Oltre
la porta chiusa.
Un
appartamento anonimo, in
una città anonima in cui ero un anonimo passante.
Solo.
Me ne
ero andato quella
notte.
Avevo
deciso quella notte: la
notte in cui avevo quasi ucciso mio fratello.
Non
sarei potuto rimanere
oltre.
Non
avrei potuto guardare
oltre quegli occhi indifferenti, gli stessi che mi avevano buttato
addosso la
verità … vederli posarsi con devozione addosso a
Stefan.
Non
avrei potuto assistere al
loro amore ancora una volta … non dopo averla avuta
… non dopo che era stata
mia.
Quella
notte …
La mia
volontà annullata …
La mia
sete insaziabile …
Le loro
labbra incollate …
Il siero
che mi aveva reso
uno sterminatore di vampiri aveva fatto il resto.
Stavo
per sventrarlo … e lui
non se n’era nemmeno accorto.
Stavo
per assalirlo … e lui
non aveva nemmeno sentito i miei passi.
Mi ero
voltato ed ero volato
via … via … via da loro, lontano per sempre.
Elena
… Stefan … il destino e
l’universo.
Io ero
solo un graffito
abusivo sul grande murales delle loro vite predestinate, sul grande
disegno che
l’immenso aveva composto per loro.
Enzo,
Wess, Aaron …
Il
rancore, l’odio, la
vendetta …
Nulla
aveva senso, non più.
Seduto
cavalcioni sul
davanzale, pensavo alle settimane appena trascorse lontano da Mystic
Falls.
Osservavo le cime dei palazzi, i tetti delle case. Sorseggiavo bourbon
lasciando oscillare un piede a venti piani dall’asfalto.
Ogni
sera drenavo il mio
sangue per purificarlo …
Ogni
sera affondavo i denti
in una sacca … o in una gola … non faceva
differenza.
Non
provavo nulla, solo un
grande vuoto.
Non
avevo spento le emozioni:
si erano spente da sole.
Come il
telefono: sempre
spento.
Era il
mio unico aggancio col
passato, non avevo avuto il coraggio di distruggerlo.
Era un
orpello scarico … inutile.
Come me.
Guardai
le dita che
abbracciavano il bicchiere e fissai lo sguardo sull’anello
che indossavo da
oltre un secolo.
Non
sapevo perché continuavo
a indossarlo.
Non
sapevo perché non
lasciavo che il sole facesse il suo dovere.
Non
sapevo perché non
riuscivo a cedere alla tentazione di terminare la mia esistenza con un
atto di
estremo coraggio … o di profonda vigliaccheria.
La
brezza inquinata della
città mi smuove i capelli ed io respiro a fondo
quell’odore di gas di scarico e
immondizia.
Avevo
vissuto solo per molto
tempo, prima di tornare a Mystic Falls.
Poi, in
quel paese dove ero
cresciuto, morto e risorto, avevo trovato persone da accudire, gente da
uccidere, una donna da amare.
Avevo
vissuto la mia
esistenza assaggiando tutte le sfumature dell’umore: la
disperazione della
perdita, l’angoscia dell’abbandono,
l’appagamento del sesso e del sangue,
l’atrocità della tortura, la soddisfazione della
vendetta.
Poi
… lei.
E tutto
mi era apparso come
una ricerca vana: l’avevo trovata cercando
un’altra, l’avevo amata scacciandola
da me, l’avevo avuta rubandola alla vita … mi
aveva lasciato colpendo dritto al
cuore.
Tutto
crollò … e ho
ricominciato a percorrere il tempo come un animale ferito e rabbioso,
che
lascia sulla sua strada gocce di sangue e di vita.
Solo
l’odio sembrava
compensare il dolore … per un po’
funzionò … fino a quella notte.
Il
destino mi aveva sbattuto
addosso una nuova atrocità che non potevo assecondare, un
ruolo che ero stanco
di ricoprire.
Non
volevo vivere secondo le
aspettative di nessuno, buone o cattive che fossero.
Non
volevo più recitare una
parte che altri avevano stabilito per me, e che mi avevano convinto mi
calzasse
alla perfezione.
Non ero
come Elena mi avrebbe
voluto.
Non ero
il mostro che Wess
aveva costruito.
Non ero
il fratello cattivo.
Non
l’amico infedele.
Ero
stato tutto questo … non
ero più nulla.
Il
bicchiere ormai era vuoto.
Rientrai in casa per riempirlo di nuovo.
Un lieve
fruscio catturò la
mia attenzione.
Da sotto
la porta vidi
scivolare all’interno un foglio di carta piegato in due.
Chi?
Come?
Afferrai
quella che sembrava
una lettera e la aprii.
Avrei
riconosciuto quella
grafia anche a occhi chiusi, seguendo il profumo delle volute
di’inchiostro,
delle lettere graffiate, dei tratti delicati.
Sentii
qualcosa, o qualcuno scivolare
sulla porta chiusa e sedersi a terra.
Riconobbi
il battito del
cuore.
Elena.
La vista
si annebbiò e un
misto di rabbia e frustrazione, di euforia e stupore mi fecero sentire
instabile.
Perché?
Perché
ora?
Stropiccia
i bordi del
foglio, dove le mie dita tenevano carta.
Rimasi
in silenzio e in
silenzio cominciai a leggere.
Parole
senza senso
componevano frasi senza senso, che raccontavano una storia senza senso.
-Katherine!
–
Lessi
incredulo ogni virgola,
ogni punto … ogni incredibile particolare.
Non era
possibile … era
l’unica spiegazione possibile!
Fui
attratto verso la porta
da una forza a cui non potevo oppormi: appoggiai le
mani e la sentii.
Era
lì fuori, silenziosa e
immobile.
Mi
pietrificai contro il
legno usurato ad ascoltare i suoi respiri.
La sua
presenza m’investì con
violenza, così come la sua assenza mi aveva risucchiato
l’anima, l’inganno di
Kath stuprato il cuore.
Come un
vulcano a lungo
dormiente, la furia esplose in me come magma rovente.
Erano
settimane che non
provavo alcuna emozione.
In un
solo secondo ero
passato dall’apatia più totale, alla glaciazione,
all’essere in balia di un
tornado impetuoso.
La vista
mi si fece rossa
come il fuoco che divampò nella mia mente e violente
scariche elettriche
attraversarono le mie membra.
Mi
staccai dalla porta e
presi a calci una sedia già sgangherata. La bottiglia di
bourbon finì a
dipingere colanti gocce di liquore sull’intonaco ingiallito.
Le mie
mani tremavano
convulsamente e cercavano oggetti su cui placare l’afflusso
doloroso di stimoli
nervosi.
-Damon
…? –
Il
sussurro della sua voce mi
bloccò.
Chiusi
gli occhi e andai a
cercare il mio autocontrollo contro la porta chiusa.
Vi
appoggiai la schiena e mi lasciai
scivolare a terra.
-Elena
… perché sei qui? Come
hai fatto a trovarmi? Perché mi hai cercato? –
- Mi
sono svegliata e non c’eri,
sono tornata e tu non eri lì. Cosa ti aspettavi che facessi?
–
- Che te
ne stessi al sicuro,
lontana da me. Ancora non so se posso controllare il mio istinto di
predatore
di vampiri … ancora non so come raccogliere i pezzi della
mia vita … ancora non
so … non capisco … Kath? –
-
Sì … era lei dentro di me …
era lei che ti ha detto quelle parole … Stefan mi ha
raccontato. Damon: come
hai potuto crederle? –
Uno
scambio … Kath nella
pelle di Elena … Elena bendata, dormiente, impotente
…
Possibile
che nessuno se ne
fosse accorto?
Nessuno,
nemmeno le sue più
care amiche, che affermano di conoscerla come la propria immagine
riflessa
nello specchio.
Nessuno,
nemmeno suo
fratello, per la cui vita avrebbe dato la propria.
Nemmeno
Stefan, che l’aveva
avuta tra le braccia, che conosceva la sua anima a fondo, nel profondo.
Nessuno
…
Nemmeno
io.
Come
avevo potuto non capire?
Come
avevo potuto lasciare
che Kath infierisse su di me, ingabbiando Elena nel suo stesso corpo?
Non
l’avevo riconosciuta, non
avevo potuto combattere per lei … mi ero arreso prima ancora
che la battaglia
cominciasse, per combattere una guerra parallela, contro
l’amore, per
sradicarlo dalla mia carne.
Io non
ero stato sconfitto:
ancora una volta avevo disertato la vera lotta, ed ero capitolato.
Quella
maledetta troia aveva
inscenato un gioco d’illusionismo e si era approfittata delle
crepe della mia
anima fragile, della mia insicurezza, eterna ed immutabile, per
sferrare il
colpo mortale.
La sua
regia accurata aveva
mosso i burattini della storia a suo piacimento, spietatamente, senza
curarsi
di chi schiacciava sotto il peso del suo enorme egoismo, chi
distruggeva con la
lama del suo immenso menefreghismo.
Risultato?
Ora
Elena era frastornata,
incredula, delusa.
Io ero
stato derubato,
usurpato, deturpato.
Mio
fratello stesso aveva
subito un inganno atroce, un nuovo colpo al cuore, un altro abbandono,
un
ulteriore inganno.
Come una
serpe, aveva
inoculato il suo veleno, intossicato le nostre esistenze, procurato
danni
irreparabili alle nostre vite.
Come
potevo aprire quella
porta?
Come
potevo guarire le
profonde ferite che entrambi portavamo nella carne, dentro
l’anima sanguinante?
Mi
maledicevo.
Perché
non mi ero fidato
delle parole di Elena, quando mi dichiarava il suo amore incondizionato?
Perché
ho preferito credere
alle bugie di Kath?
Perché
davanti all’amore
perdo lucidità?
Sarebbe
stato così facile
capire i segni, scoprire le differenze, stanare i complici, smontare il
complotto!
Invece
ho subito l’inganno,
rimanendone accecato e stordito, credendo alla menzogna
perché troppo vicina
all’immagine che ho di me stesso, troppo simile a quella di
un bambino che
pensa di meritare le punizioni inflittegli, che pensa di corrispondere
ai
giudizi denigratori di adulti troppo rigidi ed ottusi.
La mia
visione distorta mi
aveva fatto leggere messaggi inesistenti, cogliere segnali distorti; mi
ero
lasciato spodestare dal posto che dovevo difendere, dal posto che mi
spettava:
vicino a lei, al suo fianco.
Adesso,
oltre la porta
chiusa, vi è una donna profondamente lacerata eppure
fortemente determinata a
sfondare quella barriera e venire da me, ancora una volta.
Ma
sarebbe stato giusto per
lei accettare questo uomo ormai spogliato da ogni parvenza di
umanità?
Sarebbe
stato giusto, per
lei, tentare di ricostruire un uomo che si sarebbe sbriciolato non
appena lei
avrebbe solo accennato ad andarsene?
Le avevo
dato tutto, non mi
era rimasto più nulla.
Lei,
ostinatamente, rimaneva
incollata alla porta chiusa.
Il mio
silenzio rispondeva ai
suoi sospiri.
-Elena
… cosa aspetti? Cosa
ti aspetti da me? – rantolai.
- Voglio
che tu mi apra che
mi faccia entrare … voglio vedere il tuo volto, i tuoi occhi
… voglio vedere
te! -
- Non
c’è più nulla da
vedere. Non è rimasto più nulla da guardare. -
-
Perché mi allontani? Perché
non mi vuoi? -
Bestemmia!
Io la
volevo con ogni fibra
del mio essere … volevo abbracciarla, aggrapparmi a lei,
rifugiarmi in lei,
morire per lei …
-Elena
… Io devo abituarmi a
vivere senza di te: dipendo da te come la vita dipende
dall’acqua. Devo poter
rimanere in piedi anche senza il tuo appoggio, devo credere di poter
vivere per
me stesso, prima che per qualunque altra persona. – non
credevo nemmeno io alle
parole che stavo dicendo.
- Non mi
ami più? –
- Ti amo
troppo e male. –
- Non si
può amare bene o
male, si ama e basta. – disse esasperata.
- Non
posso stare con te con l’eterna
paura di quello che potrei fare se ti perdessi di nuovo! –
- Hai
paura di perdermi, e
allora mi lasci? È come diventare anoressici per paura di
rimanere senza cibo!
Non puoi pensare di abituarti a vivere senza di me per poter stare con
me … non
essere assurdo … non essere vigliacco! –
- Elena
… hai visto cosa
accade se mi lasci, se
non stai con me?
Io sclero … odio … distruggo … -
- Ora lo
sai … ora lo
sappiamo. Cercherai te stesso … ed io ti sarò
accanto per dirti dove trovarti,
per gridarti quanto sei pazzo e magnifico, quanto sei coraggioso e
infantile,
quanto sei vitale e di vitale importanza per me. Come credi che mi sia
sentita
quando mi hai lascito, quella sera? Eppure mi fidavo del tuo amore,
nonostante conoscessi
la tua cocciutaggine; mi fidavo di te, nonostante tu non lo facessi.
Sapevo che
ti avrei sempre trovato dove avevo bisogno, quando avevo bisogno
… ed eri lì ,
mi stavi aspettando e mi hai accolta tra le tue braccia. E’
il mio ultimo
ricordo prima di essere stata fagocitata … il primo al
risveglio dal mio incubo
peggiore. Non posso immaginare di vivere senza vederti, di continuare
ad aprire
gli occhi senza sperare i poter incontrare i tuoi. Tu mi hai lasciato,
ma non
mi hai mai abbandonata … tu ci sei sempre stato. Non riesco
nemmeno a pensare
che tu possa non esserci più. –
La sua
voce era rotta da singhiozzi
trattenuti, la sua sofferenza palpabile.
Che cosa
avevo fatto per
meritarmi tanto amore da parte sua? Quell’amore che mai
pensavo di poter
meritare? Io mi ero limitato ad adorarla al di
sopra ogni vita, di ogni essere, di ogni cosa …
avevo solo respirato
ogni suo respiro, mi ero limitato a porre la sua salvezza davanti alla
mia,
prima della mia.
Ero
sempre stato pronto a
morire per lei.
Sarei
mai stato pronto a
vivere per lei?
-Elena
… ho fatto cose … ho
ucciso … ho ricusato la mia umanità,
l’ho chiusa in una bara e l’ho lasciata
soffocare … non ho più niente, non sono
più niente. –
- Lascia
che sia io a dirlo …
cerchiamo di scoprirlo insieme dove sei, se ci sei … io ti
sento, sento la tua
voce carica di sofferenza, sento il tuo cuore battere un ritmo
instabile …
sento i tuoi pensieri tormentati … la tua umanità
non è morta: la sento
combattere per riemergere, la sento gridare per farsi ascoltare
… -
-Io sono
un mostro! – gridai,
sbattendo i palmi contro la porta chiusa.
- Tu sei
un vampiro … non un
mostro … un uomo, non una bestia … -
- Ho
scelto il mostro … ho
liberato la bestia … -
- Allora
perché sei qui solo?
Perché non sei in giro a squartare donne e bambini
… ?-
- Chi ti
dice chi non lo stia
facendo? Chi ti dice che non lo abbia appena fatto? –
-
Perché so che, nonostante
tu affermi che ti piaccia uccidere, non ti dà più
lo stesso piacere … non ti dà
più la stessa euforia … ammettilo! –
- Uccido
ancora … ho ucciso,
non mi importa più …-
-
Esatto! Non t’importa più:
potresti uccidere o no. Uccidere non è più una
priorità … uccidere non è una
necessità: me lo hai insegnato tu … mi hai
educata tu … mi hai salvata tu! –
-
Vattene, Elena. –
- No!
Dovrai aprire quella
porta e strapparmi il cuore. –
- Elena
… -
-
Lasciami provare … provaci
… ancora una volta … non per me: per te
… per noi. –
Quella
che Elena mi stava
offrendo era un’opportunità preziosa, unica, forse
davvero l’ultima: sarei
stato un idiota a non afferrarla, a buttarla via.
Però
era atroce trovarmi a
fronteggiare questa occasione, questa mano tesa, nelle condizioni
peggiori:
avevo troppo da farmi perdonare, da perdonarmi, e niente da offrirle se
non il guscio vuoto
del mio essere.
La paura
di un nuovo
abbandono mi permeava come acqua salata nei pori di una spugna.
La
voglia di lei mi prosciugava
come vento nel deserto.
Voltai
appena il viso verso
la maniglia della porta chiusa. Allungai la mano e la afferrai.
Mi
fermai.
Mi
sforzai di immaginare la
mia vita con lei e perderla di nuovo: estasi e tormento, inferno e
paradiso,
vita … morte … rinascita … un turbinio
di emozioni salvifiche e devastati … una
vita piena, non importa se di dolore o gioia … piena
… viva.
Chiusi
gli occhi e guardai il
mio futuro senza di lei: dietro le palpebre vidi solo
un’estensione illimitata
di tempo vuoto una distesa di terra bruciata, buio come un universo
senza
stelle, inutile, come la ricerca di qualcosa che già sedeva
oltre quella porta
chiusa.
Un suo
sguardo valeva i
tormenti dell’anima?
Una sua
carezza valeva le
torture sopportate?
Un suo
abbraccio valeva la
perdizione eterna?
Un suo
bacio valeva la mia
sanità mentale?
C’era
solo una risposta … una
sola possibile … una sola accettabile!
Abbassai
la maniglia e la
porta si aprì.