuscita ad ottenere il posto come stagista alla Mikaelson Communication & PR, la mia vita si divide fra fastidiose commissioni, noiosissime fotocopie di articoli di giornale e lunghe ore di redazione di comunicati stampa per il lancio di nuovi prodotti. Di solito i più interessanti riguardano calcestruzzo, mattoni o contenitori di plastica. Il massimo della vita.
Sono stata assunta come stagista per fare da assistente alla sorella del capo, Rebekah Mikaelson per l’appunto, la quale fin dal primo giorno ha dimostrato nei miei confronti una spiccata antipatia e non ha fatto altro che rifilarmi le incombenze più noiose. Ma se questi sacrifici devono rappresentare il mio lasciapassare per il mondo delle pubbliche relazioni, così sia. Sono determinata a realizzare questo sogno.
È la ragione per cui ho sempre sgobbato sui libri, mi sono ammazzata di lavoro extrascolastico, è il motivo per cui i miei genitori mi hanno fatta studiare.
Ho giurato che ce l’avrei fatta ormai più di sei mesi fa, quando, dopo la laurea in marketing mi sono trasferita nella Grande Mela in cerca di opportunità, lasciandomi alle spalle tutto il resto per tentare il tutto e per tutto.
E così eccomi qui, bagnata e trafelata, ma finalmente al riparo, quando apro la porta della caffetteria proprio sotto al mio ufficio.  Mi faccio strada con lo sguardo fra la solita massa di uomini in giacca e cravatta ed eleganti signore, tutti intenti a sorseggiare una bevanda  scorrendo velocemente i titoli del New York Times o sbirciando i loro costosi i-Pad, incontrando finalmente il sorriso contagioso di Matt.
“Ciao Lena! Il solito?” mi chiede col suo tono gentile e rassicurante mentre si destreggia fra le numerose ordinazioni dell’ora di punta.
“Si grazie Matty… e un caffè con latte scremato per chi sai tu…” rispondo con un’eloquente alzata di sopracciglia.
Il mio amico mi rivolge un’occhiata d’intesa. Conosce bene la prepotenza di Rebekah. “Sua maestà ha iniziato presto a comandare stamattina…” Entrambi soffochiamo una risatina, mentre appoggio la pesante borsa su uno degli alti sgabelli e frugo al suo interno, alla disperata ricerca del mio portafoglio.
Io e Matt abbiamo legato subito da quando mi sono trasferita in città. Forse perché è stato uno dei primi che ho conosciuto, forse perché come me viene da una cittadina di provincia, è un appassionato di cinema ed abbiamo lo stesso senso dell’umorismo.
Oltre ad essere il mio personale spacciatore di caffeina, Matt sogna di sfondare a Broadway come attore teatrale e devo dire che non se la cava per niente male, anche se per adesso si deve accontentare di piccoli ruoli di supporto. Lo ammiro così tanto, ma spesso i suoi modi gentili e i suoi sguardi mi mettono in imbarazzo. Ormai ho capito che lui vorrebbe portare il nostro rapporto ad un livello superiore ma per quanto mi sforzi, proprio non riesco a vederlo come qualcosa di più di un fratellone acquisito.
Caroline, la mia migliore amica dai tempi della scuola, mi burla sempre per questa storia. Secondo lei dovrei lasciarmi andare e pensare a divertirmi col biondino, senza troppe paranoie. Forse non ha tutti i torti.
Cerco di scacciare l’immagine della mia amica che mi fa la ramanzina, e mentre aspetto i caffè mi passo le dita fra i capelli, resi crespi dall’umidità, cercando il mio riflesso nella mensola cromata che regge calici da vino dalle forme più diverse. Non voglio presentarmi a lavoro scarmigliata come al solito e beccarmi qualche commento acido da parte di Rebekah o peggio da suo fratello Klaus, che sa essere addirittura più stronzo di lei.
La mia immagine riflessa mi restituisce qualcosa che immediatamente cattura il mio sguardo.
Mi volto istintivamente. Occhi. Due occhi azzurri, limpidi come un cielo primaverile, protetti da lunghe ciglia nere. Due gemme preziose, incastonate nel volto più bello che io abbia mai visto, così splendido da sembrare scolpito, la pelle diafana e perfetta in contrasto con il groviglio disordinato dei capelli corvini che lo incorniciano. Se ne sta seduto tutto solo in fondo al locale, le braccia incrociate sopra il tavolino.
Il mio cuore perde un battito quando il suo sguardo quasi trasparente si incatena al mio per un lunghissimo istante.
Mi sorride, di un sorriso strano, obliquo ma così sfrontatamente intrigante, che mi esplode dentro agli occhi. Le mie labbra si piegano debolmente all’insù di rimando. Mi sento così stupida. Proprio in quel momento un capannello di giovani studenti si frappone fra noi.
Per la prima volta nella mia vita desidero farmi largo fra la folla per raggiungerlo, abbandonare la mia timidezza per chiedergli il suo nome o qualsiasi altra cosa, pur di poterlo conoscere.
Sento di voler far parte della sua vita, ad ogni costo.
Gli studenti si disperdono fra i tavolini della caffetteria. Lo cerco di nuovo, e di nuovo vengo catturata dal suo sorriso. I suoi occhi non si spostano da me. È come avere due riflettori puntati addosso.
“Pianeta terra chiama Elena…i caffè sono pronti.”
“Oh... Oh Matt! Perdonami… Grazie!” farfuglio afferrando frettolosamente i bicchieri di carta bollenti per voltarmi subito dopo  verso di lui … e accorgermi che non è più al suo posto.
Lo cerco fra la gente, ma è già scomparso, inghiottito dalla folla e dalla pioggia di quel freddo mattino di novembre.
 
*********
 
Se stai leggendo queste righe, vuol dire che sei arrivato a leggere fino alla fine di questo prologo…
Niente mi renderebbe più felice. Perciò se c’è qualcuno che legge, grazie di cuore! J (e come si suol dire: se ci sei batti un colpo!)
So che non si dice molto in queste poche frasi, ma sono volutamente vaghe. Diciamo che è un piccolissimo assaggio, una premessa. Se qualcuno vorrà seguirmi in questa piccola avventura, scoprirà tutto con i capitoli a venire. Ne ho già parecchi pronti, perché prima di trovare il coraggio di pubblicare questa storia ci  ho pensato e ripensato mille volte e nel frattempo ho scritto un poema. Quindi, se un po’ vi ho incuriosito, la notizia positiva è che presto ne potrete sapere di più.
A prestissimo!
(un'emozionatissima) Beagle
 
  
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