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Autore: BabyLolita    23/02/2014    4 recensioni
Questa storia mi è venuta in mente grazie ad un sogno e forse perché mi piacerebbe dannatamente incontrare un Peter Pan che mi porti sulla sua magica isoletta. Credo che un po' tutti noi abbiamo avuto questo desiderio almeno una volta nella vita e grazie a questo sogno ho creato questa storia, che ha un che di fantastico e nostalgico, ma che spero vi faccia fare un bel viaggio come ha fatto fare a me, che ancora sono indecisa sul mio futuro e che vorrei, almeno per un po', fuggire con Peter Pan per prendermi un po' di quel tempo che, sicuramente in quel luogo, non trascorre come nel nostro. Detto questo buona lettura e spero che il mio racconto vi piaccia =D
Genere: Fluff, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Campanellino, Nuovo personaggio, Peter Pan, Wendy Darling
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mentre osservo le nuvole che veloci corrono nel cielo alla mia mente ritornano frammenti di ricordi passati che non ho mai dimenticato. Gli anni sono trascorsi e, nonostante tutte le mie preghiere, siamo stati divisi. Dove sei ora? Sei felice? Verrai…al nostro incontro?
   «Nonna Wendy! Nonna Wendy! Cosa stai facendo?»
Mi volto in direzione della mia nipotina che mi raggiunge saltellando. Le sorrido dolcemente alzandomi a fatica dalla mia poltrona preferita sempre rivolta verso la finestra. Afferro il bastone e faccio qualche passo nella sua direzione mentre lei allegra mi sorride gioiosa:
   «Nonna Wendy, perché stai sempre a guardare fuori dalla finestra?»
   «Perché il cielo mi ricorda una persona molto cara.»
   «E chi nonna?»
   «Qualcuno che non ho mai dimenticato. Ti va di sentire una storia?»
   «Si! Raccontami ancora quella del ragazzo che abita su una stella!»
   «Intendi Peter Pan?»
   «Si! Lui! Vorrei tanto poter visitare anche io l’isola che non c’è!»
   «Già… ti sarebbe piaciuta sicuramente.»
Concludo con un sorriso nostalgico accarezzandole la guancia. Kylie mi osserva curiosa, troppo piccola per comprendere la mia solitudine ma non abbastanza per sognare quel mondo che, tanto tempo fa, era diventato mio. Afferro la sua piccola mano con la mia, ormai vecchia e stanca, accompagnandola verso il salotto dove ci accomodiamo sull’ampio divano color panna. Appoggio la mia schiena ai morbidi cuscini mentre la mia nipotina si appoggia sulle mie gambe ansiosa di sentire, ancora una volta, quella storia che di inventato non ha proprio nulla. Inizio a raccontarle di come, quella fredda notte di inverno, i miei genitori fossero pronti per andare ad una cena importante e di come mio padre, sbadato come sempre, non trovasse i suoi amati gioielli. Le racconto di come io stessa raccontassi ai miei amati fratelli la storia di Peter Pan, all’insaputa che lo stesso protagonista fosse nascosto fuori dalla finestra ad ascoltarmi. Lascio riaffiorare alla mia mente la mia stessa vita della quale ho fatto una fiaba magnifica. Kylie mi ascolta attenta mentre osservo sul suo volto il manifestarsi di più emozioni una più speciale ed unica di quella precedente. Il racconto mi sembra ogni volta più breve, quasi come se io stessa lo stessi scordando piano piano. Quando arrivo alla fine, come sempre, altero il finale dicendole che Peter Pan è tornato sulla sua amata isola, anche se so bene che non è questo quello che è successo veramente. Kylie mi manda un ultimo sorriso prima di farmi una domanda nuova ma che non mi sorprende più di quel tanto:
   «Ma Peter Pan non è più venuto a prenderti?»
   «No tesoro, la nonna ormai è vecchia.»
   «E potrebbe venire a prendere me invece?»
   «Solo se lo desideri veramente.»
   «Allora lo desidero!»
   «Bene.» dico avvicinando la mia mano ed appoggiandola al suo cuore. «Allora serba questo desiderio proprio qui e vedrai che, prima o poi, quel mattacchione di Peter Pan verrà a prenderti.»
Kylie mi manda un ultimo sorriso gioioso prima di saltare giù dalle mie gambe e correre verso la sua stanza saltellando e gridando “sto volando!” ad ogni suo balzo. Il miei occhi si posano sulla finestra dall’altro lato della stanza accompagnati da un sospiro quasi forzato mentre nel mio cuore spero di veder realizzato il mio sogno. Mi dirigo nuovamente nella mia stanza appoggiandomi sul mio letto ed osservando quella borsa che ho preparato con cura alcuni giorni prima. Nessuno, eccetto la sottoscritta, è a conoscenza del suo contenuto ma poco importa, dato che sono l’unica che saprebbe davvero cosa farne. Osservo l’orologio e quando mi accorgo che sono ormai le sei di sera mi porto una mano al cuore chiedendo, ancora una volta, di poter rivedere il tuo viso. È passato un mese da quando ho spedito quella lettera al tuo indirizzo. Non è stato difficile individuare la tua abitazione, dato che sei diventato uno scrittore così famoso. Hai raccontato la nostra storia, raccontando dettagli dell’isola che solo tu potevi conoscere. Mi corico sul letto facendo riposare le mie ossa stanche mentre ricordo come è davvero andata a finire quel giorno di tanti anni fa. Stiamo tornando indietro tutti quanti: io, te, i miei fratelli ed i bambini sperduti. Ci lasci esattamente nel luogo dove ci hai presi, davanti a quella finestra rimasta aperta in attesa, probabilmente, del nostro ritorno. Io ed i miei fratelli rientriamo nella nostra stanza gioiosi mentre, dietro di noi, i bimbi sperduti ci seguono titubanti. Li faccio entrare rassicurandoli e, poco dopo, ci raggiungono anche i nostri genitori che ci accolgono con un abbraccio ricolmo di gioia mentre la loro preoccupazione ed ansia scema a poco a poco. Presento loro i piccoli mentre i loro volti emozionati osservano dei veri genitori. Mi volto verso la finestra, dove tu mi osservi tristemente. Mi avvicino a te afferrandoti la mano mentre con lo sguardo ti trasmetto i miei sentimenti:
   «Resta con noi Peter, resta con me.»
   «Io… non posso. Non voglio crescere.»
   «Peter crescere non è così brutto se… hai accanto qualcuno.»
   «Intendi i bimbi sperduti?»
   «Non solo Peter. Io non ti lascerò mai. Quindi resta, ti prego.»
   «Ma… Campanellino…»
   «Può restare anche lei, se lo desidera.»
Campanellino mi osserva duramente incrociando le braccia in segno di disappunto, troppo gelosa per accettare la mia presenza, troppo arrabbiata per accettare la mia proposta.
   «Lei… non può. Le fate non possono vivere al difuori dell’isola.»
   «Beh… allora potrà venirci a trovare quando vorrà.»
Peter osserva Campanellino che si agita tentando di impedirgli di prendere quella che sarà la sua decisione finale. Poi i suoi occhi tornano ad incrociare i miei e sento la sua mano stringere la presa.
   «Io… voglio stare con te. Non puoi venire tu sull’isola e restarci per sempre?»
   «Peter, non c’è più nessuno sull’isola. I bambini sperduti resteranno qui con noi. Inizieranno una nuova vita, fallo anche tu. Facciamolo insieme.»
Osservo la sua indecisione sparire piano piano mentre di qualche passo avanza nella mia direzione, superando la finestra ed entrando nella mia stanza. Lo avvicino ai miei genitori presentandolo mentre mia madre lo abbraccia trasmettendogli un calore a lui nuovo. Mi volto verso Campanellino, evidentemente distrutta, mentre delle piccole lacrime di rugiada le solcano le guance. Mi avvicino a lei che immediatamente mi scansa fulminandomi con un’occhiataccia ricolma di odio. Io le sorrido perché infondo, nonostante tutto, le voglio bene:
   «Sarai la benvenuta se vorrai venirci a trovare.»
La osservo volare verso Peter appoggiandosi sulla sua mano ed abbracciando disperatamente il suo dito. Peter l’avvicina al suo volto sussurrandole dolcemente che non la dimenticherà mai, prima di osservarla volare via. Quello fu il loro ultimo incontro poiché, dopo, le cose non si svolsero come previsto. Mio padre perse il lavoro ed i soldi non furono più sufficienti per mantenere tutte quelle persone. I bambini sperduti vennero affidati ad altre famiglie e con loro… anche Peter. Avevo dodici anni quando l’ho conosciuto, e a quattordici gli diedi il mio addio. Da allora sono passati settantasei anni e di lui non ho più avuto notizia. So solo che è diventato uno scrittore famoso e che abita in America ad un indirizzo fin troppo semplice da rintracciare. Un mese fa gli ho spedito una lettera chiedendogli di incontrarci in questo stesso giorno al parco vicino a casa dove giocavamo prima di essere separati, sulla panchina sulla quale ci siamo ripromessi di non dimenticarci mai. Quando riapro gli occhi e guardo l’ora sono le otto di sera e mia figlia mi sta chiamando poiché la cena è pronta. Mi alzo a fatica e la raggiungo accomodandomi, per l’ultima volta, a tavola con loro. La cena è ricca di gioia e felicità e sento che, almeno in parte, tutto questo mi mancherà. Ma c’è qualcosa che mi è mancato per molto più tempo, qualcosa al quale non voglio più rinunciare. Sono le nove e mezza di sera quando faccio coricare la mia dolcissima nipotina salutandola con un bacio ed una buonanotte con una briciola di tristezza. Mi avvicino alla porta voltandomi verso di lei un’ultima volta, sussurrandole un addio che non sentirà mai. Richiudo la porta alle mie spalle raggiungendo un’ultima volta il salotto salutando mia figlia e suo marito prima di raggiungere la mia stanza infilandomi sotto le coperte aspettando il momento giusto. Sono le undici quando in casa non sento più alcun suono. Esco dal mio letto accendendo la lampada sul mio comodino lanciando un’ultima occhiata alla mia stanza. Mi alzo infilandomi lo scialle ed afferrando il borsone accanto al letto avvicinandomi alla porta e varcandola. Do un ultimo sguardo alla casa prima di uscire ed abbandonarla per sempre. Inizio a camminare nel buio mentre le strade sono silenziose e deserte. Ci metto circa mezzora, a causa della mia andatura lenta, a raggiungere il luogo dell’incontro. Quando arrivo non c’è ancora nessuno e, nascondendo la delusione, mi siedo per riprendere fiato. Controllo l’orologio e mi accorgo che all’ora dell’appuntamento mancano ancora alcuni minuti. Distendo i nervi pregando di vederlo arrivare. Il tempo passa e di lui non c’è traccia. Controllo ancora l’ora, è in ritardo di più di venti minuti. Magari non verrà, magari non ha ricevuto la mia lettera, magari mi odia poiché non ho mantenuto la parola e non mi raggiungerà ma qualcosa mi spinge a non lasciare questo posto. Il tempo trascorre ed ormai so che non mi raggiungerà ma non ho voglia di muovermi o di tornare indietro per cui chiudo gli occhi cercando di addormentarmi. Quando sto per cadere in un sonno profondo sento qualcuno sedersi accanto a me. Riapro gli occhi voltandomi nella sua direzione. Il suo volto è cambiato, invecchiato e rovinato dal tempo. I suoi capelli sono bianchi ed i suoi occhi stanchi. Indossa dei vestiti che lo fanno sembrare più anziano di quello che è in realtà e le sue labbra, secche e screpolate, ansimano a fatica creando davanti a loro una piccola nuvoletta di vapore:
   «Pensavo che non saresti venuto.»
   «Ammetto di averci pensato… ma sapevo che saresti rimasta ad aspettarmi nonostante tutto e mi sembrava stupido lasciarti fuori a congelare.»
   «Beh… allora ti ringrazio per il pensiero.»
   «Di nulla. Ne è passato di tempo.»
   «Già… ormai siamo vecchi.»
   «Eh si… se avessi accettato di venire sull’isola con me tutto questo non sarebbe successo.»
   «Scusami. Non pensavo che sarebbe finita così.»
   «Perché non mi hai mai cercato fino a questo momento?»
   «Beh… nemmeno tu lo hai fatto.»
   «Aspettavo una tua lettera.»
   «Pensavo mi odiassi… non ho mantenuto la mia parola. Che diritto avevo di scriverti quando non ho fatto altro che deludere le tue aspettative?»
   «Non ti ho mai odiata.»
   «Grazie per avermelo detto, ma credo che sia un po’ tardi per farmelo sapere.»
   «Meglio tardi che mai.»
   «Detto da te è un po’ strano non trovi?»
   «Beh… il tempo è passato anche per me dopotutto…»
   «Già… come sarebbe andata? Intendo… se fossimo andati sulla tua isola.»
   «Di certo non saremo così ammaccati e doloranti.» dice ridacchiando leggermente.
Sorrido vedendo il suo volto riprendere un po’ di allegria.
   «Hai ragione, ma non avremo nemmeno vissuto queste vite. Sei felice ora?»
   «Si, effettivamente non cambierei nulla di quello che è successo a parte certe cose. Ma una parte di me spesso si chiede come sarebbe stata invece un’intera esistenza sull’isola.»
   «E se io… potessi darti questa risposta?»
Peter mi guarda sorpreso mentre nei suoi occhi scorgo quel bambino che ancora è rimasto in lui. Afferro la borsa portandomela sulle gambe. La apro e ne estraggo due bicchieri. Li appoggio accanto a me e successivamente afferro un’ampolla blu stappandola ed estraendone un contagocce. Riprendo i bicchieri mettendo esattamente settanta tre gocce in ogni bicchiere. Richiudo l’ampolla rimettendole nella borsa e poi passo uno dei due bicchieri a Peter. Lui lo afferra e mi guarda dubbioso mentre avvicino il mio bicchiere alle labbra:
   «Ti fidi di me?»
   «Si ma… Wendy che cosa…»
   «Bevi e basta Peter. Tutto d’un fiato.»
Non gli do il tempo di rispondere che bevo il liquido chiaro nel mio bicchiere seguita da lui, che non capisce quello che sta succedendo. Subito un dolore mi pervade il corpo facendo cadere a terra il bicchiere che si infrange al suolo. Mi porto le mani al petto mentre entrambi gridiamo dal dolore. Mi accascio a terra mentre, lentamente, la sensazione dolorosa lascia spazio ad una sensazione di calore. Sento i dolori alla schiena svanire lentamente, le artriti guarire e tutti i miei acciacchi svanire uno dopo l’altro. Sento i miei vestiti diventare abbondanti mentre il mio corpo ringiovanisce tornando quello di un adolescente. Quando tutto svanisce mi alzo da terra accovacciandomi sulle mie gambe, stanca e sudata, come se avessi corso la maratona del secolo. La luce del lampione illumina il mio corpo ormai radicalmente cambiato. Osservo le mie mani prive di rughe e macchie e poi il mio corpo senza quelle pieghe che mi ero abituata a vedere. Mi accarezzo il viso privo di rughe e sorrido. “Ha funzionato!” penso. Mi giro verso Peter che è tornato quello di un tempo, solo un po’ più grande, che terrorizzato si osserva. I suoi occhi incrociano i miei che subito si sorprendono di come si ritrovi davanti una persona diversa. Appoggio la mia mano sulla sua ed inizio a parlare:
   «Siamo tornati giovani. Quella che ti ho dato… è una pozione ringiovanente. Una goccia  equivale ad un anno. Ne ho messe a sufficienza per farci raggiungere i diciassette anni. Mi sembrava troppo tornare a quattordici, ma diciassette mi sembrava… giusto. Se preferisci possiamo sempre tornare a-- »
   «Nono per carità!» dice guardandomi spaventato. «Non voglio mai più provare un dolore simile in vita mia!»
Ridacchio stringendo la sua mano. Restiamo qualche minuto in silenzio prima di parlare ancora:
   «Come l’hai avuta?»
   «Cosa?»
   «Quella… specie di pozione.»
   «Ah… da una chiromante.»
   «E ti sei fidata a prenderla?!»
   «Beh…si. E come vedi ha funzionato!»
   «Ma eri certa che funzionasse?»
   «No.»
   «E perché diavolo me lo hai fatto fare?!»
   «Peter… importa davvero? Avevamo novant’anni… non avremo vissuto molto a lungo comunque. E invece guardaci ora! Siamo giovani, di nuovo, possiamo ricominciare a vivere! Ma questa volta… voglio farlo nel tuo mondo. Tu mi hai seguita e siamo stati divisi. Ho pregato a lungo per poter recuperare quel tempo e qualcuno deve avermi ascoltato. Ora siamo tornati quelli di allora e voglio vivere il resto del tempo che mi resta con te e con nessun altro. Torniamo all’isola che non c’è Peter, torniamoci insieme.»
Peter mi osserva felice ed incredulo, mentre si alza in piedi nel suo nuovo corpo. Afferro la borsa estraendone i suoi vestiti di un tempo, che ho cucito per allungarli in modo tale da renderli indossabili. Glieli passo e lui mi sorride entusiasta. Poi dalla borsa estraggo la mia vecchia camicia da notte. Ci svestiamo e rivestiamo ritrovando quella gioventù che mai ci ha abbandonati. Ci prendiamo per mano e chiudiamo gli occhi. Ricordiamo bene cosa serve per volare. Iniziamo a pensare a cose belle, felici ed allegre ma i nostri piedi non si staccano da terra. Sento la sua mano stringere ancora la presa. Apro gli occhi voltandomi nella sua direzione. Lui guarda il cielo stellato tristemente:
   «Non possiamo… più volare. È passato troppo tempo.»
   «Ho pensato anche a questo.»
Il suo sguardo sorpreso mi travolge ancora una volta, mentre mi chino sulla mia borsa estraendone l’ultimo e importantissimo contenuto. Afferro il bauletto color oro e lo avvicino a lui scoperchiandolo. Non appena lo apro una polvere luccicante e dorata gli illumina lo sguardo:
   «Ricordi Peter? Per volare servono pensieri felici… e polvere di fata.»
   «Wendy ma…»
   «È stata Campanellino. Quando avevo circa venti anni è venuta da me. Era disperata, non riusciva più a trovarti. È stata la prima volta che mi ha parlato senza odio. Era davvero triste ed abbattuta, non l’avevo mai vista così. Ho perso questo bauletto e le ho fatto mettere la sua polvere qua dentro promettendole che, se mai un giorno ti avessi ritrovato, te l’avrei data per farti tornare da lei.»
Afferro una manciata di polvere gettandola su Peter, poi ne prendo un’altra manciata e la getto su di me. Richiudo il bauletto, lo rimetto nella borsa e la richiudo. Successivamente riprendo la mano di Peter. Ci guardiamo sorridendo, e la gioia di quell’istante è sufficiente per farci alzare in volo. Voliamo su tutta Londra stringendoci la mano e poi voliamo proprio li, seconda stella a destra, raggiungendo la nostra futura e permanente casa. Non appena arriviamo ci rendiamo conto che nulla è cambiato: la nave dei pirati, la baita delle sirene, il campo degli indiani e lei… la nostra casa. Il primo posto che visitiamo è proprio quello. Entriamo dal passaggio nascosto e scendiamo sotto, raggiungendo quella tana che è rimasta impressa nei miei ricordi. Le nostre mani si dividono mentre accarezziamo ogni oggetto presi da una nostalgia nuova e profonda che svanisce sempre di più ad ogni nostro passo in quest’amato luogo. Osservo Peter riprendere il suo flauto ed iniziare a suonarlo con la stessa bravura di un tempo, come se non avesse mai smesso. Mi avvicino a lui sedendomi sul suo letto e lui mi raggiunge poco dopo:
   «È davvero…la mia isola.»
   «Già…ti è mancata tanto eh?»
   «Non sai quanto.»
   «Anche a me… sono felice di averti ritrovato.»
Dico appoggiando la mia mano sulla sua. Peter mi guarda dolcemente fermando il tempo in un luogo dove il tempo è già fermo di suo e questo rende il tutto ancora più magico. Mi avvicino alle sue labbra, ora finalmente posso baciarlo e riprendermi tutti quei sogni che ho fatto su di lui facendoli diventare la mia nuova realtà. Lui non si scansa come la prima volta che ho provato a baciarlo. Sa cosa sto per fare, ora lo capisce e non lo respinge. Le mie labbra stanno per sfiorare le sue quando mi sento tirare per i capelli. Mi giro di scatto e vedo Campanellino sgridarmi come la prima volta, ancora ricolma di gelosia morbosa.
   «Campanellino!»
Gridiamo in coro io e Peter mentre la fatina si getta su Peter stringendo il suo dito sciogliendosi in un pianto disperato. Peter l’accarezza dolcemente trasmettendole il suo affetto. Poi le sorride indicandole la sua casetta e dicendole che potrà tornare a vivere li. Lei felice vola fino lassù e si sistema come se si stesse nuovamente trasferendo in quel luogo mentre io la guardo, sicura che riusciremo a diventare finalmente amiche. Peter afferra la mia mano tirandomi nella sua direzione e baciandomi improvvisamente. Sento Campanellino agitarsi mentre chiudo i miei occhi godendomi il sapore delle sue labbra. Quando ci allontaniamo sollevo le palpebre osservando il ragazzo che da sempre amo guardarmi con tenerezza:
   «Scusala, è gelosa.»
   «Mmmh… certe cose non cambiano eh?»
   «Già.» dice sorridendo. «Che dici? Ce lo andiamo a fare un giro? Voglio andare a salutare gli indiani!»
Incrocio le braccia in segno di disappunto:
   «Non vorrai mica andare a fare il cascamorto con Giglio Tigrato come l’ultima volta spero!»
Peter scoppia a ridere accarezzandomi la testa:
   «Non preoccuparti, come hai detto tu, questo è il nostro mondo adesso. Mio e tuo soltanto, quello che provo per te non cambierà mai, esattamente come non è mai cambiato in tutto questo tempo. Ed ora che siamo in un luogo dove il tempo non esiste, quello che provo non ha nessuna possibilità di sbiadire.»
Lo osservo felice mentre usciamo dalla nostra nuova casa. Ci alziamo in volo di qualche metro quando Peter si ferma. Mi avvicino a lui cogliendo nei suoi occhi un velo di tristezza:
   «Che succede?»
   «Non lo trovi… un po’ triste?»
   «Che cosa?»
   «La casa… intendo, una volta era pieno di gioia grazie ai bambini sperduti ora invece…è deserto.»
   «Possiamo sempre rimediare.»
Osservo Peter diventare viola in faccia voltandosi verso di me:
   «C-che intendi?!»
   «Scemo.» dico tirandogli un pugno sul braccio. «Il tempo non trascorre qui quindi non potremo avere figli in ogni caso! Non pensavo fossi diventato un depravato mio caro Peter! In ogni caso intendevo che potremo prendere degli orfani a Londra portandoli qui, per farli vivere con noi!»
   «E farai loro da mamma?»
   «Si, esattamente come avevo fatto tanto tempo fa. Io farò la mamma, e tu farai il papà.»
   «Mi sembra una buona idea.»
   «Bene. Ora andiamo a salutare tutti prima di ritornare a Londra a salvare qualche povero orfanello dandogli una famiglia. Inoltre mia nipote muore dalla voglia di conoscerti! Potresti farle visita!»
Peter mi guarda felice stringendomi la mano mentre riprendiamo a volare pronti a vivere, finalmente, la nostra intera esistenza assieme.



Commento dell'autrice: Salve a tutti! Spero che la mia storia vi sia piaciuta, l'ho scritta tutta d'un fiato perchè avevo questa idea che mi balenava per la testa e non volevo farla scappare allora mi sono messa a scrivere alla velocità della luce xD Spero di avervi fatto provare delle belle emozioni e che siate stati felici di aver speso una decina di minuti per leggere questo mi racconto! Se avete voglia di fare una recensione mi fate felicissima =D Grazie a tutti coloro che si sono soffermati su questa mia pazza idea =D
   
 
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