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Autore: Acinorev    21/02/2014    28 recensioni
La comunicazione, verbale e non verbale, si basa su cinque assiomi, ovvero cinque principi impliciti e fondamentali. Il primo dice che è impossibile non comunicare: Caren l’ha studiato al liceo, accantonandolo subito dopo perché era troppo impegnata ad uscire con Henry o con Kim.
Eppure, a ventidue anni compiuti, si ritrova a ragionare sul serio su quel piccolo concetto sbiadito dagli anni, perché Lake lo incarna alla perfezione.
Lake non parla molto, perché le parole sono spesso inutili o superflue, ma questo non vuol dire che non comunichi: Caren l’ha capito quando lui le ha accarezzato un braccio con le dita ruvide per svegliarla. Quando ha baciato il suo collo prima di uscire di casa, con la sigaretta pronta ad essere accesa e i capelli in disordine. Quando ha percorso il suo corpo con le dita e le ha dato un confine.
Lake è comunicazione pura in ogni movimento che compie, in ogni respiro trattenuto e in ogni sguardo. Caren l’ha solo compreso in ritardo.
"Lui che dice qualcosa del genere? - domanda l'altra, divertita. Subito dopo scuote la testa e riprende. - No, non mi ha detto niente. Ma poi ti ha guardata, ed io ho capito".
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo ventuno - Epilogue
 
 
«Sei sicuro di averla messa al massimo?» chiede Barbara, sventolandosi una mano davanti al volto mentre con l'altra si appoggia al bancone appena pulito.
«Sì» borbotta Randy, dondolandosi avanti e indietro sui piedi posteriori di una delle sedie del bar. Ha gli occhi fissi sul telefono tra le sue mani e la faccia un po' più stanca del solito.
Caren, con gli avambracci sulla macchina per il caffè e le spalle ricurve per la posizione, alza lo sguardo al soffitto e si sofferma sulle ventole del lampadario - nuovo di zecca - che secondo Barbara potrebbero andare più veloci. Sono le due e trentacinque del pomeriggio, il suo turno sta per concludersi e la temperatura è davvero troppo alta, per essere ancora primavera: il locale è vuoto da più di mezz'ora ormai e loro hanno finito tutto ciò che c'era da fare, quindi sono costretti ad aspettare e a sentire l'umidità afosa appiccicarsi sulla loro pelle.
«Guarda che gira troppo piano» continua Barbara, leggermente spazientita. I capelli legati in una coda bassa non vogliono rimanere al proprio posto e gli occhi vispi sono fissi sul compagno.
«Ti ho già detto che più di così non va» ribatte lui biascicando per la stanchezza.
«Cosa ti costa ricontrollare?»
«Fallo tu, se ci tieni tanto.»
«Lo sai che ho paura delle altezze, non essere stupido.»
«Allora credo che tocchi a me, ma indovina un po'? Non ne ho voglia e non ce n'è motivo. È già al massimo.»
«Randy.»
«In persona!- esclama lui esasperato, sbuffando e tornando con tutti e quattro i piedi della sedia a terra. Stavolta guarda Barbara negli occhi e, nonostante il tono scocciato, sembra anche divertito. - Credi che non sappia il mio nome? Oggi l'hai ripetuto almeno cento volte e ormai dovresti sapere che mi piace se lo fai solo quando siamo a letto» continua, facendo ridere Caren e guadagnandosi un'occhiata minacciosa da Barbara, che si premura di lanciargli uno straccio sul volto solo per nascondere il mezzo sorriso che la stuzzica.
Cinque minuti dopo, Caren non riesce a capire se il caldo eccessivo le stia procurando delle allucinazioni o se dalle vetrine stia davvero avvistando i suoi amici dirigersi verso l'entrata del bar. Eppure può distinguere chiaramente le spalle larghe di Bob e la voce chiassosa di Enriqua, i tratti infidamente simili di Vins e Sue, i capelli biondo platino di Annah e la carnagione di porcellana di Ginnie. Ci sono proprio tutti e non sa come interpretare questa visita inaspettata, nonostante stia già sorridendo.
Appena la porta si apre con uno scampanellio, il bar precedentemente immerso nella calma si riempie di chiacchiere ed esclamazioni, di saluti e di "Volete qualcosa da bere?": Vins prende la parola e propone di offrire per tutti - il che è strano, perche Vins non offre mai.
«A cosa devo questa sorpresa?» chiede Caren a Bob, dandogli una piccola gomitata nel fianco per attirare la sua attenzione, prima che si sieda intorno al tavolo. Il ragazzo le bacia affettuosamente una guancia, forse cercando di compensare il poco tempo passato insieme ultimamente.
«Non spetta a me dirlo - risponde lui alzando le spalle. Ha il viso fin troppo sorridente. - Tu come stai? Tutto chiarito?»
«No, non ancora. Io... - Si interrompe con un sospiro e appoggia le mani sui propri fianchi. Non vuole proprio parlarne. - Perché continui a sorridere come un ebete?» gli chiede cambiando discorso, mentre lui quasi scoppia a ridere.
Caren scuote la testa per la mancanza di una risposta e si prende qualche secondo per osservare il resto di loro: Enriqua, già seduta accanto a Bob, continua a stringere tra le mani un fazzoletto stropicciato. Che abbia detto al suo ragazzo dei propri sentimenti? Questo spiegherebbe gli occhi leggermente arrossati: l'idea però non la stuzzica più di tanto, perché Robert le avrebbe sicuramente confidato una tale svolta nel loro rapporto. Ginnie, dall'altra parte del tavolo, sta ridacchiando con Annah senza alzare troppo la voce e gesticolando come mai prima d'ora: entrambe continuano a sorridere, come se anche loro non potessero farne a meno. Caren non capisce se l'euforia di Ginnie sia dovuta almeno in parte all'appuntamento avuto con il barista che ha conquistato solo poco tempo prima, al "Sunshine".
«Bob? - chiede poi all'improvviso, modulando il volume della propria voce e sporgendosi verso il suo orecchio. - Henry non viene?»
La sua è una domanda legittima, se così si può dire: solitamente il gruppo, quando si riunisce, si riunisce al completo con i corrispondenti pro e contro. Inoltre, ora che ha notato la sua assenza - e il fatto che ci abbia messo un po' di tempo la solleva - è curiosa di avere una conferma.
Per la prima volta, Bob si veste di una maggiore serietà. «No - sospira, passandosi una mano sui capelli cortissimi. - È partito, ma non chiedermi per dove perché non lo so. Nessuno lo sa».
Caren vorrebbe dire che quella situazione le ricorda qualcosa di vagamente familiare, che Henry dovrebbe imparare a non scappare ma a rimanere e ad affrontare i problemi che comunque è costretto a portarsi dentro, eppure non ne ha il tempo, perché Sue si schiarisce la voce a capotavola e si alza in piedi strusciando la sedia a terra rumorosamente. Il suo viso è raggiante e i suoi occhi mescolano il verde brillante che li caratterizza con una felicità che non può essere fraintesa. Vins, al suo fianco, le passa un braccio afettuoso intorno alla vita e si inumidisce le labbra, mentre indietreggia di poco per permettere a Randy di posare il vassoio di bibite.
«Ren, dobbiamo dirti una cosa» esclama Sue, stringendosi nelle spalle per l'impazienza. Di cosa parla? E questo significa che gli altri sanno già tutto o che è qualcosa che riguarda soltanto lei?
«Ehm.. Ok?» risponde Caren, corrugando la fronte con un leggero sorriso sulle labbra.
Per un attimo Vins e Sue si guardano negli occhi con la stessa e identica espressione sul volto, poi la ragazza si volta di nuovo verso la sua amica, ma le parole che vorrebbe pronunciare vengono precedute dalla voce alta di Annah. «Avanti, faglielo vedere!» la incita, afferrando subito dopo la bottiglietta d'acqua che si è fatta portare - "Oh, da oggi sono a dieta!".
«Shh!» la rimprovera Enriqua, fremendo sulla sedia, mentre Caren la osserva velocemente rendendosi conto della sfumatura serena dei suoi occhi.
«E va bene, va bene» esclama Sue, riattirando l'attenzione su di sè. Caren sbatte le palpebre, sempre più confusa, e aspetta in silenzio con le labbra leggermente schiuse.
Qualche istante dopo, mentre la dentatura bianca di Sue compare grazie ad un sorriso largo e sincero, lei alza la mano davanti al proprio petto tendendola verso l'amica: sull'anulare sinistro, un anello di fidanzamento circonda il dito sottile.

Caren inspira profondamente e stringe per un secondo i pugni, come a ricavarne un po' di forza o coraggio. Ormai ogni fibra che la compone freme al pensiero di ciò che le manca per essere completa e lei è disposta a tutto pur di ottenerlo di nuovo. 
Suona il citofono e attende con il labbro inferiore tra i denti e i capelli che si muovono delicatamente a causa degli sporadici aliti di vento caldo. Nonostante sia pomeriggio inoltrato la temperatura non si è abbassata di molto, permettendole di uscire a maniche corte.
«Chi è?» risponde la voce di Lake, facendola rabbrividire nonostante sia resa diversa dal filtro meccanico che si frappone tra di loro.
«Sono Caren» dice lei, alzandosi per un attimo sulle punte. Stringe la cinghia della borsa tra le mani e aspetta con la bocca schiusa, speranzosa. Dopo una manciata di secondi, pensa addirittura che Lake non voglia farla salire perché il silenzio è assordante ed eloquente, eppure, proprio quando sta per perdere le speranze, il portone si apre e lei può tornare a respirare.
È già qualcosa. Non l'ha respinta e questo può essere un buon segno: evidentemente è disposto ad intrattenere un confronto che per tutto quel tempo è sfuggito loro di mano o non c'è proprio stato. 
Caren sale velocemente le scale e quando arriva davanti all'appartamento di Lake ha quasi il fiatone, ma si impone di non darlo a vedere: lui non la sta aspettando sulla porta, che però è socchiusa e aspetta solo di essere aperta e di richiudersi dietro qualcosa che potrebbe rinascere.
Il salotto è sempre un po' disordinato e pieno zeppo di oggetti personali che sono inutili ma che sono comunque ricordi: Lake è in piedi tra il divano e la tv e si sta accendendo una sigaretta mentre tiene gli occhi socchiusi. I pantaloni blu della tuta hanno ancora un piccolo buco su un lato e la t-shirt nera gli sta un po' larga, ma mette in risalto la sua pelle diafana.
«Ciao» sospira Caren a bassa voce, facendo qualche passo lento in avanti. Spera di poter incontrare il suo sguardo, ma deve rinunciarci quando quello segue l'accendino che viene posato sul tavolino lì vicino. Non sa se quel silenzio sia un invito a parlare o l'ennesimo velato rifiuto, ma poco le importa, perché questa volta non si lascerà condizionare dai suoi comportamenti.
Dopo un respiro profondo, inizia a parlare. 
«So che per te le parole non sono importanti, ma hanno comunque un loro valore - comincia, attirando finalmente gli occhi di Lake nei suoi. Sono spenti e attenti al tempo stesso, mentre le labbra sono increspate intorno alla sigaretta e il viso è parzialmente coperto dal fumo che espira ritmicamente. - E per una volta, vorrei che tu ascoltassi cosa ho da dire, così come io per tutto questo tempo ho dovuto acccontentarmi dei tuoi silenzi e dei tuoi gesti.»
Lui non la interrompe, ma dalla sua espressione non traspare nulla. Caren fa un altro passo in avanti, pronta ad avvicinarsi sempre di più al suo corpo man mano che le parole usciranno dalla propria bocca.
«Ieri sono andata da Henry e ho fatto quello che dovevo: gli ho fatto capire che non sarà più parte della mia vita, se non nei miei ricordi, e lui l'ha finalmente accettato. Ho sempre voluto mettere un punto a quella storia ed è vero, sono stata troppo debole e spaventata per farlo sin dall'inizio, ma per quanto fossi confusa e influenzabile non ho mai pensato di tornare con Henry. Te l'ho sempre detto e forse non sono stata brava a dimostrarlo perché ho commesso degli errori, eppure ero sincera: non ti ho mai mentito, proprio perché desideravo darti solo la verità, e vorrei che tu mi avessi creduto, al posto di fingere che andasse tutto bene. Avrei potuto sforzarmi un po' di più, avrei potuto essere più forte, invece mi sono appoggiata ad una persona che non si fidava di me e che forse non riesce a farlo nemmeno ora. Non so perché tu sia sempre stato così prevenuto nei miei confronti, perché non mi abbia mai concesso il beneficio del dubbio, e questo mi ferisce, perché non credo di averlo meritato. - Caren fa una piccola pausa e respira piano, inumidendosi le labbra e tenendo lo sguardo in quello di Lake, che la sta osservando continuando a fumare quasi distrattamente. Ormai gli è di fronte, può sentirne il profumo. - Non merito nemmeno di essere etichettata come quella che ha fatto sesso con il suo ex in un vicolo mentre era ubriaca: non l'ho fatto, non l'avrei mai fatto e tu in fondo lo sai. Dovresti saperlo, perché io ho sempre cercato di farti capire quanto per me tu sia importante, anche mentre impedivo ad Henry di baciarmi ancora una volta e mi pentivo di quella stupida notte l'attimo dopo, anche mentre ti chiedevo scusa e mentre tu preferivi credere ad Henry, anziché a me. Nonostante tutto, sono venuta qui perché cazzo, Lake, perché non vuoi perdonarmi? Perché non vuoi nemmeno provarci? Tutto questo è assurdo, abbiamo sbagliato entrambi eppure non riusciamo neanche a parlare: io non posso fare più niente per dimostrarti quello che provo, non posso usare più nessuna frase o parola, e sono stanca di provarci senza alcun risultato. Io voglio che tu mi creda. Lo pretendo, perché sono stata una stupida ma lo sei stato anche tu e perché mi manchi più di quanto vorrei. Io pretendo che tu torni da me.»
Ha concluso con la voce che un po' ha tremato, ma non le importa. Non è riuscita a portare a termine il discorso che ha ripetuto nella sua mente una decina di volte, perché si è lasciata trasportare dai sentimenti che cova dentro e che sono fuoriusciti sotto forma di una preghiera travestita da pretesa.
La sigaretta di Lake è quasi finita ed è ancora incastrata tra l'indice e il medio della sua mano destra: c'è talmente tanto silenzio che, se facessero più attenzione, riuscirebbero a sentire il crepitio della carta e del tabacco che bruciano.
Caren sotto il suo sguardo si sente soffocare, ma sta cercando di rimanere impavida e di ignorare il cuore che batte più forte per l'attesa snervante. Vorrebbe afferrargli le spalle magre e scuoterlo per far uscire delle parole dalla sua bocca, poi vorrebbe baciarla e implorarla. Non può fare nessuna di queste cose - non ancora almeno - quindi si limita a spingere le unghie nei palmi delle proprie mani e a mordersi le labbra.
«Hai finito?» le chiede all'improvviso e a bassa voce. Fa un ultimo tiro e prima di espirare il fumo spegne la sigaretta nel posacenere sul tavolino. Subito dopo torna a guardarla lentamente, mentre lei corruga appena la fronte per decifrare quella domanda che può nascondere significati opposti.
«Posso parlare io?» aggiunge Lake, facendo un passo avanti. Li dividono pochi centimetri e i loro visi sono protesi l'uno verso l'altro, ma senza fare movimenti azzardati. Caren sente il proprio corpo risvegliarsi per quella vicinanza: vorrebbe toccare il suo, ma sa che sarebbe un gesto avventato.
Lake non aspetta una sua risposta, nè si muove di un millimetro. «Ho dovuto difendermi in qualche modo - inizia quasi in un sussurro, muovendo le labbra lentamente e tenendo gli occhi di un blu sporco in quelli impazienti e confusi di Caren. - Pensi che non ci abbia provato, hm? Pensi che non abbia provato in tutti i modi a fidarmi di te? Ma come avrei potuto farlo? Forse non ricordi in che stato eri quel giorno che Henry si è presentato al bar e tu ti sei rinchiusa nel bagno a piangere, ma io lo ricordo bene: quella volta ho capito che avrei dovuto fare attenzione, che avrei...»
Lake si interrompe sospirando per quella che sembra frustrazione e Caren vorrebbe pregarlo di continuare, spinta dalla voglia di sapere e di capirlo fino in fondo. Non è la prima volta che lui riporta a galla quell'episodio e non è la prima volta che dimostra di averlo tatuato nella mente, ma a differenza di quanto lui crede, anche lei ha ancora ben impresso nella memoria quel momento: la fragilità che l'aveva scossa, però, è ora una sensazione quasi estranea. «È questo il tuo problema - prende la parola, senza aspettare che sia lui a finire il discorso. È intenzionata a dire qualsiasi cosa le passi per la testa. - Vedi solo quello che vuoi. È vero, quel giorno ero a pezzi e lo sono stata innumerevoli altre volte, ma ti ho sempre spiegato il perché: ti ho sempre spiegato che era dolore che mi portavo dietro da troppo tempo e che non ero mai riuscita a far uscire, che Henry mi aveva ferita in modo tale da impedirmi di essere forte, almeno con lui. Però perché non vedi nient'altro? Perché non ti accorgi che quello stesso giorno sei stato tu a farmi sentire meglio? E che in tutte le altre occasioni ho cercato te per stare bene? Non credi che se avessi voluto sarebbe stato molto più facile lasciarti da parte e tornare da Henry? Non credi che io ti abbia dimostrato in qualche modo di non voler andare da nessuna parte?»
«Te ne sei andata, invece - ribatte Lake, stringendo i pugni e anche la mascella. Parla piano, guardandola serio con le iridi dure. - Ogni volta che non hai messo un punto a quella dannata storia, te ne sei andata. E io ho sempre dovuto aspettare che tornassi, che la smettessi di piangere per un altro: ho dovuto raccoglierti da un marciapiede quando non ti reggevi in piedi, solo per scoprire che eri stata con lui. Non voglio più farlo, non voglio più aspettarti».
Possibile che Lake abbia sofferto così tanto per quella situazione? Caren ripercorre velocemente tutti gli istanti passati insieme, tutte le sue reazioni e gli sguardi malcelati insieme alle parole taciute: ovviamente sa che Henry è sempre stato un tasto delicato, ma in qualche modo non ha mai notato tutta la paura di Lake, non ha mai colto la sua profondità. Come ha fatto ad essere così cieca? Probabilmente la loro diversità in fatto di comunicazione ha determinato un fraintendimento: lei, così attaccata alle parole e così superficiale nei confronti dei gesti, probabilmente non si è accorta di ciò che lui ha sempre cercato di dimostrarle senza però riuscirci.
Caren deglutisce con le labbra schiuse e alza una mano per portarla sul viso di Lake, sulla guancia destra che si irrigidisce al contatto delicato, accanto agli occhi che per un attimo si chiudono per proteggersi da chissà quale sensazione. «Sono qui» sussurra, come a contraddire qualsiasi parola appena pronunciata, come a dirgli che non deve aspettarla perché c'è già. Non sa più come farglielo capire e le sembra impossibile che lui ancora non ci creda: glielo urlerebbe, se avesse la sicurezza di non essere presa per pazza. 
«Dimmi ancora una volta che ha mentito - mormora Lake, con ancora la sua mano sul volto. - Dimmi che è stato solo un bacio.»
Lei respira piano e ritrae la mano. «Lo sai già - risponde a bassa voce. - E tu dimmi che mi credi».
Le labbra di Lake si irrigidiscono per un paio di fuggevoli secondi, mentre i suoi pugni si stringono lungo i fianchi. È estenuante pensare che lui abbia ancora dei dubbi o delle paure, che delle semplici parole - le stesse che disprezza e sottovaluta - siano state capaci di distruggerlo e di distruggere loro un po' di più. 
Non ricevendo risposta, Caren decide di cambiare approccio.
«Toccami» gli ordina, osservando con attenzione qualsiasi cambiamento di espressione o di sfumatura delle sue iridi. Ha bisogno di sentire le sue dita sulla propria pelle e forse lui ha lo stesso bisogno, perché è evidente che come sempre le parole non gli bastino.
Eppure non si muove, così Caren si sente in dovere di accarezzargli una mano e poi di stringerla per portarsela sul collo scoperto, delicatamente. Per un attimo chiude gli occhi e smette di respirare, abituandosi ancora una volta alla sensazione dei polpastrelli ruvidi di Lake su di sè. Aspetta qualche secondo sperando che lui reagisca, che come lei senta ciò che indissolubilmente li lega.
Lake serra la mascella e muove impercettibilmente le dita, poi respira lentamente e sposta la mano verso il basso, accarezzandole il petto con il dorso, il seno e l'addome piatto che è fin troppo coperto. Il suo tocco è esitante, come se fosse sull'attenti, pronto a captare qualsiasi segnale di familiarità o di cambiamento. Entrambi sanno quanto quel semplice contatto sia fondamentale, sanno che può valere più di mille altre cose e che fino ad allora Lake l'ha evitato come per definire un confine e un distacco. Quando quel giorno al campo da basket le ha proibito di toccarlo, ha segnato una frattura ben più profonda di quella che si sarebbe creata in altre occasioni.
Caren attende non molto pazientemente per qualcosa di più, quel qualcosa che li ha sempre caratterizzati e che negli ultimi giorni le è mancato in modo asfissiante. E quando lui le passa un braccio intorno alla vita, stringendole il fianco destro con forza, quasi sorride per il sollievo e la felicità e i "grazie" che vorrebbe proprio urlare. Resta inerme intrappolata nella sua presa e si concentra sui loro petti che quasi si sfiorano, sul suo viso che si avvicina al proprio quasi con tormento.
La mano sinistra di Lake si sposta tra i suoi capelli e li stringe in modo da farle sollevare il volto un po' di più, mentre le osserva le labbra intensamente. Chissà se riesce a sentire le preghiere che Caren sta recitando dentro di sè affinché la baci una volta per tutte, mettendo fine ad una pena che ha scontato ormai in abbondanza.
«Ma non capisci che il solo pensiero che lui ti abbia toccata è insopportabile? - dice Lake a denti stretti, senza muoversi ulteriormente, mentre Caren porta una mano sul suo braccio come a tenersi a lui per non cadere. - Non capisci che la sola possibilità che ti avesse presa... Non capisci?»
È stata paura, la sua? Dopo aver saputo di quel bacio che Caren vorrebbe solo cancellare, forse le parole di Henry non hanno fatto altro che rincarare la dose stuzzicando una eventualità troppo dolorosa? Probabilmente è per questo che Lake ha reagito in quel modo, respingendola in blocco senza volersi soffermare un po' di più sulla realtà dei fatti: probabilmente la possibilità di vedere concretizzarsi le sue paure l'ha paralizzato, facendogli preferire la strada più semplice, quella del completo distacco. A questo punto è più probabile che non fosse davvero disposto a credere ad Henry, ma che si costringesse a farlo per proteggersi.
Ho dovuto proteggermi in qualche modo.
«Non deve esserci nessun altro - aggiunge Lake, a soli pochi millimetri dalla sua bocca, in una tortura che va oltre qualsiasi aspettativa. Le sue parole fanno tremare Caren, che stringe un po' più forte il suo braccio, come a supplicarlo in silenzio. - Non posso dividerti con qualcun altro» continua.
«Io non voglio nessun altro» sussurra lei, portando l'altra mano tra i suoi capelli neri, finalmente libera di sentirli di nuovo tra le proprie dita. In quell'incastro di braccia e petti che ancora non si toccano, si stanno tenendo a vicenda come a non volersi più lasciare, come a dire "guarda che non te ne puoi andare".
A quel punto Lake inspira velocemente e appoggia la fronte alla sua, stringendo un po' di più la presa sul suo collo e facendo battere più forte - troppo forte - il cuore di Caren. «Mi dispiace - dice lei per l'ennesima volta, ripetendo le stesse parole che ultimamente ha dovuto pronunciare fin troppe volte. - Mi dispiace per tutto». Riuscirà mai a smettere di scusarsi?
Qualsiasi siano le sue intenzioni, però, non può metterle in atto perché nulla potrebbe allontanarla dalle labbra di Lake che in un attimo sono sulle sue. Nulla potrebbe evitarle di gemere qualcosa, come in un verso di dolore causato dalla frenesia che quel contatto le sta suscitando dentro. E nulla, assolutamente nulla, potrebbe farle interrompere quel momento che lei ancora non riesce a capire se sia reale.
Eppure il respiro di Lake sul proprio viso lo sente davvero, così come il proprio battito cardiaco è troppo intenso per poter lasciare spazi ad eventuali dubbi, e la felicità che sente dentro - fin nelle ossa - non potrebbe essere così piacevole in una semplice scena immaginaria. Quindi Caren si preme contro il corpo che la sta chiamando e torturando al tempo stesso, inarcando la schiena perché la mano di Lake ci si è posata sopra con le dita premute contro la stoffa della maglia. 
«Questi ultimi giorni... - sussurra Lake sulla pelle del suo collo, mordendola delicatamente subito dopo. - Hanno fatto schifo... - continua lento, spostandosi verso la base del suo orecchio e facendola rabbrividire. - Senza di te.»
Caren, ad occhi chiusi e con il respiro accelerato, non può trattenere la bozza di un sorriso. Probabilmente è una reazione fuori luogo e un po' presuntuosa, ma è inevitabile, perché dimostra il sollievo derivante dall'aver smentito la possibilità di aver definitivamente perso Lake.
Stranamente incapace di articolare verbalmente uno qualsiasi dei vorticanti pensieri che la stanno invadendo, Caren si limita a cercare di nuovo le labbra che tanto brama e che chissà quando si stancherà di baciare per rifarsi delle volte in cui non ha potuto farlo.
Finalmente le è concesso di sentirlo ancora.
Finalmente può chiudere gli occhi e godersi la sensazione che la bocca morbida di Lake provoca in lei, senza doverla soltanto ripercorrere in un ricordo.
E forse dovrebbero parlare ancora un po', forse dovrebbero approfondire il discorso ed esprimere chiaramente tutto ciò che provano e che si aspettano l'uno dall'altra, ma che bisogno c'è? In questo è d'accordo con lui, perché cosa potrebbe esserci di più esplicativo del respiro che stanno condividendo? Della mancanza che entrambi stanno cercando di ricolmare disperatamente? Quali parole potrebbero usare per descrivere quello che stanno attraversando e perché bisognerebbe descriverlo, quando lo stanno vivendo così vividamente?
Comunque Caren, anche se non lo dice, ormai sa distinguere nitidamente quello che sente, quello che le scuote ogni centimetro di pelle non appena Lake le si avvicina. Potrei amarti. È questo che pensa, infatti, mentre si lascia sfilare la maglia e mentre accarezza il suo addome al di sotto della t-shirt, sfiorandogli poi la schiena contratta. È la verità, potrebbe davvero farlo: magari non subito o magari sta già iniziando, ma non può davvero immaginare di alleviare i propri sentimenti, perché riesce a prevedere solo una loro intensificazione. Con Lake al proprio fianco, non potrebbe essere altrimenti, non per lei.
Potrei amarti, pensa ancora. O l'ha detto ad alta voce? Forse l'ha sussurrato tra un bacio all'altro, perché può sentire distintamente quanto la presa di Lake sul proprio corpo si sia intensificata in una reazione di risposta, come il suo respiro stia accelerando. Eppure non le sembra di aver mai smesso di baciare le sue labbra per pronunciare qualcosa, nonostante in ogni più piccola parte di sè continui a percepire rimbombare quelle due parole, ancora e ancora.
Potrei davvero amarti.
O forse è stato Lake a dirlo.




 
 

Buoooongiorno!
LO SO, mi odiate perché vi ho fatto aspettare fin troppo per questo capitolo (che poi è anche discutibile.....), ma come molte di voi sanno ultimamente non ho molto tempo e Lake mi ha fatto un po' disperare hahaha Insomma, mi dispiace per il ritardo, ma spero davvero che l'attesa sia stata ricompensata!
Che dire? La prima parte è molto tranquilla, perché è una semplice scena di vita quotidiana, se non fosse per le piccole novità: Ginnie si sta accasando, Annah forse ha capito di doversi mettere a dieta, Enriqua non ha ancora detto nulla a Bob, Henry non ha ancora imparato a gestire i propri problemi (piccino, voglio bene anche a lui! dalle recensioni allo scorso capitolo ho notato che ha acquistato molti punti ai vostri occhi, quindi ne sono felicissima :)), e Sue e Vins si sono fidanzati :) Loro due li vedo molto come una di quelle coppie che stanno insieme da anni e che staranno insieme mille volte tanto ahaha
E per passare al tanto atteso confronto tra Lake e Caren, be', ho dovuto sudare per scriverlo! Non starò a commentare ogni cosa che si sono detti, perché credo che finirei per essere ripetitiva: voglio solo precisare alcune cosette. Come anche Caren dice, forse entrambi avrebbero dovuto soffermarsi un po' di più sui loro problemi, ma è anche vero che una coppia come loro ha altri modi di affrontare le cose. Lake avrebbe potuto fare il solito discorso d'amore appassionato e bla bla bla, ma è di Lake che stiamo parlando e non sarebbe stato da lui: senza contare il fatto che ho cercato di rimanere con i piedi per terra, nel senso che nella realtà non sempre si ha il coraggio o la voglia di perdersi in discorsi profondi da romanzo rosa, quindi ho preferito adattare al loro modo d'essere anche la loro riappacificazione :) Spero che l'abbiate apprezzata, anche se avrei voluto fare di meglio! Riguardo la parte finale, quel "potrei davvero amarti", be', vorrei leggere quali sono le vostre ipotesi: se è stato Lake a dirlo o Caren, o se qualcuno l'ha davvero detto o meno! Sono curiosa :)

Non mi sembra vero che questa storia sia davvero finita! Sembra ieri il giorno in cui l'ho iniziata!! E non mi sembra vero nemmeno che vi sia piaciuta così tanto! Non so davvero come ringraziarvi per tutto quello che avete fatto per me e per questi personaggi, per tutte le meravigliose parole e tutti i messaggi che mi avete mandato :) Grazie, grazie, grazie! È stato un piacere scrivere questa storia e avere delle lettrici come voi :)

E niente, vi lascio i miei contatti, per qualsiasi cosa:
ask - facebook - twitter

Un bacio,
Vero.

  
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