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Autore: Selene Silver    23/02/2014    2 recensioni
È attorno al terzo mese dopo l’arrivo di Komui che Lenalee inizia a pensare all’Ordine come: odore di caffè, gli schiamazzi della mensa, le occhiaie sotto gli occhi degli scienziati, la schiena di Kanda, e calore, calore, calore. La sensazione di addormentarsi in un posto che potrebbe essere sospeso nel nulla dell’universo, tenuto insieme dal battito di tutti i cuori che lo abitano.
E suo fratello l’accoglie al ritorno da ogni missione dicendo: “
Okairi.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Allen Walker, Lenalee Lee, Rabi/Lavi, Yu Kanda
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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A volte Lenalee pensa alla topografia, e al modo in cui i nostri ricordi influenzano il modo in cui guardiamo il mondo; un po’ come rigirare la rotellina di un caleidoscopio.

Quand’erano ancora bambini, raggomitolata contro la schiena di Komui nel letto che condividevano, le capitava spesso d’immaginare che il mondo non fosse altro che il pezzo di terra su cui la loro casa era costruita: una zolla fluttuante nel nulla, con una casetta di legno in bilico su di essa. Quattro battiti cardiaci a scaldarla, a tenere il buio lontano dai confini del suo mondo.
Quando gli Akuma attaccano, e uccidono i suoi genitori, e Lenalee viene separata da Komui, quell’immagine che tante volte l’aveva aiutata ad addormentarsi, serena e protetta, diventa un incubo. Il mondo è un pezzo di terra che fluttua nel nulla, e lei è l’unica ancora in piedi, il battito del suo cuore un’eco lontana che si perde nel buio senza stelle. Come una spirale discendente verso il suo corpo legato in un letto, i suoi occhi spenti. Riusciva a vedersi, a vedere ciò che era diventata, da dove il suo spirito fluttuava contro il soffitto della stanza, incapace di scapparne anche in quella forma incorporea. 

Reever è il primo a mostrarle le mappe, attento a non toccarla quando sposta la sedia per farla accomodare davanti al tavolo della biblioteca.
“Questa è l’Australia,” indica Reever. “Io sono nato qui.”
Lenalee posa la sua mano - senza guardare i suoi polsi ancora fasciati - sulla mappa. Il suo palmo è così piccolo da riuscire a coprire solo metà del continente che fa sorridere Reever con una fossetta nella guancia ed un’ombra negli occhi.
“Ma quant’è grande, il mondo?” le scappa di bocca, e poi se ne vergogna. Una domanda così infantile, per lei che è praticamente già adulta.
E Reever ride; ma è un suono gentile, ed intanto tira fuori dalla pila di mappe un planisfero. “Questo è il mondo che conosciamo fino ad adesso. Tu sei fortunata, signorina Esorcista; avrai l’opportunità di vederne un bel pezzo.” E poi, notando la sua espressione, con un sorriso dolce-amaro: “Premio di consolazione.”
A quel punto Komui arriva trascinando i piedi e chiama entrambi con voce lamentosa.

Quando la mamma era ancora viva, la sera chiamava Lenalee a sederle davanti e le pettinava i capelli. Le sue mani - callose, rovinate dal lavoro, con le vene in rilievo da sotto la pelle come radici che spuntassero dal terreno - erano ancora svelte ed abili mentre manovravano ciocca dopo ciocca per formare trecce e nodi.
Alla mamma piaceva raccontare storie. E così, mentre Lenalee sedeva pazientemente, senza mai vedere il viso di sua madre mentre parlava, la sua mente si riempiva d’immagini di lunghi serpenti coi corpi ricoperti di squame, donne con la pelle luminosa di luce di stelle, giovani coraggiosi con pugnali in mano. 
Ormai non ricorda più i nomi dei personaggi, le trame si confondono fra di loro e le morali le sono incomprensibili: eppure la sensazione di mani nei suoi capelli, la voce calma senza un volto, gli affreschi che aveva dipinto nella sua testa mentre ascoltava - tutto questo non l’abbandonerà mai.

Dopo l’arrivo di Komui, per la prima volta Lenalee riesce a sincronizzarsi con la propria Innocenza.
Le fa male. I Dark Boots le fanno male. Non come scarpe troppo strette, ma come pesi attorno alle sue caviglie, come sassi affilati sotto i suoi piedi. Camminare per tutto il mondo con questi stivali, pensa, e senza emettere un suono inizia a piangere.

Vorrebbe essere come Kanda, pensa, a volte. Accettare le cose per come sono, e continuare ad andare avanti, ostinata, un passo alla volta, senza guardare in faccia nessuno.
Certo, sa che Kanda non è intoccabile come vorrebbe far sembrare, facilmente irritabile, e più triste e testardo di quanto non sia salutare per nessuno. Anche lui è solo un ragazzino, in fondo. Eppure... eppure c’è qualcosa di così calmo, in lui. Una sensazione di quiete assoluta che la pervade, specialmente mentre finge di meditare insieme a lui, solo per osservarlo da attraverso le proprie ciglia. La fa pensare al vento che increspa la superficie di un lago, o al calore del primo giorno d’estate.
A volte, quando i Dark Boots le fanno particolarmente male, senza dire nulla Kanda si accovaccia davanti a lei e la porta sulla propria schiena per i corridoi silenziosi dell’Ordine, profilo seccato e serio. A Lenalee fa venire da ridere, ma si limita a posargli le mani sulle spalle in una carezza quasi impercettibile, attenta a non tirargli i capelli.

È attorno al terzo mese dopo l’arrivo di Komui che Lenalee inizia a pensare all’Ordine come: odore di caffè, gli schiamazzi della mensa, le occhiaie sotto gli occhi degli scienziati, la schiena di Kanda, e calore, calore, calore. La sensazione di addormentarsi in un posto che potrebbe essere sospeso nel nulla dell’universo, tenuto insieme dal battito di tutti i cuori che lo abitano.
E suo fratello l’accoglie al ritorno da ogni missione dicendo: “Okairi.

Quando ha quattordici anni, per la prima volta in questa sua seconda vita, qualcuno le racconta una storia.
“Sembravi quasi una sirena, eh, mentre combattevi” dice Lavi, ricoperto di sudore e sabbia, il suo Martello ancora abbastanza grande da potervici appoggiare contro entrambi. L’Akuma che avevano distrutto aveva assunto la forma di un piccolo vascello, e Lenalee era stata l’unica in grado a combattere davvero, grazie alle prerogative della sua Innocenza.
“Si...rena?”
“Sì, come nelle fiabe. Non le conosci?” Lenalee scuote la testa. “Dunque, le sirene sono delle creature con la coda di pesce ed il resto del corpo da donna. Sono bellissime e vivono nel mare, e attirano i marinai col loro canto melodioso, per farli schiantare con le loro navi contro gli scogli e mangiare i loro cadaveri.” Il modo casuale in cui lo dice, quasi allegro, tradisce quel suo cinismo che sembra fare del suo meglio per nascondere la maggior parte del tempo, ma senza grandi successi. Lenalee è brava a leggere le persone.
Quando si accorge della sua espressione turbata, però, Lavi fa un colpetto di tosse quasi colpevole, e sorride; un sorriso di scuse, sistemandosi la bandana sulla fronte.
“Macabro, eh? Però c’è anche una versione più romantica, anche se molto triste.  La sirena di questa storia non ha mai mangiato un essere umano. Anzi, quando salva un principe da un naufragio se ne innamora. Così tanto, sai, che decide di sacrificare la propria metà di pesce per vivere sulla terra con lui. 
“Allora va dalla Strega del Mare, e le chiede un modo per diventare umana, già. Un modo c’è, ma le costa la sua voce, ed inoltre, camminare le fa malissimo. Anche quando cammina sulla morbida sabbia della spiaggia, le sembra di star in realtà camminando su scogli taglienti e frammenti di vetro.”
E qui Lenalee smette di ascoltare. Seduta sulla spiaggia, in attesa che il finder che li aveva accompagnati torni con bende e medicina per le loro ferite, si incanta ad osservare la risacca del mare, pensando anche quando cammina sulla morbida sabbia della spiaggia, le sembra di star in realtà camminando su scogli taglienti e frammenti di vetro.
“Molto romantico,” Lavi conclude in tono sarcastico, sdraiandosi supino e lamentandosi per i suoi lividi, sirene già dimenticate.
Camminare per tutto il mondo con questi stivali; e questa volta Lenalee non piange; stringe i pugni, e non piange.

Forse sta solo cercando un equilibrio dentro di sé che non parta dai suoi piedi ma dal centro del suo corpo, un punto remoto in cui è facile accettarsi, accettare il proprio destino; in cui è facile dimenticare lacci attorno ai suoi polsi e caviglie, sangue sulle sue mani; tutte le piccole assenze e idiosincrasie che formano l’immagine che ora ha del mondo: uno specchio con mille crepe a distorcere il riflesso.

Topografia, pensa mentre versa il caffè che ha appena preparato nelle tazze degli scienziati; topografia, mentre si pettina i capelli davanti allo specchio ogni mattina. Topografia, pensa, la prima volta che vede Allen Walker. La cicatrice sul suo viso come la riga che separa due nazioni su una mappa.
È come l’imprinting che capita ai cuccioli, ai bambini. La tristezza di Allen è come una rosa cresciuta al buio, tendendosi verso l’unico raggio di luce che era riuscita a trovare. Anche lui, come Lenalee, ha imparato a guardare il mondo attraverso un caleidoscopio che forse lo confonde più di quanto non lo aiuti a vedere; ma che, alla fine della giornata, lo sprona ad andare avanti e avanti e avanti senza sentirsi crepato in talmente tanti punti da poter scricchiolare ed improvvisamente andare in frantumi.
Come Lenalee, per quanto faccia male, Allen continuerà a camminare. E per questo, quando lo incontra, Lenalee sente di volergli bene, in un modo assoluto e totalizzante, quasi feroce; ed un’altra tessera del puzzle che è il suo mondo va ad incastrarsi in un disegno a cui Lenalee è ancora troppo vicina per vederlo nel suo insieme.
In una caverna, quando Lenalee è allo stremo delle sue forze, Allen le prende il viso fra le mani e le ricorda: dobbiamo andare avanti. Abbiamo un posto dove tornare.

Quello che non dice a Komui, quando la chiude nell’infermeria insieme a Lavi, è che può fermarli adesso, ma non per sempre.
“Coloro che non possono combattere devono essere protetti,” dice, e lei vuole rispondergli: non posso combattere, ma sono una guerriera, fratello. Ho imparato ad esserlo, ho sconfitto me stessa per diventarlo; per calciare più forte il suolo e saltare più in alto.
Non puoi chiudermi qui dentro per sempre. Non lo dico perché non m’importa di morire. Lo dico perché voglio salvarvi.

Topografia: mappe e linee e strade e oceani e le navi che li attraversano, e Lenalee percorrerà tutti i sentieri che si troverà davanti perché avrà sempre un posto a cui tornare; e Lenalee proteggerà tutte le strade che vi conducono, e tutte le persone che, col battito dei loro cuori, tengono lontana l’oscurità; e imparerà a convivere con le schegge che sembrano volersi conficcare, irremovibili, nelle piante dei suoi piedi, e a trasformare la pesantezza della sua Innocenza nella leggerezza delle ali di una farfalla; ed i colori dentro il suo caleidoscopio saranno vibranti, come luce che passa attraverso le vetrate di una cattedrale.
Non ha ancora un suo equilibrio, ma per il momento c’è quello della Terra, in perenne rotazione sul suo asse.
Topografia: la capacità di allontanarsi abbastanza dal proprio mondo per vederlo risplendere davanti ai tuoi occhi come una costellazione.



credits titolo. avendo io visto l'anime solo fino all'98esimo episodio, in giapponese, coi sottotitoli in inglese, avrò sbagliato i termini che usano in italiano, ma 
¯_(ツ)_/¯
if you don't love lenalee lee we can't be friends.

  
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