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Autore: Nollie    22/02/2014    1 recensioni
Questa storia è la fan fiction di una fan fiction http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2452350 seguirà le avventure di un solo personaggio, ovvero Asuka Nakamura, rapita dal clan degli Awory.
Genere: Avventura, Fantasy, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi chiamo Asuka Nakamura.
Sono una geisha.
Due Kanji: Gei e Sha.

Gei arte.
Sha persona.
Non mi definisco solo un'artista, bensì arte vivente.
Arte che cammina.
Fin quando l'arte è attorno a noi, è qualcosa di esterno che ci tocca solo in angoli remoti del corpo, solo se questo vuole lasciarsi prendere da quella che è arte.
L'arte può prenderti per mano? L'arte può toccarti in superficie? Molti direbbero di no, perchè l'arte nasce da un moto interno, ma io so che posso toccare ogni singolo strato della persona. Riesco a prendere anche quella porzione di corpo che si lascia in un letargo dove la realtà semplice, nuda e cruda, lo sopprime.

Io vivo e sono arte.
Sono una geisha.

Questo mi ripetevo da quando ero finita a Kronos e ormai erano passati poco meno di centocinquant'anni, da quanto ero arrivata al passaggio tra una maiko a una geisha vera e propria. Mancava solo quello e, forse, sarei stata davvero completa nella mia essenza. Adesso, continuo a ripetermi questo discorso, perchè forse voglio convincermi che non sono morta senza aver raggiunto la meta.

Quel giorno mi ritrovavo con un grosso uomo intento a spingermi in malo modo, all'interno di una foresta e non sapevo nemmeno dove avesse intenzione di portarmi, nè come mai avesse proprio questo gran bisogno di rapirmi. Effettivamente non ho mai capito come mai tutte quelle anime sparissero a Kronos, di tanto in tanto, all'incirca ogni sei mesi. Forse alcuni non se ne accorgevano, ma ogni mezzo anno una persona veniva a mancare e non capivo per quale motivo, ma forse era a causa della mia indole, intenta a guardare solo ciò che è particolare e non essenzialmente ovvio ed evidente. Così me ne sono sempre stata all'oscuro di quelle sparizioni e adesso, forse, stavo percorrendo lo stesso cammino di quelle persone. Percorrere, forse, non è proprio la parola esatta, dato che di tanto in tanto inciampavo, cadevo e mi trasformavo più in un panno lurido: non era un semplice percorrere. Avevo i capelli, prima acconciati perfettamente, ormai scompigliati, come se avessi dormito in mezzo alla paglia per tutta la notte, subito dopo averli sistemati. A dire il vero avevo passato quel periodo buio della giornata camminando in mezzo agli alberi, il muschio e il terriccio, ma, per come camminavo, non faceva molta differenza dalla paglia. I fiorellini rosa e bianchi che tenevo in alto al capo si erano afflosciati e anneriti; le perline non erano più legate da un filo e alle forcine, ma vagavano impigliate ai capelli e alcune di tanto in tanto si lasciavano cadere a terra, abbandonando il resto del gruppo. Il mio kimono nero, ormai era sporco di fango e di muschio verde; i piccoli decori dorati, quasi scomparivano, perchè scoloriti o coperti di terra; un lembo si era strappato, come lo spacco di un vestito e continuava ad ingrandirsi, lasciandomi già la parte poco sopra del ginocchio in bella vista; infine, delle fitte alla vita mi preoccupavano e la stoffa attorcigliata attorno ad essa iniziava a prendere un colore tra il rosso e il nero, misto al dorato naturale del capo. Una cosa carina era che non osava toccarmi neanche con un dito, ma perdeva la sua bellezza all'istante, dato che mi spingeva con un bastone di legno e mi dava colpi per niente deboli e dolci.
Ero caduta per l'ennesima volta a terra e per me era molto strano, perchè avevo sempre avuto dei modi aggraziati nella mia vita e non cadevo mai, grazie al mio portamento sicuro. Non riuscivo a sfoggiare la mia bellezza in quello stato, poichè nel singolo istante in cui riuscivo a riprendere l'equilibrio, non avevo il tempo necessario per rendermi conto di dover regolare nuovamente tutto e cercare di sopportare quella situazione. Il problema però non era la bellezza, nè il portamento e nient'altro, perchè, se avessi saputo prima il mio destino, sarei scappata, ma in fin dei conti anch'esso era particolarmente difficile, come piano da attuare. Quel mercante pretendeva la massima velocità nell'eseguire gli ordini, ma dovevo rispettare la giusta distanza che dove interporsi tra me e l'uomo, tra me e il bastone. Non avevo il coraggio di provare a intraprendere una via di fuga, perchè sapevo di essere debole, senza alcuna ora di sonno e senza una minuscola briciola di cibo nello stomaco, ed ero certa che le conseguenze di una fuga mal riuscita erano molto peggiori rispetto a quello che mi stava facendo in quel momento. Non mi aveva lasciato nemmeno un attimo per togliere le geta, così da poter camminare più agevolmente tra i vari dossi. Ad un tratto mi porto il bastone sotto il mento e sentì per la prima volta il suo alito spregevole e la sua voce quasi inesistente.

- Dormire. - Si limitò a dire e mi spinse a terra, mentre io cercavo di capire cosa intendesse per 'Dormire'. Se si trattava solo di dormire, dato che mi aveva buttata a terra in modo ambiguo.

[...]

Ero riuscita ad addormentarmi e non mi aveva fatto nulla di male, se così si poteva dire, quando mi svegliai avevo i capelli sciolti e verdi, a causa dell'erbetta che cresceva attorno all'albero su cui mi ero appoggiata. Alzai il busto e vidi che le mie geta non c'erano più e vicino alle mie gambe piegate vi era un fazzoletto con delle bacche sopra, in buona quantità. Allungai la mano, ma ad un tratto mi sentì come attraversare il volto da qualcosa di minuscolo e urlai, mi schiaffeggiai da sola e mi ritrovai degli strani insetti verdi e rossi sulla mano, spiaccicati, che rilasciavano un liquido bianco. Mi disgustai e tentai goffamente di mangiare con l'altra mano, quelle bacche, che erano l'unica fonte di cibo rimasta e non mi importava dell'uomo, dato che non era nei paraggi, avrei dovuto cogliere l'occasione per riprendere le energie. Una volta finite le bacche presi il fazzoletto e mi asciugai la mano, togliendo via gli insetti, anche se non riuscii molto bene a scrostare parte del liquido bianco e qualche zampetta di quegli strani insetti.
Quelle bacche dovevano avere qualcosa di strano, perchè mi sentii come se avessi mangiato più che un grosso mucchio di bacche. Mi alzai e appoggiai una mano sul tronco dell'albero, guardandomi attorno e non scorgendovi ancora nessun corpo grande e grosso, come quello dell'uomo che mi aveva portato sin lì. Più in là, però, vidi una radura e forse senza tutti quegli alberi sarei riuscita a scappare, con quella strana forza che mi stava percorrendo le vene. Ero un po' titubante, ma alla fine mi decisi e partii a correre, anche se non ero particolarmente veloce. Non correvo mai e quando lo facevo ero sempre quella più indietro di tutti, in quel momento mi sentii davvero sfortunata. Effettivamente, la fortuna non era dalla mia parte, poichè quasi al raggiungere la radura, sentii un dolore allucinante alla testa, tutto annebbiarsi, scolorirsi e poi il buio.

L'uomo c'era, c'era eccome e mi aveva lanciato, da molto lontano e con una mira strabiliante, una delle mie geta in testa.

Angolo Autrice: Per questa storia devo ringraziare Lucrezia, che qui su EFP è _Rea, che mi ha permesso di postare pezzi sulla sua storia, se così possiamo definirli. Questa è la role di prova che ho fatto per entrare nel suo GDR. Spero vi piaccia ;)
   
 
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