Anime & Manga > Slam Dunk
Ricorda la storia  |      
Autore: slanif    17/02/2014    3 recensioni
HanaRu, SenRu, YoHaru
“Al mio amore Hanamichi…
Leggimelo, e io tornerò da te”
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Akira Sendoh, Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa, Yohei Mito
Note: AU, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Questa fan fiction è basata sul meraviglioso omonimo film di Nick Cassavetes e che è basato a sua volta sull’altrettanto meraviglioso libro di Nicholas Sparks. E’ da almeno dieci anni il mio film preferito, e spero che con questa fan fiction io riesca a trasportare anche voi nelle sue meraviglie. E se non lo avete fatto, vedete il film e leggete il libro. Sono da togliere il fiato.
Vorrei inoltre precisare che ovviamente ho apportato delle modifiche. Sia perché non voglio che sia uguale al film, ma anche perché doveva essere coerente coi personaggi e con il loro carattere.
Ho mantenuto intatte solo pochissime battute, che segnerò in grassetto per coerenza e correttezza, perché erano perfette così com’erano e non potevo (e neanche volevo) cambiarle.
Buona lettura!



*



Le Pagine Della Nostra Vita
di slanif



Il sole sorge rosso e incandescente. Si riflette nell’acqua e anche le anatre sembrano tinte d’oro. Un vogatore solitario solca l’acqua e lascia delle scie armoniose e piene, rompendo la calma del lago. Tale immagine mi riporta alla mente innumerevoli giornate trascorse in solitaria, quando ero giovane e tonico e la solitudine non mi spaventava.

Il vogatore si fa sempre più vicino e quando per l’ennesima volta la sua barca solca l’acqua, uno stormo di anatre si alza in volo, diretto verso la grande casa bianca da cui mi affaccio alla finestra. E’ una casa bella e antica, con quattro colonne bianche sulla facciata, come un tempio greco. E’ immersa nel verde e la quieta della natura è l’unica compagnia di questi miei momenti di contemplazione.

Ma non posso perdere ancora tempo. Mi devo sbrigare. Mi devo preparare.

Lui mi aspetta. Oggi come ieri, domani come sempre, lui è lì che aspetta me.

Mi avvicino allo specchio con un sorriso e mi sistemo i capelli bianchi dietro le orecchie. Ormai hanno perso la morbidezza di un tempo, ma sono sempre folti e corposi. Non porto ancora gli occhiali, ma li uso solo per la lettura. Sono uno dei pochi, qui dentro, e me ne vanto. Il naso è ancora dritto e fino, gli occhi nocciola vispi. La faccia però è cadente e piena di rughe e la mia pelle bronzea non è più fresca come un tempo. Ma non mi stupisce: ho ottant’anni suonati e la mia vita è stata segnata da molti momenti difficili.

Questo, è quello che mi ha maggiormente segnato.

Vedere la mia vita sgretolarsi, è stato il più intenso shock della mia vita.

Non sono mai stato una persona speciale. Sono sempre stato un uomo normale che ha vissuto una vita normale. Nessuno ricorda il mio nome e molto presto, quando mi spegnerò, non ci sarà nessuno a piangere per me. Ma questo non ha importanza, perché c’è una cosa di cui vado fiero e di cui so che sono riuscito meglio di tutti: ho amato lui. L’ho amato profondamente, intensamente, mettendoci ogni parte del mio corpo, del mio cuore e della mia anima. Ogni mio senso era rivolto verso di lui dal primo momento in cui i miei occhi si sono posati su di lui ed è stato così per sessantacinque anni. Non so ancora quanto tempo potrò amarlo, ma so che lo farò anche dopo, per sempre, perché lui è entrato dentro la mia carne come parte integrante del mio corpo.

Perché lui è il mio cuore…

Mi avvio per il corridoio con calma, tenendo stretto nella mano destra il quaderno di pelle nera e gli occhiali da lettura. Sento il cintino sventagliare all’aria, toccandomi a volte il polpaccio coperto dai pesanti pantaloni di velluto marrone scuro. I miei passi sono lenti, ma decisi. In men che non si dica, sono anche io in fila dietro agli altri per prendere le mie pillole giornaliere che qui alla casa di riposo non si dimenticano mai di darmi. Non le vorrei, perché mi rendono la mente annebbiata, in certi momenti, ma mi hanno esplicitamente detto che se non darò retta al medico, il mio cuore mi abbandonerà definitivamente, visto che è sopravvissuto già a due infarti.

“Bella giornata oggi!” dico all’infermiera che mi guarda da dietro il muretto, facendogli l’occhiolino.

Lei mi sorride con un’espressione complice e divertita: “Lo dici sempre!”.

“E’ vero” ammetto, mentre ingoio le piccole e un sorso d’acqua per mandarle giù “Ma oggi sento che è uno di quei giorni in cui possono accadere anche i Miracoli”.

Lei mi sorride, consapevole. Nel suo sguardo, compassione e commozione insieme. All’inizio questi sguardi mi davano fastidio, ma ora non mi importa più. Non mi importa niente che pensano che io sia un vecchio romantico attaccato al passato. Non mi importa di quello che dicono i medici.

Lui torna da me.

Non sempre, certo, ma a volte succede.

E io è a quelle volte che mi aggrappo, nella speranza che prima o poi succeda di nuovo.

E oggi, non so perché, avverto una forte energia dentro di me, una forte speranza che possa essere uno di quei giorni Miracolosi in cui lui tornerà da me.

Attraverso il corridoio diretto alla sua stanza, mentre lentamente si fa sempre più forte la voce dell’infermiera che tenta di convincerlo ad uscire. Lui non parla, ma non mi stupisco: non ha mai amato molto farlo… con me era aperto e parlava un po’ di più, ma ci sono voluti quasi sessant’anni di matrimonio per riuscire ad ottenere ciò che ho ottenuto.

Arrivo alla porta ed entro direttamente, senza esitazioni, interrompendo le parole dell’infermiera: “Buongiorno” dico. Mentre lo faccio, mi stringo con entrambe le mani il quaderno al petto e lo osservo. E’ bellissimo, anche a ottant’anni. Lo è sempre stato. Ha sempre quei capelli setosi e lucenti, anche se ormai non sono più neri dai riflessi blu ma bianchi come i miei. La pelle bianchissima è rugosa e floscia, come la mia, e forse anche la sua schiena è un po’ curva… ma se c’è una cosa che di lui non è assolutamente cambiata, sono gli occhi: blu come l’oceano più profondo, dalle ciglia lunghe e nere, con quel taglio sensuale che ha ammaliato milioni di cuori, il mio soprattutto.

Mi manca il fiato per un attimo, e sento tutta l’emozione di vederlo come se fosse la prima volta.

Lo amo. L’ho sempre amato. Da sessantacinque anni, il mio cuore è solo pieno di lui.

E oggi, è pieno di speranza affinché il Miracolo avvenga.

L’infermiera però mi si avvicina con aria sconsolata: “Mi dispiace, ma oggi non sembra in vera…”.

Io la fisso, ma non proferisco parola.

Ci pensa lui, dalla finestra, a voltarsi verso di noi e a domandare con la sua voce profonda e sensuale: “Lei chi è?”.

Lo guardo, cercando di inventarmi qualcosa ma senza riuscire a dire nulla, ancora sopraffatto dall’emozione. Ci pensa l’infermiera a parlare per me: “E’ venuto a leggere per te, se ne hai voglia” dice, indicandomi. E’ una donna robusta, con i capelli a caschetto e la frangetta. Avrà all’incirca la metà dei miei anni.

“Leggere?” domanda lui, alzando un sopracciglio, un gesto che gli ho visto fare per anni e anni e che denota la sua curiosità, ma anche il suo scetticismo.

Io alzo il libro di pelle, mostrandoglielo. Lui lo fissa un attimo, poi guarda me: “Nh” dice, in uno dei suoi infiniti monosillabi.

Lo so cosa gli sta frullando in testa adesso, ed è che non è convinto. Non sa se sia una buona idea, perché lui non sa chi sono io.

Lui non si ricorda di me.

“Io ti suggerisco di provare” sorride l’infermiera “Il signore qui è una persona di ottima compagnia!”.

Lui torna a fissarmi, e il mio cuore è attraversato da un fremito. Provo a sorridere, e alla fine lui annuisce, seguendomi ancora scettico in un salottino un po’ più appartato, con delle belle vetrate che danno sul giardino. Di solito mi piace leggergli la storia fuori, ma ancora è presto e l’aria è frizzante. Non voglio che si ammali ulteriormente. Perciò, mi siedo sulla poltrona vicino alla sua, a coprire col mio corpo possente un po’ di quell’orrenda fantasia a fiorellini che tanto detesto. Mi sistemo, e poi inforco gli occhiali, che mi serviranno da adesso in poi. Apro il quaderno e lo tengo stretto tra le dita lunghe, quindi parlo per la prima volta, mentre lui rimane silenzioso: “Allora… ti va se comincio a leggere?” domando.

Lui annuisce, con lo sguardo confuso e perso. Ma non me ne stupisco.

Annuisco a mia volta, per niente scoraggiato dal suo mutismo, e sistemandomi meglio gli occhiali sul naso, inizio a raccontare…



…Era il 06 Giugno 1940 e Hanamichi era andato col suo amico Yohei al luna park. Era la prima volta che lo mettevano in città, e per loro, che erano ragazzi di campagna, rappresentava una grandissima novità.

C’erano andati tutte le sere da quando era stato montato e…




…La sua voce mi interrompe: “Hanamichi?” domanda, confuso. Quel nome gli ricorda qualcosa, ma ovviamente non sa cosa. E’ un suono familiare e amico, ma lo sente comunque estraneo.

“Sì” annuisco “Hanamichi e Yohei. E lì hanno incontrato Haruko con suo cugino Kaede” spiego, mentre vedo i suoi occhi blu sbarrarsi un po’, e le labbra socchiudersi. E’ confuso, ancor più di prima, ma ancora una volta non me ne stupisco.

Lui però non dice altro, perciò io continuo…



…C’erano andati tutte le sere da quando era stato montato e quella sera erano lì per incontrarsi con Haruko, la fidanzata di Yohei, e suo cugino Kaede, di diciassette anni.

Mentre cercavano i due, Yohei aveva pensato bene di giocare e di vincere un peluche rosa a forma di scimmietta che avrebbe regalato ad Haruko. Hanamichi invece se ne stava in disparte, con le mani affondate nelle tasche dei pantaloni di tela beige con le bretelle. La camicia blu con le maniche arrotolate fino ai gomiti metteva in risalto le sue braccia muscolose. Yohei, dal canto suo, portava una camicia a mezze maniche con una fantasia a quadretti, che egli stesso trovava orrenda, ma che non poteva esimersi dal portare essendo un regalo della sua fidanzata.

Fidanzata che, in quel preciso momento, era con uno cugino Kaede sulle macchinine a scontro, a dargli addosso ridendo come una pazza. Anche Kaede sembrava sereno, benché non sorridesse apertamente.

Hanamichi fissò la scena da lontano, poggiato alle transenne vicino a Yohei, e subito il suo cuore perse un battito e i suoi occhi nocciola si inchiodarono su quella figura sinuosa e slanciata, fasciata in dei pantaloni neri e una camicia bianca.

“Chi è il ragazzo insieme ad Haruko?” domandò Hanamichi.

“Quello? E’ Kaede Rukawa, suo cugino. Starà qui tutta l’estate. Vive nella piantagione in cima alla collina. I suoi sono ricchi sfondati” spiegò Yohei, mentre vedeva Haruko salutarlo allegramente con una mano e chiamarlo a gran voce: “YOHEI!”. Era allegra e spensierata, coi capelli sciolti fino alle spalle e una camicetta a top allacciata sotto il seno. La pancia era scoperta e il sedere e un piccolo pezzo di coscia era fasciato da un pantaloncino a vita alta anch’esso bianco a righe rosa sottili.

“Guarda cosa ho vinto per te, amore!” urlò Yohei, sventolandogli la scimmietta davanti. La ragazza rise, mentre affondava di nuovo addosso a suo cugino, che balzava la testa all’indietro e la attaccava a sua volta.

Di fronte a quell’immagine, Hanamichi sorrise.



Quando i due cugini scesero dalle macchinine a scontro, subito Kaede venne avvicinato da un ragazzo alto, dai lineamenti decisi e una cicatrice sul mento nella parte sinistra: “Vuoi dei pop-corn?” gli chiese.

Kaede lo guardò un attimo: “Sì, grazie” rispose, senza inflessioni particolari nella voce.

Haruko rise: “Hai già fatto conquiste, cugino!” disse “Hisashi ti muore dietro!”.

Kaede non disse nulla, ma si ritrovò a sobbalzare. Di fronte a lui, una spanna più alto, c’era un ragazzo che non aveva mai visto e che di sicuro non avrebbe dimenticato, considerando i suoi capelli. Erano rosso fuoco, ma intensi e lucenti, e i suoi occhi come la cioccolata calda, pastosi e profondi. Il naso era dritto e la pelle abbronzata dalle lunghe ore nei campi a lavorare. Le spalle erano larghe e muscolose, le mani grandi, di uno che è abituato al lavoro duro. Kaede era la prima volta che gli capitava di trovare uno più alto di lui, e ne fu sorpreso. Ma non era da lui darlo a vedere, perciò non disse nulla, aspettando che fosse l’altro a parlare. E quando questo lo fece, la sorpresa di Kaede non poté che aumentare: “Sembri una volpe”.

“Come, prego?” domandò, alzando un sopracciglio. Che diavolo voleva quello strano tipo? E soprattutto come si permetteva di dirgli che sembrava una volpe? Cos’era… un complimento o un’offesa? Sentì le mani di Haruko stringersi più forte intorno al suo braccio.

“Sembri una volpe” ripeté il ragazzo dalla zazzera rossa, per nulla intimidito.

“Lo prendo per un insulto” rispose Kaede, con sguardo deciso.

“Perché?” domandò il rossino, sorridendo. Kaede notò che il suo sorriso era ampio e sincero, di quelli belli e caldi delle persone buone.

“Perché non ho mai sentito nessuno darmi della volpe prima d’ora” disse Kaede.

Il rossino stava per dire qualcosa, ma venne interrotto: “Hanamichi… lui è con noi” disse Ryota, l’altro ragazzo della comitiva, mentre Hisashi tornava e porgeva i pop-corn al ragazzo, domandandogli se avesse voglia di fare un giro sulla ruota panoramica. Kaede accettò, più per togliersi d’impaccio da quella situazione che per vero interesse di stare da solo con Hisashi. Quindi, i ragazzi superarono Hanamichi, lasciandolo lì da solo, sempre con un sorriso deciso sulle labbra.



“Hanamichi Sakuragi” disse Haruko, voltandosi un attimo indietro.

“Hanamichi?” domandò Kaede, confuso.

“Lavora con Yohei nei campi. Sono cresciuti insieme e sono molto amici” spiegò ancora la ragazza, facendo piccoli balzelli e facendo così svolazzare i capelli castani.

“E’ un tipo strano…” commentò Kaede, con voce atona.

Haruko rise: “E’ un bravo ragazzo!”.

“Invadeva troppo il mio spazio vitale. E mi ha dato della volpe!” continuò il ragazzo, adocchiandolo a sua volta e vedendolo sempre lì, mani in tasca, che sorrideva. Ripensò a quel viso a pochi centimetri dal suo e confermò quanto detto: gli si era appiccicato troppo. Lui non sopportava le persone che si prendevano troppe confidenze!

“Hanamichi è fatto così” annuì Haruko, mangiando qualche pop-corn, mentre la scimmietta rosa era stretta al suo petto abbinandosi al suo completo “Va sempre dritto al punto, soprattutto quando gli piace qualcosa” disse, adocchiando il cugino di sottecchi con un sorrisino.

Kaede la guardò, alzando un sopracciglio. Quindi essere paragonato a una volpe doveva essere un complimento?



Hanamichi, dal canto suo, osservò il ragazzo salire sulla ruota panoramica insieme ad Hisashi.

Era tutta luminosa e la fila di lucette gialle che ne delineava il profilo, rendeva la ruota panoramica come un insieme di tante piccole stelle. Il rossino osservò il moro, che a sua volta lo adocchiò per un secondo, prima di voltarsi verso Hisashi e ascoltare ciò che il ragazzo gli stava dicendo, nel chiaro intento di ignorarlo.

Perciò Hanamichi decise di agire.

Prese a correre e superando una coppia che si baciava, un bambino che si stava sbrodolando con un gelato, il banchetto dello zucchero filato e quello del gonfiatore di palloncini, salì la rampa di legno e si buttò di peso anch’egli sul sedile di legno verde, sedendosi tra Hisashi e Kaede.

Hisashi tirò un urlo, mentre sentì la voce di Yohei dal basso domandargli che diavolo aveva intenzione di fare.

“HANAMICHI!” urlò Haruko “Scendi! E’ pericoloso!”.

Hanamichi però non li ascoltava. I suoi occhi e tutta la sua attenzione erano calamitati su Kaede: “Non era un’offesa darti della volpe” disse.

Kaede lo fissò stralunato. Quel tipo era davvero strano, e aveva appena fatto una pazzia!

“Scendi” ringhiò.

“E’ pericoloso, scendi, Hanamichi!” disse Hisashi “O ti butto di sotto senza rimorsi!”.

Hanamichi rise, guardandolo di sbieco: “Sta attento che non ti lanci di sotto io…” disse, laconico, quindi tornò a guardare Kaede: “Non era un insulto” ripeté “E vorrei che tu uscissi con me”.

“Cosa?” domandò Kaede, non potendo trattenere la sorpresa. Ma quel tipo era tutto matto?

“Vuoi uscire con me?” domandò ancora Hanamichi mentre dal basso si sentiva la voce del giostraio urlare: “EHI! COSI’ NON SI PUO’ FARE! DEVI SCENDERE!”.

Hanamichi si sporse un po’ in avanti per guardare l’uomo che nel frattempo aveva bloccato la giostra: “Va bene, va bene…” disse, con tono tranquillo. Quindi si mise in piedi sul poggiapiedi e con un balzo si aggrappò all’asta di metallo lì di fronte, girandosi con un gioco di polsi verso Hisashi e Kaede e rimanendo lì a penzolare nel vuoto a più di sei metri d’altezza.

“Hanamichi, cazzo… è pericoloso!” disse Hisashi, allungando un braccio, ma non riuscendo ad afferrarlo.

“Hanamichi, scendi!” urlò ancora Haruko, isterica “Così ti ammazzerai!”.

Hanamichi continuò a fissare Kaede: “Scenderò solo se lui accetterà di uscire con me”.

“Che cosa?” domandò Hisashi, dando voce anche allo sbigottimento di Rukawa “Tu sei matto…” commento.

“Un idiota” annuì Kaede.

Il rossino sorrise: “Allora? Accetti?”.

“Certo che no” disse il moro, risoluto, intrecciando le braccia al petto.

“Allora non mi lasci altra scelta…” disse Hanamichi, mollando la presa con un braccio e rimanendo appeso solo col braccio destro.

Haruko urlò terrorizzata: “HANAMICHI! NON FARE SCHERZI! ATTACCA DI NUOVO QUELLA MANO!”.

“No” disse Hanamichi, con le vene del collo gonfie per lo sforzo “Prima lui deve accettare di uscire con me” ripeté.

“E dai, Kaede, accetta! Il mio amico è simpatico!” rise Yohei, continuando a fissare la scena dal basso, con tranquillità, mentre Haruko si agitava lì intorno coprendosi gli occhi con la scimmietta rosa.

Kaede lo fissò. Quel cretino dai capelli rossi era lì, a penzolare nel vuoto appeso per un solo braccio, in evidente sforzo di reggersi, mentre la mano un po’ alla volta scivolava, che era disposto anche a cadere nel vuoto se lui non accettava di uscire con lui. Il ragazzo avrebbe voluto far spallucce e fregarsene di quell’idiota che voleva suicidarsi, ma sua cugina aveva detto che era un tipo apposto (anche se per adesso non gli sembrava poi molto avere tutti i venerdì…) e simpatico, e che era amico di Yohei, che lui trovava simpatico. Perciò, giusto per non sentirselo rinfacciare per sempre e soprattutto per far finire gli starnazzamenti di sua cugina Haruko lì in basso, alla fine sibilò: “Va bene, uscirò con te”.

Hanamichi sorrise: “Sapevo che non avresti resistito al mio fascino…” disse, portando di nuovo il braccio sinistro in alto e attaccandosi di nuovo alla sbarra.

A quelle parole, Kaede sentì salirgli un diavolo per capello. Perciò, agì d’istinto. Si piegò in avanti e con maestria gli sciolse la cinta di pelle marrone e i bottoni dei pantaloni, tirandoglieli giù e lasciandolo in mutande.

“Questa è una bassezza bella e buona…” disse il rossino, per nulla scomposto.

“E’ quello che ti meriti” annuì Kaede “Idiota”.



Il giorno dopo, Hanamichi era di ritorno dal lavoro nei campi con Yohei e altri tre suoi amici: Okuso, Noma e Takamiya. Parlavano della raccolta e della semina futura, fino a quando Yohei disse: “Ma quello non è Kaede?”.

Subito Hanamichi si voltò verso la fila di negozi che costeggiavano la strada e lo vide. Portava dei lineari pantaloni neri e una camicia verde scuro. Hanamichi lo trovò bellissimo quanto la sera prima.

Quindi corse subito verso di lui, mentre le risate dei suoi amici gli facevano da sottofondo.

“Ciao” disse, arrivando di corsa, con la camicia bianca tutta sporca di terra e sudore. Il sacco del pranzo sotto al braccio, un cappello di tela calato in testa.

Il moretto si voltò a guardarlo: “Ancora tu?” domandò, con un sopracciglio alzato, pulito e profumato come il signorino che era.

“Ero qui per ricordarti del nostro appuntamento” disse il rossino, tranquillamente, parandoglisi davanti.

“Scordatelo” disse Kaede, con tono deciso.

“La parola data è legge” si espresse Hanamichi, un po’ nervoso.

Kaede lo fissò con sempre il sopracciglio alzato, domandandosi cosa diavolo volesse quello strano ragazzo da lui. Sperava di intimorirlo con quell’occhiataccia, come gli riusciva bene fare con tutti, ma evidentemente quel ragazzo non aveva ben chiara l’idea del pericolo, perché continuò in tutta tranquillità, parlando velocemente: “Lo so, ti si presenta un ragazzo tutto sporco e che la sera prima si è appeso nel vuoto per chiederti di uscire, e tu penserai sicuramente che io sia un pazzo, ma ti posso assicurare che sono serio” disse, continuando a fissarlo intensamente negli occhi.

Kaede non abbassò lo sguardo, ma alla fine disse: “Serio?”.

“Sì” annuì il rossino “Voglio davvero uscire con te. Lo voglio da quando ti ho visto la prima volta, perché ti ho trovato stupendo, e quando io desidero una cosa, allora devo fare qualunque cosa in mio potere per ottenerla”.

Kaede, se fosse stato una persona più espansiva, probabilmente si sarebbe messo a ridere. Quel ragazzo confermava ogni secondo di più il suo pensiero: era tutto matto!

“Do’aho” disse semplicemente.

Hanamichi sorrise: “Non so cosa significhi, ma lo prendo per un sì!”.

Kaede si innervosì: “Significa idiota”. Quel ragazzo riusciva a scatenargli un nervoso incredibile… tanto più se si metteva a ridere così sguaiatamente di fronte al suo insulto! “Che cosa c’è di così divertente?” sibilò.

“Mi piace quella parola! Puoi chiamarmi così, se ti va! Io ti chiamerò Kitsune!” annuì il rosso, contento di aver stabilito certe cose.

“Non voglio che mi chiami volpe” si oppose Rukawa.

Hanamichi rise di nuovo: “Ormai ho deciso! Sei silenzioso e schivo come una volpe, ma sei anche altrettanto bello, perciò quello è senz’altro il soprannome più adatto a te!”.

La semplicità con cui lo disse, fece sorprendere Kaede nel più candido complimento mai ricevuto.

“Sei bravo con le parole…” disse il moro.

Hanamichi sorrise: “E’ solo quello che penso” disse “Sono una persona sincera. Ma so anche essere simpatico, vivace e spiritoso e se uscirai con me, ti giuro che non te ne pentirai!”.

“Sei un vero idiota” disse ancora Kaede.

“Se vuoi che io sia un idiota, allora lo sarò per te. Qualunque cosa vuoi che io sia, io lo sarò per te” disse Hanamichi, con tono e occhi sinceri, un bel sorriso sulle labbra.

Il cuore di Kaede accelerò: “Dovrai fare meglio di così” disse, più per togliersi dall’imbarazzo che per altro, dirigendosi verso la macchina con l’autista che lo aspettava per aprirgli la portiere.

Hanamichi lo fissò, già eccitato dalla sfida: “Se mi invento qualcosa di eccezionale, allora uscirai con me?” domandò, mentre lo vedeva allontanarsi.

Kaede, ormai dietro la portiera della macchina azzurra disse: “Può darsi…”.



Due giorni dopo, Hanamichi era con Yohei davanti al cinema a tempestarlo di domande nervose: “Quindi sei sicuro che verrà anche lui?”.

“Ti ho detto di sì!” sbuffò Yohei divertito “Non sa che ci sei anche tu, perciò…” si interruppe, poi indicò davanti a loro “Vedi?”.

Hanamichi si voltò a guardare nella direzione del dito indicato da Yohei, e tirò un sospiro di sollievo. Ad avanzare verso di loro, oltre ad Haruko, c’era anche Kaede che, appena lo vide, lo fulminò con lo sguardo. Haruko ridacchiò, loro complice. A Kaede ovviamente non sfuggì, perciò domandò alla cugina sottovoce: “Tu ne sapevi niente?”.

E lei, mentendo spudoratamente: “Ma ti pare?” disse, svolazzando nel suo abitino giallo limone. Quindi si voltò verso Yohei e lo baciò.

Nel frattempo Hanamichi, sempre mani in tasca, salutò Kaede: “Ciao” disse “Sono contento di rivederti”.

“Nh” rispose Rukawa col solito monosillabo, che fece sorridere Hanamichi.

“Entriamo?” domandò Hanamichi “Ti ho preso il biglietto” disse ancora, porgendoglielo.

Kaede lo afferrò bofonchiando un “Grazie”, quindi entrarono.



Del film, era pur certo, Yohei e Haruko non avevano visto nulla. Da quando le luci si erano spente, le loro labbra erano sempre state incollate e Kaede, seduto di fianco ad Haruko e a due sedili di distanza da Hanamichi, si sentiva in imbarazzo. E non tanto per quelle bocche perennemente incollate, quando più per lo sguardo di Hanamichi sempre fisso su di lui, che sorpassava Yohei e poi Haruko e piombava dritto su di lui. Continuò a sbocconcellare i pop-corn giusto per impegnarsi in qualcosa che per vera voglia di mangiare, mentre il film continuava a far scorrere le sue immagini in bianco e nero. Il rumore del motore del proiettore creava un ronzio continuo nella sala.

Hanamichi continuava a guardarlo, e lo trovava ogni momento più bello. Quelle dita sottili e bianche che portavano un pop-corn dopo l’altro alla bocca fina e rosa, che si facevano carezzare dalla loro morbidezza, erano mani delicate e pulite. Hanamichi seppe con assoluta certezza che invidiava quelle dita, perché voleva essere lui ad assaporare la morbidezza di quelle labbra…

Quindi, spinto da quel desiderio, si decise. Saltando sui sedili dietro, fece un paio di passi e quindi saltò di nuovo nella fila davanti, sedendosi vicino a Kaede.

Rukawa aveva osservato ogni suo movimento senza commentare, ma continuando a sbocconcellare i pop-corn e a guardare il film.

Hanamichi, appena seduto, tornò subito a fissarlo. Kaede sentì immediatamente lo sguardo su di se, e per farlo smettere, gli allungò i pop-corn, senza guardarlo. Hanamichi sorrise, affondando una mano dentro il sacchetto di carta bianco e prendendone una manciata, mentre le immagini del film si facevano divertente e lui rideva.

“Sei stupendo stasera…” sussurrò piano il rosso all’orecchio di Kaede, che avvampò.

“Sei bravo con le parole…” ripeté il moro, dicendogli quello che gli aveva detto un paio di giorni prima.

“Sono solo sincero” disse Hanamichi, mangiando un altro pop-corn per poi mettersi a ridere di fronte alla protagonista del film che veniva buttata nel fiume dal protagonista maschile.

Kaede lo fissò di sottecchi.

Quel tipo strano era interessante… e lo stimolava. Si sentiva meno apatico del solito, in sua compagnia, e questo gli piacque.



Appena il film fu terminato, Haruko e Yohei si lanciarono verso la macchina della ragazza e con Yohei al volante, chiesero a Kaede e Hanamichi se volevano salire oppure no.

Hanamichi si piegò verso l’orecchio di Kaede: “Fai due passi con me…” sussurrò.

Kaede sentì un tumulto nel petto, quindi guardando Haruko disse: “Noi facciamo due passi”.

Yohei e Haruko si scambiarono un’occhiata d’intesa, poi risero.

“Va bene, piccioncini, ci vediamo domani!” disse la ragazza, mentre Yohei metteva in moto e con un rombo partivano nella notte.

Con uno sbuffo, Kaede si incamminò vicino a un sorridente Hanamichi.

Non sapeva perché aveva accettato di passeggiare con lui, considerando il fatto che la prima impressione che gli aveva dato era quella di un pazzo, ma la sua bocca aveva parlato prima che la sua ragione potesse bloccarlo…

Fecero qualche metro in silenzio, poi il rossino aprì bocca: “Allora… come si svolgono le giornate di un signorino come te?”.

Kaede sbuffò: “Non darmi del signorino” disse.

“E’ quello che sei” alzò le spalle Hanamichi, ripensando alle sue mani curate e facendo il confronto con le sue, screpolate e piene di calli “Non sei di certo ad arare i campi con me”.

Kaede lo fissò: “Non metto in dubbio che quello che fai tu sia molto più faticoso di quello che faccio io, ma anche le mie giornate sono molto piene” disse.

Hanamichi lo fissò sorpreso: “Accidenti! Quante parole tutte insieme! Eppure non mi sei sembrato uno che parla tanto…” disse.

Kaede sbarrò gli occhi. In appena pochi momenti in cui si erano parlati, quel ragazzo aveva capito moltissime cose di lui. Perciò, non seppe come mai, ma si decise a non arrabbiarsi, e a continuare a parlare tranquillamente, premiando così la sua perspicacia: “La voce mi esce, se serve a farti capire che non sono un signorino”.

Hanamichi rise: “Va bene, va bene…” disse, alzando le mani davanti al viso “Allora… come sono queste giornate così impegnative?”.

Kaede lo fissò di sottecchi da sotto la frangia nera, con i suoi penetranti occhi blu: “Beh, innanzi tutto si fa colazione…”.

“Quella la faccio anch’io” annuì Hanamichi “Cinque ciotole di riso” disse soddisfatto.

“Sei abominevole” commentò Kaede.

“Scommetto che tu ne mangi appena una…” disse Hanamichi, ridacchiando e affondando le mani sempre più giù nelle tasche.

“Mezza” lo corresse Kaede. Hanamichi rise di cuore.

Quando la risata si interruppe, Kaede proseguì: “Poi ho lezione di giapponese, di letteratura e di scrittura… quindi passo alla storia” elencò “Poi pranziamo e si passa a fortificare il corpo con il tennis, o il nuoto. Mio padre pretende che io sia forte sia nello spirito che nel corpo” spiegò.

Hanamichi annuì, ma poi storse la bocca: “Un sacco di cose…” commentò laconico “Ma cosa fai per te?” domandò.

Kaede lo guardò con un sopracciglio alzato: “Te l’ho appena detto, mi pare…” gli fece notare.

“Uhm… no” scosse la testa il rosso “Mi hai detto quello che i tuoi genitori vogliono che tu faccia… ma tu cos’è che fai per te?” domandò di nuovo.

Kaede lo fissò, senza proferir verbo.

Hanamichi si aspettava una risposta, ma visto che quella non arrivò, si diresse in mezzo alla strada e disse: “Io ad esempio faccio questo” e si piegò sulle gambe, sedendosi prima sull’asfalto e poi sdraiandosi, esattamente sotto al semaforo.

Kaede alzò un sopracciglio: “Ti sdrai in mezzo alla strada?” chiese, scettico.

“No” rise Hanamichi “Mi metto qui e guardo le luci del semaforo cambiare, passare dal verde al giallo al rosso e poi di nuovo al verde… è una cosa che facevo con mio padre da piccolo e che me lo ricorda” disse.

“Tuo padre è morto?” domandò Kaede, avvicinandosi, ma rimanendo comunque in piedi.

Hanamichi annuì.

“Mi dispiace” disse Kaede.

“E’ successo anni fa” disse Hanamichi, con un velo di malinconia, ma subito si riprese e picchettando sull’asfalto con una mano, disse: “Avanti, sdraiati qui vicino a me”.

Kaede strabuzzò gli occhi: “Non ci penso neanche!” disse.

“E perché no?” domandò Hanamichi “E’ rilassante…” commentò.

“Tu sei tutto matto” disse il moro, dando voce a un pensiero che lo aveva accompagnato fin dal primo momento che lo aveva visto.

Il rossino rise: “E’ questo il tuo problema: non ti rilassi”.

Kaede lo guardò. Lo stava forse sfidando? Kaede Rukawa non era mai stato uno che si tirava indietro di fronte a una sfida!

Perciò, alla fine, in maniera risoluta, si sdraiò di fianco ad Hanamichi, fissando a sua volta il semaforo che cambiava continuamente colore. Hanamichi sorrise in silenzio.

Dopo qualche momento di assoluto mutismo da parte di entrambi, Kaede parlò: “Pallacanestro”.

“Mh?” domandò Hanamichi, curioso.

“Mi hai chiesto cosa faccio per me… gioco a pallacanestro” spiegò Kaede.

Hanamichi sorrise, continuando a fissare il cielo: “E’ divertente. Anche io gioco qualche volta” disse.

“Quelli sono i momenti in cui mi sento più sereno” ammise Kaede, muovendo qua e la i piedi e sentendo l’asfalto duro premergli sulla nuca.

Hanamichi stava per dire qualcosa, ma il bagliore accecante di due fari e un clacson impazzito, li convinse ad alzarsi in tutta fretta e a spostarsi dal centro della carreggiata, mentre il guidatore gli urlava che erano dei pazzi.

Hanamichi girò una volta su se stesso, confuso, poi si voltò sorpreso di fronte a quel suono: poggiato alla parete sporca di quella strada di periferia, Kaede era piegato in avanti a ridere convulsamente.

Il rossino lo fissò, e lo trovò stupendo…

Kaede, dal canto suo, non credeva possibile di essere lì a ridere così spontaneamente di fronte a quel ragazzo che era pressoché uno sconosciuto. Eppure, si ritrovò a considerare il moro mentre il riso piano piano si spegneva, era la persona più stramba ma al contempo con cui si sentiva più a suo agio che avesse mai incontrato!

Hanamichi sentì il disperato bisogno di toccarlo, perciò la sua bocca parlò da sola: “Ti va di ballare?” domandò.

Kaede lo guardò, con ancora un residuo di sorriso sulle labbra: “Ora?” chiese.

Hanamichi annuì, allungando una mano. Kaede guardò quella mano per un attimo, poi la afferrò.

Si ritrovarono così al centro della strada, stretti l’uno all’altro, con Hanamichi che intonava senza parole, una canzone jazz che si sentiva spesso alla radio in quel periodo.

“E’ bella questa canzone…” sussurrò Kaede “Ma tu sei stonato…”.

Hanamichi rise, confondendo così il suono della musica con la sua risata, ma poi tornò serio e continuò a intonare quelle note, mentre i loro corpi si facevano sempre più vicini. Hanamichi aveva il grande palmo ben steso sulla schiena magra del ragazzo moro, e se lo spingeva addosso alla ricerca di un maggiore contatto. Il viso che sfiorava il suo, con i capelli neri che gli solleticavano una guancia. Il rossino annusò l’aria, e ne percepì subito l’odore buono di saponetta dell’altro.

Kaede, dal canto suo, sentiva il grande petto dell’altro contro il proprio e la sua mano poggiava su quel braccio muscoloso e tonico. Si sentiva un po’ sciocco, a ballare con un quasi sconosciuto in mezzo alla strada, ma poco fa si era persino ritrovato a ridere di cuore dopo essersi sdraiato sull’asfalto, perciò quella sera, pensò, tutto era possibile… alzò lievemente il viso, e vide subito gli occhi nocciola di Hanamichi roteare verso di lui, mentre le labbra si aprivano in un dolce sorriso…

“Te l’ho già detto che sei bellissimo stasera?” sussurrò Hanamichi al suo orecchio, solleticandogli la pelle col suo fiato.

Kaede sorrise: “Sì, un migliaio di volte” disse, sfiorando con le labbra il collo bronzeo dell’altro.

“Uhm” annuì Hanamichi con volto serio “Ma mi piace ripetertelo…” disse semplicemente.

Kaede sorrise di nuovo.

Quello strano ragazzo, gli scatenava reazioni insolite, per lui.

Si scostò un poco per guardarlo negli occhi.

Erano grandi e nocciola, profondi e caldi. Ma soprattutto erano occhi sinceri. Erano occhi buoni e dolci, e Kaede seppe che essere guardato da quegli occhi, era qualcosa di magnifico.

E fu per pensieri come quelli che, quando le labbra di Hanamichi si avvicinarono alle sue, lui non si ritrasse ma anzi, accettò il bacio dolcissimo che ne seguì e che suggellò qualcosa che nessuno dei due, all’inizio di quell’estate del 1940 si sarebbe mai aspettato di poter vivere…




…“Quindi si erano innamorati” mi dice lui, bloccando la mia narrazione.

“Sì” annuisco, sorridendogli.

“Bene… questa storia mi piace” annuisce lui, con il primo timido sorriso della giornata.

Sorrido a mia volta, quindi proseguo con la lettura…



…I giorni seguenti, Hanamichi e Kaede continuarono a vedersi.

Avevano scoperto che baciarsi era bellissimo, per questo Kaede lo andava sempre a prendere a fine lavoro, e saltandogli in braccio, allacciando le gambe intorno alla sua vita, lo baciava con passione davanti a tutti, scatenando commenti da parte degli amici di Hanamichi, che lo accoglieva felice.

All’inizio il rossino si era sorpreso da tanta espansività, ma poi aveva presto capito che sotto quell’aspetto calmo e posato, anche freddo, se vogliamo, bruciava un fuoco ardente.

Kaede, invece, aveva scoperto che Hanamichi era molto goloso, perciò spesse volte pranzavano con un gelato che il volpino si divertiva a spiaccicare sulla faccia dell’altro, per poi leccarglielo via a suon di baci. Hanamichi di certo non protestava, anzi… se lo teneva stretto al petto, e lo baciava a sua volta, mordicchiandogli le guance.

Passavano inoltre gran parte dei pomeriggi in compagnia di Yohei e Haruko, andando in bicicletta nelle strade sterrate in mezzo alla natura, con Haruko seduta sulla canna della bicicletta di Yohei che rideva felice mentre il moro e il rosso li seguivano, affiancati.

E proprio con una bicicletta, quella sera, Kaede raggiunse Hanamichi a casa sua per la prima volta. Lo trovò seduto su una sedia a dondolo, nel portico, con la madre che lo guardava dal dondolo bianco di legno. Il rossino stava leggendo una poesia che Kaede non conosceva, ma che gli piacque.

Rimase ad ascoltarlo per un po’, ma alla fine la madre di Hanamichi si accorse di lui e, interrompendo il figlio disse: “Abbiamo visite”. Si alzò sorridendo e si avvicinò a Kaede, che si fece avanti. Anche il rossino si alzò, avvicinandosi.

“Mi dispiace, non volevo interrompere” disse Kaede, educatamente “Era una bellissima poesia” commentò.

“Era Walt Whitman” rispose la madre di Hanamichi, una donna magra e piccola, dai capelli grigi, con la pelle segnata dal sole. Indosso aveva vestiti semplici e un grembiule di lino grezzo.

“Non ho mai letto sue poesie” disse Kaede, salendo le scalette del portico e sedendosi, sotto invito di Hanamichi, sulla sedia a dondolo che prima occupava lui.

“Io avrei preferito non leggerle” rise la madre di Hanamichi “A me piace Tennyson, ma ad Hanamichi è sempre piaciuto Whitman. Va un po’ a capire perché…” commentò la donna ridendo ancora.

“Non capisci niente di poesia” disse Hanamichi, rivolto alla madre, con un sorriso ironico.

La donna sbuffò: “Sarà… ma avrei preferito sentirti balbettare Tennyson piuttosto che Whitman!”.

Hanamichi sobbalzò, sbarrando gli occhi, mentre Kaede, voltandosi un secondo verso di lui, domandò: “Balbettare?”.

“Sì!” disse la madre del rossino ridendo di cuore “Dopo che è morto mio marito, ha cominciato a balbettare. Così l’ho messo a leggere poesie tutte le sere! All’inizio non si capiva niente, ed era uno spettacolo davvero pietoso, ma col tempo la balbuzie è andata via e adesso riesce a leggere perfettamente come una volta!”.

“Mamma… ti prego!” sbuffò Hanamichi “Ma ti pare il caso di raccontare certe cose?” chiese, col tono di chi non sapeva se ridere o piangere.

“Che c’è di male?” domandò la donna, asciugandosi le mani sudate sul grembiule “Non essere lagnoso e invita questo bel ragazzo dentro a mangiare del riso”.

“Ma sono le dieci e mezza di sera, mamma…” disse Hanamichi.

“E con questo?” domandò la donna, aprendo la porta di casa “Quando lo stomaco chiama, non esiste orario!”.

Perciò, si ritrovarono seduti al tavolo della cucina, con la madre di Hanamichi che raccontava aneddoti dell’infanzia del rossino, facendo ridere Kaede e imbarazzare l’altro. La serata fu tranquilla, ma la donna li guardò a lungo, consapevole che il figlio era andato ad infilarsi in qualcosa molto più grande di lui…



Il giorno dopo, Hanamichi portò Kaede al mare, a pochi chilometri di distanza, col suo pick-up nero scassato e sverniciato.

La giornata non era delle migliori, ma quando il moro si era fatto scappare la sera precedente che adorava il mare, non aveva resistito e ce lo aveva portato subito, sperando di farlo felice.

Il cielo era plumbeo, e tirava un vento forte, ma caldo. L’acqua era mossa e si scagliava in grosse onde sulla spiaggia. Insieme alla spuma, portava a riva anche pezzi di legno e alghe.

Erano sdraiati a pancia all’aria sulla sabbia, con i gomiti affondati nel terreno soffice e le gambe piegate.

I gabbiani urlavano i loro versi striduli in alto nel cielo.

“E’ stata molto dolorosa la perdita di tuo padre se ti ha portato a balbettare” disse Kaede, interrompendo il silenzio.

Hanamichi lo fissò di traverso: “L’ho trovato sul pavimento di casa, dopo che ero tornato dal campo. Non ho fatto in tempo a chiamare i soccorsi, e lui è morto” spiegò brevemente.

“Mi dispiace” disse Kaede, semplicemente, sporgendosi verso di lui e afferrandogli la nuca con una mano, tirandolo verso di se per un bacio. Con le parole non era bravo, ma con i gesti poteva sempre far capire al rossino che gli era vicino.

Hanamichi ricambiò subito il bacio, quindi si alzò e trascinandolo per una mano sorridendo, entrò in acqua. Lui rimase con l’acqua fino a metà coscia, mentre Kaede si immerse fino alla vita. Il corpo veniva continuamente spinto a riva dalla forza delle onde.

“Adoro il mare” disse Kaede “Mi fa sentire libero”.

“Ma tu sei libero” replicò Hanamichi, cercando di rimanere in piedi nonostante la forza del mare contro le sue cosce.

“Non come vorrei” lo corresse Rukawa “Vorrei essere libero come un uccello e volare lontano” spiegò.

“Non staresti bene come uccello” obiettò Hanamichi.

“Perché sono una volpe, giusto?” domandò l’altro, guardandolo di sottecchi, ridacchiando furbo.

Hanamichi annuì: “Esatto”.

Quindi Kaede sorrise e, lanciandoglisi in braccio, disse: “Allora voglio che anche tu sia una volpe e corra via con me”.

“Non posso essere una volpe” disse Hanamichi, stringendolo forte per la vita e tenendoselo addosso.

“E perché no?” domandò Kaede.

“Perché non sono bello come te” rispose il rossino semplicemente.

Kaede sorrise, baciandolo.

“Sei una volpe” disse subito dopo.

Hanamichi lo guardò dritto negli occhi, e vi lesse sicurezza. Perciò annuì: “Sono una volpe e correrò via con te”.



Le giornate scorrevano serene. Spesso, Kaede si ritrovava coinvolto nelle feste che la madre di Hanamichi organizzava nel giardino di casa sua, con balli e canti tradizionali dei contadini. Ballavano tutti allegramente, e spesso Hanamichi l’aveva coinvolto in pista con qualche ballo a cui gli altri avevano applaudito.

I pomeriggi erano quasi sempre con Haruko e Yohei, in giro per le campagne, ogni volta in un’attività diversa. Il giorno prima, ad esempio, lo avevano portato in un piccolo laghetto in mezzo al bosco da cui aveva dovuto lanciarsi in acqua con una fune! Lui di certo non era abituato a fare cose del genere, ma dopo un primo tentennamento, si era buttato. L’avevano convinto soprattutto le parole di Hanamichi. Quel suo: “Dai, amore, buttati!” gli aveva dato l’energia per buttarsi in acqua, e quindi fra le sue braccia e baciarlo appassionatamente.

Moltissimi pomeriggi giocavano anche a pallacanestro, in un campetto mezzo diroccato del paese, sfidandosi fino allo sfinimento in delle partite uno contro uno.

In più, qualche volta, Hanamichi gli dava lezioni di guida. Non che Hanamichi avesse mai preso delle lezioni serie, ma avendo accumulato esperienza fin da piccolo, era abbastanza in grado di insegnare a un inesperto Kaede i rudimenti della guida. Peccato che fosse dotato di pochissima pazienza, e questo scatenasse spesso furiose liti…

Difatti, difficilmente andavano d’accordo su qualcosa. Benché fossero così appassionati, la loro differente classe sociale si faceva sentire in molteplici aspetti della loro vita quotidiana, portandoli a scontrarsi.

Però, Hanamichi non riusciva ad essere per troppo tempo arrabbiato con la Kitsune, per questo lo coinvolgeva quasi subito in baci appassionati, facendogli dimenticare perché stessero discutendo.

Anche quella sera era successa la stessa cosa, e alla fine, dopo una disastrosa lezione di guida, i due ragazzi si erano ritrovati in macchina, avvinghiati in un bacio appassionato. Erano davanti al cancello della piantagione dei genitori di Kaede, e le luci del portico erano accese.

L’ora del rientro stava per scadere e Kaede si staccò da lui controvoglia: “Devo andare…” sussurrò.

“No, resta qui…” disse Hanamichi, riattirandolo a se, con una certa urgenza nella voce.

“Non posso…” rise Kaede, staccandolo “Ci vediamo domani” disse, quindi aprì la portiera e uscì dalla macchina.

Corse fino a casa, e quando stava per aprire la porta, la voce di suo padre lo fece sobbalzare: “Vedo che hai trovato un amico in città…” disse l’uomo, fumando la sua pipa, con i baffi curati e la vestaglia di seta, seduto su una delle sedie di vimini del portico.

“Papà…” disse Kaede, cercando di calmare il respiro affannoso per i baci e per lo spavento.

Il padre gli sorrise: “Portalo a pranzo, domani, mi piacerebbe conoscerlo” disse.

Kaede annuì, per niente contento della cosa.



Il pranzo, fino a quel momento, stava procedendo serenamente. Erano tutti seduti intorno a una grande tavolata con la tovaglia bianco candido, imbandita di ogni bontà si potesse desiderare. Il telone bianco che li copriva dal sole svolazzava al vento che tirava nell’ampio giardino della piantagione. Hanamichi notò che, ad eccezione di lui, che indossava una camicia blu scuro, il resto degli invitati indossava tutti capi d’abbigliamento chiari, prevalentemente bianchi e crema. Hanamichi si sentì fuori posto.

Il padre di Kaede teneva banco raccontando barzellette per lo più sconce di cui Hanamichi non riusciva a coglierne l’ilarità. Di nuovo, si sentì fuori posto.

Ma il momento peggiore, fu quando una donna di mezz’età gli chiede che lavoro svolgeva. Il rossino gli spiegò brevemente che raccoglieva e seminava nei campi, e che sporadicamente faceva altri lavoretti che trovava. Ma come se non bastasse lì il suo imbarazzo, un giovanotto seduto poco più in la gli domandò quando prendeva l’ora. Hanamichi, con grande disagio, fu costretto a dire la verità: “Circa quaranta centesimi l’ora”.

Il ragazzo che gli aveva posto la domanda sbarrò gli occhi, insieme alla maggior parte dei presenti al tavolo. Quelli che non li avevano sbarrati, dedusse Hanamichi, è perché sapevano mentire meglio.

“Lo so, non è molto, ma li risparmio la maggior parte” spiegò Hanamichi, terribilmente in imbarazzo.

Venne in suo aiuto il padre di Kaede, che disse: “Basta fare il terzo grado al ragazzo! Anche lui è qui per mangiare e divertirsi! Adesso vi racconterò un’altra barzelletta che mi ha raccontato il prete domenica dopo la messa!” e lì si scatenò l’ilaricità generale, distogliendo l’attenzione dal rossino, che tirò un sospiro di sollievo.

“Allora…” lo riportò alla realtà la voce della madre di Kaede, una donna distinta e alta, molto magra. Era mora e con dei grandi orecchini d’oro e perle alle orecchie. Vestiva di bianco con dei ricami beige, come Kaede “Vedo che andate molto d’accordo, voi due…” disse.

Kaede annuì.

“E’ una cosa seria?” domandò la donna, penetrando Hanamichi da parte a parte con i suoi profondi e indagatori occhi neri.

“Sì, signora” annuì Hanamichi, sorridendo a Kaede, che gli sorrise a sua volta.

“Già…” disse la donna, bevendo un sorso di vino rosso “Però l’estate sta per finire e presto Kaede se ne andrà…” gli fece notare la donna.

“Tokyo non è molto lontana da qui. Sono un paio di ore di macchina” disse Hanamichi, con tranquillità. Ma subito, notò l’irrigidimento di Kaede e il sorriso vittorioso della donna: “Ma Kaede non tornerà a Tokyo… andrà a studiare all’università imperiale”.

“Ah” commentò Hanamichi.

“L’ho saputo solo ieri” si affrettò a spiegargli Kaede “Te lo volevo dire più tardi…”.

Hanamichi sorrise, ma il riso gli morì in gola quando la madre di Kaede finì il discorso che aveva iniziato: “E l’università imperiale è a Osaka”.



I signori Rukawa osservavano da lontano il loro unico figlio ridere in una barca in mezzo al fiume insieme a quel ragazzo dai capelli rossi.

“E’ un problema” disse la donna.

“E’ solo un amore estivo” la contraddisse l’uomo.

“No, è un gigantesco problema” ribatté la donna, sempre più innervosita da quella situazione…



La sera seguente, Kaede andò da Hanamichi in sella alla sua bici, come da abitudine. Il ragazzo lo aveva visto arrivare dalla finestra, perciò si precipitò subito fuori e lo baciò appassionatamente, felice di portelo stringere. Aveva passato una notte terribile, a pensare a quell’orrendo pranzo in cui tutti l’avevano fatto sentire una nullità. E aveva pensato a lungo a come avrebbe potuto fare lui, povero com’era, ad andare a trovare Kaede ad Osaka quando ne avesse avuto voglia. Le risposte erano state tutto fuorché consolanti…

Le sue mani vagavano nervose sul corpo del moro, e alla fine gli carezzò il punto sotto la vita, infilando una mano tra i loro corpi.

Fu solo uno sfiorare, ma i due si interruppero subito e si guardarono ansimanti.

Hanamichi sentiva solo che voleva che Kaede fosse solo suo…

“Ti va di andare in un posto?” domandò sottovoce, il bisogno nella voce.

Kaede annuì, quindi montarono in macchina e in poco tempo furono davanti a una gigantesca casa diroccata. Era a due piani, e l’aspetto era decisamente fatiscente. Però affacciava proprio sul lago e la vista che si godeva, con la grande luna piena luminosa nel cielo blu, fece pensare a Kaede che quel posto fosse magico.

Hanamichi lo condusse nella casa, facendogli tenere gli occhi chiusi. Gli permise di aprirli solo quando furono dentro, al centro del grande salone del piano terra.

“Questa è la piantagione Inoue” disse Hanamichi, allargando le braccia, con la candela accesa ai suoi piedi.

“E’ enorme…” disse Kaede, guardandosi intorno.

“Sì, ma è anche tutta da rifare!” rise il rossino “Un giorno la comprerò e la metterò apposto” annuì “L’ho sempre desiderato”.

Kaede lo guardò “C’è tanto da fare…” gli fece notare, osservando le scale di legno mezze rotte, i muri bucati e le milioni di ragnatele ad ogni angolo.

“Lo so” disse Hanamichi ridendo, infilando le mani nelle tasche “Bisogna rifare tutto da capo. Tubature, pavimenti, un tetto… ma voglio farlo. In fondo allo sterrato c’è un grosso capanno. Posso costruire le cose lì dentro” spiegò.

“E io?” domandò Kaede, avvicinandosi al grande camino di marmo che un tempo, sotto gli strati e strati di polvere, doveva essere bianco.

Hanamichi lo guardò confuso.

“Io non vengo contemplato in tutto questo progetto?” domandò, sorridendo.

“Se vuoi esserci, allora ci sarai” disse Hanamichi, sentendo il cuore battere forte.

“Certo che voglio esserci!” disse il moretto deciso, avvicinandosi al rossino e afferrandolo per la camicia, facendo sfiorare le loro labbra.

Hanamichi si sentì ribollire, ma cercò di distrarsi domandandogli: “E tu cosa vuoi per questa casa?”.

“Voglio che sia bianca con le imposte blu. Che ci sia un portico che ruoti tutto intorno alla casa dove poter leggere e guardare l’alba e il tramonto e voglio un campetto da pallacanestro vicino al granaio” espresse, sussurrando sensuale sulle labbra di Hanamichi, che rise e domandò: “Nient’altro?”.

“No, penso che così possa bastare…” rise Kaede, stampandogli un bacio e poi allontanandosi da lui.

Notò un pianoforte in un angolo, anch’esso polveroso e coperto da una tenda rubino caduta. Si avvicinò, carezzando i tasti con delicatezza, utilizzando solo i polpastrelli.

“Sai suonarlo?” domandò Hanamichi.

“Suonare il pianoforte è una delle tante lezioni che occupano le mie giornate…” spiegò il moro, sedendosi sullo sgabello di legno, mezzo tremolante, e cominciando a intonare una melodia romantica e malinconica, che Hanamichi trovò perfetta per l’atmosfera che c’era in quella casa, al lume di quell’unica candela accesa.

Si avvicinò, carezzandogli una guancia con la propria mentre Kaede continuava a suonare, baciandolo piano. Quando gli morse il lobo dell’orecchio, Kaede rise e interruppe la musica con un suono basso e gretto: “Così non riesco a suonare…” rise.

Quindi si voltò verso l’altro e lo baciò appassionatamente, cingendogli le braccia intorno al collo.

Hanamichi rispondeva con altrettanta passione, e Kaede si sentì inebriato e sufficientemente coraggioso da chiederlo: “Fa l’amore con me…”.

Sapeva che era una cosa che voleva anche Hanamichi, perché quello sfiorarsi prima nel portico di casa sua ne era stata la dimostrazione lampante. E infatti, quando i suoi occhi blu si puntarono in quelli nocciola dell’altro, vi lesse dentro tutto il bruciante desiderio che sentiva anche agitarsi nel suo petto.

Si ritrovarono così l’uno di fronte all’altro, dopo aver messo a terra un telo, nel centro della stanza. I loro corpi si sfioravano, e lentamente Kaede cominciò a sfilare dalle asole un bottone alla volta della camicia nera di Hanamichi. Lo fece con gesti lenti, sempre fissandolo negli occhi. Altrettanto, Hanamichi sbottonò i suoi.

Le loro labbra si incollarono, desiderose di assaporarsi di nuovo.

Ben presto, coinvolti in quel bacio appassionato, i vestiti scivolarono a terra e loro si ritrovarono nudi l’uno di fronte all’altro. Entrambi sentivano il respiro accelerato dall’emozione.

Hanamichi non poteva credere che quella creatura celestiale fosse lì, tra le sue braccia. Che, per una volta, poteva sentirlo suo come non poteva nessun altro. E in quel momento pensò anche che non gli importava se Kaede andava a Osaka o chissà dove: lui avrebbe sicuramente trovato un modo per raggiungerlo…

“Ti amo…” gli disse per la prima volta, con parole che fluirono spontanee dalla sua bocca.

Il cuore di Kaede accelerò all’impazzata: “Anch’io ti amo…” sussurrò, prima di baciarlo di nuovo.

Ben presto si sdraiarono a terra, Kaede sotto e Hanamichi sopra, esplorando ogni anfratto del loro corpo, saggiandone la morbidezza e la tonicità, la dolcezza dei baci intervallata dalla sensualità dei morsi.

Kaede sospirava, e gli sembrava incredibile che stesse succedendo davvero. Che avesse davvero conosciuto, in una campagna desolata come quella, una persona così meravigliosa.

Quando Hanamichi entrò in lui, Kaede fu sopraffatto dal dolore e dal bruciore, e le sue braccia avrebbero quasi voluto allontanarlo, ma le parole d’amore che Hanamichi continuava a mormorargli all’orecchio, quel suo continuare a dirgli che lo amava e che non voleva fargli del male, che doveva rilassarsi… quel tono dolce e tenero fecero stringere fortissime le braccia di Kaede intorno alle spalle di Hanamichi, attirandoselo addosso.

Il rossino spinse piano sempre più a fondo, sentendo la reticenza dell’altro farsi via via sempre meno solida e alla fine avvertì un primo, piacevole, sospiro.

Con la seconda spinta, ne arrivò un altro.

E poi un altro ancora.

E a seguirne milioni e nella testa di Hanamichi c’era solo quella voce, quei gemiti, quelle braccia che lo stringevano forte e quelle unghie che affondavano nella sua carne.

La testa di Kaede girava vorticosamente. Il piacere lo aveva inebriato, e quando raggiunsero l’orgasmo insieme si lasciò andare a un forte gemito liberatorio.

Hanamichi cadde stremato su di lui. Avevano il fiatone, e si guardavano estasiati. Subito le labbra del rossino furono su di lui.

Kaede stava per dire qualcosa, ma venne interrotto.

Sobbalzò, e si coprì col telo, mentre Hanamichi gli faceva scudo col suo corpo: “YOHEI! ESCI IMMEDIATAMENTE!” urlò.

“Ragazzi, dovete correre a casa!” disse Yohei, entrato di corsa e sbattendo la porta “Sono le due passate e tutta la polizia di Kanagawa è in giro a cercare Kaede!”.

“COSA?” urlò il moro.



In poco più di quindici minuti, Kaede spalancò la porta di casa sua dove trovò la polizia e i suoi genitori, seguito da Hanamichi.

“Avete mandato la polizia a cercarmi?” domandò, con stizza, avvicinandosi ai suoi genitori.

“CERTO!” urlò sua madre “Sono quasi le tre di notte! Hai idea di quanto eravamo preoccupati?”.

“AH!” disse Kaede, sbuffando, non credendo per niente alle parole di sua madre.

Hanamichi sopraggiunse proprio in quel momento e con un timido filo di voce disse: “Signori Rukawa, mi dispiace, è stata colpa mia, ho perso il senso del tempo…”.

“Tu non preoccuparti, ragazzo” disse il padre di Kaede, sorridendogli cortese “Siediti lì. Noi dobbiamo parlare con nostro figlio da soli” e dicendo questo, trascinò il figlio, seguito dalla moglie, dentro lo studio adiacente. Hanamichi, a quel punto, non poté fare altro che sedersi su una delle sedie della sala, in silenzio. Subito gli giunsero le voci concitate, soprattutto quella della signora Rukawa.

“Ti rendi conto di cosa hai combinato?” urlò la donna.

“No, ti rendi conto tu di che diavolo di casino hai acceso senza motivo?” ribatté Kaede.

“Eravamo preoccuparti per te, Kaede” sopraggiunse la voce pacata del padre.

“Preoccupati? E da quando vi preoccupate per me?” domandò stizzito il ragazzo.

“Da sempre!” urlò sua madre “Sono diciassette anni che mi prendo cura di te!”.

Kaede sbuffò: “Ah, sì? E com’è che non me ne sono accorto?” domandò.

Ci fu un attimo di silenzio, poi Hanamichi sentì di nuovo la voce della donna: “Hai sentito come si rivolge a sua madre?” domandò la donna, evidentemente rivolta al marito.

“Kaede, porta rispetto a tua madre” disse l’uomo “Lei dice tutto questo solo per il tuo bene”.

“Il mio bene?” domandò Kaede “Cosa c’è che non va? Niente, mi pare!” sbottò.

“C’è eccome!” ribatté la donna “Ed è seduto di la in salotto!” sbraitò.

Le mani di Hanamichi tremarono.

“COSA?” urlò Kaede “Lui NON E’ un problema!”.

“Lo è eccome!” ribatté la donna, sempre più infervorata.

Calò il silenzio, e Hanamichi poté sentire il suo cuore martellargli nella testa.

Poi la voce della donna, adesso più calma: “Ascolta, Kaede… capisco che lui è un bravo ragazzo… io questo non lo metto in dubbio, davvero, ma… cosa può offrirti?”.

“Che cosa?”. Il sibilo di Kaede fu appena percepibile.

“Tesoro, diciamolo: è un contadino povero in canna che non ha niente da offrirti” spiegò la madre “E’ un pezzente, un pezzente, un pezzente!”.

A quelle parole, Hanamichi si alzò di scatto.

Aveva sempre saputo che la famiglia Rukawa non sarebbe stata contenta, ma quelle parole lo ferivano troppo in profondità. Lui lavorava sodo, sudava tutto il girono nei campi e non si tirava mai indietro, cercando di racimolare soldi. La sua famiglia era sempre stata povera, e non aveva potuto studiare. Cosa poteva fare più di così?

Si avviò verso la porta mentre avvertiva gli urli di Kaede: “MAMMA! COME TI PERMETTI? SI DA IL CASO CHE IO LO AMO!”.

La voce sprezzante della madre: “Amarlo?”.

“Devi scegliere meglio chi amare, bambino mio” disse il padre.

Il cuore di Hanamichi fu attraversato da una stilettata, quindi uscì.

In quel momento, sentì la porta dello studio che veniva aperta e richiusa con forza.

Kaede corse per il corridoio: “Hanamichi?” chiamò, ma non lo trovò. Quindi aprì la porta d’ingresso e lo vide già quasi al furgone: “HANAMICHI!” chiamò.
Lo raggiunse di corsa: “Perché te ne vai?” gli domandò, afferrandolo per un braccio e girandolo verso di se.

Hanamichi lo fissò. Negli occhi tristezza e sconfitta. Uno sguardo da cane bastonato che fece stringere il cuore di Kaede: “Ho bisogno di pensare…” sussurrò, con voce rotta.

“A cosa devi pensare?” domandò Kaede “Mi dispiace, mi dispiace… i miei genitori sono terribili…” disse, col cuore in gola.

“I tuoi genitori hanno ragione…” sussurrò il rossino “Io non ho niente da offrirti…”.

“Ma cosa stai dicendo?” domandò Kaede, nella voce una nota di panico “Tu mi dai tutto quello che loro non riescono neanche lontanamente a pensare di darmi, e quella cosa è amore!”.

“Non basta” ribatté Hanamichi scotendo la testa.

“Può bastare se vogliamo che sia così!” disse Kaede, afferrandolo per la camicia e scotendolo un po’.

“Tu andrai via…” disse sempre più piano Hanamichi. Gli occhi più lucidi ad ogni parola.

La testa di Kaede girò vorticosamente. Che stava succedendo? Perché tutto gli si rivoltava contro? Cos’era quello sguardo di Hanamichi? Non gli piaceva per niente…

“Non andrò all’università” disse.

“Non è giusto. Devi andare all’università. Io voglio che tu ci vada. Io sono davvero felice che tu ci vada” disse Hanamichi, scotendo energicamente la testa. Non voleva per nulla al Mondo che Kaede rinunciasse al suo futuro.

“Allora vieni con me” disse il moro, risoluto.

“A Osaka? E che cosa faccio lì?” chiese Hanamichi, con gli occhi sbarrati.

“Cerchi un lavoro” disse Kaede, con voce debole.

Hanamichi lo fissò un attimo, gli occhi smarriti, ma poi scosse di nuovo la testa: “Io… non lo so. Non dobbiamo decidere tutto adesso, no?” chiese, amareggiato “Vediamo come va a finire l’estate e poi decideremo…”.

Il cuore di Kaede mancò un battito, e il moretto ebbe la netta sensazione che si stesse spezzando: “Mi stai lasciando?” mormorò.

“No!” disse il rossino “Sto solo dicendo di vedere come va dopo l’estate…”.

A quel punto, Kaede strinse forte i denti. Il viso assunse un’espressione dura: “Stai forse dicendo che abbiamo una scadenza? Che non hai il coraggio di lasciarmi adesso, quindi rimandi a tra due settimane?” domandò sprezzante.

“Ho solo bisogno di pensare…” sussurrò Hanamichi, sempre più triste.

“Ah, sì?” domandò Kaede, in preda alla rabbia “Allora sai che ti dico? Ti lascio io! Tra noi è finita! Finita, è chiaro?” disse, spintonandolo contro il furgone “FINITA!”.

Hanamichi cadde addosso al pick-up senza nessuna reazione, quindi guardò con occhi smarriti Kaede e a testa bassa aprì la portiera.

E così, quella era la fine…

Salì a bordo e chiuse la portiera, mettendo in moto.

Quando Kaede sentì il rumore del motore che si accendeva, tornò in se: “No, aspetta, Hanamichi…” disse, avvicinandosi alla portiera “Ho detto una stupidaggine, ero arrabbiato… aspetta!” disse concitato, mentre Hanamichi faceva retromarcia e se ne andava da quella casa a tutta velocità.

Kaede fissò la macchina scomparire nell’oscurità della notte  e per la prima volta da tantissimo tempo, sentì una lacrima bruciargli la guancia…




…“Se n’è andato?” mi domanda lui, ad occhi sbarrati, con voce sorpresa.

Annuisco, mentre cammino di fianco a lui sul prato verde. Adesso l’aria è meno pungente, perciò abbiamo deciso di uscire fuori a continuare a leggere.

“Ma Kaede non voleva che finisse” obietta lui.

“Infatti” annuisco.

“Però è anche vero che Hanamichi voleva fare la cosa giusta per Kaede…” continua ad analizzare la situazione lui.

“E’ vero” concordo, infilando la mano libera nella tasca della giacca.

“La verità, però, è che Kaede doveva mandare al diavolo i suoi genitori!” dice ancora, con voce concitata.

Io sorrido: “Sì, avrebbe dovuto…”…



…Il giorno dopo, Kaede si svegliò con gli occhi rossi e lucidi dopo una notte di pianto.

Non poteva credere che la sua storia con Hanamichi fosse finita e soprattutto non poteva credere ai suoi occhi in quel momento: cos’erano quelle macchine piene di valige nel vialetto d’ingresso? Non avrebbero dovuto ripartire tra due settimane?

Corso al piano di sotto a perdifiato e trovò sua madre a leggere il giornale, piegato a metà come da sua abitudine, bevendo un caffè.

“Perché è tutto pronto?” domandò subito, senza neanche darle il buongiorno.

“Perché tra un’ora partiamo” disse la donna, con tono calmo, continuando a leggere il giornale.

Almeno fino a quando Kaede non glielo strappò dalle mani e lo lanciò in aria.

La donna lo fissò.

“Io non vengo da nessuna parte” disse.

“Oh, sì che verrai. Anche a costo di costringerti e di trascinarti legato dietro alla macchina fino a Tokyo” disse la donna, con sguardo serio e deciso, il tono sibilante.



Kaede mollò la bicicletta in mezzo alla polvere della strada. Di corsa, si arrampicò in cima alla collina chiamando a gran voce Yohei, che si voltò verso di lui e si avvicinò.

“Dov’è Hanamichi?” domandò Kaede, con tono concitato.

“E’ andato a prendere delle cose al magazzino…” spiegò Yohei, asciugandosi il sudore dalla fronte con un braccio sporco di terra.

Kaede tremò: “Sto partendo” disse.

“Adesso?” domandò Yohei, sorpreso.

Kaede annuì.

“Hanamichi non tornerà prima di mezzora” disse Yohei.

Kaede chiuse gli occhi. Non poteva credere che non sarebbe riuscito a parlarci… sospirando rassegnato disse: “Allora gli dici che sono andato via, e che lo amo?” domandò.

Yohei fu sorpreso da quelle parole. Anche se era abituato a vedere l’enfasi dei loro baci, e la sera prima li avesse colti sul fatto, non aveva mai sentito dalle loro bocche uscire niente del genere, anche se avevano passato pomeriggi e pomeriggi insieme.

Sospirò: “Ascolta… sono stato tutta la notte con lui. E’ a pezzi” disse “E’ finita”.

Kaede tremò di nuovo: “Sì, ma…”.

“Io credo sia meglio non inferire ancora, Kaede” disse Yohei, con tono calmo. Voleva bene al moretto, ma era Hanamichi il suo migliore amico e voleva proteggerlo a tutti i costi.

Kaede sospirò, mentre sentiva le lacrime salirgli di nuovo agli occhi: “Va bene…” disse piano “Ma comunque gli dici che lo amo? Questo glielo dici, almeno?” domandò.

Yohei lo guardò per un attimo, poi annuì: “Va bene”.

A quel punto, il clacson di una delle macchine suonò. Kaede si accorse che sua madre l’aveva raggiunto e che sarebbero partiti immediatamente. Col cuore in gola, salutò Yohei e salì in macchina.



Quando Hanamichi tornò, mezzora dopo, Yohei gli corse subito incontro spiegandogli cosa era successo: “Mi ha detto di dirti che ti ama”.

Il cuore del rossino tremò nel petto e cominciò a correre come un toro impazzito, quindi si precipitò giù per la collina e montò al volo dentro il suo pick-up, partendo a tutta velocità verso la piantagione, ma trovando il cancello chiuso.

Ci schiantò contro la macchina, e il cancello di metallo nero tremò.

Uscì dalla macchina e fissò quella grande casa come in tralice, troppo sconvolto che il loro amore fosse davvero finito per sempre…



Hanamichi si disperò. Scrisse subito una lettera a Kaede, dicendogli che si era sbagliato e che voleva rivederlo, che era disposto a raggiungerlo ovunque lui fosse. Che gli mancava e che lo amava ancora.

Scrisse una lettera al giorno per un anno. Trecentosessantacinque lettere rimaste tutte senza risposta.

Trascorso un anno in cui non seppe nulla su Kaede, alla fine decise di scrivergli una lettera di addio e come da accordi, partì col suo amico Yohei per Nagoya. In quella grande città, così diversa dalla loro realtà di campagna, riuscirono a trovare lavoro come manovali in un cantiere che costruiva ponti e grandi palazzi. E fu proprio mentre era lì a saldare un pezzo di ferro con un altro, a dieci metri dal suolo, che Yohei lo chiamò a gran voce.

Sceso e raggiunto l’amico, dalla radiolina del cantiere sentirono la voce dell’imperatore annunciare che anche il Giappone era sceso in campo per la seconda guerra mondiale.

Sentendo quelle parole, Hanamichi e Yohei presero tacitamente una decisione e pochi giorni dopo erano anche loro arruolati tra i soldati al servizio della patria. Per due anni furono sbalzati ovunque servisse, poi alla fine si ritrovarono in prima linea a combattere il nemico.

Erano tutti lì a giocare a carte quando dal cielo si sentì un fischio sordo e cadde la prima bomba. Ne seguirono a centinaia, e Hanamichi si ritrovò a correre in mezzo a quelle macerie, ai corpi e ai detriti, chiamando Yohei a gran voce.

Alla fine trovò l’amico, riverso al suolo, con un grosso pezzo di legno infilato nello stomaco. Aveva l’occhio vitreo, e Hanamichi fu subito da lui: “Yohei…” lo chiamò.

Il ragazzo tossì, sputando sangue e spostando gli occhi sul rossino. Non riuscì a dire nulla, che la morte lo raggiunse.

Hanamichi pianse sul corpo dell’amico, distrutto, mentre intorno a lui continuava a scatenarsi l’inferno. Fumo, cenere, corpi martoriati e pezzi di essi che volavano ovunque. Scoppi e tuoni e gran rimbombo di echi stordirono Hanamichi fino a fargli perdere i sensi…



Kaede, dal canto suo, era ormai al terzo anno di università e non potendosi arruolare, aveva deciso di fare l’infermiere volontario per aiutare tutte quelle persone che combattevano per la sua patria anche al suo posto.

In tutti quei volti, in tutti quei corpi martoriati, lui vedeva Hanamichi. E in cuor suo sperava che prima o poi, sarebbe riuscito ad incontrarlo di nuovo…

Fu proprio mentre era al lavoro che dovette occuparsi di un uomo fasciato dalla testa ai piedi, con solo le labbra e gli occhi visibili.

Lo tirò su a fatica, per farlo bere, e come unica risposta ebbe quegli occhi curiosi nei suoi e la sua voce impastata dire: “Vuole uscire con me, bell’infermiere?”.

Kaede alzò un sopracciglio: “Ne riparliamo quando avrai l’aspetto di un essere umano…” disse, quindi lo rimise giù e se ne andò, pensando che fosse finita lì.

Seppe quanto si sbagliava circa un mese dopo quando, uscendo dall’università, trovò un ragazzo alto e bello, con degli insoliti capelli a punta, che con la divisa da militare e una bella macchina rossa lo aspettava con un cappello sotto al braccio.

Kaede fece finta di ignorarlo, ma il ragazzo non demorse e sfoderando il suo miglior sorriso, disse: “Adesso ho un aspetto normale! Possiamo parlare di quell’appuntamento?”.

Kaede si voltò a guardarlo.

Akira Sendo era un ragazzo molto bello, e nelle uscite che seguirono scoprì che era anche pacato e simpatico. Di una simpatia sottile e maliziosa, che lo divertiva. Era anche incredibilmente ricco, e questo era sicuramente un punto a suo vantaggio nel gradimento per i suoi genitori. Andavano spesso a ballare, e a teatro. Oppure uscivano con i cavalli nella piantagione della famiglia Sendo, trascorrendo piacevoli giornate in compagnia l’uno dell’altro.

Akira aveva provato molte volte a baciarlo, ma Kaede si era sempre ritratto.

Anche se apprezzava la compagnia di Sendo e sapeva benissimo quale fosse il suo fine, non se la sentiva di donargli qualcosa di fisico, oltre al tempo trascorso insieme.

Si ritrovò a considerare che si stava accontentando, sperando di trovare prima o poi qualcosa in Akira che gli cancellasse dal cuore Hanamichi.

Decise che Akira potesse andare bene per quello scopo, per tutte le qualità sopra elencate e perché, al contrario del rossino, piaceva moltissimo ai suoi genitori.

Talmente tanto che quella sera a cena, in quel bel locale con quella bella musica jazz e quell’ottimo cibo, erano lì a ridere benevoli con Akira. Sua madre, soprattutto, civettava allegra con quel bel ragazzo che era esattamente quello che aveva sempre sognato per lui.

Ad un certo punto, i suoi genitori si buttarono in pista e lui rimase da solo al tavolo con Akira che subito disse: “I tuoi genitori mi adorano…”.

“Sei riuscito in un’impresa titanica…” concordò, osservandoli ballare sfrenati.

“Beh, forse è per questo che sono così accondiscendenti con me” disse ancora Akira, sorridendo serafico.

“Ah, sì?” domandò Kaede, alzando un sopracciglio e guardandolo di sfuggita “E in cosa sarebbero così accondiscendenti?”.

“Beh, mi lasciano loro figlio senza nemmeno una protesta!” spiegò Sendo.

Kaede sorrise: “Prima dovresti chiederlo a mio padre… poi vediamo se sarai così tranquillo!”.

“Ma io l‘ho fatto!” disse subito Akira.

A quel punto Kaede si voltò verso di lui, sorpreso: “Cosa stai cercando di dirmi, Akira?” domandò. Nel petto, una pessima sensazione.

“Che ho chiesto il permesso di sposarti a tuo padre, e lui ha detto di sì” spiegò l’altro, col solito sorriso “Perciò…” disse, osservando gli occhi sbarrati di Kaede e tirando fuori dalla tasca un bell’anello d’oro bianco, liscio, con un brillantino incastonato in mezzo “Mi vuoi sposare, Kaede Rukawa?”.

Kaede sentì il cuore martellargli nel petto. Lo sentiva gridare: “NO! NO! NO!”, ma lui non lo ascoltò.

Perciò disse: “Sì”.

Subito Akira lo abbracciò forte, e altrettanto immediate furono le braccia dei suoi genitori che lo avvolsero felici.

In quel momento in cui tutti gli sorridevano e lo abbracciavano, Kaede pensò solo che l’unica cosa che i suoi occhi vedevano, mentre Akira pronunciava quella proposta, era stato il volto di Hanamichi…



Quando Hanamichi tornò a casa dalla guerra, sua madre corse ad abbracciarlo commossa. Subito lo trascinò in casa e gli mise tra le mani un foglietto giallo, rettangolare e piccolo.

“Cos’è?” domandò Hanamichi.

“Ho venduto la casa” gli disse la madre.

Hanamichi strabuzzò gli occhi: “Come hai venduto la casa?” domandò “Ma non te lo lascio fare!” disse.

“Ormai l’ho fatto” disse la donna risoluta “Con la tua indennità di guerra e un piccolo prestito in banca, sono certa che riuscirai a comprare e a risistemare la tenuta Inoue” disse.

“Ma… mamma!” disse Hanamichi. Era già emozionato per essere tornato, ma pure quella notizia…

“Ho sempre appoggiato la tua idea, e voglio che la realizzi” disse la donna, puntellando le mani sui fianchi.

“E tu?” domandò il rossino.

“Io vengo con te! Servirà pure che qualcuno pulisca il tuo casino, no?” rise lei.

Hanamichi la abbracciò con trasporto.

Così, il giorno seguente, lui e sua madre erano davanti alla piantagione Inoue.

Appena sceso dalla macchina e i suoi occhi si posarono su quella casa fatiscente, l’unica cosa a cui riuscì a pensare fu Kaede…



Una settimana dopo, Hanamichi era su un autobus diretto a Tokyo, per farsi approvare i progetti per la ristrutturazione. E mentre era lì a guardare fuori dal finestrino…

Lo vide.

Kaede.

Camminava vestito di bianco per le strade affollate e Hanamichi era incredulo, non riuscendo a capacitarsi che fosse davvero lui!

Così corse verso l’autista: “Si fermi, la prego!” disse.

“Non si scende fino all’arrivo” disse quello, annoiato.

Hanamichi si mise le mani nei capelli, quindi afferrò la manovella e aprì la portiera, scendendo di corsa dall’autobus, mentre alle spalle gli giunsero gli urli indignati dell’autista.

Ma a lui non importava. Lui deve vedere Kaede.

Perciò iniziò a correre, col cuore che gli martellava nel petto e nella testa…

Alla fine si dovette rendere conto che lo aveva perso. Kaede non c’era.


Forse, si disse, me lo sono solo immaginato…

Ma proprio in quel momento, voltandosi verso una vetrina di un bar, lo vide di nuovo. Era seduto a un tavolo e con lui c’era un bel ragazzo vestito con la giacca a doppio petto con i bottoni dorati. Era distinto e evidentemente ricco.

Lui invece era povero, con una camicia di cotone grezzo e i pantaloni troppo corti.

Vide Kaede sorridere a quel ragazzo, lo vide con uno sguardo sereno e al suo dito anulare quell’anello chiaro come il sole.

Il cuore di Hanamichi si sgretolò e gli occhi gli bruciarono furiosamente.

Kaede era andato avanti. Aveva trovato qualcuno da sposare. Da amare.

Kaede non pensava più a lui…



La ristrutturazione della casa fu un processo di gestione della rabbia, per Hanamichi. Si accaniva crudelmente contro le tegole da togliere, o agli infissi da schiodare, e si buttava a capofitto nella creazione delle parti nuove. Concentrarsi su tutto quello era l’unico modo per non pensare continuamente a quella scena in quel dannato bar, dove Kaede era così sereno tra le braccia di qualcun altro…

Stupidamente continuava a pensare che se finiva quella casa e la faceva così come avevano progettato, allora Kaede sarebbe tornato da lui.

Quei pensieri erano fugaci, dolorosi, e lui li scacciava con una martellata più forte contro l’ennesimo pezzo di legno, che gli rimbomba nel petto e attutiva un po’ il frastuono del suo cuore in frantumi…




…“Scusate” la voce dell’infermiera blocca il mio racconto “Scusate se vi interrompo!” ci dice “Ma è pronto il pranzo”.

“Oh” dico io “Allora dobbiamo andare” sorrido.

Così ci avviamo e in men che non si dica mi ritrovo a un tavolo con lui, che mi pone delle domande riguardo la storia: “Ma quindi tra loro era finita così? Non si rivedranno mai più?”.

“Non voglio mica rovinarti il finale!” rido, mentre poggio davanti a lui un piatto con del cibo che gli sono andato a prendere. Sono tenerezze che fanno parte di me, del nostro rapporto e a cui io non saprei mai rinunciare…



…Quando a Novembre la madre di Hanamichi morì, quella casa era tutto quello che gli restava.

La completò in tempi piuttosto brevi e in men che non si dica, la grande tenuta Inoue fu di nuovo in piedi, con un aspetto tutto nuovo.

Hanamichi però sentiva di odiare quella casa, desiderando anche darle fuoco, così decise di metterla in vendita. Per farlo, chiamò il giornale locale che gli fece una foto davanti alla tenuta, mettendola in prima pagina sul giornale come affare dell’anno.

A tutti gli acquirenti, Hanamichi però trovò sempre un difetto. C’era chi gli offriva troppo poco, ma anche chi, secondo lui, gli offriva troppo, e perciò non era così pazzo da lasciare casa sua in mano a degli sconsiderati.

Alla fine trovava sempre un pretesto per non venderla.

Per sfogare la sua frustrazione perenne, Hanamichi vogava tutte le mattine sul fiume, spingendo a più non posso, sperando che col sudore andasse via anche la frustrazione…



Kaede, dal canto suo, continuava a procedere con i preparativi per il matrimonio.

Era il giorno della prova del suo vestito, e sua madre aveva insistito per portare anche le sue nonne e tutte le sue zie, che facevano inevitabilmente una gran confusione. Erano tutte eccitate perché sul giornale si nominava il suo matrimonio definendolo l’evento della stagione. Sua madre, neanche a dirlo, era su di giri. Così tanto che gli allungò il giornale sotto il naso, mentre i sarti gli prendevano le misure, continuando ad elencare i nomi di tutte le persone facoltose che sarebbero intervenute.

Kaede afferrò il giornale stizzito, e lo aprì per intero, visto che sua madre aveva la pessima abitudine di tenerlo piegato in due.

Quando lo fece, i suoi occhi caddero su una foto in fondo alla pagina.

Si portò meglio il giornale davanti agli occhi e sì, dovette considerare, quello era proprio Hanamichi che aveva rimesso apposto la tenuta Inoue.

La testa di Kaede girò vorticosamente, quindi cadde a terra svenuto.



Kaede si ritrovò due ore dopo sdraiato nella vasca, con l’acqua bollente, a giocare con la livella dell’acqua calda con un piede, aprendola e chiudendola continuamente. In mano un bicchiere di vino rosso e sul viso un’espressione imbronciata.

Sulla sedia lì vicino, oltre l’asciugamano, anche il giornale e, soprattutto, la foto di Hanamichi.

Era diverso, più adulto e maturo, ma Kaede sentì di amarlo ancor di più.

Aveva disperatamente cercato di cancellare tutto quello, quel gigantesco sentimento, di seppellirlo perché lui era scomparso dalla sua vita e questo era un chiaro significato del fatto che non lo amasse più dopo quella litigata in quell’estate di tanti anni prima, ma Kaede sapeva di non poter comandare il suo cuore… anche se per tanto tempo aveva sperato che quell’amore scomparisse, lui era sempre lì. Non aveva mai dimenticato il calore dei suoi abbracci, la dolcezza dei suoi baci, la spontaneità del suo sorriso, la profondità dei suoi occhi color del cioccolato, la passione di quando avevano fatto l’amore… era stata la prima volta per entrambi, ed erano decisamente imbranati e timorosi, ma Kaede ne conservava un ricordo meraviglioso. Quelle mani tremanti che avevano lentamente scoperto il corpo l’uno dell’altro erano state la dimostrazione più vera del loro amore, bisognose di non ferirsi nemmeno per un secondo.

Kaede aveva disperatamente cercato di cancellare tutto quello. Aveva pianto per mesi e mesi, e se adesso ci pensava, a volte piangeva ancora. Anche in quel momento i suoi occhi bruciavano furiosamente…

Ma cosa poteva fare, ormai? Erano passati tanti anni, e le loro vite si erano separate.

Non aveva idea di cosa Hanamichi avesse fatto in tutti quegli anni, ma quel che era certo, è che lui adesso era promesso a un altro uomo.

Un uomo simpatico, spiritoso, che teneva a lui e che, essendo schifosamente ricco, la sua famiglia adorava. Un uomo che lo accettava, nonostante gli rifiutasse anche un semplice bacio.

Aveva promesso a quell’uomo che l’avrebbe sposato e non poteva tornare indietro.

Avrebbe disperatamente voluto provare amore per Akira, ma la verità è che quel bel ragazzo sempre sorridente era solo un ripiego. Un pallido sostituto di quella testa rosso fuoco che gli riempiva il cuore col suo ardore e che adesso lo fissava da quella foto in bianco e nero sul giornale.

Ma Hanamichi, l’uomo di quella foto, era lo stesso ragazzo di cui si era perdutamente innamorato?

Kaede avrebbe voluto disperatamente dimenticarsi di quella fotografia, ma quando i suoi occhi si posarono di nuovo su di essa, prese una decisione…



Il giorno dopo, Kaede fermò la macchina davanti il grande palazzo elegante e austero, quindi vi entrò. Ad attenderlo c’era la segretaria, che lo salutò con educazione e lo condusse all’interno dello studio: “Signor Sendo, c’è il signor Rukawa per lei…”.

Akira si voltò subito, con un largo sorriso ad abbellirgli il viso: “Kaede!” disse.

“Buongiorno…” rispose l’altro ragazzo. Poi, notando altri due uomini che erano già presenti nello studio, domandò: “Disturbo?”.

“Ma cosa dici!” disse Akira, alzandosi subito in piedi e andando di fianco a Kaede, carezzandogli una guancia “Tu non disturbi mai…” sussurrò.

Kaede sorrise.

“Ragazzi, vi dispiace se parliamo dopo?” domandò Akira “Adesso il mio fidanzato ha bisogno di tuta la mia attenzione!”.

I due uomini sorrisero, affermando che non c’era nessun problema, e salutando educatamente Kaede, uscirono.

Appena furono rimasti soli, Kaede parlò: “Ho deciso che andrò a Kanagawa per vedere qualche negozio di mobili. Starò via un paio di giorni” disse.

Akira lo fissò sorpreso: “A Kanagawa? Tokyo non ha negozi sufficienti?” chiese, ridacchiando, tornando seduto sulla sua bella sedia di pelle da presidente.

“Sì, ma lì ci sono mobili più particolari… più antichi. Mi piacerebbe un arredamento ricercato” disse, inventandoselo di sana pianta in quel momento. Era sempre stato bravo a mentire, quando gli occorreva…

Akira, però, era un ottimo osservatore, perciò con sguardo serio domandò: “Sei sicuro che non ci sia dell’altro?”.

“No” assicurò Kaede “Ma tre giorni di calma mi faranno bene”.

Akira sorrise: “Va bene, allora! Telefonami quando arrivi!”.

“Lo farò” disse lui, già pronto a correre alla macchina…



Hanamichi era nel granaio, che ormai era diventato il suo laboratorio, con tutti gli attrezzi che aveva rimesso apposto e che erano del padre, e altri che aveva acquistato per completare la casa. C’era ancora molto da fare, soprattutto riguardo al mobilio, ma l’esterno della casa era perfetto così come l’aveva sempre sognato.

Passò per l’ennesima volta la ballerina
(*01) sul piccolo pezzo di legno chiaro, consapevole che quella che stava preparando sarebbe stata l’ultima sedia per il tavolo della sala. Mancava ancora il tavolo, ma per quello aveva bisogno di grossi pezzi di legno dritti che ancora non era riuscito a trovare…

Nell’aria una musica jazz ritmata che mandavano alla radio. Ad Hanamichi sembrò quasi gli desse il ritmo giusto per lavorare.

Era lì da diverse ore quando sentì il rumore di una macchina nel vialetto.

Doveva venire un nuovo compratore a vedere la casa, ma non lo avrebbe fatto prima di cinque giorni… che avesse cambiato idea?

Spense la radiolina e uscì sulla strada.



Kaede uscì dalla macchina azzurro polvere e osservò subito la casa, schermandosi gli occhi dal sole con una mano.

Era enorme, più di quanto ricordasse. Aveva due piani e intorno correva tutto un porticato rialzato. Era totalmente bianca e le imposte erano blu.

Come lui aveva desiderato quella notte di tanti anni prima…

Gli si strinse il cuore, e sentì di amare quell’uomo ancora di più.

Ne fu ancor più consapevole quando, sentendo un rumore di passi, si voltò e lo vide.

L’immagine del ragazzino che aveva sempre conservato in quegli anni, fu sostituita da quella di un giovane uomo. In linea di massima era rimasto sempre uguale, ma adesso aveva la barba scura che gli dava un aspetto molto più maturo. La maglia di cotone a mezze maniche che indossava era sporca di segatura e di sudore, macchiata sotto le ascelle e al centro del petto.

Hanamichi lo fissava in silenzio, e Kaede si sentì nervoso. Perciò disse incerto: “Ciao…”.

Quel suono, quella voce, proprio la sua, fece destare Hanamichi. Kaede era ancora più bello di quanto ricordasse, ancora più bello di quando lo aveva visto di sfuggita in quel bar mesi prima. Era più bello di qualunque suo sogno ed era distinto e ben vestito, perfettamente coordinato alla macchina costosa che guidava. Hanamichi sentì di nuovo quella sgradevole sensazione di inadeguatezza che aveva provato in quel lontano pranzo alla piantagione salirgli allo stomaco.

“Alla fine l’hai presa la patente” disse il rossino. Non sapeva che senso avesse dirglielo, ma era l’unica cosa che gli era venuta in mente.

Kaede sorrise, sentendo la voce dell’altro essersi trasformata da quella di un ragazzino a quella di un uomo, più profonda e bassa: “Alla fine sì” disse, poi cambiò argomento, indicandolo appena: “Ti trovo bene” commentò.

Hanamichi annuì, pensando che non si sentiva in realtà molto in forma. In quel momento, gli tremavano le gambe.

Avrebbe voluto chiedergli perché fosse lì, perché fosse tornato nella sua vita adesso, ma non ne trovò il coraggio.

Fu Kaede a parlare per lui: “Ho visto la foto della vendita della casa sul giornale… c’eri anche tu, e volevo solo vedere come era venuta e se tu stavi bene”.

Hanamichi non rispose, continuando a fissarlo.

Non poteva crederci.

Non poteva crederci.

Non poteva crederci!

Il suo insolito mutismo, però, fece innervosire sempre di più Kaede che alla fine disse: “Beh…” inghiottì a vuoto “Adesso che so che stai bene, posso anche andare…” disse, aprendo la portiera della macchina.

Ricordava un Hanamichi chiassoso e chiacchierone, uno sempre pronto a sorridere… dov’era finito quel ragazzo?

Tremò.

“Vuoi entrare a vedere la casa?”.

La voce di Hanamichi lo sorprese.

Si voltò di scatto, col cuore in gola: “Sì…” sussurrò…




…Chiudo il piccolo quaderno di pelle e mi tolgo gli occhiali.

Lui mi guarda, confuso.

“Ho bisogno di riposare un attimo gli occhi” spiego.

Lui annuisce: “Questa storia…” dice “Mi sembra di averla già sentita altre volte…”.

“E’ così” annuisco, con il cuore che martella.

“Molte volte?” domanda.

Io sorrido: “Alcune volte” rispondo.

Con la coda dell’occhio vedo l’infermiera avvicinarsi: “Scusate se vi interrompo di nuovo” dice lei “Ma deve fare la sua visita” e mi guarda.

Io annuisco: “Va bene” rispondo, poi mi giro verso di lui: “Finisco di leggertela appena torno” assicuro “Ci metterò massimo una mezzora”.

Lui annuisce.

“Intanto potresti suonare il piano” gli dico.

Lui alza un sopracciglio: “Il pianoforte? Non so suonarlo”.

“Invece sì” sorrido “E sei anche molto bravo!”.



La visita con il dottore è veloce. Mi ricorda che ho avuto due infarti nell’ultimo anno e mezzo e che devo prendere due pillole alla mattina e cinque alla sera. Mi chiede come mi sento, e io gli dico che mi sento in forma. Certo, ho più di ottant’anni e una serie infinita di acciacchi, ma mi sento in forma per avere quest’età!

“Allora…” inizia il dottore, circospetto, facendo finta di leggere la mia cartella. Sono consapevole di ciò che vuole chiedermi, ma non mi scomodo ad anticiparlo. E’ divertente vedere il modo in cui ognuno di loro cerca di affrontare l’argomento con me cercando di farmi ragionare, ma cercando anche di rimanere il più comprensivi possibile… “Ho sentito delle sue letture…”.

Annuisco.

“Lei sa che la demenza senile è irreversibile, vero? C’è un punto della malattia in cui il malato alla fine non riesce più nemmeno a ricordare chi sia…” mi dice. Il tono è deciso, ma il suo sguardo è piena di comprensione.

“Lo so” annuisco di nuovo “Ma finché c’è una speranza, e anche dopo, io continuerò a leggere per lui” spiego.

“Non vorrei che lei si facesse illusioni …” mi dice il dottore. E’ giovane e prestante, senza fede.

“Lei è mai stato sposato, dottore?” domando.

“No” risponde lui, non capendo dove voglio andare a parare.

“Ed è mai stato innamorato tanto da volere il bene dell’altro prima del proprio?”.

Resta in silenzio per un attimo, poi ammette: “No”.

“Allora è normale che non capisca perché lui è tutta la mia vita. E se lui è qui, allora il mio posto è qui con lui” rispondo.

Mentre pronuncio quelle parole, sento arrivare una musica dalla sala dove l’ho lasciato. E’ la stessa musica romantica e malinconica che suonò la notte in cui facemmo l’amore per la prima volta. E’ l’unica musica che suona da quando è ammalato.

“Ora, se non le dispiace, devo tornare da mio marito…” dico, salutando il dottore con un inchino…



…“Ho visto l’anello”.

“Vai dritto al sodo…” commentò Kaede, sorseggiando il suo caffè dalla tazza bianca.

Erano seduti vicino ad una finestra, su due poltrone, con un tavolino in mezzo. La casa dentro era sistemata alla perfezione, ma era ancora spoglia di mobili.

“Chi è?” chiese Hanamichi.

“Akira Sendo” rispose Kaede.

“Sendo? Quelli del caffè?” domandò Hanamichi.

Kaede annuì.

A quel punto, il rossino non poté trattenere un sorriso beffardo: “I tuoi genitori lo venereranno come un Dio…” commentò.

Kaede lo guardò: “E’ davvero una brava persona, Hanamichi” disse. Il tono era piatto, non voleva dare nessuna inflessione particolare. Non voleva far credere ad Hanamichi che stesse difendendo Akira, ma non voleva neanche che Hanamichi pensasse male di una persona buona come Akira.

“Sei innamorato di lui?”.

La domanda gli uscì spontanea dalla bocca, ma fu come darsi un pugno in pieno stomaco. Perciò, prima di sentire la risposta, disse subito: “No, lascia perdere…” si alzò “Vuoi fermarti a cena?”.



Due ore dopo, erano ancora seduti al tavolino della cucina, con la cena ormai consumata. Stavano finendo di bere birra e vino, parlando.

“Io sono sazio” disse Hanamichi, posando la birra che stava sorseggiando.

“Hai mangiato fino a scoppiare…” rise Kaede. Certe abitudini non cambiavano, e come da adolescente, Hanamichi aveva appetito per venti.

Il rossino sorrise: “Ho lavorato ininterrottamente da stamattina. Ho anche saltato il pranzo, a parte un panino veloce…” disse.

“Avresti mangiato così comunque, perché sei fatto così” disse Kaede, in tranquillità, alzando appena le spalle, sorseggiando il suo vino rosso.

Hanamichi sorrise: “Certe cose te le ricordi ancora…”.

Kaede annuì: “Le cinque ciotole di riso a colazione è difficile scordarle…” sorrise.

Hanamichi rise, ma poi tornò serio e domandò: “Allora ti ricordi anche questa stanza?”.

Kaede fu sorpreso da quella domanda, e si guardò intorno. Vide il camino di marmo finalmente diventato bianco, liberato dai tanti e tanti strati di polvere. Quella vista gli fece balenare in mente un’idea, ma la accantonò subito. Dovette però ritirarla fuori quando vide il pianoforte in un angolo.

“E’ qui dove abbiamo fatto l’amore?” domandò, sorpreso, guardando Hanamichi, mentre alla mente riaffiorava la penombra, il suono dei loro gemiti e quel calore inebriante che lo aveva colto non appena Hanamichi era entrato in lui…

Il rossino annuì, quindi sorseggiò un altro sorso di birra.

E anche Kaede afferrò il suo vino, bevendone un lungo sorso, sperando di mascherare l’imbarazzo…



Dopo cena, si misero nel portico a leggere. Kaede si sdraiò sul dondolo, con una coperta sulle gambe che Hanamichi gli aveva dato, e quest’ultimo seduto a terra, con la schiena poggiata ad una colonna. Stava leggendo il suo libro di poesie. Ascoltando quel passo così triste, a Kaede uscì spontaneo dire: “Mi dispiace per tua madre…”.

“Sto leggendo Whitman. Adesso come adesso, è contenta di non esserci” rise Hanamichi.

E anche a Kaede scappò un sorriso, ricordando l’avversione della donna per quel poeta.

“Tua madre era una grande donna” disse il moro.

“Già, ma ci vedeva lungo…” commentò Hanamichi, con tono asciutto, ricordando le parole che sua madre gli rivolgeva sempre riguardo lui e Kaede: “
Non c’è futuro, figliolo. E’ meglio che te ne rendi conto prima di soffrirne per sempre”. Purtroppo non gli aveva dato retta…

Kaede intuì a cosa Hanamichi si riferisse, perciò parlò spontaneamente: “Questo non toglie il fatto che noi due ci amavamo davvero”.

Hanamichi lo guardò.


Io però ti amo ancora, avrebbe voluto dirgli…



Quando giunse il momento dei saluti, Hanamichi accompagnò Kaede alla macchina.

“Puoi venire qui domani mattina presto? Voglio farti vedere una cosa…” disse. Avrebbe voluto che andasse via, perché vederlo gli faceva male, ma al contempo voleva rivederlo a tutti i costi. Non poteva rinunciare a lui, perderlo di nuovo, non adesso che era di nuovo tornato nella sua vita…

Kaede lo fissò.

“Ti prego…” sorrise Hanamichi, nel primo sorriso sincero e spontaneo della serata. Uno di quei sorrisi che faceva da adolescente e che a Kaede fece rivedere un po’ del ragazzo che era stato un tempo in quell’uomo diventato così silenzioso… ma dopo la guerra e l’assistere alla morte di Yohei, dopo la morte della madre e la solitudine di quel luogo… Kaede non si stupiva di trovarlo così diverso.

“Va bene” annuì. Quindi montò in macchina e ripartì.



Kaede non fece in tempo ad aprire la porta della sua camera nell’albergo dove alloggiava, che il telefono squillò a gran voce.

“Pronto?” disse, afferrandolo mentre accendeva la luce.

“Kaede! Finalmente!”.

Il ragazzo rimase in silenzio. Quella voce… “Chi è?” domandò.

“Akira, chi vuoi che sia?” domandò l’altro, ridendo.

“Akira!” disse, mentre il cuore mancava un battito “Come sei riuscito a trovarmi?” domandò, confuso.

“A Kanagawa ci sono solo tre hotel… ho chiamato tutti chiedendo di te, e alla fine ti ho trovato” spiegò Sendo, con tono rilassato “Stai bene? Sono almeno venti volte che provo a chiamare, ma non c’eri mai…”.

“Sì… sì!” disse, con un attimo di incertezza nella voce. Stava bene? Non ne era sicuro… “Sono stato in giro tutto il giorno per negozi” mentì.

Akira rimase un attimo in silenzio, poi disse: “Solo questo?”.

Kaede sentì il cuore sobbalzargli nel petto: “Certo…” mentì ancora.

“Uhm…” disse Sendo, con un tono di chi non ci credeva fino in fondo “Allora ci sentiamo domani” concluse.

“Sì… a domani…” sussurrò Kaede, quindi mise giù.

Nel suo petto, solo una gran sensazione di colpa. Gli dispiaceva terribilmente mentire, ma non poteva di certo dirgli la verità! Cosa avrebbe pensato? E che spiegazioni avrebbe dato? Nemmeno lui sapeva bene perché era lì…



Hanamichi aspettava Kaede nel granaio, continuando a lavorare. Era rimasto sveglio gran parte della notte a pensare e si era addormentato solo preso dalla sfinimento.

Nella sua mente, un unico pensiero: Kaede.

Era meraviglioso, più di quanto ricordasse, più di quanto sperasse. E per questo lo odiava, perché era ancor più difficile dimenticarsi di lui…

Ma ci sarebbe mai riuscito davvero? Erano anni e anni che lo amava comunque… anche se lui stava per sposare un altro…

A quel pensiero, il suo cuore si contorceva in dolorosi spasmi, rendendolo incapace di respirare.

Davvero Kaede avrebbe sposato un altro uomo? Non poteva crederci…

Si asciugò gli occhi e il sudore, mentre sentiva la macchina di Kaede arrivare nel vialetto. Lo vide entrare nel granaio e ammirare i mobili che stava finendo di costruire.

“Ciao” disse, da sopra il soppalco in cui teneva il legno.

Kaede alzò la testa a guardarlo, sorridendogli.

“Dobbiamo andare… tra poco pioverà” disse Hanamichi, scendendo con un balzo.



Salirono sulla canoa di Hanamichi, con lui come unico vogatore, quella stessa canoa con cui sfogava il suo malcontento ogni mattina per dimenticarsi di Kaede. E invece, quella volta, Kaede era lì, seduto di fronte a lui, e lui lo stava portando in un posto magico…

L’espressione di Kaede, quando vide il posto il cui lo aveva condotto, lo ripagò e gli confermò di averlo davvero sorpreso.

“Questo posto…” sussurrò il moro “E’ meraviglioso…” disse, guardandosi intorno estasiato, a bocca socchiusa.

Hanamichi annuì: “Sì, davvero meraviglioso…” sussurrò, fissandolo intensamente. Sì, Kaede era veramente meraviglioso…

Il moro sorrise, continuando ad ammirare il paesaggio. Erano in mezzo al nulla, circondati da alberi secolari che uscivano direttamente dall’acqua e che alcuni rami pieni di foglie ricongiungevano, sfiorandone la superficie. Nell’aria solo il silenzio e il frusciare delle fronte, unito al rumore sordo e continuo del verso delle anatre. Ce n’erano a migliaia, tutte a nuotare placidamente intorno a loro. Erano bianche e con i becchi arancioni ed erano così tantoe che sembravano loro stesse l’acqua del lago. Kaede non poteva credere che esistesse un posto come quello, così magico…

“Com’è insolito che siano tutte ferme qui…” sussurrò.

Hanamichi annuì: “Anche io me lo chiedo spesso, perché in teoria adesso è il momento della migrazione…” disse.

“E dove sono dirette?” domandò Kaede, sporgendosi un poco dalla barca per osservare meglio un anatroccolo un po’ spennacchiato.

“Tornano nella casa da dove sono venute…” rispose Hanamichi, non cambiando espressione, ma continuando a fissarlo dritto negli occhi. Kaede capì che parlava anche di lui.

Il moro si sentì in imbarazzo, e non seppe trovare le parole per dire qualcosa… l’unica cosa che pensò è che quell’uomo che aveva davanti era troppo composto e serio. Dov’era finito il suo Hanamichi?

“Sei una persona diversa, adesso…” disse, senza pensare.

“Ah, sì?” domandò Hanamichi, dando una spinta nell’acqua con i remi, lentamente.

“Sì…” sussurrò Kaede, stringendo un poco gli occhi per fissarlo meglio “L’aspetto, ma anche il tuo carattere…”.

“Tu invece mi sembri sempre uguale…” commentò il rossino, guardandosi intorno.

Kaede sorrise: “In fondo, penso che anche tu sia rimasto sempre lo stesso…”.

“Il ragazzo di una volta, intendi?” domandò Hanamichi, continuando a vogare lentamente, mentre da lontano sentiva i tuoni avvicinarsi. Dovevano rientrare…

“Sì. Il tuo aspetto è più adulto, e il tuo carattere è più serio, ma in fondo penso che tu sia sempre la stessa persona di un tempo…” spiegò. Il sorriso della sera prima, quando lo aveva pregato di tornare, gli aveva confermato che sotto quegli strati di durezza, si nascondeva ancora quel cuore incredibilmente buono di cui si era innamorato…

“Dobbiamo andare, tra poco pioverà” disse solo Hanamichi, cominciando a vogare con più energia.

Ben presto si ritrovarono fuori da quel magico angolo di Paradiso, di nuovo nel nulla dell’acqua, con solo le montagne lontane a fargli da contorno e in lontananza, piccola come un puntino bianco nel verde, la casa.

Hanamichi vogava con forza, mentre il cielo si faceva sempre più nero e i tuoni sempre più forti.

Kaede si guardava intorno, per vedere quando avrebbe cominciato a piovere… e non dovette aspettare molto, perché poco dopo cominciò un vero e proprio diluvio, senza preavvisato da goccioline. Subito, caddero tonnellate d’acqua dal cielo.

Hanamichi si fermò un attimo, ad osservare l’acqua bagnarlo da capo a piedi, e quindi osservò Kaede, fradicio a sua volta.

“Hanamichi!” disse, indicandogli i remi immobili, cercando di coprirsi la testa con le braccia.

Il rossino lo trovò comico, in quella sua disperata ricerca di un modo per coprirsi e, inaspettatamente, come non accadeva da non seppe più neanche lui quanto tempo…

Rise.

Di cuore.

Kaede lo fissò per un attimo basito, ma poi attaccò a ridere anche lui, come non gli succedeva da quella lontana estate in cui era con Hanamichi e il Mondo sembrava solo pieno di loro.

Risero guardandosi negli occhi e Hanamichi seppe in quel preciso istante di amarlo alla follia, così come Kaede seppe che non si era sbagliato, che in quell’uomo viveva ancora il ragazzo di un tempo…



Quando giunsero al molo, Hanamichi saltò subito su a fissare la barca con una corda, quindi tirò su Kaede e trascinò sopra al molo di legno la canoa, affinché la corrente non rischiasse di portarla via.

Kaede fece per tornare dentro casa, ma la domanda che da anni covava dentro di lui, decise di prender voce proprio in quel momento. Perciò, voltandosi di scatto verso Hanamichi, in piedi davanti a lui su quel molo di legno, zuppi fradici dalla pioggia, urlò: “Perché non mi hai mai scritto niente?”.

Hanamichi lo fissò basito: “Cosa?” domandò, con un filo di voce.

“Sei sparito! Non mi hai mai scritto nemmeno uno schifo di biglietto!” urlò ancora Kaede, mentre l’acqua gli appannava la vista “Per sette anni ho aspettato che tu ti facessi vivo e adesso… adesso non c’è più tempo!” urlò ancora “Per me la nostra storia non finì quella notte!”.

Hanamichi sentì la testa vorticare, mentre la pioggia gli entrava nel naso e nella bocca. Si sentiva confuso e perso, e con voce incerta, disse: “Ma io ti ho scritto! Ti ho scritto tutti i giorni per un intero anno!”.

Kaede fu come colto da un fulmine: “Cosa?” domandò, con un filo di voce “Mi hai scritto?”.

“Sì…” annuì Hanamichi “Nemmeno per me era finita…” sussurrò “E non è finita neanche adesso!”.

Il bacio fu impetuoso e carico di desiderio, di trasporto, di sofferenza.

I baci che si scambiarono da quel momento in poi, furono un insieme di infinite emozioni che li aveva atterrati in tutti quegli anni e che adesso potevano finalmente uscire allo scoperto.

Era amore e passione, rimpianto e sofferenza.

Erano di nuovo le gambe di Kaede allacciate dietro la sua schiena.

Erano di nuovo le braccia di Hanamichi che lo stringevano forte.

Era quel desiderio bruciante che non li fece separare nemmeno per un istante, in tutto il tragitto fino a casa, nel corridoio, su per le scale, poi fino al letto.

I vestiti erano stati abbandonati, completamente fradici, in vari punti di casa.

Adesso erano nudi l’uno sopra l’altro e se sette anni prima erano impacciati e goffi, adesso riuscivano a toccarsi senza esitazione, desiderosi solo di recuperare il tempo perduto.

Hanamichi lo toccava in ogni più piccola parte del suo corpo, assaporandone ogni centimetro, baciandone ogni angolo.

Kaede lo abbracciò forte, stringendoselo al petto mentre Hanamichi entrava in lui e lo possedeva con una passione bruciante e totalizzante, con la netta sensazione che finalmente, dopo così tanto tempo, era di nuovo completo…



Fecero l’amore infinite volte, in varie parti della casa, soprattutto la sera di fronte al camino, sdraiati per terra, in quello stesso posto che li aveva visti unirsi per la prima volta…

Poi tornarono a letto e lì lo fecero ancora, incapaci di fermarsi e di smettere di desiderarsi…

Quando la mattina sorse, Kaede si svegliò da solo nel letto, lì vicino solo un biglietto di Hanamichi che gli diceva di essere andato in città a comprare la colazione e che sarebbe tornato presto. Inoltre, gli raccomandava di seguire le frecce.

Kaede si alzò a sedere confuso, notando solo in quel momento delle frecce di carta attaccate a terra, sul pavimento di legno.

Si avvolse nella coperta rossa e, rimanendo del tutto nudo sotto, cominciò a correre per casa. I passi lo portarono al piano di sotto, poi alla porta. Rimase un attimo confuso a guardarla, poi la aprì e seguì le altre frecce che facevano il giro di metà del portico, fino al retro della casa, dove c’era il granaio. Vi entrò, seguendo le frecce, e lo attraversò fin oltre la porta sul fondo, che aprì lentamente.

A quel punto, rimase senza parole.

Dietro il granaio, così come lui aveva chiesto, c’era un campetto con i due canestri, uno montato su un palo nel terreno e l’altro direttamente sulla facciata del granaio. Il cuore gli si strinse forte di fronte a quell’ennesimo gesto d’amore, e non poté credere che avessero sprecato così tanto tempo…

Afferrò la palla poggiata lì vicino, e se la rigirò un poco tra le mani… stava per lanciare quando avvertì le ruote di una macchina sul vialetto. Subito lasciò la palla e corse di nuovo dentro il granaio e poi fuori, verso la strada, pensando di andare subito a ringraziare Hanamichi con un bacio.

Quello che vide, però, non era il pick-up nero di Hanamichi, ma bensì la macchina gialla di sua madre, con lei a bordo che lo guardava con un’espressione indecifrabile. Gli passò uno sguardo da capo a piedi, capendo in un solo istante cosa fosse successo tra il figlio e Hanamichi.

Si sedettero nel portico, con lui ancora stretto nella coperta rossa, a fissare in cagnesco sua madre.

“Parliamo delle lettere che mi hai tenuto nascoste…” ringhiò.

“L’ho fatto per il tuo bene, perché per te volevo il meglio” disse risoluta la donna.

“Il mio bene? Il meglio? Ma sei impazzita, mamma? Mi hai rovinato la vita!” sbottò.

“Non fare la vittima! Venendo qui sapevi benissimo che ci saresti ricascato con tutte le scarpe!” sbottò a sua volta sua madre.

“Certo che lo sapevo! Perché io ancora lo amo esattamente come allora!” urlò Kaede.

“Allora non dovevi dare ad Akira la tua parola!” rispose lei, con tono piatto, aggiustandosi la giacca del completo chanel che portava.

“Pensavo che Hanamichi si fosse dimenticato di me, che per lui non avessi contato null’altro che come una storia estiva…” sospirò con dolore, poi di nuovo la rabbia: “E tutto questo perché tu mi hai nascosto le sue lettere!”.

“E’ vero, ho sbagliato…” annuì sua madre con un sospiro pesante “Ma se sono qui è per avvertirti che sta arrivando Akira. Tuo padre gli ha raccontato tutto e visto che è un giorno e mezzo che non riesce a parlare con te, ha fatto due più due…” spiegò la donna.

“Fantastico…” sbottò Kaede.

Che situazione terribile…

“Vestiti. Devo mostrarti una cosa…” disse la donna, alzandosi e dirigendosi verso la macchina.

“Io con te non vengo da nessuna parte!” ringhiò Kaede.

“Vestiti” ripeté sua madre “E’ una cosa che serve più a te che a me… voglio che tu sappia, affinché tu non abbia rimpianti in futuro”.



Sua madre guidò fino alla segheria del paese, dove si fermarono.

“Perché siamo qui?” domandò Kaede, guardandosi intorno.

“Guarda quell’uomo laggiù…” disse sua madre, indicando un signore di mezz’età che caricava carbone dentro la fornace “Un tempo io e lui eravamo follemente innamorati…” disse ancora la donna, facendo sobbalzare Kaede dalla sorpresa “Ovviamente i miei genitori non erano affatto d’accordo, così decidemmo di scappare… facemmo pochi chilometri e ci riacciuffarono…” finì di raccontare, con un sorriso di compassione per se stessa sulle labbra.

“Perché mi dici questo?” domandò Kaede, confuso, ma con tono calmo per la prima volta da quando l’aveva vista.

“Perché a volte mi ritrovo a pensare a come sarebbe stata la mia vita se avessi mandato al diavolo i miei genitori e fossi rimasta con lui…”.

Kaede inghiottì sonoramente.

“Io amo tuo padre, Kaede, davvero… perché sono stata in grado di lasciarmi il passato alle spalle” disse sua madre, voltandosi per la prima volta a guardarlo, con gli occhi lucidi di pianto trattenuto “Ma a volte mi chiedo cosa sarebbe successo se avessi seguito il cuore, e mi rendo conto che la mia vita mi da tutto quello di cui ho bisogno… che con tuo padre al mio fianco, a me non manca niente… che quel giorno, quando scelsi di rinunciare, feci bene” disse lei, annuendo a se stessa “E’ questo che voglio che tu faccia, Kaede… che ci pensi bene. Perché da questa decisione dipenderà tutto il resto della tua vita”.

Dopo quell’insolita confidenza di sua madre, tornarono indietro e passarono davanti all’hotel dove alloggiava Kaede, vedendo la macchina rossa di Akira parcheggiata lì fuori.

Quindi raggiunsero di nuovo la tenuta Inoue e mentre fermavano la macchina, videro Hanamichi uscire dal portone e fermarsi sul portico a guardarli.

Kaede si voltò verso sua madre, e per la prima volta da parecchio tempo, ebbe voglia di abbracciarla. Sua madre, in fondo, per tutti quegli anni, anche se con dei modi che per il ragazzo erano del tutto sbagliati, aveva solo cercato di proteggerlo…

“Prima di andare, apri il bagagliaio” gli disse sua madre.

Kaede fece come gli era stato detto e in fondo al piccolo bagagliaio vide un accumulo di lettere legate tra loro con un nastro di raso verde scuro. Allungò la mano tremante, e afferrò quel plico con la stessa delicatezza con cui si tocca una reliquia preziosa.

Sua madre le aveva conservate tutte, una a una. Le trecentosessantacinque lettere che Hanamichi aveva scritto per lui…

Appena chiuse il bagagliaio, sua madre ripartì immediatamente, e lui si diresse verso la veranda stringendosi al petto quel plico.

Appena salì gli scalini e arrivò vicino ad Hanamichi, si sedette a sua volta su una delle belle sedie bianche di legno con i cuscini blu di cotone. Le lettere le appoggiò alle gambe, e le accarezzò un attimo.

“Alla fine le hai ricevute…” commentò Hanamichi, asciutto.

Sapeva che la presenza della madre avrebbe cambiato tutte le carte in tavola. Non si era illuso che le cose sarebbero andate come lui desiderava, ma adesso le cose erano ancor più difficili di quello che credeva…

“Meglio tardi che mai…” commentò Kaede. Poi non seppe trattenersi: “Akira è all’albergo. Ha scoperto di quello che c’è stato tra noi”.

Hanamichi lo fissò. Avrebbe voluto gridare, ma cercò di trattenersi: “E quindi cosa hai intenzione di fare?”.

Kaede lo fissò.

Cosa voleva fare? Non riusciva più a capirlo… le parole di sua madre lo avevano confuso. Che strada doveva prendere? Quella che tutti volevano per lui? O quella che tutti gli sconsigliavano? Era davvero una decisione da cui dipendeva tutto il resto della sua vita…

Quel silenzio, diede più risposte di quante ne volesse, e Hanamichi si alzò in piedi di scatto, dando un calcio alla sedia e rovesciandola: “DANNAZIONE!” urlò “Possibile che ogni volta che quella donna si presenta tu cambi idea?”.

“Cosa?” domandò Kaede, con tono concitato “Io non ho cambiato idea neanche per sogno!”.

“Ah, no?” domandò Hanamichi, furioso “E allora che diavolo sei venuto a fare qui? Cosa hai fatto a fare l’amore con me se poi volevi comunque tornare da quell’uomo?” urlò.

“Io gli ho dato la mia parola!” urlò Kaede, alzandosi a sua volta.

“Non credi che a questo punto la tua parola non valga un accidente?” urlò ancora Hanamichi.

Ci fu un attimo di silenzio, in cui riuscirono ad avvertire solo i respiri accellerati.

“Devo parlare con Akira” sibilò Kaede.

Nel cuore di entrambi, un tumulto senza sosta.

Kaede si sentiva dispiaciuto e combattuto, incapace di capire se quello che aveva vissuto con Hanamichi fosse solo un pallido riflesso di un ricordo che aveva del passato o se fosse davvero tutto reale.

Hanamichi era furioso e si sentiva ferito. Per l’ennesima volta, i soldi erano il problema.

“Lui può darti il denaro” sibilò “Al contrario di me, lui è ricco sfondato. Ecco il punto” disse.

“C… COSA?” domandò Kaede, sconvolto “Ma per chi mi hai preso?”.

“Per quello che mi fai vedere di essere!” sbraitò Hanamichi.

A quel punto, Kaede era furioso. Si strinse le lettere al petto e camminò velocemente diretto alla macchina, continuando ad insultare Hanamichi con rabbia: “Brutto imbecille… pezzo di idiota… l’ho sempre detto che sei un Do’aho e lo confermo ancor oggi, dannazione!”.

“Quindi stai scappando di nuovo?” disse Hanamichi, correndogli dietro, chiudendo di scatto la portiera della macchina che Kaede aveva aperto.

“Non credo proprio! Me ne sto andando, semmai!” sibilò.

Non vuoi restare con me?” domandò Hanamichi.

Restare con te?” domandò Kaede, sconvolto “E per fare che cosa? Stiamo già litigando!”.

Hanamichi lo fissò, girandolo verso di se tirandolo per un braccio: “Sì, noi siamo così. Noi litighiamo! Tu dici a me che sono un arrogante figlio di puttana e io ti dico quando sei un rompi coglioni. E lo sei, il novantanove per cento del tempo. E non ho paura di offenderti! Tanto ti bastano due secondi di recupero per passare alla rottura di coglioni successiva…” disse.

Kaede lo fissò, il cuore in gola.

“Non dico che sarà facile, perché non lo sarà, anzi… sarà sicuramente molto difficile e dovremmo lavorarci ogni giorno… ma io voglio farlo, perché io voglio te…” la voce gli tremò, e Kaede sentì le lacrime salirgli agli occhi e nella gola formarsi un nodo “Io voglio tutto di te, per sempre. Io e te, ogni giorno della nostra vita!”.

Hanamichi aveva parlato tutto d’un fiato, con tutto il bisogno di lui che riuscì a trovare e lo fissò intensamente negli occhi. Il cuore era rotto nel suo petto e lui glielo stava donando, a palmo aperto.

Kaede tremò un attimo, impercettibilmente, quindi alla fine pianse. Sentì una lacrima bruciargli la guancia e tremò ancora.

“Devi prendere una decisione, Kaede…” sussurrò Hanamichi, non ricevendo reazioni da parte sua, con un tono sfinito “Devi decidere cosa vuoi farne della tua vita… e lo devi fare per te stesso, non per gli altri… devi capire cosa vuoi tu e cosa vuoi dalla tua vita… chi vuoi, se me o Sendo”.

Kaede scosse la testa, mordendosi le labbra, sperando che le lacrime smettessero di scendere.

“Come ti vedi tra cinquant’anni? Chi c’è al tuo fianco? Se vedi lui, allora vai…” disse ancora il rossino “Mi hai abbandonato una volta, e sono sopravvissuto. Ce la farò anche stavolta…”. Il tono piatto e sconfitto, di chi ormai ha perso tutto “Ma devi decidere. Che cosa vuoi, Kaede?”.

Il moretto lo fissò. Le labbra gli tremarono, ma con voce impastata parlò: “Devo parlare con Akira”, ripeté.

Hanamichi sentì una lama trafiggerlo nel centro del petto, quindi annuì a denti stretti e si girò, tornando verso casa. Sentì quasi subito la portiera venire aperta e poi chiusa, il motore accendersi e quindi Kaede andarsene, per l’ennesima volta, dalla sua vita…



Kaede pianse per tutto il tragitto. La strada gli si annebbiava davanti, coperta dalle lacrime, e lui cercò disperatamente di scacciarle via con una mano. Strinse forte gli occhi e in quel momento, la sua macchina invase la carreggiata nella direzione opposta mentre sopraggiungeva un grosso furgone. I riflessi lo aiutarono per un soffio a girare il volante e, sbandando, finì fuori strada. Inchiodò spaventato e singhiozzò, stringendo forte il volante tra le mani, cercando di calmare il respiro. Quindi afferrò il plico di lettere con mani tremanti e slacciò il nastro, afferrando la prima che si ritrovò tra le mani.

La aprì, e cominciò a leggere:

Mia adorato Kaede,
questa notte è stata difficile, perché mi sono svegliato spaventato dalla consapevolezza che tra me e te è tutto finito.
Non so dove tu sia, o se mai ci rincontreremo, ma se ciò dovesse avvenire, vorrei che nella nostra nuova vita ci salutassimo sorridendo, felici di rivederci.
Io ti ho amato sul serio, Kaede. Di un amore puro e totalizzante…
Ricorderò la nostra estate trascorsa insieme come un regalo prezioso che la vita mi ha donato, dove ho avuto la fortuna di amarti e essere amato da te, dove ho potuto crescere con te e vedere le meraviglie del Mondo attraverso i tuoi occhi.
Mi hai insegnato ad amare, a sentire il cuore bruciare come una fiamma ardente, a vedere che il Mondo è migliore se posso esplorarlo con te al mio fianco. Ho capito che tu mi hai insegnato tutto questo, in questa breve estate insieme, e speravo di potertelo insegnare a mia volta…
Ovunque tu sia, sappi che ti amo.
Ora e per sempre.
Con tutto il mio amore,
Hanamichi”…



…Siamo seduti sulla panchina del molo di legno, uno vicino all’altro.

Lui ascolta la storia con molta attenzione, e vedo che ha uno sguardo triste. Infatti, le sue parole me lo confermano: “Questa storia mi mette tristezza…”.

Io sorrido: “So che ti senti perduto, adesso, ma non ti preoccupare. Niente è perduto o può essere perduto. Il corpo è lento, freddo, vecchio, cenere rimaste ai fuochi d’un tempo. Ma tornerà a splendere ancora…”.

Lui mi guarda con circospezione: “L’hai scritta tu?”.

Io sorrido: “No, è di Walt Whitman”.

“Ho come l’impressione di conoscerla…” sussurra Lui.

Io sorrido: “Sono certo che sia così…” sussurro.

Quindi mi alzo e lo aiuto ad alzarsi a sua volta, avvicinandoci alla grande casa. Ormai il sole sta per tramontare e la temperatura è scesa. Lo accompagno fino nella sua grande stanza, dove c’è un tavolino apparecchiato per due. Ci sono delle candele, e dei fiori, e fuori dalla finestra il sole sta tingendo di rosa il cielo.

Vedendo il suo smarrimento, mi affretto a dire: “Va bene se mangiamo qui? Mi sono fatto aiutare dalle infermiere… odio la mensa” mento sorridendo.

Lui mi guarda: “Certo” dice.

A quel punto, gli scosto la sedia e lo faccio accomodare. Quindi mi siedo di fronte a lui. Gli verso del succo d’uva e lui sorride, osservando il gran quantitativo di pillole che devo assumere ogni sera.

“I contro della vecchiaia” dico, tranquillo.

Lui si sporge in avanti: “Ma insomma… com’è finita tra quei due?” mi chiede, con tono ansioso e occhi curiosi.

Io lo fisso, sorridendo…



…Quando la macchina di Kaede si fermò davanti all’hotel, dietro quella di Akira, la prima cosa che il ragazzo fece fu cercare di asciugarsi gli occhi rossi. Se li stropicciò, asciugando le lacrime, ma si rese conto che quell’aspetto terribile non poteva cambiare. Non in poco tempo, almeno…

Perciò fece un profondo respiro e uscì dalla macchina, entrò in albergo e salì nella sua camera dove, appena entrato, vide Akira seduto sul letto che lo fissava.

Kaede sospirò pesantemente, quindi si sedette vicino a lui. Guardandolo dritto negli occhi, con poche parole, gli raccontò quanto successo.

Akira si era alzato poco dopo e per tutto il tempo non aveva fatto altro che camminare avanti e indietro per tutta la stanza, con lo sguardo sempre più torvo.

Quando calò il silenzio, Akira si voltò a guardarlo: “O lo ammazzo, o ti lascio” disse.

Kaede lo guardò, senza proferire verbo, a labbra strette.

“Se lo ammazzo, poi mi sentirò meglio. Se ti lascio, starò uno schifo” analizzò Akira “La somma di entrambe le cose, però, è che io non avrò più te…” sospirò “Quando ti ho chiesto di sposarmi ero serio come non lo sono mai stato, Kaede”.

“Lo so…” sussurrò lui. Si sentiva un verme…

“Ma io non voglio convincerti che devi stare con me, perché non avrebbe senso!” sbottò Sendo.

“Ma tu non devi convincermi…” sussurrò Kaede, afferrandogli la mano e facendolo sedere vicino a lui…




…“E vissero per sempre felici e contenti…” dico, chiudendo pesantemente il quaderno di pelle.

Ma chi?” domanda lui “Chi visse?”.

Lo fisso in silenzio. Apro un attimo la bocca, ma la richiudo subito. Osservo i suoi occhi fissarmi curiosi, poi confusi. Infine distoglie lo sguardo.

Io attendo, col cuore in gola, e quando i suoi occhi sbarrati si posano nei miei, so che il Miracolo è avvenuto. Stavolta, il Miracolo si è compiuto…



…Hanamichi venne svegliato dal rumore di una macchina sul vialetto. Era riuscito ad addormentarsi da pochi minuti, cadendo in una sorta di limbo dove il dolore pareva essere solo un brutto sogno, invece che la realtà…

Con ancora la coperta rossa, piena dell’odore di Kaede avvolta intorno alle spalle, uscì sul terrazzo della camera di corsa, guardando giù.

Quello che vide fu una macchina azzurro polvere e subito dopo Kaede che ne scendeva.

Si sentiva confuso, ma quando vide che il moretto lo guardava, valige alla mano, sorrise.

Corse di sotto e perdifiato, col cuore in gola, e spalancò la porta.

Subito Kaede mollò a terra le due valigie e gli corse incontro, affondando nel suo abbraccio e facendosi avvolgere dalle sue braccia e dalla coperta rossa.

“Ti amo…” sussurrò il moro, abbracciandolo forte, affondando il volto nel suo collo “Te e nessun altro…”.

“Anch’io ti amo… Kaede… Kitsune… ti amo…” sussurrò Hanamichi, stringendolo più forte che poteva…




…Con voce tremante mi dice: “Era… eravamo… eravamo noi”.

Dal mio cuore si sposta un macigno enorme.

Sento le lacrime salirmi agli occhi e con voce emozionata dico: “Sì, amore, eravamo noi…” sussurro, alzandomi in piedi e avvicinandomi subito a lui, baciandogli le mani e il viso, quindi le labbra. Lo abbraccio forte, e lui ricambia prepotente la stretta.

Rimaniamo stretti a respirare l’uno l’odore dell’altro, in preda ai ricordi… poi la sua voce, un debole filo tremolante, mi domanda: “Perché non riesco sempre a ricordare?”.

“Non preoccuparti, amore… delle volte ci riesci…” sussurro, baciandolo ancora.

“Quanto tempo abbiamo di solito?” mi chiede, poggiando la sua fronte sulla mia e carezzandomi lieve una guancia col pollice.

“L’ultima volta sono stati solo pochi minuti…” sussurro, col cuore che batte all’impazzata.

Lui annuisce.

“Ma ho una sorpresa per te…” sussurro, mentre allungo una mano al tavolo e faccio partire la piccola radio che subito diffonde una canzone a noi tanto cara, la stessa canzone jazz che ballammo quella lontana notte di sessantacinque anni fa, in mezzo alla strada, dopo essere stati quasi investiti da una macchina…

Lui si alza e la balliamo stretti, abbracciati come all’epoca, assaporando il momento e il profumo l’uno dell’altro.

“Ti amo, Hanamichi…” mi sussurra piano “Sempre, anche quando non sono con te…”.

“Lo so, amore… anche io ti amo…” sussurro a mia volta, baciandogli un orecchio, mentre continuiamo a muoverci lentamente.



Continuiamo a ballare per qualche altro momento, fino a che lui non si stacca da me e mi dice: “E’ bella la storia che leggi per me… mi sarebbe piaciuto viverla sulla mia pelle…” sussurra.

Io chiudo gli occhi.

Il macigno è tornato più grande di prima.

Sento tutta la pesantezza di questa situazione piombarmi di nuovo sulle spalle e irrazionalmente mi domando perché sia toccata proprio a noi, perché dobbiamo essere proprio noi due ad affrontare tutto questo!

E probabilmente è il dolore che mi fa parlare, perché dico una cosa che so con assoluta certezza che non avrei dovuto dire: “Amore, non dire così…”.

Kaede si stacca da me con sguardo duro, indagatore, rigido come uno stoccafisso: “Amore? Perché mi hai chiamato amore? Dovrei conoscerti?” mi domanda, allontanandosi sempre di più da me.

“No… Kaede, ti prego…” sussurro, stremato e vinto dal dolore.

Ma è la mossa sbagliata, perché Kaede prende ad urlare: “AIUTO! AIUTOOO!”. La sua voce è stridula e folle e la mia testa gira.

Subito arrivano le infermiere che cercano di calmarlo ma non riuscendoci, sono costrette a dargli un sedativo, inserendo il grosso ago della siringa sulla sua spalla.

Io mi copro gli occhi, perché non voglio vedere, perché è troppo doloroso vederlo in quelle condizioni… cerco di nascondermi in un angolo buio, e alla fine scappo.

Mi rifugio nella mia camera, con ancora l’immagine di Kaede devastato, e afferro dal cassetto del comodino l’album fotografico della nostra vita insieme. Lo sfoglio lentamente, vedendo, ad ogni giro di pagina, il nostro aspetto cambiare con l’età. Kaede lo ha creato apposta per me, affinché io potessi vedere le sue foto preferite di tutti i nostri momenti insieme…

Abbiamo avuto un matrimonio felice e pieno, fatto di grandi gioie. Anche grandi litigare, ma noi eravamo così… noi litigavamo su tutto, ma non c’è stato giorno della mia vita in cui io mi sia pentito di averlo sposato, di aver fatto di tutto per averlo.

Non c’è stato giorno della mia vita in cui non l’ho amato…

Afferro il quaderno di pelle nera e lo apro alla prima pagina.

Al mio amore Hanamichi…
Leggimelo, e io tornerò da te


La scrittura è quella di Kaede, ed è la stessa che riempie ogni pagina di questo diario che lui ha scritto per me, affinché potessi aiutarlo nella malattia a ricordare. Gli promisi che l’avrei costudito gelosamente e che glielo avrei letto ogni giorno, ed è quello che faccio da un anno a questa parte, da quando Kaede si è ammalato e la demenza senile non riesce più a fargli ricordare la sua vita…

Ho abbandonato la mia casa per stare qui con lui, perché è lui la mia casa, e io sono dove è lui…

Ho visto, giorno dopo giorno, i suoi ricordi scomparire sempre più velocemente e alla fine abbandonarlo per settimane intere…

Adesso aveva ricordato dopo oltre un mese e mezzo…

Sento un dolore al petto sempre più intenso, il braccio mi fa male. So che sta arrivando un altro infarto. Ormai riconosco i sintomi…

Vorrei chiamare aiuto, la parte razionale di me vorrebbe che io mi salvassi, ma sono troppo stanco…

Kaede non tornerà più da me…

Sono solo…

Stanco…

Stanco…

Sento le palpebre pesanti.

Lentamente, tutto si fa buio…



Mi sveglio cinque giorni dopo, in ospedale. Il medico è sorpreso più di me che io mi sia svegliato. Mi dice che mi hanno riacciuffato per i capelli.

Gli sorrido.

“Quando posso tornare alla clinica?” domando.

“La porteremo lì domani, signor Sakuragi” mi risponde lui, continuando a sfogliare la mia cartella.

“Va bene, ma fate presto” io devo rivedere il mio amore…



Arrivo in clinica che ormai è notte fonda.

Subito domando alle infermiere come sta Kaede, e loro mi dicono che non è molto in forma, ultimamente… che è sempre stato silenzioso e cupo, e che ha subito forti peggioramenti.

Il mio malandato cuore perde un nuovo battito.

Appena loro escono, io mi dirigo subito nel corridoio, tremolante sulle gambe. Mi sento fiacco e stanco, e non credo che stavolta me la caverò brillantemente come le altre volte…

Arrivo a metà corridoio ed incontro un’infermiera: “Dove va a quest’ora, signor Sakuragi? Dovrebbe essere nella sua camera a risposare… lei è ancora convalescente!” mi dice.

Io sospiro: “Volevo andare a vedere come sta Kaede…”.

“Adesso non può signor Sakuragi… dovrebbe aspettare domattina” mi ricorda.

“E’ una settimana che non lo vedo… mi manca…” spiego.

Lei sospira: “Deve comunque aspettare domattina, signor Sakuragi” mi dice. Fa un attimo di pausa, poi prosegue: “Ad ogni modo, io adesso scenderò a prendermi un caffè…” e con uno sguardo complice, si avvia alla porta e quindi alle scale, diretta al piano di sotto.

Subito noto la tazza verde poggiata sul bancone, stracolma di caffè.

Sorrido, e mentalmente la ringrazio, ma mi avvio subito verso la camera del mio unico amore senza perdere altro tempo.

Socchiudo la porta con delicatezza, non voglio svegliarlo… mi avvicino silenzioso al letto e lo vedo sdraiato a pancia sopra, che dorme placidamente. Mi siedo lì vicino sulla poltrona e allungo tremante una mano, a sfiorargli delicatamente una guancia.

Lo vedo però subito stringere gli occhi, e quindi sbattere le sue lunghe ciglia fino a svegliarsi, voltando un poco il viso verso di me: “Hanamichi…” mi dice in un sussurro.

Il mio vecchio cuore perde un altro battito.

Mi ha riconosciuto subito.

Stavolta sta ricordando anche senza il mio aiuto…

Ciao amore…” sussurro, stringendogli forte una mano e baciandola, prima di poggiare la mia guancia contro il suo dorso “Scusa se non sono più potuto venire a leggere per te…”.

Non sapevo che cosa fare… avevo paura che non tornassi più…” mi sussurra, con gli occhi lucidi.

Io tornerò sempre…” sussurro, baciandogli ancora la mano.

“Ma quando sarò io a non tornare più?” mi chiede lui, col panico nella voce “Che cosa succederà? Tu cosa farai?” sussurra.

“Io resterò sempre qui con te, amore… non andrò da nessun’altra parte…”.

“Amore…” sussurra lui, pianissimo “Pensi… pensi che il nostro amore possa fare Miracoli?”.

“Io credo proprio di sì, se tu riesci a tornare da me…” sussurro piano a mia volta, la voce che mi trema “Tu sei il mio Miracolo, Kaede…”.

Lui mi sorride, mentre una lacrima gli solca una guancia e cade sul cuscino. Anche i miei occhi sento che bruciano, e una lacrima scivola via.

Tu credi che il nostro amore possa portarci via insieme?” mi chiede Kaede, con un filo di voce.

Io gli sorrido: “Io credo che il nostro amore possa fare tutto quello che vuole…”.

Quindi mi sdraio vicino a lui e ci teniamo stretti le mani.

Mi dice che mi ama, e io gli dico che lo amo.

Poi chiudiamo gli occhi.

Buonanotte…” mi sussurra.

Buonanotte, amore…



**FINE**



(*01) Ballerina: E’ un attrezzo edile che io uso spesso, e serve praticamente a rendere il pezzo di legno liscio grazie a un movimento veloce dato dall’elettricità e alla carta vetrata applicata sotto. C’erano anche in antichità, che ovviamente funzionavano a mano, ma non ho idea di come si chiamassero e ho provato a cercare qualcosa senza risultato… perciò sarete costrette a passarmi questo termine per buono! Ho cercato di tener presente per tutta la stesura della storia che ci troviamo negli anni quaranta, ma ammetto che non è stato facile e sicuramente qualcosa mi sarà sfuggito… se noterete parole insolite o altre cose non idonee a quell’epoca, fatemelo sapere e provvederò a sistemarle, perché ci tengo che sia fatta bene e coerente! Grazie!

Nota: Inoltre vorrei aggiungere che mi rendo conto che nel 1940 non poteva essere che l’omosessualità fosse trattata come una cosa normale, perché non lo è neanche adesso che siamo nel 2014, ma la mia è una storia d’amore. Una meravigliosa storia d’amore in cui ho voluto inserire Hanamichi e Kaede. Perciò, anche se mi rendo conto che è inverosimile, non volevo mettermi a scrivere di drammi e complicazioni (più di quelli che ci sono, per intenderci…), perché volevo che l’attenzione fosse tutta sul loro amore… spero di esserci riuscita!

Commento Finale: Ebbene, alla fine siamo giunto all’ultima pagina di questa fan fiction!
Ammetto con rammarico di averla conclusa, e che il finale che lascio è volutamente aperto, anche se io ho un’idea in mente… ma non volevo imporvela, perciò ho preferito che ognuno potesse vederla come meglio crede!
Ho scritto questa fan fiction in due pomeriggi, e forse ci sono degli errori e me ne dispiace, ma ho voluto scriverla di getto cercando di riuscire a trasmettere tutto quello che quella stupenda pellicola trasmette a me.
Se vorrete farmi sapere che ne pensate, ve ne sarò immensamente grata! E complimenti a tutte quelle che sono arrivate alla fine di queste quarantotto pagine!
Grazie di cuore!

   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Slam Dunk / Vai alla pagina dell'autore: slanif