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Autore: Tamar10    22/02/2014    4 recensioni
C'è un uomo alla fermata dell'autobus e una volta tanto Rose si chiede se l'impossibile non possa diventare possibile.
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Non è neanche un prototipo di bellezza, Odisseo. Ora che si trova sotto la luce dei lampioni riesco a vederlo meglio. Ha gli zigomi un po' troppo alti, la faccia un po' troppo lunga, i capelli un po' troppo biondi e corti e gli occhi di un azzurro spiazzante sembrano penetrarmi l'anima un po' troppo intensamente.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Benedict Cumberbatch
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Siamo tutti posti di fronte a una serie di grandi opportunità camuffate sapientemente da situazioni impossibili.
Charles Swindoll
 
 
Quella sera
 
Un'infinità di storie iniziano a mezzanotte e questa non fa eccezione.
Piove, non la tipica pioggerellina sottile di Londra ma un vero e proprio acquazzone. In giro non c'è quasi nessuno se non qualche sporadica macchina che attraversa veloce la strada.
La storia inizia con io che corro sotto la pioggia.
Ho i capelli scompigliati, la borsetta che sbatte contro il fianco e gli stivali nuovi che tacchettano sul marciapiede. Raggiungo la fermata dell'autobus dove trovo un temporaneo riparo dall'acqua e mi lascio sfuggire un sospiro di sollievo passandomi una mano fra i capelli fradici. Devo avere sicuramente un aspetto disastroso, ma non mi importa più di tanto. Chi mai potrei incontrare a quest'ora?
Come in risposta alla mia domanda mi accorgo dell'uomo che sta a pochi passi da me. È alto, altissimo, ma per il resto non riesco a vederlo bene, il suo volto è coperto nella zona superiore da un ampio ombrello nero e in quella inferiore dal bavero del cappotto. I suoi occhi che scrutano pensosi la pioggia sono l'unica parte visibile.
Immediatamente sento qualcosa, una vaga sensazione, ed inizio a mordicchiarmi le labbra proprio come faccio quando sono nervosa.
Lo guardo assorta tirar fuori una sigaretta dal pacchetto che ha nel giubbotto e accenderla con gesti eleganti. Intravedo dei lineamenti raffinati e per qualche secondo i suoi occhi si illuminano animati dalla fiamma dell'accendino, sono di un azzurro sorprendente, belli come ne ho visti pochi in vita mia. Involontariamente rabbrividisco e non è a causa del freddo.
Mi chiedo dove sia diretto e dove abbia appena trascorso la serata. Era da amici? Una cena di lavoro? Oppure con la sua fidanzata? Quest'ultimo pensiero mi procura un immotivato moto d'irritazione.
Non so di preciso come mai trovi tanto interesse in una comune persona che aspetta l'autobus, forse è per via della batteria del cellulare scarica o il fatto che oltre la spessa cortina formata dalla pioggia non ci sia davvero niente da vedere. Di solito non sono quel tipo di persona che si mette a fissare gli altri perché so quanto sia maleducato e fastidioso, ma in questa situazione non riesco a soffocare la curiosità. C'è qualcosa, un alone di magico mistero, intorno a lui. Mi sento un'idiota, soprattutto perché è solo uno sconosciuto, incontrato per caso a una fermata dell'autobus e, davvero, farsi certe fissazioni non è salutare.
D'altro canto l'uomo non sembra neanche avermi notata, continua ad osservare la pioggia facendo dondolare lievemente l'ombrello.
Mi domando come mai quello strano sconosciuto stia ad aspettare l'autobus con il suo ombrello sotto la pioggia anziché ripararsi sotto la tettoia della fermata. Ce n'è di gente strana al mondo.
In quel momento, neanche a farlo apposta, l'uomo butta la sigaretta in una pozzanghera, chiude l'ombrello scrollandolo lievemente e con un disinvolto passo laterale si porta sotto la tettoia. Ora a dividerci ci sono solo un paio di passi.
Solo adesso sembra accorgersi di me. Mi lancia uno sguardo sorpreso e curioso e io abbasso gli occhi sentendomi avvampare.
Sento il suo sguardo indugiare su di me e in quel momento vorrei tanto che il mio cellulare non fosse morto, così potrei almeno fingere di aver qualcosa da fare. Spero che le mie guance rosse non siano visibili alla fioca luce dei lampioni.
 
 
Benedict è stanco. Colpa del lavoro, degli impegni e del fatto che non riesca mai ad andare a letto ad un'ora decente. Inoltre piove e lui si ritrova a dover tornare a casa coi mezzi pubblici per colpa di Martin. Perché il suo migliore amico prima si offre di riaccompagnarlo a casa e poi lo abbandona dicendo che Amanda lo ha chiamato con urgenza intimandogli di tornare immediatamente a causa di un allagamento domestico. Benedict non fatica a crederci, con i figli che si ritrovano è un miracolo che la casa non sia ancora saltata in aria.
Così adesso si ritrova ad ascoltare la pioggia che picchietta incessantemente sul suo ombrello aspettando un autobus che passerà solo fra dodici lunghissimi minuti. Fuma una sigaretta per ingannare l'attesa, mentre lascia vagare la mente. Ogni tanto ha bisogno di stare un po' da solo a pensare, sono rari i momenti in cui ci riesce fra le interviste, i paparazzi e i fan. Ormai, da quando è diventato una star internazionale, ovunque vada c'è qualcuno che vuole una foto, un autografo, un abbraccio o anche solo un consiglio. Non che la cosa gli dia fastidio – di sicuro giova al suo ego – eppure ogni tanto sente il bisogno di staccare. Controlla l'orologio: ancora dieci minuti.
Chiude l'ombrello, stanco di combattere contro il vento per tenerlo in piedi, e si ripara sotto la tettoia della fermata. Solo allora si accorge della ragazza in piedi a pochi passi da lui. Si chiede quando sia arrivata, doveva essere davvero distratto per non rendersi conto di niente.
Ha i capelli scompigliati e la giacca bagnata, inoltre non c'è traccia di ombrello quindi deve aver corso sotto la pioggia fino a lì da chissà dove.
Davvero una deduzione geniale, Sherlock. Pensa con autoironia.
Per il resto la ragazza non ha niente di particolare, di media altezza, nessun vestito eclatante, non è né particolarmente bella né brutta. È normale, straordinariamente normale per usare un ossimoro. Una normalità fatta di pranzi da McDonald's, pomeriggi al parco e sabati sera passati a mangiare pizza sul divano guardando un film con gli amici, ben lontana da tutto quello a cui Benedict è abituato.
Lei sembra davvero non riconoscerlo e – se una parte di lui tira un sospiro di sollievo – in parte ne è anche un po' deluso, perché gli sarebbe piaciuto parlare con lei anche solo con quel pretesto.
È ordinaria, ma Benedict la trova stranamente interessante.
Nove minuti sono tantissimo tempo.
 
 
So che non dovrei parlare con gli estranei – mia mamma me lo ripeteva sempre quando ero piccola –, tanto meno con gli estranei ombrosi incontrati a mezzanotte alla fermata dell'autobus, eppure non riesco a resistere all'impulso di attaccare bottone. Cerco una scusa, una scusa qualsiasi, e ci metto un po' a raccogliere il coraggio per farli una domanda.
“Hai una sigaretta?”
Lui mi guarda perplesso, probabilmente è spiazzato da quanto il mio tentativo di interagire risulti patetico. Per un attimo temo che mi dirà di no, ma poi l'uomo mi allunga il pacchetto aperto senza dire una parola, mantenendo quello sguardo un po' freddo un po' ambiguo che mi mette terribilmente a disagio.
Frugo nella mia borsa finché non trovo un accendino. Non sono una fumatrice – ogni tanto mi capita di fumare qualche sigaretta a scrocco, ma non ho mai preso il vizio – tuttavia tengo sempre un accendino nella mia borsa, in caso di emergenza.
Non so precisamente quando ho archiviato questa situazione come “caso di emergenza”, probabilmente dipende dal fatto che non ho mai avuto una tale fissazione per uno sconosciuto che, per quello che ne so io, potrebbe anche essere uno psicopatico. Scuoto la testa in un gesto di autocommiserazione, neanche da adolescente ero messa così male e adesso che sono una donna grande e vaccinata...
Le mi riflessioni vengono interrotte da lui che si schiarisce la voce con un secco colpo di tosse. Solo allora mi rendo conto di aver ancora la sigaretta e l'accendino sospesi in una mano, devo aver proprio un'aria stupida.
Mi metto la sigaretta in bocca e la accendo, facendo il primo tiro. Soffio via il fumo con nonchalance cercando di darmi un contegno sotto lo sguardo di quegli occhi azzurri indagatori ancora puntati su di me.
“Vuoi sapere che marca sono?”
Quasi sussulto per la sorpresa, ormai mi ero rassegnata al fatto che non mi avrebbe parlato. Mi scappa un piccolo sorriso soddisfatto, mentre ruoto la sigaretta per leggere il marchio.
“Lucky strike” mi precede lui “Me le faccio portare direttamente dall'Italia”
Alzo entrambe le sopracciglia, per niente impressionata. Sembra un po' snob, penso osservando i suoi vestiti costosi e in generale emana un'aria di superiorità. Però non sembra antipatico, al contrario, e non posso ignorare il magnetismo di quegli occhi celesti che saettano da me alla strada semi-deserta.
Tendo la mano in avanti, un po' perché non so cosa rispondere alla sua affermazione, un po' perché sono curiosa di sapere il suo nome.
“Mi chiamo Rose” dico accennando un sorriso impacciato.
Lui afferra la mia mano sorpreso e – noto con mio grande fastidio – anche un po' divertito.
“Piacere” Ha le mani grandi con dita affusolate e la sua stretta è salda e rassicurante. Mi accorgo di essere rimasta imbambolata e che quindi il contatto sta durando un po' più del dovuto, in un attimo libero la mano rimettendola velocemente nella tasca del giubbotto per difenderla dal freddo.
“E tu sei?” domando cercando di dissimulare il mio imbarazzo.
“Nessuno” risponde velocemente “Puoi chiamarmi Nessuno” aggiunge alzandosi il colletto della giacca con teatralità e lanciandomi uno sguardo di sfida.
Se la sta di nuovo tirando, come se fosse chissà chi.
“Il tuo vero nome è così imbarazzante che ti vergogni a dirmelo?” lo punzecchio sorridendo furbescamente.
Lui corruga la fronte.
“No, è complicato” risponde in maniera emblematica, “Puoi chiamarmi Nessuno” ripete e questa volta il tono è più duro.
 
 
Benedict non sa perché non ha voluto rivelale il suo vero nome. O meglio, ci sono una miriade di motivi per cui non avrebbe dovuto rivelarglielo. Tanto per cominciare non si conoscono, poi ha paura che il suo nome possa risvegliare qualche ricordo in lei riguardo a chi è ed a cosa fa e in ogni caso non ne vede l'utilità.
C'è qualcosa di definitivo e triste nel loro incontro, sembra una di quelle occasioni che il destino ti regala, quelle di cui pensi “potrebbe essere fantastico se...” ed invece di provare a far diventare quel “se” realtà preferisci non agire. Perché è troppo faticoso, troppo complicato, troppo impensabile. Così quell'occasione scivola via – l'ennesimo treno perso, per usare una metafora – e non ti resta altro che pensare che forse non ne sarebbe valsa la pena.
Però Benedict è stanco dei forse, dei treni persi, e per una volta vorrebbe agire davvero come più gli piace. Martin probabilmente gli direbbe di non comportarsi da stupido e che a trentasette anni dovrebbe smetterla di perdersi dietro a delle vaghe fantasie. Ma Martin a quest'ora è a casa a sventare una quasi inondazione e Benedict sente di dover osare.
Con un gesto disinvolto controlla l'orologio, ancora quattro minuti. C'è ancora tempo.
 
 
Butto il mozzicone della sigaretta in una pozzanghera dove si spegne immediatamente e mi giro leggermente verso lo sconosciuto che ho mentalmente rinominato Odisseo – lo so che è una cosa stupida e banale, ma ho un humor molto peculiare e trovo la cosa particolarmente divertente –. Lui lancia un'occhiata veloce al suo rolex, poi punta di nuovo la sua attenzione su di me. Wow, sono più interessante di un orologio da duecento euro. Mi sento davvero lusingata.
“Allora, Rose” pronuncia il mio nome con un sussurro che mi fa venire i brividi “Mi devi una sigaretta”
Gli lancio uno sguardo sfrontato e cerco di stare al gioco.
“Pensavo fosse un gentilissimo regalo da parte tua” Il mio tono di voce mi tradisce e, anziché una frase pronunciata con noncuranza, la mia sembra una domanda. Lui ride e mi ritrovo a ridere anch'io, il cuore mi batte veloce nel petto.
Non è neanche un prototipo di bellezza, Odisseo. Ora che si trova sotto la luce dei lampioni riesco a vederlo meglio. Ha gli zigomi un po' troppo alti, la faccia un po' troppo lunga, i capelli un po' troppo biondi e corti e gli occhi di un azzurro spiazzante sembrano penetrarmi l'anima un po' troppo intensamente.
Non è neanche bello, eppure risveglia la mia attenzione più di quanto farebbe un comune modello belloccio, perché quest'uomo di comune non ha assolutamente niente.
“Almeno portano fortuna?” domando accennando al mozzicone di Lucky Strike.
“Sicuramente” afferma lui deciso.
Aggrotto le sopracciglia, non mi aspettavo una risposta seria.
“Come fai ad esserne così sicuro?”
“Perché hai incontrato me” risponde sorridendo, un sorriso davvero magnifico anche se lo prenderei volentieri a schiaffi.
“Sai, non dovresti dare tanta confidenza agli estranei” dice Odisseo improvvisamente serio.
“Non ho più cinque anni” rispondo con un sbuffo che al contrario mi fa sembrare tanto una bambina capricciosa.
“Potrei sempre rapirti e vendere i tuoi reni” Il suo tono rimane serio ma gli occhi brillano provocatori e pieni di malizia.
“Non lo faresti”
Piega la testa di lato, un movimento che lo fa sembrare vagamente un rettile.
“Perché no?” domando incuriosito.
Vorrei rispondergli “Perché ti conosco”, ma in realtà non lo conosco affatto. Eppure sento di capirlo in qualche modo, so esattamente che tipo di persona è e allo stesso tempo non so neanche come si chiama. È una cosa stupida, me ne rendo perfettamente conto, però è così che mi sento. Collegata a lui.
Scuoto lentamente la testa con un sorriso.
“Perché non rischieresti mai di sporcare i tuoi costosi vestiti col mio sangue” rispondo infine ridendo.
 
 
Improvvisamente Benedict spera che l'autobus sia in ritardo anche solo di qualche minuto, invece i servizi inglesi sono come al solito impeccabili e, nonostante la pioggia, il bus arriva in quell'istante puntuale come un orologio.
Rose gli sorride quando lui la invita a salire sul mezzo con un pomposo inchino comportandosi come un vero e proprio gentiluomo. Non c'è nessun altro esclusi loro due e il conducente – che, grazie a Dio, non da segno di averlo riconosciuto – e quest'atmosfera fantasma rende le cose ancora più surreali.
L'autobus procede per le strade di Londra un po' troppo veloce per i gusti di Benedict che si chiede perché diavolo il traffico debba esserci solo quando non serve. Ad un semaforo rosso l'autista frena di colpo e Rose perde leggermente l'equilibrio finendogli quasi addosso. Il quasi è solo grazie ad un palo che la ragazza ad afferrare all'ultimo secondo frenando la caduta. Non si toccano, ma la faccia di lei è a pochi centimetri dal suo petto e Benedict è pienamente consapevole che non sono mai stati così vicini. Riesce a sentire il suo profumo – non dev'essere di marca perché non l'hai mai sentito sulle attrici con cui lavora – mentre lei si allontana nuovamente.
“Forse avremmo fatto meglio a sederci” dice Rose imbarazzata.
“Potevi avvertirmi di essere un pericolo pubblico. Sarei andato più lontano” risponde accennando ai sedili vuoti in fondo all'autobus.
“Spiritoso” risponde ironica facendogli una piccola smorfia.
Poi guarda fuori dal finestrino e la sua espressione muta di colpo, cerca i suoi occhi con aria terribilmente seria.
“Scendo alla prossima fermata” lo avverte piegando un angolo della bocca verso il basso.
Anche Benedict è dispiaciuto – ma cerca di non darlo a vedere – e indeciso. Lui non si definisce un uomo avventato benché abbia avuto il suo buon numero di avventure, eppure quello che vorrebbe fare è un gesto impulsivo ed estremamente stupido. Ci sono un'infinità di cose che potrebbero andare storte e lui non è sicuro di voler rischiare. È consapevole che si potrebbe complicare la vita, che tutto potrebbe andare storto, ma vale la pena rischiare. Ne è sicuro nel momento in cui vede gli occhi di lei lanciargli un'ultima occhiata malinconica mentre si mordicchia un labbro preparandosi a scendere.
L'autobus sta cominciando a decelerare quando Benedict prende finalmente una decisione. Afferra un volantino pubblicitario di un ristorante che qualcuno ha lasciato su un sedile e una penna che l'esperienza gli ha insegnato a portar sempre con sé. Si appoggia al finestrino per scrivere qualcosa e poi lo porge alla ragazza – a Rose – proprio mentre le porte si aprono.
Lei guarda il foglio confusa mentre scende. Quando finalmente capisce di cosa si tratta si gira sorridente, proprio mentre l'autobus sta ripartendo.
Ben alza una mano sorridendo appena, è troppo concentrato su altro per badare ai suoi gesti. La segue con gli occhi finché l'autobus non svolta.
Ha ancora impressa l'immagine di lei, sotto il diluvio, che lo saluta stringendo a sé il volantino.
Benedict controlla l'orologio. La mezzanotte è passata da quindici minuti e la favola sembra essersi conclusa.
 
 
Il giorno dopo
 
La mattina dopo entro nel piccolo bar, dove ho da poco trovato un impiego part-time, con aria assonnata. La sera prima è un ricordo ancora vivido nella mia mente e non riesco a scacciare Odisseo dai miei pensieri. Chi è? Cosa starà facendo adesso?
Appena tornata a casa ho salvato il suo numero come “Odisseo”, ma non ho ancora trovato il coraggio di scrivergli o chiamarlo.
Mi tolgo la giacca e infilo il mio grembiule da cameriera, mentre Rachel, la mia migliore amica che è già dietro il bancone, mi rimprovera per il ritardo.
“Sai, ieri sera ho...” inizio a dire dirigendomi verso di lei. Il mio sguardo cade sulla rivista che Rachel ha lasciato aperta su un tavolino e mi blocco di colpo.
Mi avvicino per osservare meglio il giornale.
La mia bocca si schiude in una piccola “o” di stupore quando vedo il soggetto della foto che ha tanto attirato la mia attenzione. Sento il cuore cominciare a battere furioso contro le mie costole mentre mi ritrovo ad osservare gli stessi lineamenti, gli stessi ricci e gli stessi occhi dell'uomo della fermata del bus. Cambiano solo i capelli che sono più lunghi e tinti di nero. C'è da dire che le foto non gli rendono giustizia.
Rachel sposta lo sguardo dalla mia faccia alla rivista, visibilmente confusa.
“Tutto bene?” mi chiede preoccupata.
Annuisco con aria assente spostando la mia attenzione alla didascalia che recita “Benedict Cumberbatch, 37 anni, famoso per il ruolo di Sherlock”.
Così Odisseo in realtà si chiama Benedict!
Non so come mai ma non sono affatto sorpresa che sia una persona famosa, ripensandoci non poteva essere altrimenti. Questo spiega tutto: i vestiti costosi, il fascino, l'eleganza. Spiega tutto, eccetto il motivo per cui avrebbe dovuto lasciarmi il suo numero.
Alzo la testa e incontro gli occhi della mia amica che mi studiano curiosi.
“Sei strana oggi” afferma vedendomi sorridere.
Io minimizzo la sua affermazione con un gesto della mano, ancora immersa nei miei dubbi, mentre i primi clienti iniziano ad entrare nel bar. Tanto vale chiarire col diretto interessato, ma non oggi, non ora.
Tiro fuori il cellulare dalla tasca e scorro la rubrica, fino al numero salvato sotto “Odisseo” e apro un messaggio vuoto. Le mie dita corrono veloci sulla tastiera elettronica e subito compare la scritta “Buongiorno Benedict :)” con tanto di smile finale. So già che lo odierà.




 
 
Note:
Prima di tutto voglio avvisarvi che non sono un'esperta di Benedict Cumberbatch. Ho visto Sherlock e pochi altri suoi lavori, giusto un paio di interviste, ma niente di esagerato. Diciamo che lo seguo “discretamente” quindi spero di aver reso al meglio il suo carattere (cosa che è sempre difficile con i RP). Non so come mai mi è venuto in mente subito lui per questa storia, ma mi sembrava adatto.
Questa storia è un esperimento: lo stile “inglese” caratterizzato da frasi brevi e sintattica semplice e soprattutto la prima persona che non uso spesso perché trovo riduttiva.
Spero apprezziate comunque. Grazie a chiunque sia arrivato fin qui, fatemi sapere cosa ne pensate :)
P.s. Lo so che non conoscere Benedict è una cosa un po' fuori dal mondo, tanto più se si vive a Londra, ma è tutto adattato ai fini della storia.
  
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