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Autore: Anbu Scream    18/02/2014    2 recensioni
"Come mai nessuno pensa di poter fuggire da questo incubo?" È la domanda che affligge ormai da tempo il ragazzo dagli occhi rossi, ormai da una vita vittima di esperimenti di ogni genere, volti a creare il soldato perfetto...
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hnnn ...
Era sdraiato sulla branda nella sua cella e si stava lentamente e altrettanto dolorosamente risvegliando da chissà quale droga. Sentiva un dolore lancinante alla testa, quasi l’avesse battuta più e più volte contro un muro. Non riusciva a pensare a nulla, e tantomeno a capire.
Pian piano iniziò a ritornargli il senso del tempo e dello spazio. Sentiva il tessuto ruvido del materassino sopra il quale era stato steso e la pesantezza dell’aria. Lentamente aprì gli occhi e alzò la testa in direzione dell’unica finestrella presente, tra l’altro anche chiusa ermeticamente: a giudicare dall’assenza di luce calcolò che erano le due di notte. Sentì un vociare al di fuori della cella. Nulla di strano, si trattava solo del cambio di guardia. A quell’ora mettevano a controllarli un solo uomo, armato ovviamente, ma con il sonno molto facile e pesante.
Chissà questa volta cos’hanno sperimentato …
Non gli importava realmente. Non più. Si tirò su a sedere, si stropicciò gli occhi e iniziò a studiare la sua stanza nell’oscurità, come faceva tutti i giorni da quando si ricordasse. Quattro semplici pareti spoglie, poste a creare un cubo perfetto intorno a lui, uno specchio al centro del muro sulla sua destra e, appoggiato a terra, un piatto con dentro un qualche cosa di informe. La cena. Si soffermò a fissare una macchia di umidità enorme formatasi appena al di sotto dello specchio, senza realmente guardarla. Che strano … non se la ricordava affatto.  Aveva una sola cosa nella testa: fuggire.
Aveva ormai deciso: sarebbe scappato quella stessa notte, con il russare pesante della guardia, l’ora tarda e l’oscurità a suo favore. Barcollando si alzò dalla branda che emise uno spiacevole cigolio. Quell’umidità … chissà da dove arrivava, contando che quella cella veniva aperta solo quando venivano a prelevarlo … si avvicinò allo specchio, guardando il suo volto stanco solo per un istante, iniziando poi a forzarlo, silenziosamente. Poco dopo, con notevole difficoltà, era riuscito a staccarlo dalla parete e a farlo cadere sul pavimento, rompendolo in mille pezzi e portando alla luce una presa d’aria. Trattenne il respiro per la paura di essere stato sentito per quella che gli parve un’eternità. No, nulla, nessun altro rumore oltre il russare della guardia. Lasciò che un ghigno affiorasse sulle sue labbra. Strappò un pezzo di tessuto dalla coperta grande quanto un fazzoletto e lo avvolse intorno ad una scheggia di vetro. Forzò la grata della presa d’aria, infilò il coltello improvvisato nella tasca dei pantaloni e s’infilò in quello spazio angusto, nel quale aveva appena la possibilità di strisciare e non si vedeva nient’altro che buio. Procedette alla cieca.
Dopo minuti che gli parvero ore, vide un’altra grata, molto meno spessa dell’altra. La smontò e fu costretto a soffocare un senso di nausea, vedendo dov’era capitato.
A quanto pare, quella era una dei tanti luoghi dove i maghi facevano i loro oscuri esperimenti. Iniziò a camminare intorno alla stanza per imprimere per bene ogni singolo particolare nella sua memoria: al centro c’era una lugubre barella con lacci, utili per legare le “vittime”, dietro di lui c’era una gigantesca vetrata, dalla quale si poteva vedere benissimo il mare a centinaia di metri sotto di loro, con diversi scogli disseminati per la superficie, fino a raggiungere la terraferma. A sinistra e a destra restavano immobili diversi piani e mobiletti, completamente rivestiti d'innumerevoli boccette, becher e strumenti vari, per nulla rassicuranti.
Uno sparo. Un proiettile si conficcò a pochi centimetri dal suo volto nel metallo del mobile che stava in quel momento studiando. Con tutta la velocità che solo la disperazione può fornire, buttò a terra il tavolo così da creare un riparo, gli s'inginocchiò dietro ed estrasse il “coltello”. Il suo cervello lavorava febbrilmente.
-Avanti, 134B, non opporre resistenza. Verrai riportato alla tua cella in attesa della giusta punizione. Altrimenti, non avrai diritto ad un processo e verrai giustiziato qui.- Il tono della guardia che aveva parlato era quasi scherzoso. Non prendermi in giro... indietro non posso più tornare e nemmeno ci proverò.
Pensò. Si affacciò da dietro il tavolo per vedere quante guardie ci fossero … ben sei soldati, con tanto di armi imbracciate e manganelli assicurati alla cintura fissavano il suo fittizio nascondiglio. Inspirò profondamente, rendendosi conto di aver trattenuto il fiato fino a quel momento. Continuò a pensare in maniera follemente veloce ad un modo per fuggire.
-134B, dobbiamo prendere questo tuo “nascondiglio” come resistenza?- Sputò lì sghignazzando quello che sembrava il capo.
Silenzio. Il ragazzo fu attirato da una bottiglia da un litro buono poco più lontano da dov’era sdraiato in quel momento. La prese. "Ligroina”… etere di petrolio dunque? Estremamente infiammabile e nocivo. Lui aveva un potere, un potere di cui solo pochi maghi della struttura erano a conoscenza.
-Aprite il fuoco!-
Il lettino venne crivellato da proiettili senza però cedere, centinaia di boccette esplosero tutt’intorno. Il rumore era assordante. Il ragazzo dagli occhi rossi giunse i palmi, e iniziò a sussurrare piccole parole in una lingua del tutto sconosciuta. La lingua del fuoco. Quando aprì i palmi, ne uscì una fiammetta che seguì le sue istruzioni. Le “disse” di vorticare intorno alla bottiglia fino a quando non fosse giunta sulle teste delle sei guardie. Così facendo, il liquido all’interno della bottiglia si sarebbe espanso, facendo esplodere il contenitore ed esponendo l’etere di petrolio al calore della fiamma. Il resto viene da se. Con un grido, lanciò la bottiglia-bomba, si rifugiò nuovamente dietro al lettino e dispiegò la lama dal panno, premendosi quest’ultimo sul naso.
Sentì semplicemente delle urla miste all’odore acre di quel fumo chimico. E il calore. Si alzò dal suo riparo e ciò che vide fu a dir poco agghiacciante: uomini che gridavano cercando di spegnere quel fuoco che bruciava velocemente le loro pelli, alcuni erano già a terra, inermi.
Ne contò cinque.
-GWAAAAAAAAAAH!-
Il ragazzo vide fiondarsi conto una torcia umana armata di manganello, con la pelle consumata ormai a chiazze e un’espressione mista tra il furente e il dolorante.
Come un battitore, l’uomo scagliò l’arma sulla testa del ragazzo, facendolo cadere a terra e allontanare il fazzoletto dalla bocca. L’aria contaminata gli entrò nella gola, bruciando come l’inferno. Il soldato si fiondò nuovamente su di lui con tutta la forza che gli rimaneva in corpo. Questa volta riuscì a schivarlo. Ma il soldato fu più veloce di lui. Di nuovo. Lo agguantò alla vita e lo fece schiantare contro il vetro, frantumandolo e facendolo precipitare verso il mare. Un attimo dopo l’uomo si accasciò a terra, senza vita.
Il ragazzo dagli occhi rossi sentiva ancora la gola bruciare e nello stesso tempo si sentiva libero, leggero. Stava precipitando fuori dall’incubo, lontano dalla paura. Vedeva la sua “casa” fluttuante allontanarsi, secondo dopo secondo, divenire sempre più piccola.
Il suo volto s’increspo in un sorriso un attimo prima dell’impatto con la superficie dell’acqua, il quale fu piuttosto violento. Stava affondando, sempre di più, ingollando sorsate di scura acqua salata. Gli faceva quasi piacere sentirla scendere per la gola dolorante, ma non era scappato per morire, non poteva morire, non ancora. Iniziò a scalciare e, nuotando affannosamente, raggiunse lo scoglio più vicino, ignorando le ossa che urlavano.
Una volta lì,  con il fiato corto, iniziò a ridere. Non riusciva a smettere. “Sono libero” fu l’ultimo pensiero che solcò la sua mente, prima di perdere i sensi.

I successivi tre giorni li passò a nuotare da uno scoglio all’altro, lottando continuamente con il dolore alle ossa e alla fame. Unico traguardo: la terraferma.
Tempo addietro si era ripromesso di narrare al resto del mondo dell’esistenza di quel luogo, la fortezza che fluttuava in mezzo al mare nascosta da sguardi indiscreti non poteva più essere un segreto di stato. Voleva raccontare anche ciò che realmente accadeva lì dentro, di tutte le volte che si era svegliato con nuove cicatrici sul corpo, di tutti i test che venivano fatti, di tutte le nuove bestie che venivano create incrociando razze fra loro, costrette poi a vivere come dei topi da laboratorio: nascere in gabbia, crescere in gabbia per poi nella medesima gabbia morire … come lui d’altronde.
Ma, come ogni uomo la cui storia è degna di esser narrata, lui era scappato dal suo destino prestampato per raggiungerne un altro sconosciuto.
  
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