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Autore: Jooles    17/02/2014    0 recensioni
Ino è una ragazza che ha perso il padre e con lui la voglia di costruirsi un futuro. Non appena riesce a vedere un fioco bagliore di luce, un'altra persona l'abbandona e tutto ricade nel buio. Perciò, perché Ino dovrebbe vivere?
Non c'è un "Ma poi..." di speranza in questa storia, perché quando l'amore è da un solo verso, è un po' come morire.
[InoShika||ShikaTema]
[3^ classificata al contest "Romantic vs Angst" indetto da Kirame27 e C_Lennon sul forum di EFP]
Genere: Angst, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ino Yamanaka, Shikamaru Nara, Temari, Tsunade, Un po' tutti | Coppie: Shikamaru/Ino, Shikamaru/Temari
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Autrice: Jooles (EFP)/ Jooles93 (FFZ)
Titolo: “Emocromo. Love in vein”
Fandom: Naruto
Raiting: giallo
Genere scelto e sottogenere: angst; sentimentale, sovrannaturale
Prompt: sangue
Prompt speciale: lacrima




 
Emocromo
Love in vein

-Seconda parte-

 




Shikamaru varcò quell’atrio ormai più familiare della sua stessa casa. Salutò con un cenno della mano l’uomo al banco informazioni, dirigendosi verso l’ascensore incastonato nel muro del corridoio di fronte a lui. La solita routine lo portò a schiacciare il pulsante indicante il numero “2” senza nemmeno accorgersi del movimento del suo dito indice. Se non fosse stato per il dlin-dlon che avvisava dell’arrivo al piano selezionato, Shikamaru nemmeno si sarebbe accorto dell’apertura delle porte. Si trascinò fuori dall’elevatore di metallo, procedendo spedito verso la sala prelievi.
«Buongiorno caro» salutò un’anziana infermiera dal paffuto volto simpatico.
«Salve Noako» ricambiò Shikamaru. Il ragazzo si diede un’occhiata intorno, sbiancando alla vista della stanza gremita di persone in attesa. La vecchietta notò l’impazienza del giovane e con fare cospiratorio avvicinò il volto all’orecchio di quello.
«Vieni mascalzone, ti faccio passare avanti» e strizzando un occhio gli fece cenno di seguirlo. Shikamaru si guardò attorno nervoso, giurando di aver visto non poche occhiatacce dirette proprio a lui.
Venne condotto in una stanzetta molto piccola, si sarebbe detta quasi un magazzino, stracolma di scaffali con provette e medicinali.
«Arriva subito» lo informò l’infermiera, porgendogli una sedia sulla quale Shikamaru si accasciò.
Pensò che fosse davvero troppo presto per recarsi in ospedale, per giunta di un sabato mattina, il che non faceva che accrescere l’ingiustizia verso la sua condizione di forzato mattiniero. Il sonno gli fece dimenticare di essersi offerto per quella situazione di sua spontanea volontà. E pensando, ripensando e rimuginando sull’illegalità, a suo parere, delle alzatacce mattutine, chiuse gli occhi.
Non appena la dottoressa Senju entrò nella stanzetta dovette ripetere più volte i suoi poderosi colpi di tosse, tanto che quando finalmente ridestò il ragazzo dal suo dormiveglia, la sua gola ne risentiva.
«B-Buongiorno» riuscì a biascicare con la bocca impastata.
«Sei una manna dal cielo mio giovane e altruista ragazzo, la banca del sangue ci ha bloccato le donazioni per uno stupido furto avvenuto ieri notte. Dobbiamo arrangiarci con quello che abbiamo in scorta per un paio di giorni almeno…»
A prova che il lavoro di direttrice dell’ospedale non doveva essere poi tanto rilassante, la dottoressa Tsunade sfoggiava due ampie occhiaia al di sotto dei luminosi occhi.
Il medico si diresse verso gli scaffali, afferrando del cotone e imbevendolo poi nel disinfettante, che strofinò sulla giuntura del braccio del ragazzo.
Agguantò poi una siringa dall’ago di dimensioni preoccupanti, andando quasi a punzecchiare il lembo di pelle dapprima disinfettato, quando ritirò improvvisamente la mano, come se avesse ricordato un particolare importante.
«Non hai mangiato, vero?» lo trucidò col solo sguardo.
Shikamaru si grattò la nuca imbarazzato.
«Andiamo, è successo solo una volta…», e presa quella risposta per un “no” la donna procedette con l’operazione.
Mentre il ragazzo sentiva un risucchio all’imboccatura dell’ago sotto la sua pelle, Tsunade parlò.
«Oggi pomeriggio faremo la villocentesi» annunciò.
Shikamaru, scocciato della naturalezza con cui la dottoressa, alle otto di mattina, sfoggiava paroloni a lui sconosciuti, sbatté le palpebre per mostrare quanto in fondo non avesse recepito una virgola del significato di quella frase.
«Kurenai deve sostenere un esame per sapere se il bambino è in buona salute» spiegò. «Vuoi esserci?» domandò al ragazzo.
Shikamaru deglutì.
«Non è niente di spaventoso, non preoccuparti» tentò di rassicurarlo, ma il risolino nervoso del giovane tradì  il suo poco entusiasmo.
Quando la sacca fu bella rigonfia per la consistenza del liquido, la direttrice e medico fermò l’operazione.
«Questo dovrebbe andar bene» parlò tra sé e sé. «Vai a casa, mangia, e ci vediamo verso le tre, a quell’ora mi sembra che abbia la visita. È nella solita stanza.»
«Alle tre, allora» disse Shikamaru.
 
Uscito dall’ospedale Shikamaru sfilò dalla tasca posteriore dei jeans scuri il telefono. Lo schermo segnalava due chiamate perse, ma senza nemmeno controllare il nome, sapeva benissimo da parte di chi fossero. Compose rapidamente un numero, non aveva voglia di scorrere la rubrica, e premette il tasto di chiamata. Squillò una sola volta, poi il beep divenne improvvisamente più rapido e la telefonata cessò.
“Tsk, prima mi chiama e poi attacca, che seccatura.”
«Odio quando non mi rispondi idiota, e se sono in pericolo di vita?»
Shikamaru si voltò, guardò il telefono che aveva in mano, poi alzò lo sguardo, la persona che aveva parlato era anche lei con il cellulare a disposizione.
«Sai cavartela anche meglio senza il mio aiuto», e Temari sorrise beffarda a quell’affermazione.
«Dovresti almeno provare a comportarti da Lancillotto nei miei confronti, visto che sei il mio ragazzo.»
«Se dovessi provarci probabilmente le parti si invertirebbero. Sai, preferisco aspettare in pigiama su un bel letto comodo che qualcuno venga a salvarmi.»
«Attento a come parli Nara» parlò Temari seducente, avvicinando le sue labbra a quelle del ragazzo, lasciando l’impronta di un veloce bacio. Un altro, sul collo.
Shikamaru provò un leggero brivido e arrossì appena percettibilmente.
 
~¤~
 
Alle nove precise un infermiere entrò nella stanza, scostando con poco tatto le tende e spalancando le finestre. Si avvicinò al letto con in mano un bicchiere di acqua e un paio di pasticche dello stesso color verde mela, le porse alla ragazza i cui occhi chiari ancora non si erano abituati alla luce violenta che aveva d’un tratto invaso la stanza, e la invitò a prenderle.
Ino aprì il palmo della mano, lasciando che il ragazzo vi facesse cadere i medicinali. Li ingoiò aiutandosi con l’acqua, finito porse il bicchiere all’infermiere.
Guardò il sole che splendeva al di là del vetro dentro il quale era rinchiusa e azzardò una richiesta.
«Posso spostarmi nel letto vicino alla finestra?»
Il ragazzo con il camice celestino roteò gli occhi, seccato di dover sottostare alle richieste di un’altra pazza esigente, così spinse da una parte il lettino più vicino alla vetrata, che grazie alle rotelle scivolò senza fatica verso il fondo della stanza, tirando poi a sé quello che ospitava la paziente.
Ino ringraziò a denti stretti, affranta dai modi scocciati e poco propensi all’aiuto dell’infermiere. Questo berciò un “Prego”, strusciando poi le sue Crocs fuori dalla camera. La ragazza si voltò dall’altra parte, stizzita, afferrando a fatica la bottiglia di acqua sul comodino.
Un brivido lungo il collo.
Involontariamente si portò una mano al di sotto dell’orecchio, corrugando la fronte perplessa. La stanchezza le faceva temere le situazioni più assurde, perciò dovette convincersi faticosamente che si trattasse semplicemente di uno spiffero d’aria. Nonostante la finestra fosse chiusa, sigillata.
Certo, poteva venire anche dal corridoio.
Ma il reparto di terapia intensiva dove sostava lei si trovava nel cuore della costruzione e non faceva capolino su alcuno sbocco verso l’esterno.
Ino aveva finito così le sue scuse, e prima ancora di poter scacciare quel pensiero insulso come avrebbe fatto con una mosca in agosto, la sua mente venne involontariamente rivolta a qualcos’altro.
Vide i suoi occhi assonnati, la sua espressione annoiata, i capelli che dovevano sembrare morbidi, la maglietta verde e i suoi pantaloni scuri. E in quel momento fu sicura, senza alcun’ombra di dubbio, che poco fa fosse stato lui a lasciarle quel brivido sul collo.
 
«Buongiorno», la dottoressa Shizune entrò cautamente nello spazio in cui riposava, spingendo con le braccia tese di fronte a lei un carrellino trasportante tutto l’occorrente di cui si era avvalsa la Senju la notte appena passata.
Ino salutò e si preparò mentalmente a trascorrere immobile quelle quasi due ore.
«Pronta?» la donna si avvicinò e sorrise gentilmente. Ino chiuse gli occhi, annuendo, e quando pochi attimi dopo sentì il solito pizzicore, udì anche la voce della Kato in lontananza.
«Tutto a posto? Ti senti strana, giramenti di testa, nausea?»
Ino pensò che sì, eccome se si sentisse strana, ma poiché era iniziato tutto poco prima della trasfusione, rispose che andava tutto bene.
«Allora possiamo aumentare un po’ la velocità» la informò la donna, girando una rotellina attaccata al tubo per far sì che venisse rilasciata un maggiore quantità di sangue.
La giovane paziente iniziò a provare lo stesso stato d’ansia e di paura di perdita che l’avevano attanagliata solo poche ore prima, appena dopo la prima trasfusione ricevuta. Successivamente, un vortice di immagini si impadronì della sua mente, come se fossero d’un tratto divenute gli unici ricordi custoditi: Shikamaru che camminava dentro la sua stanza, Shikamaru che si massaggiava la nuca spaesato, lo stesso ragazzo che veniva baciato sul collo da una sconosciuta, da qualcuno che non era lei…
Non ricordò di aver mai vissuto quell’ultimo episodio e si spaventò, tanto da iniziare a tremare. Gli occhi ancora chiusi, iniziò a disperarsi e a sentirsi tradita. Non poteva farle questo, non a lei…
«Ino! Ino!» qualcuno la chiamava e la scuoteva; sapeva benissimo che si trattava della dottoressa, ma non voleva ancora aprire gli occhi, voleva più ricordi.
Seriamente preoccupata, Shizune interruppe la trasfusione immediatamente e Ino poté finalmente schiudere le palpebre.
Si guardò attorno spaesata, riconoscendo la sua stessa espressione negli occhi del medico. Shizune aveva un’aria davvero spaventata, le sue mani erano ancora strette attorno alle esili braccia della sua debole paziente.
«Non capisco, andava tutto bene» sospirò preoccupata la donna. «Forse dovremmo riprovare tra un po’» disse, poi si congedò, assicurandole che sarebbe tornata presto per dei controlli. Ino annuì e non appena il camice svolazzante del medico non fu più alla vista si abbandonò incosciente al riposo.
 
~¤~
 
«Andiamo fanciulla, ti spostiamo in una stanza più carina» e se Ino fosse stata sveglia in quel momento avrebbe visto l’occhiolino del ragazzo infermiere che aveva appena varcato la soglia.
Assonnata, Ino riuscì solamente a intravedere uno spettinato ammasso pel di carota, poi percepì chiaramente il suo letto scivolare sul liscio pavimento.
«Non so come hai resistito qui dentro… altro che anestetico, secondo me ti hanno fatto proprio dei bei siringoni di crack…»
Una ragazza con lo stesso camice che contraddistingueva chiunque lavorasse lì dentro (Ino credeva di non aver mai visto tanto celeste in vita sua, tutti indossavano un uniforme del medesimo colore) camminava spedita verso di loro, e quando si incrociò con il suo collega gli porse una cartellina gialla sbiadita.
«Porta tu questo al piano tre» e senza voltarsi ad attendere una risposta, proseguì spedita fino alla fine del corridoio.
«Agli ordini!» urlò il ragazzo. «Faremo una brevissima sosta, piccola, ok?»
Ino riuscì a percepire il sincero sorriso dietro le sue spalle. Si era accorta della tensione che aleggiava in quel luogo, delle facce accigliate del personale, del loro andare sempre di corsa, o del loro aleggiare stanco tra i corridoi. Contrariamente alle sue aspettative invece, dopo giorni aveva incontrato un volto amichevole, mettendo da parte la dottoressa Kato e la direttrice.
Raggiunsero l’ascensore del primo piano, l’infermiere che domandava “Permesso! Permesso! Beep, beep!”, facendo scansare ai lati tutti coloro che erano stipati all’interno del macchinario, aprendo un varco nel centro abbastanza grande da poter trasportare il giaciglio della paziente. Rivolta verso il lato opposto all’apertura dell’ascensore, sul quale era appeso un grande specchio che ne occupava tutta la parete, Ino poté sbirciare il cartellino del ragazzo dietro di lei. Riuscì però a leggere solamente il suo nome prima che questo si protendesse nuovamente in avanti per trainare il letto, nascondendo così la placchetta dietro le sue braccia.
Yahiko e la branda da lui tirata uscirono dall’ascensore, proseguirono per qualche metro, fermandosi poi di colpo di fronte una porta a vetri spalancata. Ino venne accuratamente parcheggiata al lato del corridoio e Yahiko varcò la soglia, attraversando quella che era una sala d’attesa, per poi bussare ad una porta chiusa. L’aprì quando ottenne il permesso, richiudendo l’uscio dietro di sé.
Ino sorrise, realizzando che lo avesse fatto per la prima volta da quando era rimasta bloccata lì dentro, pensando alla camminata saltellante del gentile infermiere e al suo tono amichevole. Poi spostò lo sguardo alla sala d’attesa. Un uomo teneva stretta nelle sue la gracile mano di una donna, che nonostante non sorridesse poteva dirsi felice, quasi in estasi, ed era tutto nel suo sguardo. Quando si portò la mano libera al ventre, Ino ne comprese il motivo. Quello che doveva essere il marito o il compagno si voltò a guardarla, un’adorazione quasi eterea nel suo volto nei confronti dell’amata e del fragile miracolo che custodiva dentro di lei. Qualche posto più il là, un’altra donna dai lunghi capelli scuri e mossi, accarezzava con dolcezza malinconica il suo più dolce tesoro. Non poteva vedere chi fosse seduto vicino alla donna, poiché era nascosto dal muro. Una ragazza venne fuori dalla parte più interna della sala, raggiungendo il cestino dei rifiuti. Diede un ultimo sorso al caffè che teneva in mano, raschiò con il bastoncino di plastica i residui di zucchero sul fondo, poi gettò il bicchiere nella spazzatura. Si guardò attorno con aria assonnata, portò le mani congiunte dietro la schiena che inarcò, stiracchiandosi. Mentre dava un’occhiata all’orologio legato al polso, una figura le si avvicinò. Ino finì di osservare la ragazza, imprimendo bene nella mente i suoi capelli biondi e gli occhi verdi, profondi e bellissimi, prima di spostare l’attenzione sulla persona che le si era appena avvicinata.
Tutt’a un tratto, credette seriamente che il suo cuore avesse terminato i battiti.
Nemmeno quando si era intromesso nella sua stanza lo aveva avuto a una distanza così ravvicinata e Ino si sentì sporca, come se osservarlo di nascosto dall’altra parte del corridoio fosse un peccato.
Era evidente che i due ragazzi si conoscessero, Shikamaru le aveva appena rivolto la parola. Ino si tirò le coperte fin sopra il naso, acuendo la vista per poter leggere il labiale.
 
Shikamaru si avvicinò a Temari.
«Che confusione qui…» si lamentò il ragazzo, riferendosi alle infermiere che parlottavano e sghignazzavano allegramente a tono di voce fastidiosamente alto.
Cosa aveva detto? “Trasfusione”?
«Tsk, a te dà fastidio tutto, brontolone.»
«La signora Yuhi?» chiamò improvvisamente una dottoressa, affacciandosi dalla stessa porta da cui era entrato Yahiko. Mentre la signora dai capelli lunghi e neri e dall’aria triste che era rimasta seduto per tutto il tempo da sola si alzava, Temari esortò Shikamaru con un cenno della testa ad entrare. E così erano insieme, pensò Ino.
«Andiamo» Shikamaru le sfiorò il gomito per incitarla a seguirlo.
“Ti amo”?
Yahiko uscì dallo studio della dottoressa nello stesso momento in cui quei tre vi entrarono.
Ci volle un attimo ad Ino per capire e tutto ciò che le stava intorno divenne improvvisamente confusionario.
Trasfusione.
Era stato l’istinto a farglielo comprendere, o forse il richiamo di ciò che non apparteneva a lei che le scorreva dentro verso il suo padrone. Solo in quel momento se ne accorse, ma alla vista del ragazzo aveva sentito un cambiamento nel suo corpo. Poteva chiaramente sentire il flusso del suo sangue e percepirne ogni singola particella; riusciva a discernere quello che le apparteneva da quello che non era il suo, e le sue paure trovarono così conferma.
Ti amo.
Ma non era rivolto a lei, e una vena di dolore prese il sopravvento su qualsiasi altro sentimento.
In preda a spasmi dettati dal terrore, Ino iniziò a divincolarsi sul lettino; si graffiava gli avambracci fino a sanguinare, come a volersi liberare in quel modo di ciò che era estraneo dentro di sé.
«Levatemelo, levatemelo subito!». Yahiko si precipitò da lei, cercando di mantenerla ferma.
«Ehi, ehi, calmati, cosa ti succede?», l’infermiere la guardava terrorizzato, lo sguardo della ragazza era perso, vuoto.
Ino non voleva farsi capire da quel ragazzo che tentava di bloccarle i movimenti; doveva agire subito, prima che avesse sofferto ancora.
«Tu non capisci! Il sangue, deve uscire, subito! Io non posso amare una persona che nemmeno sa chi sono! Aiutami, ti prego, aiutami!», lottò con tutte le sue forze per riuscire ad alzarsi da quel lettino sul quale veniva costretta dalla ferrea stretta del giovane.
Yahiko aveva urlato qualcosa, “sedativo” forse, ma Ino non aveva tempo per preoccuparsi di quelle cose.
Riuscì ad alzarsi, ma non appena ebbe poggiato piede sul pavimento, l’equilibrio negatole dalla gamba ingessata la fece rovinare a terra malamente. In un attimo, due figure sconosciute furono sopra di lei. La bloccarono a terra, provocandole dolore alle spalle, per le quali la stavano trattenendo.
«Aiut…», sentì un pizzico al braccio, poi le figure che la sovrastavano divennero lentamente dei fiochi fantasmi.
 
~¤~
 
Si risvegliò dopo parecchi giorni. Lo capì dal fatto che sul comodino riposavano in un vaso i primi fiori che le aveva portato Choji, ormai rinsecchiti. Ancora non aveva riaperto gli occhi, ma poté chiaramente percepire qualcuno seduto ai piedi del suo letto. Quella persona doveva essersi accorta del suo risveglio.
«Come ti senti?» domandò la dottoressa Senju con tono grave.
Ino schiuse le palpebre per poterla guardare negli occhi. Sicuramente, anzi, senza ombra di dubbio, era venuta a conoscenza della sua sfuriata e probabilmente, forse quasi certamente, l’aveva presa per una pazza.
«Lei deve credermi» sussurrò rocamente; aver dormito per così tanto tempo le aveva seccato la gola.
La dottoressa Tsunade le porse un bicchiere d’acqua, aiutandola a mettersi seduta piegandole il cuscino dietro la schiena.
Ino bevve avidamente, tossendo poi per un sorso andatole di traverso. La donna seduta di fronte a lei attese pazientemente che si riprendesse. Poi parlò, con lo stesso tono preoccupato di poco prima.
«Ti va di dirmi cosa è successo?»
Ino avrebbe voluto scuotere violentemente la testa e dirle che no, non voleva raccontare niente di tutta quella faccenda; ciò che desiderava più al mondo era di tornare a casa sua e dimenticare. Ma avendo compreso la maniera in cui quei suoi sentimenti erano nati, sapeva anche di non poter ignorare un bel niente. Era dentro di lei, se avesse potuto strapparsi un lembo di pelle l’avrebbe visto, il sangue estraneo. Si immaginò che fosse di un colore diverso, forse nero, come un veleno. Non appena lo ebbe pensato si maledì di averlo fatto: tutto ciò che concerneva Shikamaru non poteva essere malvagio.
O forse era solo condizionata da ciò che provava. Si chiese se fosse davvero giusto provare qualcosa di così grande, qualcosa che era nato prima del mondo, per qualcuno di sconosciuto.
Per giunta già impegnato con un’altra.
Poi, un lampo di genio. Poteva rivelare tutto, per filo e per segno, alla Senju. Lei le avrebbe creduto, Ino doveva convincersi innanzitutto di quello. Poi la donna avrebbe trovato una soluzione, magari un antidoto.
E così, convinta di quell’ultimo pensiero che si rivelava ogni secondo che passava più plausibile, la ragazza riversò in fiumi di parole tutto quanto.
«Le dirò tutto ma lei deve promettermi due cose» esordì. Già probabilmente non aveva iniziato nel migliore dei modi.
Come conferma alla sua disposizione all’ascolto, Tsunade annuì.
«Bene» sussurrò Ino. Non si sarebbe aspettata una così facile accondiscendenza perciò non aveva pensato a come impostare il discorso.
«Ehm… per prima cosa dovrà lasciarmi parlare fino alla fine. Già è difficile quello che le sto per dire, se venissi interrotta non saprei come continuare.»
Fece una pausa attendendo qualche obbiezione da parte del medico, che però non arrivò.
«La seconda richiesta è un pochino più impegnativa, però lei lo deve promettere. Io so quello che ho provato e non sono pazza. Deve promettermi di credere a quello che le sto per dire.»
La donna si mise più comoda, appoggiando la schiena alle sbarre di ferro del letto. Ino ne dedusse che fosse pronta per qualsiasi cosa le avrebbe detto. Così iniziò.
«Me ne sono accorta non appena mi sono sentita male dopo la trasfusione operata dalla dottoressa Kato. Le è stato detto che non ha avuto successo, giusto?», attese conferma, che la dottoressa le diede.
«Potevo percepire chiaramente lo scorrere del sangue sotto la pelle. Circolava ad una velocità incredibile, era come impazzito. So che sembra assurdo, ma io lo sentivo. Poi nella mia mente si sono susseguite delle immagini, ricordi che giravano attorno ad una stessa persona.»
Tsunade corrugò le sopracciglia, a dividerle una profonda ruga. Ino tese la mano, facendo cenno di attendere la fine del racconto.
«Ma poi ho visto qualcosa che io non ho mai vissuto, l’ho visto con gli occhi di un’altra persona. E le dico che non poteva essere per certo una mia memoria perché io questa persona non la conosco nemmeno, quindi è impossibile che io vi abbia interagito in qualsiasi modo, soprattutto in quello che domina il mio ricordo .»
«Così, dopo aver rivisto quella stessa persona l’altro giorno, quando Yahiko mi stava portando in questo nuovo reparto, ho rivissuto la stessa sensazione provocata dalla seconda trasfusione. Il sangue, ecco, ha come reagito alla vicinanza con colui a cui apparteneva. Mi faceva male, voleva uscire da dentro di me.»
La direttrice non si stupì nemmeno del fatto che conoscesse il nome di uno dei suoi dipendenti e presa da quel racconto inverosimile incitò la ragazza a continuare.
«Da quando mi è stata fatta la trasfusione, io…», le sembrava assurdo doverlo ammettere, ma per poter avere almeno una possibilità di farsi credere dalla dottoressa Senju, doveva confessare tutto.
«… io mi sono… innamorata del mio donatore.»
Il medico si alzò di scatto dal letto. In anni di lavoro aveva visto le situazioni più disparate, ascoltato le spiegazioni più assurde. Conosceva le controindicazioni di una trasfusione: nausea, vomito, dolori lombari. Nei casi più gravi si arrivava all’insufficienza renale o allo shock. Tra le complicazioni non era contemplato l’innamoramento.
«Ino, conosco bene tutte le conseguenze negative di una somministrazione di sangue, tra queste non c’è-»
«Shikamaru» la interruppe la giovane.
Tsunade sgranò gli occhi, auto convincendosi che la stanchezza per il doppio turno appena concluso le stesse giocando brutti scherzi.
«Cosa?» non avrebbe ammesso di aver sentito quel nome fin quando Ino non lo avesse ripetuto chiaro e forte.
«Shikamaru è il mio donatore.» L’occhiata che Ino le rivolse le fece comprendere la sua risolutezza riguardo ciò che stava affermando. Quella era la prova lampante che non stesse mentendo.
Non poteva saperlo, le informazioni riguardo chi donava il sangue erano segrete.
«Te lo ha detto lui?» Pareva la soluzione più ovvia.
Ino sbatté le mani sul materasso, esasperata.
«No! No, no, no! Io non lo conosco nemmeno! Non ci siamo mai rivolti la parola, dottoressa, lei deve credermi! E deve credermi quando le dico che per qualche strano motivo, il suo sangue ha fatto sì che io mi innamorassi di lui!»
Le iridi chiare di Tsunade tremolavano, così come la cornice di lunghe ciglia si chiudeva e si riapriva velocemente come soggette ad un tic nervoso. Probabilmente quella ragazza era stanca, spossata. Sì, doveva essere così. Si era inventata tutto di sana pianta.
Una voce interruppe il suo flusso di pensieri.
«Dottoressa, abbiamo un’emergenza.» Shizune Kato si era appoggiata allo stipite della porta, trafelata dalla corsa appena compiuta lungo tutto il corridoio in cerca del suo superiore.
Ancora confusa dal racconto della ragazza, Tsunade camminò come in trance verso il suo dovere. Una ragazza passò di fronte alla porta aperta della camera, spinta di corsa su una barella con un paio di paramedici al seguito. Mentre Tsunade raggiungeva la collega, quest’ultima le spiegava la situazione.
«Il fidanzato ha detto che si trovavano in discoteca, ha visto la ragazza bere da un bicchiere che le era stato offerto, poi…», Ino non udì il resto, le voci si allontanavano insieme ai loro passi nel lungo corridoio.
A pochi secondi di distanza dietro di loro giunse un ragazzo.
«Non può entrare» lo bloccò un uomo in camice.
«Devo entrare!», Shikamaru lottava contro la stretta del medico.
«Stanno facendo il possibile, li lasci lavorare» insistette il dottore.
Shikamaru dovette rinunciare al contrasto e si lasciò cadere a terra, stringendosi la testa tra i palmi della mani.
«Ce la farà?» Ino sentì uno dei paramedici bisbigliare con l’uomo che aveva lottato contro la disperazione del ragazzo che ora sedeva sul pavimento lucido con lo sguardo perso nel vuoto.
Quello in risposta scosse la testa.
 
Dopo il suo sangue, la cosa migliore che un uomo può dare di sé è una lacrima.
Ino ammirò il volto sconvolto di Shikamaru e constatò quanto la sua bellezza rimanesse intaccata nonostante il dolore.
Qualcosa brillò sulla sua guancia sotto la luce al neon del corridoio. Ino avrebbe dovuto mettersi l’anima in pace.
Shikamaru non piangeva per lei. Ma fece finta del contrario. Ormai avrebbe dovuto convivere con quel sentimento non corrisposto.
Ed era per questo che anche una semplice illusione era tutto ciò che le occorreva.








n/a
Perfettooo, con questa storia ho la certezza di essere una persona imperdonabile. Solo oggi mi accorgo che non avevo postato l'ultima parte e ce l'avevo nel mio pc pronta e finita da una vita!
Cooomunque, non ho molto da aggiungere alle note del primo capitolo. Semplicemente, se non si è capito ma spero di sì, il sangue di Shikamaru che Ino aveva nelle vene in qualche modo l'ha fatta innamorare di lui. Probabilmente, una volta smaltito e andato in ricircolo il sangue -(non conosco i termini medici, perdonatemi! Gi per scrivere quelle due cose che ci sono in questa storia ho dovuto fare una ricerca interminabile!)- Ino probabilmente non proverà più quei sentimenti. Ma non ci è dato saperlo, in realtà la Dea dell'Ispirazione non mi ha voluto fornire questa informazione, perciò rimarremo nel dubbio temo.
Insomma, che dire, grazie alle gentilissime e pazientissime persone che per mesi hanno atteso quest'ultima parte. Spero che ci siate ancora e spero vivamente di sentirvi con una recensione, anche piccola. :)
A presto con altri deliri, che l'ispirazione sia sempre con voi!
<3
  
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