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Autore: Framboise    17/02/2014    8 recensioni
Italia, anno domini 1381: Eufemia ha diciotto anni ed è figlia di un macellaio piuttosto importante nella Corporazione dei Beccai. Non è come la vorrebbe suo padre, remissiva e pronta ad un buon matrimonio, ma gestisce la bottega di famiglia con pugno di ferro, proprio come un uomo. Quando però arriva un matrimonio combinato ad intralciare i suoi piani, la ragazza non ha che una soluzione: fuggire, nonostante la guerra che da anni insanguina la sua città ed il Comune vicino sia appena ricominciata...
Genere: Avventura, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
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CAPITOLO 1:


Una ragazza camminava nella nebbia di quel freddo mattino di novembre, i suoi passi che risuonavano sull’acciottolato della strada, rimbalzando tra i muri delle case tanto vicine da essere quasi attaccate l’una all’altra. Si strinse addosso lo scialle di sua madre, mentre si dirigeva verso la bottega.
«Buongiorno, padre» salutò, facendo il suo ingresso nella macelleria. Vedendo che nessuno le rispondeva, andò nel retro, dove si tagliava la carne e la si ricopriva di spezie per conservarla. Lì vide suo padre, chino su quello che doveva essere un quarto di manzo. L’uomo, grassoccio e con due folti baffi neri, le fece un cenno senza distogliere gli occhi dalla fetta di carne, che stava tagliando con precisione certosina.
«Ciao, Eufemia. Preparati e aiutami a disporre la carne, tra poco cominceranno ad arrivare i clienti».
Lasciandosi sfuggire un sospiro soffocato, la ragazza si tolse lo scialle ed indossò un grembiule sul semplice vestito marrone che portava, poi si rimboccò le maniche e cominciò a disporre i vari tipi di carne sul bancone. Quando ebbe finito, afferrò un grosso coltello e cominciò a dividere alcuni polli: prima il petto da una parte, poi le cosce, le ali...
Ci voleva una certa resistenza di stomaco a lavorare in una macelleria, ma la vista del sangue non la disturbava: non era mai stata una ragazza impressionabile. Non come Violante, la sua amata sorella maggiore, che per staccarsi dalle vanità del mondo aveva preso i voti, andando in un convento a poche leghe dalla città dove aveva vissuto fino a sette anni prima, quando l’epidemia di Morte Nera se l’era portata via. O come Maria, sua sorella più piccola, che a quindici anni pensava solo ai ragazzi e a trovare un marito. Quella marmocchia era assolutamente insopportabile, anche se sembrava l’unica a pensarla così: tutte le persone che la conoscevano, a cominciare da loro padre, non facevano che prodursi in lodi sperticate sulla sua bellezza, mansuetudine e bontà d’animo. Certo, la bontà d’animo di una vipera! La gente si faceva ingannare dai grandi occhi perennemente sgranati e dai capelli color del miele, scambiando il suo bell’aspetto per amabilità.
Su Eufemia, invece, sarebbe stato difficile dire qualcosa di lusinghiero: lei per prima si sarebbe definita assolutamente insignificante, con i suoi lunghi capelli castani, gli occhi scuri ed indagatori in un viso piuttosto pallido e spigoloso dall’espressione perennemente seria e corrucciata. Decisamente in città non era conosciuta per il suo bell’aspetto, né per il suo buon carattere. “Se fosse più dolce, magari qualcuno prima o poi se la prenderebbe in moglie, ma è sempre acida e scostante!” spettegolavano tra di loro le comari passando davanti alla bottega, commentando le possibilità di matrimonio delle figlie di mastro Cavadecchi. “Con un carattere così, quella resterà zitella a vita! Ha già diciotto anni, se non si è ancora offerto nessuno non le resta che il convento, come sua sorella maggiore buonanima... davvero non ha preso nulla da sua madre. Tutta un’altra storia con la sorellina, che è tanto cara...”. Non era una persona molto malleabile e non si lasciava fregare facilmente quando trattava per i prezzi, in più aveva una lingua affilata assolutamente inadatta ad una donna, come si erano premurate di farle notare le benpensanti... così come era inadeguato il suo stato di ragazza che gestiva quasi da sola una bottega, d’altronde.
Sbuffando, cercò invano di soffiarsi via dagli occhi una ciocca di capelli che le era caduta davanti al viso. Vedendo che non otteneva alcun risultato, si pulì una mano nel grembiule, lasciandoci sopra delle lunghe strisce rossastra.
“Questo non migliora affatto l’insieme...” pensò, mentre sul suo viso sgraziato si faceva strada un sorrisetto ironico. Non aveva bisogno di essere bella. Le bastava la sua mente pronta e acuta, adatta a gestire la macelleria con pugno di ferro come e meglio di un uomo: persino i bambini che giocavano nella piazza davanti al negozio avevano imparato a temerla, quando usciva furibonda per qualche scherzo che le avevano fatto e li trascinava dalle rispettiva madri, gridando come un’aquila e assicurandosi che ricevessero una buona dose di scapaccioni. Era lei che aveva preso il posto del figlio maschio tanto desiderato dal padre, che però non era mai arrivato: nella famiglia Cavadecchi erano nate tre femmine in rapida successione. Dopo che l’epidemia di peste dell’ anno domini 1371 aveva ucciso sua madre e la sua sorella prediletta, Eufemia si era indurita ancora di più, con sommo scorno della cara Maria, che era costretta a convivere con il fardello di avere una parente scorbutica che le rovinava l’immagine. D’altronde, ogni famiglia per bene ha una pecora nera...

Dopo la sua giornata di lavoro, quando ormai il sole era già quasi tramontato, la ragazza poté finalmente rimettersi lo scialle e tornare a casa. Camminò lungo la stradina buia che costeggiava il lavatoio, poi svoltò tra i vicoli e prima di raggiungere la sua abitazione si fermò e guardò in una catapecchia di assi inchiodate alla bell’e meglio che alcuni anni prima era stata un pollaio. L’epidemia aveva colpito anche i proprietari di quella baracca: di quella famiglia non era rimasto nessuno. Non era stato un caso isolato, la peste aveva decimato tutta la popolazione: nel periodo del contagio le strade erano completamente deserte, tranne che per i becchini e per qualche raro medico.
«Balduino?» chiamò a bassa voce.
«Femia! Cosa mi porti di bello oggi?» le domandò un vecchio magro e zoppicante, con una lunga barba grigia, sbucando improvvisamente dall’oscurità.
«Eccoti... tieni, ti ho portato questi. Non è molto, ma se avessi preso di più mio padre se ne sarebbe accorto» gli rispose lei con aria di scusa, porgendogli alcuni soldi.
«Non importa, basteranno per comperarmi qualcosa da mangiare» la rassicurò l’anziano mendicante, prendendoli e stringendole brevemente una mano in segno di ringraziamento.
Il loro era un rapporto particolare. Il mendicante non era sempre stato povero: era stato un chierico amanuense in un monastero situato nei ressi del Comune vicino a quello della ragazza. Quando il governante della città aveva deciso di prendere possesso delle terre che appartenevano all’abbazia, lo aveva fatto con la violenza. I pochi monaci sopravvissuti si erano dispersi e Balduino, ferito ad una gamba nella fuga, si era rifugiato nel Comune di Eufemia, storico nemico di quello che aveva annesso a sé le terre del monastero. L’uomo era diventato un mendicante e la ragazza spesso gli portava di nascosto una piccola parte di ciò che guadagnava, per permettergli di sopravvivere. Lui, in cambio, le aveva insegnato a leggere e a scrivere. Questo non lo sapeva nessuno tranne loro due: il padre della ragazza non sarebbe stato contento di scoprirlo e tutti in città avrebbero cominciato a guardarla con sospetto... una donna istruita era qualcosa di assolutamente impensabile, quasi una strega. “Con tutti i problemi che ho, non mi serve altra cattiva fama” aveva pensato Femia, quindi aveva studiato di nascosto ed era diventata molto brava: non avrebbe avuto difficoltà a gestire la bottega quando sarebbe passata a lei, e di questo era molto orgogliosa.
Dopo aver salutato il mendicante, la ragazza raggiunse casa sua. Aprendo la porta, venne raggiunta da un profumo di carne bollita molto invitante: poteva dire molte cose negative su Maria, però sicuramente sapeva cucinare.
Dopo averle rivolto un vago saluto, la più giovane delle due sorelle ritornò alla sua occupazione iniziale. Mentre la vedeva affaccendarsi per preparare la cena, Eufemia si stupì a pensare che sua sorella era davvero carina, con il suo vestito azzurro chiaro su cui lei stessa aveva ricamato delle piccole rose... un’ altra occupazione femminile in cui Maria eccelleva e che lei invece aveva sempre trovato noiosa, se non assolutamente inutile. Non c’era da stupirsi se, nonostante avesse solo quindici anni, sua sorella avesse vari ammiratori e fosse già stata promessa ad un certo Lodovico, ragazzo di ottima famiglia, come le ragazze nobili che si sposavano in giovane età! Probabilmente sarebbe stato lo stesso per Violante, se a quattordici anni non avesse  già deciso di prendere i voti, precludendosi ogni possibilità in quell’ambito. Certo il signor Cavadecchi non era stato molto contento di quella scelta, ma siccome stravedeva per la figlia maggiore aveva acconsentito, seppur di malavoglia. Quando la peste aveva portato via quei gioielli di dolcezza e di remissività che erano sua moglie e la sua primogenita, l’uomo aveva riposto tutte le sue speranze nella sua ultima nata: con la sua bellezza avrebbe sicuramente potuto contrarre un matrimonio vantaggioso. Talvolta gli pareva di rivedere in lei qualcosa della sua defunta moglie: cosa che non si poteva dire della sua seconda figlia, che non poteva essere più diversa dalla madre sia nell’ aspetto sia nel carattere.

Quando anche il padre delle due ragazze fece ritorno dal negozio, i tre si sedettero e cenarono insieme, poi mentre Maria svolgeva i suoi compiti di donna di casa, Eufemia si concesse quei minuti di riposo che costituivano l’unico momento della giornata in cui era completamente sola. Seduta davanti alla piccola, stretta finestra della stanza che condivideva con la sorella, la ragazza fece vagare lo sguardo sul paesaggio. Oltre le mura si riusciva a distinguere quella pianura che ormai da anni era teatro di una sanguinosa guerra tra il suo Comune e quello vicino: a volte, aguzzando la vista, le pareva persino di scorgere dei cavalieri e dei fanti muoversi in lontananza, con le armature che scintillavano leggermente al sole. Ma in quei giorni, secondo le voci che correvano per la città sembrava che la guerra stesse finalmente volgendo al termine, dopo una vittoria contro i nemici conquistata a caro prezzo. Balduino sembrava dubbioso sull’ argomento: «Finita una guerra, ecco che subito ne comincia un’altra» erano state le sue parole, ma era così bello pensare a quello che sarebbe potuto succedere se fosse terminata...
Magari ci sarebbe stata una festa in città...
Eufemia, stanca dopo la lunga giornata di lavoro, si assopì, la testa appoggiata sulle braccia incrociate sul davanzale della finestra.





NOTE DELL'AUTRICE:
Questa è la prima storia che scrivo che è ambientata nel Medioevo. Spero che vi piaccia!

  
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