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Autore: LazySoul    18/02/2014    9 recensioni
Salve a tutti :)
In questa storia si alterneranno le vicende delle due coppie protagoniste: Luna/Blaise e Pansy/Theodore.
La vicenda è ambientato in un sesto anno alternativo, dove il Signore Oscuro e i suoi Mangiamorte sono riusciti a conquistare Hogwarts, Harry e Ron sono fuggiti, mentre Hermione, Luna e altri ragazzi sono trattati come servi nella loro stessa scuola. Malfoy e Zabini aiuteranno le due ragazze (se volete sapere il perchè vi consiglio di leggere "Mai scommettere col nemico" e "Mai fidarsi del nemico") e le nasconderanno all'interno della scuola. Ed è così che Blaise e Luna dovranno condividere la stessa stanza, finendo con l'avvicinarsi sempre di più l'uno all'altra. Riuscirà Blaise a confidarsi con lei? E Luna sarà in grado di farlo innamorare?
Nel frattempo Pansy e Theodore sono in missione con Greyback alla ricerca di alcuni professori che sono riusciti a fuggire da Hogwarts. Pansy vorrebbe rivelare al giovane i propri sentimenti, ma ha paura di rovinare l'amicizia tra loro così impone a se stessa di non dirgli niente. Cosa succederà quando Theodore le dirà di chi è innamorato? Sarà lei la fortunata?
Bene, detto ciò, non mi resta altro che augurarvi una buona lettura! ^^
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Blaise Zabini, Luna Lovegood, Pansy Parkinson, Theodore Nott | Coppie: Draco/Hermione, Pansy/Theodore
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Da VI libro alternativo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Mai Scommettere col Nemico'
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Ciao a tutti!

Questa storia fa parte della serie "Mai Scommettere col Nemico composta da: “Mai Scommettere col Nemico” (http://www.efpfanfic.net/viewstoryv.php?sid=1889480&i=1) e “Mai Fidarsi del Nemico” (http://www.efpfanfic.net/viewstoryv.php?sid=2361353&i=1), che vi consiglio vivamente di leggere. Questo capitolo infatti si colloca dopo il quinto capitolo di "Mai Fidarsi del Nemico". 
Spero che la storia vi piaccia e se avete voglia di lasciarmi una recensione sarò felice di rispondervi! ;3
Un abbraccio,
LazySoul

 

 

 
Capitolo primo
(Luna's point of view)

 

Cantare mi rendeva sempre di ottimo umore, era il mio talismano contro le ingiustizie della vita, contro le storie tristi, contro i desideri irrealizzabili...

Sì, quando cantavo era tutto migliore, vedevo ogni cosa da una prospettiva diversa e in un certo qual modo il mondo mi sembrava più luminosa.

Eppure quella volta era impossibile poter osservare la situazione da quel punto di vista totalmente anti-pessimista che di solito possedevo, quindi non provai neanche a cantare, certa che non sarebbe servito a nulla.

Era semplice fingere, non che fossi un’esperta in materia, ma quella volta mi riuscì molto meglio di quanto potessi mai immaginare.

Fu semplice voltarsi verso Hermione e rassicurarla con un sorriso, ma vedere la sua espressione preoccupata ed ignorarla lo fu un po’ di meno però.

Ignorai la voce tagliente e maleducata del Mangiamorte che rimase lì, impalato davanti a me ad insultarmi per quelle che mi parvero ore, mentre io abbassavo in modo impercettibile il capo, fingendomi sottomessa e contrita come avrei dovuto essere.

In realtà sentivo dentro una forte rabbia e delusione per me stessa.

Avrei voluto impedire che tutto ciò accadesse, anche se non avevo colpe, anche se avevo fatto il possibile, non era stato abbastanza e questo mi rendeva tremendamente critica nei miei confronti.

Continuai a lavorare, ignorando per quanto mi era possibile il tremito delle mie dita o il dolore in ogni singolo muscolo, soprattutto all’altezza dei lividi che avevo su braccia e gambe.

Lestrange quel giorno era parecchio di cattivo umore, lo avevo provato sulla mia stessa pelle e le cosa non mi entusiasmava particolarmente.

Vidi la piccola Elfa Domestica accanto a me passarmi alcuni calzini e sorrisi anche lei, ricevendo in cambio uno sguardo pieno di genuino stupore.

Possibile che fossi l’unica a combattere la tristezza coi sorrisi?

Ignorai un piccolo Gulippe che si arrampicava su per la mia gamba, sorridendo al pensiero che lì dentro ero l’unica a poterlo vedere.

Spesso mi faceva sentire sola la mia inusuale capacità di percepire e vedere quelle piccole creaturine che non rientravano in nessun libro sulle creature magiche.

Ma papà era stato chiaro: il mio era un dono, quindi non dovevo disprezzarlo, ma coltivarlo.

Agli inizi non avevo preso poi tanto bene la faccenda, anche perché tutti mi avevano sempre presa in giro per ciò che riuscivo a scorgere grazie alla “Vista”.

La prima volta che mi avevano chiamato “Lunatica Lovegood” avevo sorriso, non capendo a cosa si riferissero, la seconda anche, ma quando mi ero poi trovata da sola, avevo incominciato a piangere.

Di solito non mi lasciavo travolgere dalla tristezza, mi impegnavo in ogni modo di trovare qualcosa di positivo in ogni istante, ma quella volta avevo pianto per quelli che mi erano sembrati secoli, chiusa nel bagno di Mirtilla Malcontenta, chiunque fosse passato mi avrebbe scambiata per il fantasma di quella povera ragazza, quindi non mi ero preoccupata di nascondermi ulteriormente.

Ero stata per anni senza dei veri amici, certo ogni tanto chiacchieravo con qualcuno, spesso però erano più gli insulti che dovevo sopportare rispetto alle parole gentili.

Ma tutta quella solitudine non mi era mai pesata molto.

Ero sempre stata sola, quindi non sapevo come fosse avere qualcuno su cui contare.

Non potevo sentire la mancanza di qualcosa che non avevo mai avuto.

Quando sentii il Mangiamorte gridare pensai che ce l’avesse nuovamente con me, anche perché proprio in quell’istante mi cadde a terra un calzino e dovetti raccoglierlo, rischiando di far cadere la cesta colma di indumenti.

Ero stupida della mia goffaggine, ma fui ancora più sconvolta quando vidi che quell’uomo malvagio se la stava prendendo con un giovane Tassorosso.

Il Gulippe, che ormai si era sistemato comodamente sulla mia spalla, continuava ad emettere suoni simili a grida di disapprovazione, mentre muoveva le manine chiuse a pugno.

La sua specie era per natura pacifica e non sopportava le urla, di solito si trovavano lungo i corsi d’acqua, oppure nei boschi, ma non mi stupì trovarlo lì, forse perché in fondo Hogwarts sorgeva proprio accanto ad un lago ed una foresta...

Quel povero Tassorosso era davvero terrorizzato, tanto che tremava in continuazione e aveva ormai le lacrime agli occhi.

Sbarrai gli occhi quando vidi chiaramente una saponetta volare sulle teste di tutti i presenti e colpire con estrema precisione il Mangiamorte.

Sapevo chi aveva osato tanto anche senza aver bisogno di voltarmi e provai l’irresistibile desiderio di frappormi tra quell’uomo e l’unica amica che avessi mai avuto, ma rimasi immobile, con le braccia e le gambe che mi tremavano, i ricordi delle torture appena subite ancora troppo vivide nella mia mente e il desiderio di rimpicciolire e di non esser vista da nessuno che m’impediva di fare ciò che il mio cuore mi diceva.

Avevo sempre odiato questa mia duplicità, questo mio essere costantemente in lotta con me stessa, anche se non lo mostravo mai a nessuno.

Seguii i passi del Mangiamorte come se mi trovassi un un incubo e sapessi perfettamente di non potermi muovere e di non poter fare assolutamente nulla per aiutare Hermione.

La figura incappucciata cominciò ad urlarle contro, ma lei era impassibile, una lastra di ghiaccio fiera e coraggiosa.

Avrei dato qualsiasi cosa per essere come lei, per poter affrontare ogni cosa in quel modo così... regale.

Hermione sembrava una regina privata della corona, ma pronta a fare qualsiasi cosa pur di riprendersela ed era bella anche nelle terribili circostanze in cui ci trovavamo.

Sorrisi quando lei gli sputò sulla maschera, anche se la mia espressione cambiò radicalmente quando lui la cruciò.

Hermione non pronunciò parola, nemmeno un verso le uscì dalle labbra e quel suo comportamento spazientì l’uomo che la colpì con un calcio.

Feci qualche passo, senza rendermene veramente conto, verso di loro, dicendomi che dovevo fare qualcosa per aiutarla, ma la piccola Elfa Domestica mi si piantò davanti, spingendomi con le manine a tornare indietro.

La mia amica venne trascinata fuori dalla stanza e il Gulippe, che continuava a urlare maledizioni contro il Mangiamorte s’infervorò ulteriormente, balzando con goffaggine a terra per seguire l’uomo vestito di nero.

«Torni al lavoro, la prego», disse l’Elfa, provando a sospingermi verso i panni da lavare.

Mi lasciai guidare ignorando il forte senso di colpa, sperando che Hermione stesse bene e che il suo coraggio e la sua cocciutaggine non la mettessero in ulteriori problemi.

 

***

 

Quando il giorno dopo mi svegliai romasi sconvolta nel notare che nessuno mi aveva scaraventata giù dalla mia misera brandina come ogni mattina.

Che fosse ancora troppo presto era fuori questione, dato che potevo sentire chiaramente numerose voci e passi che ogni tanto percorrevano il corridoio davanti alla mia cella.

Cosa poteva esser successo? I Mangiamorte erano diventati di colpo magnanimi e gentili?

Davvero improbabile.

Mi sollevai a sedere, lisciandomi senza un apparente motivo i jeans sporchi che indossavo da poco più di una settimana, prima di sorridere ed iniziare a passarmi le dita tra i capelli come se fossero i denti di una spazzola.

Improvvisai una treccia veloce, ma non avendo nessun codino non potei fissarla, lasciando che si disfacesse lentamente.

Sospirai, prima i sentire chiaramente qualcuno girare le chiave nella toppa della porta della mia cella.

Entrò un Mangiamorte ma, invece di ordinarmi di uscire, entrò nella mia stanzetta e si richiuse la porta alle spalle.

Aggrottai le sopracciglia per un istante, prima di inorridire: voleva forse farmi del male?

Cercai di rimanere impassibile, sapendo perfettamente che mostrarsi deboli serviva solo ad aumentare il loro compiacimento, mentre lo vedevo avvicinarsi a me.

Quando il Mangiamorte si tolse la maschera, mostrandomi il volto di Blaise Zabini rimasi sconvolta a fissarlo.

Sembrava imbarazzato, lo si poteva vedere chiaramente da come torturava i bottoni del suo povero mantello.

«Cosa ci fai qui?», gli chiesi, ignorando il battito impazzito del mio cuore.

Quel ragazzo era bello, su questo non c’erano dubbi di alcun tipo, mi dispiaceva solo di essere solo una pazza neanche troppo carina ai suoi occhi.

Non avevo mai pensato ai ragazzi seriamente, non avendone mai avuto uno, ma quando Zabini mi aveva chiesto delucidazioni sulle Piastelle quella mattina di quelli che mi sembravano anni prima, qualcosa dentro di me si era incrinato, nell’illusa convinzione che forse qualcosa con cui attirare la sua attenzione ce l’avevo.

Ovviamente avevo aperto gli occhi quando lui aveva rifiutato categoricamente la mia mano e quindi il mio aiuto quando Harry lo avevo steso con un pugno.

Eppure la sua presenza smuoveva qualcosa che nemmeno io sapevo definire, qualcosa che mi spaventava terribilmente.

«Sono qui per aiutarti», disse e la sua voce bassa e calda mi avrebbe sciolta se non avessi avuto la prontezza di schermare i miei sentimenti.

Mai mostrarsi deboli, mi dissi, anche se sapevo di avere proprio il tipico aspetto da damigella in pericolo.

«Me?», chiesi sconvolta, passandomi una mano tra i capelli, disfando così gli ultimi residui di treccia che avevo: «Perché me?»

La mia domanda lo colse impreparato, forse non si aspettava che gli domandassi spiegazioni, anche se avrebbe dovuto immaginarlo, no?

«Senti, io sto semplicemente facendo un favore ad un amico, ok? Non so perché Malfoy vuole aiutarti, forse perché sei amica della Granger, forse perché spera di ammansire quella belva che si ritrova come ragazza... non lo so perché, ma io rimango suo amico e quindi...»

«Va bene», dissi alzandomi e sorridendogli: «Cosa devo fare? Seguirti?»

Sembrò stupito, mentre mi fissava con quei profondi e bellissimi occhi azzurri che mi piacevano tanto.

«Non ti opponi? Non ti ribelli?», chiese.

«Perché dovrei? Hai detto che vuoi aiutarmi», sussurrai, notando come dei piccoli Verilli che fluttuavano nell’aria si stessero colorando di un allegro color verde mela, dimostrandomi che non stava affatto mentendo e che mi potevo fidare di lui.

Dopo pochi istanti quelle creaturine sembrarono disperdersi nell’aria, come se la loro presenza fosse stata tutto un sogno.

«Giusto...», sembrò rimanere a soppesare la situazione per quelle che mi parvero ore interminabili, prima di tirare fuori dal mantello una fiala con all’interno un liquido trasparente.

«Che cos’è?», chiesi, avvicinandomi ed afferrando quel piccolo contenitore.

Ignorai il brivido che mi attraversò la pelle quando entrai in contatto con la sua pelle e non distolsi lo sguardo dai suoi occhi.

«Distillato della Morte Vivente», disse: «Ti addormenterà per diciotto ore all’incirca»

Annuii, ma non stappai la fiala: «E dove mi sveglierò?»

«Sembra brutto detto così, ma... beh... nel mio letto. Al momento siamo a corto di stanze per fuggiaschi», il suo tono sarcastico mi fece sorridere.

Tolsi il tappo al piccolo contenitore e lo sollevai: «Alla tua salute», sussurrai, prima di ingerirne il contenuto.

Due secondi dopo mi tremarono violentemente le gambe e sarei caduta, se lui non mi avesse afferrata.

Lo guardai negli occhi fino a quando non sentii le palpebre troppo pesanti per poter sopportare la loro pesantezza.

E poi mi persi in un dolce sogno dai colori del cielo terso in Primavera.

 

***

 

Sentivo la fastidiosa presenza di Mantrigli nell’aria, quegli esserini a forma di piccole falene nere erano davvero odiosi, non facevano altro che urlicchiare e disturbarmi coi loro continui battibecchi.

Di solito spuntavano solo nelle situazioni imbarazzanti, in quelle di profonda tensione tra due o più persone o poco prima che iniziassero dei litigi.

Sperai di poter evitare tutti e tre quei contesti, anche se qualcosa di indefinito mi diceva chiaramente di non contarci troppo.

Mi rigirai nel letto caldo ed accogliente, attorcigliandomi tra le coperte ed odorandone a fondo l’odore.

Provai ad ignorare ancora un po’ i Mantrigli, affondando il volto nel cuscino e provando a regolarizzare nuovamente il respiro per potermi rilassare abbastanza da poter tornare a dormire.

Dopo pochi secondi però mi rassegnai e stiracchiai pigramente, sentendo ogni singolo muscolo di braccia e gambe distendersi all’inverosimile, prima che li rilasciassi all’istante.

Solo allora aprii gli occhi, rimanendo momentaneamente accecata dalla luce nella stanza.

Mi trovavo in un letto verde e argento, non c’era quindi bisogno di porsi troppe domande su chi mi stesse gentilmente ospitando, ma ero comunque curiosa di studiare quel nuovo ambiente.

Fu sconvolgente rendersi conto che non indossavo i vestiti sporchi che avevo quando avevo bevuto la pozione di Zabini, ma una maglia scura e dei pantaloni da ginnastica. Quegli indumenti non erano proprio della mia taglia, anzi erano enormi e maschili.

Aggrottai le sopracciglia, mentre mi sollevavo dal letto, ignorando l’improvvisa vertigine e muovendo qualche passo.

La stanza era come un comune dormitorio della scuola, tranne per il fatto che non c’erano altri letti e i colori erano totalmente diversi da quelli che ero abituata a vedere nella mia camera.

Faceva meno freddo di quanto avessi immaginato e l’aria era satura di un odore maschile che non sapevo riconoscere, forse perché mio papà non era mai stato un’amante delle boccette di profumo...

«Finalmente ti sei svegliata... cominciavo a preoccuparmi»

Mi voltai verso la voce e rimasi imbambolata per qualche minuto, persa in due profondi occhi blu che mi scrutavano con attenzione.

Mi sentivo vagamente in imbarazzo, ma cercai di mostrarmi abbastanza sicura di me e accennai un sorriso, vedendo come i Mantrigli si agitavano alla ricerca di una via d’uscita da quella stanza.

Provai l’impulso di andare alla porta e di aprirla per loro, ma non volevo risultare più strana di quanto già non sembrassi.

«I vestiti maschili non ti donano. Sembri ancora più magra di quanto tu non sia in realtà», disse, alzandosi dalla poltroncina verde in cui si trovava.

Era davvero alto, soprattutto rispetto al mio metro e sessantadue scarso, ma riuscii a non farmi intimidire e scrollai le spalle: «Non mi da affatto fastidio indossare abiti maschili»

Ci fissammo a lungo, ma probabilmente il più imbarazzato era lui, anche se non avrei saputo dire cosa me lo faceva pensare.

Ad un tratto sembrò riscuotersi: «Hai fame?», chiese, facendo qualche passo verso un tavolino in legno che non avevo notato, sopra il quale si trovava un vassoio colmo di cibo.

«Per me?», chiesi, con gli occhi sognanti, mentre lo vedevo uscire dal suo stato d’imbarazzo ingiustificato.

Annuì, accennando un  inchino e scostando una sedia dal tavolo, come se volesse invitarmi a sedere.

Sorrisi, raggiante, sentendomi come la principessa che non ero mai stata, quando si mise a servirmi come un maggiordomo, parlando in falsetto e facendomi dimenticare per lunghi istanti tutte le barbarie che avevo subito.

 

  
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