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Autore: Manny_chan    24/02/2014    3 recensioni
Il Mondo è cambiato.
Il Paradiso è cambiato.
Sariel stesso è cambiato, tanto che ne ha quasi paura.
Per quello è sulla terra, per cercare un modo per riequilibrare le cose. Ma per farlo dovrà trovare un vecchio nemico e un antico rancore arde nel profondo del suo animo....
Fiction partecipante al contest ''Sesso o amore?'' organizzato sul forum da petite_love e lelle10
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Inferno e Paradiso'
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Fumo, luci violente, musica troppo alta.

Quel locale, constatò Sariel entrando, era davvero di pessimo gusto.

L’antro della lussuria, nome che diceva tutto quello che c’era da sapere sulle attività che vi si svolgevano, era un locale in una squallida periferia di una città che sembrava dimenticata da Dio.

Ironico, pensò, sbuffando.

Nonostante fosse un posto fuori mano era decisamente affollato. Sembrava essere meta fissa di un’umanità decisamente variegata. Camionisti, uomini d’affari in giacca e cravatta, persino diverse donne.

Si sfilò il trench scuro passando al setaccio il locale con lo sguardo.

Dietro al bancone stavano due barman dall’aria stanca; al centro del locale, che non era in realtà nulla più che un grosso magazzino mascherato con arredamenti di cattivo gusto, c’era la pista. Un palco rialzato sul quale, in quel momento, stavano dando spettacolo due ragazze in bikini.

Sembravano a malapena maggiorenni.

In altre circostanze non avrebbe ostentato quella fredda indifferenza. In altre circostanze avrebbe fatto il suo lavoro, ma in quel momento non era lì per loro, c’era qualcosa di più importante da fare…

Consegnò il soprabito ad una insonnolita ragazza seduta dietro un banco, che faceva da guardarobiera, poi si avvicinò al bancone, infilando le mani nelle tasche dei jeans e fissando il palco. Le due ragazze si stavano ritirando lasciando il posto ad una statuaria donna sulla quarantina con una frusta. Altro schifo a cui non era interessato, il degrado umano non lo scalfiva più ormai.

Annuì distrattamente ad uno dei barman che gli stava proponendo un drink, prendendo poi il bicchiere dal lungo stelo. Impossibile definirne il colore, ma sembrava essere in ogni caso roba scadente e aromatizzata con chissà quale porcheria. Sulla superficie galleggiava in modo inquietante una ciliegia.

Non faceva per lui.

L’aveva preso unicamente per confondersi con la clientela abituale.

La maggior parte degli umani si dimenticava di lui non appena voltato lo sguardo, tuttavia era conscio che il suo aspetto fosse appariscente; solo per il fatto di essere alto e statuario attirava l’attenzione e, anche se le luci colorate mascheravano il candore insolito dei suoi capelli, rimaneva comunque il fatto di essere probabilmente il ragazzo più bello che quelle persone potessero mai aver visto. Non voleva che qualche commento sussurrato arrivasse alle orecchie della sua preda, mettendola in allarme.

Preda.

Era davvero buffo, pensò, non si era mai visto come un predatore. Era cambiato davvero tanto senza rendersene conto. Senza contare che c’erano ricordi antichi che ancora gli facevano ribollire il sangue…

Anche il barista, così come il buttafuori all’ingresso, sembrò dimenticarsi di chiedergli il pagamento. Sariel lo guardò per un attimo tornare al suo lavoro, poi con un sospiro si allontanò, facendosi largo tra la folla. Per un umano sarebbe stato impossibile passare, figurarsi farlo senza versare una goccia di liquore dal proprio bicchiere; senza curarsi di altro individuò un tavolo vicino al palco, ma sufficientemente in ombra per guardare senza essere visto. Era perfetto.

Ed ovviamente era già occupato.

Senza scomporsi troppo Sariel raggiunse l’uomo seduto sul divanetto, appoggiandogli una mano sulla spalla. “Saresti così gentile da lasciarmi il posto?”, sussurrò dolcemente.

Nonostante la musica alta il suo sussurro fu perfettamente udibile dall’uomo, che si alzò immediatamente, allontanandosi, probabilmente chiedendosi per quale assurdo motivo avesse appena ceduto ad uno sconosciuto il posto per cui aveva pagato.

Sariel si accomodò sul divanetto con grazia, appoggiando il bicchiere al tavolino e passando distrattamente la punta del dito sul bordo.

Aveva poche informazioni su quel posto, non sapeva se e quando la sua preda avrebbe fatto la sua comparsa. Poteva essere una lunga attesa…

Appoggiò un gomito al tavolino, sostenendo la testa con il palmo della mano, osservando con aria annoiata la sfilata di oscenità che veniva proposta.

Rimase in quella posizione per quasi mezz’ora, senza muovere un muscolo, finché non captò qualcosa di interessante.

Ogni tanto qualche cliente si alzava per raggiungere un uomo, corpulento e nerboruto, probabilmente il proprietario del locale. Si intrattenevano per qualche minuto, poi i clienti sparivano tra la folla, o tornavano ai loro posti.

Concentrandosi su di loro escluse ogni altro rumore e, come sospettava, la cosa si rivelò interessante. Parlavano di soldi, camere sul retro e di nomi, probabilmente i nomi d’arte di quelle creature sul palco. A quanto pareva c’era ben altro genere di divertimento nel retrobottega. Quella nuova informazione gli dava la possibilità di modificare i suoi piani, che in origine prevedevano un altrettanto noioso lavoro di pedinamento, dopo aver trovato la persona che cercava, per poi prendersela comoda nella sua abitazione. Però quella nuova opzione…

Gli antichi ricordi che lo tormentavano dall’inizio di quella ricerca tornarono più vividi che mai, con una fiammata di rancore che mal si addiceva alla sua natura.

Forse non era un’idea così malvagia concedersi una piccola rivincita, sfogare quel rancore, prima di passare alle cose serie. Del resto avrebbe potuto tranquillamente pedinarlo in un secondo momento.

Quel pensiero lo fece fremere di impazienza, un pensiero che tempo prima l’avrebbe riempito di orrore.

Le cose erano cambiate.

Il mondo era cambiato.

Lui stesso era cambiato così tanto che se solo si soffermava a pensarci ne aveva paura, una paura che gli gelava le ossa.

Appoggiò la punta del dito sulla ciliegia che galleggiava nel bicchiere, spingendola distrattamente a fondo.

Ancora.

E ancora, gli occhi fissi su di essa, seguendone ogni volta il movimento verso la superficie, poi si portò il dito alle labbra, succhiandolo. Più si concentrava su quelle cose inutili, più quella sensazione di gelo si attenuava, fino a sparire del tutto.

Ad un tratto le sue labbra si incurvarono in un sorriso, non aveva bisogno di guardare per sapere che la persona che stava cercando aveva fatto la sua entrata in scena…

Sollevò lentamente lo sguardo, il ragazzo sul palco era di una bellezza da togliere il fiato, non aveva bisogno di squallidi ammiccamenti o di spogliarsi, come le ragazze di prima, per attirare l’attenzione. I lunghi capelli erano di un nero così intenso da non riflettere nemmeno le luci colorate che lampeggiavano ovunque, sembravano quasi inghiottirle, come se fossero stati fatti di tenebra.

Non aveva addosso nulla di vistoso, poteva sembrare quasi trasandato, jeans, scarponi e una canotta nera, eppure la gente non riusciva a staccargli gli occhi di dosso.

Gli bastò appoggiarsi ad uno dei pali della lap-dance con la schiena, buttare la testa all’indietro e lanciare uno sguardo al pubblico perché alcune persone lasciassero i loro posti per raggiungere il proprietario.

Sariel lo osservò attorcigliare la catenina d’argento che portava al collo, con un ciondolo a forma di teschio, tra le dita e sorridere ad alcune signore. Poté udirle distintamente commentare sul fatto che un sorriso del genere fosse criminale.

“E non immaginate quanto…”, sospirò, alzandosi. Era tempo di fare la sua mossa.

Raggiunse il poco rassicurante proprietario, che lo guardò interrogativo.

“Voglio lui”, disse.

L’uomo inarcò un sopracciglio, squadrandolo dalla testa ai piedi. “Ares? Ha molte richieste, devo valutarle. Inoltre la precedenza spetta ai clienti fissi io non…”

Sariel sorrise, appoggiando una mano sul braccio del proprietario, che smise immediatamente di parlare.

“Non avrà offerte migliori della mia”, sussurrò suadente. “Perciò non ne accetti nessun’altra.”

L’uomo sbatté le palpebre. “Certo signore”, mormorò, cambiando totalmente atteggiamento. “Ha qualche preferenza sulla camera?”

“La migliore”, rispose Sariel, lapidario, senza nemmeno rifletterci. Voleva fare le cose con calma. “E fai portare anche una bottiglia di vino, che non sia uno schifo come il drink che mi avete rifilato prima…”

“Sì signore, certo”, mugugnò il proprietario, poi gli indicò una tenda, che nemmeno si notava nella penombra. “Di là, fino in fondo, la stanza sulla destra”.

Sariel si congedò con un cenno del capo; seguì con lo sguardo la sua preda, che spariva nuovamente dietro le quinte, prima di avviarsi verso la stanza che gli era stata indicata. Dietro la tenda c’era un lungo corridoio buio, che sbucava in un secondo capannone. Dovette ammettere che era ingegnoso. Quell’uomo unticcio aveva avuto un idea notevole, trasformando quell’ampio spazio vuoto in quello che era a tutti gli effetti un motel abusivo…

 

            

“Ehi, Ares!”

Il ragazzo sollevò lo sguardo. Il suo datore di lavoro sembrava compiaciuto come non mai, ciò voleva dire che quella sera aveva fatto un buon affare…

E se quel buon affare riguardava lui allora a fine serata avrebbe avuto un’ottima percentuale. Il suo umore migliorò esponenzialmente. Gli servivano delle serate così; cazzo, gli serviva una pausa, una lunga pausa…

“Come sempre, nemmeno tempo di riprendere fiato eh?”, lo precedette.

L’uomo annuì. “Sei il mio uccello raro, Ares”, esclamò, ridendo poi sguaiatamente per lo squallido doppio senso. “Stanza otto, non fare aspettare il tuo cliente, è molto generoso, trattalo bene.”

“Come sempre”, fu la lapidaria risposta di Ares mentre scendeva dal retro del palco con un salto aggraziato. Nella sua mente già balenava l’idea di far diventare questo fantomatico, generoso cliente, suo habitué.

Soldi.

Tutto girava intorno a quello ormai…

Rabbrividì nello scostare la tenda che nascondeva il corridoio che portava alle stanze. Bene, perfetto, quello stronzo del suo capo cominciava di nuovo a risparmiare sul riscaldamento. Si consolò, pensando che per lo meno di lì a poco sarebbe stato sotto le coperte e di certo troppo impegnato per soffrire il freddo.

Strano…

Si fermò sulla soglia della stanza otto. Era una delle più belle, il che voleva anche dire più costose.

Solitamente quelli - o quelle – che lo desideravano si svenavano per averlo, andando poi a risparmiare sulla stanza, scegliendo quelle che a conti fatti erano poco più che sgabuzzini con una branda. Quella invece, nonostante le pareti scrostate, aveva un minimo di arredamento, un letto a due piazze e dei comodini. Decisamente meno squallida delle altre. Un secondo brivido gelido lo spinse ad entrare. Ci mancava solo che si ammalasse, non poteva permetterselo.

“C’è nessuno?”, chiese, chiudendosi la porta alle spalle.

Molto strano…

Si avvicinò al letto, sfiorando con le dita le lenzuola nere. Quasi sospirò di soddisfazione. Addio, almeno per quella sera, a quello schifo di cotone ruvido a cui era abituato. Quella non era certo seta, ma era un’ottima imitazione della stessa.

Qualcosa però lo disturbava. Dov’era il suo cliente?

Di solito erano lì ad aspettarlo impazienti e già praticamente nudi…

La sua attenzione fu attratta da una bottiglia, appoggiata al mobiletto, assieme a due calici.

“Beh, caro mio…”, mormorò, dopo averne annusato il contenuto. “Ti tratti decisamente bene…”

Riempì un bicchiere, sorseggiandolo piano. Quel vino era appena stato stappato e già solo dal profumo si capiva che fosse roba di qualità, e non il solito vinaccio da due soldi che il suo capo travasava in bottiglie di marca…

Era delizioso.

“E’ di tuo  gradimento?”

Una voce alle sue spalle lo fece trasalire, il bicchiere gli sfuggì di mano, andando in frantumi sul pavimento di cemento.

Si voltò lentamente, sapeva già chi si sarebbe trovato di fronte. Non c’erano molte creature capaci di entrare in una stanza senza aprire la porta…

Non erano brividi di freddo quelli che aveva avvertito entrando, ma l’eco dei suoi poteri sigillati che reagivano alla presenza di un’altra creatura sovrannaturale.

La creatura che aveva davanti sembrava un umano. Un umano decisamente attraente, le spalle larghe, i muscoli che si intravedevano sotto la camicia dandogli un aspetto temibile, anche se innatamente aristocratico.

Ciuffi di capelli candidi, sfuggiti alla lunga treccia buttata con noncuranza su una spalla, gli incorniciavano il viso dai lineamenti regolari.

Gli occhi però lo tradivano, di un azzurro chiarissimo che sfumava nell’argento  ai bordi dell’iride.

“Ma guarda…”, mormorò. “Questo è davvero l’ultimo posto sulla faccia della terra dove mi sarei aspettato di vedere un angelo.”

Sogghignò, sfrontato, ma solo all’apparenza. In realtà era più che all’erta. Se erano venuti a cercarlo ci doveva essere un motivo. E qualunque fosse, dubitava che potesse essere una semplice visita di cortesia.

Sariel rise sommessamente. “Lo immagino”, disse, avvicinandosi. “Tuttavia, Ares…”, si fermò, facendo schioccare la lingua, infastidito. “Non che non ti si addica, ma se ti serviva un nome d’arte avresti potuto tenere il tuo, Belial. Mi avrebbe fatto risparmiare un sacco di tempo nel cercarti. E’ stata davvero una faticaccia.”

Il moro socchiuse gli occhi.

Belial…

Sentì qualcosa agitarsi, nel profondo del suo animo. Era davvero tanto che nessuno lo chiamava così, con quel nome che in passato incuteva timore solo al pronunciarlo.

“Quanto mi dispiace”, rispose sarcastico. “Se abbiamo finito i convenevoli ci terrei davvero molto a sapere cosa vogliono gli angeli da me.”

“Non sono qui per conto degli angeli.”

Sariel lo aggirò, prendendo il bicchiere intatto e versandosi del vino. Lo sorseggiò con lentezza esasperante, col preciso intento di tenerlo sulle spine. Fece schioccare nuovamente la lingua, notando con piacere che quel semplice suono bastava a far trasalire il diavolo. “Ah, non è più così divertente quando si è indifesi, vero, Belial?” pensò, centellinando il liquido scarlatto. Decisamente meglio di quella robaccia di prima. “Sono qui solo per conto di me stesso”, concluse.

Belial aggrottò la fronte. Quello sì che era strano. “Riformulo la domanda allora, cosa cazzo vuoi tu da me?”, ringhiò.

Oh, voglio qualcosa di molto, molto importante e mortalmente serio, Belial, ma non è questo il momento.” Sariel tenne quel pensiero per sé, non era il caso di metterlo ulteriormente in allarme, voleva prendersela comoda e non rischiare che si dileguasse di nuovo.

“Voglio quello per cui ho pagato”, rispose invece. “Voglio te.”

Un’ombra di sconcerto passò sul viso di Belial, poi, lentamente, le sue labbra si piegarono in un sorriso che ben presto divenne una risata senza freni.

“Lo trovi divertente?”, Sariel non aveva fatto una piega.

“Sì, molto…”, Belial riprese fiato, asciugandosi una lacrima mentre le sue spalle ancora tremavano per l’ilarità trattenuta. “Divertente e grottesco. Che anche gli angeli facessero certe cose non è una novità, ma che tu sia venuto a cercare soddisfazione per le tue voglie in una bettola del genere, cercando me… beh, questo è davvero morboso”, sospirò, passandosi una mano tra i capelli. “In ogni caso, hai sprecato il tuo tempo. Non ho intenzione di avere a che fare con un angelo, né ora né mai, quindi puoi andartene”, aggiunse, tornando serio.

Sariel non aveva battuto ciglio, si era limitato a guardarlo, impassibile. “Tu non sai chi io sia, vero?”, chiese alla fine.

“Dovrei?”

“Dovresti.”

Belial scrollò le spalle. “Sai com’è, siete tutti uguali voialtri. Ora, se non ti spiace, tornerei al lavoro”, disse, oltrepassandolo a abbassando la maniglia della porta. L’aveva aperta appena di uno spiraglio però, che questa si richiuse con violenza, sfuggendogli di mano. Fece un profondo respiro, sbuffando poi rabbiosamente. Afferrò la maniglia di nuovo e la abbassò bruscamente, diverse volte, ma quella volta la porta non si mosse di un millimetro.

Si voltò con un verso rabbioso, appoggiandosi alla porta con la schiena. “Divertente”, ringhiò, con un tono che era tutto tranne che divertito. “Lasciami uscire.”

Sariel si voltò lentamente, gli occhi azzurro ghiaccio brillavano per la rabbia. Nemmeno si ricordava chi fosse. “No”, rispose gelido.

“Ah no?”, Belial iniziava a sentire i palmi delle mani ricoprirsi di un velo di sudore. Era nervoso.

A pensarci sembrava assurdo.

Un angelo.

C’era stato un tempo in lo avrebbe spazzato via con uno schiocco di dita, prima di venire esiliato. Prima di ritrovarsi così dannatamente inerme. “Credo allora che passeremo la notte a guardarci in faccia, perché non ho intenzione di toccarti nemmeno con un dito.”

“Credo che lo farai invece. Lo farai eccome.”

“Prima che tu perda il tuo tempo”, lo interruppe Belial. “Ti precedo. Se non faccio quello che vuoi, mi ucciderai. Banale. Ne ho avuti di clienti con questo genere di pretese. Lascia che ti dica una cosa…”, inspirò profondamente, stringendo i pugni. “Uccidimi. Fallo, mi faresti un grande favore. Purtroppo per me, però, non posso morire. Quindi risparmia il fiato e vattene.”

Le labbra di Sariel si piegarono impercettibilmente. Aveva colto una nota di isteria in sottofondo, segno che quello, per Belial, era un argomento insidioso. Lo sapeva bene, ed era proprio lì che intendeva colpire fin dall’inizio. Voleva farlo sentire inerme, vulnerabile. Proprio come si era sentito lui.

“Lo so bene…”, sussurrò, avvicinandosi lentamente. Belial non poteva più arretrare quindi ben presto la distanza tra loro venne annullata quasi del tutto. “So perfettamente che nella sua lungimiranza Lucifero ha previsto che per te un’eternità da umano sarebbe stata peggiore della morte.”
Gli appoggiò una mano sul petto, spingendolo contro la porta per evitare che sgusciasse via. “So perfettamente che ha incatenato tutti i tuoi poteri, lasciandoti come unica… consolazione”, calcò il tono beffardo su quell’ultima parola, “La tua immortalità. Davvero crudele…”

Sentiva, sotto il palmo della sua mano, il cuore di Belial che cominciava a battere più velocemente. Doveva aver intuito a cosa stesse puntando. Iniziava ad essere inquieto, la cosa non poteva che fargli piacere. Avvicinò le labbra al suo orecchio; “Puoi avere fame e sete da morire... Ma non puoi morire. Puoi avere tanto freddo da congelarti il sangue nelle vene, ma sopravviveresti. Puoi sanguinare fino a non avere più una goccia di sangue in corpo, e continueresti ugualmente a respirare.”

Fece una pausa, per permettergli di assimilare meglio le sue parole. “Puoi bruciare...”, sussurrò infine, mentre il palmo della sua mano si surriscaldava, sottolineando le sue parole, al limite del sopportabile. “Ed è esattamente quello che farò, se non ti piegherai ai miei voleri. Ti lascerò bruciare così lentamente che potrai sentire ogni tua cellula prendere fuoco e carbonizzarsi, e nonostante tutto, resterai in vita. Quanto dolore sei in grado di sopportare, Belial?”

A quel punto il demone reagì, dandogli una spinta per allontanarlo; Sariel lo lasciò fare, permettendogli di prendere fiato.

Belial ringraziò di avere la porta dietro la schiena, a sorreggerlo. Quell’angelo sembrava mortalmente serio. Deglutì, cercando di non dare a vedere quanto si stesse innervosendo, ma il suo respiro veloce lo contraddiva. “Stai bluffando”, esclamò, ansante. “Non hai abbastanza potere per fare una cosa del genere, angelo, senza subirne le conseguenze.”

Sariel scosse lentamente la testa. “Continui a sbagliare…”, disse, sollevando una mano per slacciare i primi bottoni della camicia, scoprendo il marchio che portava impresso sotto la gola, proprio tra le clavicole. Un delicato arabesco dorato, formato da caratteri enochiani che identificavano il suo grado tra le schiere celesti.

Belial decise che era il momento buono per farsi prendere dal panico.

Virtù.

Una virtù era lì sulla terra, evento praticamente unico, e ce l’aveva con lui. Roba da farsela tranquillamente sotto dalla paura. Altro che bluffare, quel tipo poteva polverizzare l’intero locale con uno schiocco di dita…

Chiuse gli occhi, appoggiando la nuca alla porta e sospirando, valutando l’unica possibilità rimasta. In fondo aveva avuto clienti peggiori…

Dovette soffocare un singulto di sorpresa quando riaprì gli occhi; l’angelo si era avvicinato, silenzioso come un’ombra.

“Sono certo però”, mormorò Sariel, con le labbra che quasi sfioravano quelle di Belial. “Che alla fine non servisse minacciarti così tanto per farti crollare…”, sorrise, beffardo. Si era reso conto di una cosa. “Alla lunga strisceresti per me anche senza ulteriori incoraggiamenti”, sussurrò, sfiorandogli la guancia con un’unghia. “Il potere… Ti ho sentito vibrare come la corda di un’arpa quando sei entrato. Senti il mio potere, lo desideri. Muori dalla voglia di crogiolarti in esso anche solo per un poco…”

Belial serrò le labbra; doveva ammetterlo, aveva ragione. Sentiva la sua pelle formicolare, ad averlo così vicino. Tutto il suo corpo bruciava dalla voglia di avvicinarsi ancora, di annullare ogni distanza e strusciarsi come un gattino addosso all’angelo per avvolgersi in quel potere come in una morbida coperta. Le sue dita si contrassero convulsamente, quasi a cercare un appiglio, ma le sue unghie scivolarono sulla superficie liscia della porta.

“Hai vinto. Hai vinto, in qualsiasi modo tu la metta hai vinto…”, si arrese. “Prenditi quello che vuoi e poi sparisci…”

Sariel a quel punto rise sommessamente, allontanandosi di nuovo per versarsi un secondo bicchiere di vino. “Tu sei convinto che io sia qui solo per un rapporto carnale, vero?”, chiese.

“Non è così?”

Di nuovo, Sariel si concesse qualche secondo, sorseggiando il vino, prima di rispondere, mentre la rabbia tornava a bruciare, nel rendersi conto che Belial sembrava non riconoscerlo ancora.

“No, per niente. Quello che voglio è annientarti Belial, umiliarti, toturarti e farti implorare pietà”, sibilò, il suo tono bruciava di una collera gelida.

Belial aggrottò la fronte. “Ma chi sei…?”

Non era quell’insofferenza secolare che da sempre c’era tra angeli e diavoli, quello era rancore personale.

Un bel po’ di rancore personale.

Rancore che non si spiegava. Anche ai tempi in cui era ancora uno dei Principi Infernali non aveva mai avuto molto a che fare con le Virtù. Gli unici che potevano tenergli testa e che lo infastidivano erano le Dominazioni. Non ricordava di avere questioni in sospeso con una Virtù, e soprattutto non ricordava quella che gli stava di fronte. E quello, constatò, sembrava aver fatto incazzare ancora di più il suo angelico cliente.

“Avresti fatto meglio a ricordarlo.”

Quelle parole vennero pronunciate in tono basso, ma nel silenzio che era calato all’improvviso risuonarono quasi assordanti. Ogni rumore sembrava svanito, sostituito da un lieve e appena percettibile ronzio in sottofondo.

Quello diede a Belial il colpo di grazia; quella tensione, non la sopportava più. “Cosa vuoi che faccia allora?! Forza!”, lo incitò. “Comincia, sbrigati! Prima ti prendi quello che vuoi, prima questa storia finisce!”

Non era certo masochista, ma quell’attesa non migliorava di certo la situazione e quell’ansia che lo stava divorando peggiorava tutto.

Il suo sguardo venne attratto dalla mano libera dell’angelo; ad un lieve movimento delle sue dita erano apparse  delle minuscole particelle luminose, simili a piccole lucciole argentate, che fremendo si stavano addensando, l’una contro l’altra, prendendo la forma di un pugnale.
“Oh, dai, andiamo…”, mormorò, con una risata nervosa che risuonò terribilmente stridula, quasi isterica, alle sue stesse orecchie. Deglutì, stava sudando e mai, in tutta la sua esistenza, ricordava di aver sudato per l’agitazione. L’energia di cui erano composte quelle armi non si limitava a ferire, ma era come essere infettati da un veleno. Stesso discorso per quelle generate dal potere infernale per gli angeli…

C’era la possibilità che, dato che era ormai praticamente umano, il loro effetto fosse più blando o, ancora meglio, nullo. Ma non ci teneva a scoprirlo..

“Non hai bisogno di armi celesti con me…”

“Non si può mai sapere”, fu la pacata risposta di Sariel, che posò il bicchiere per stringere il pugnale più agevolmente con l’altra mano. “Ora, comincia con l’inginocchiarti.”

Una fitta ai polmoni ricordò a Belial che sarebbe stato salutare riprendere a respirare; aveva trattenuto il fiato inconsciamente.

“Così… è questo?” mormorò. “Obbligarmi ad inginocchiarmi minacciandomi con un’arma è patetico… Ti da davvero soddisfazione una cosa del genere? Poco angelico, davvero poco angelico. Sai chi faceva queste cose? Io. non noti il paradosso? Sei…”

Si zittì di colpa quando il pugnale, che un secondo prima stava nella mano dell’angelo, si conficcò con uno schiocco nel legno della porta, a qualche centimetro dal suo orecchio.
“Parli troppo! Muoviti.”

A quel punto Belial sollevò lentamente le mani in segno di resa. Sì, parlava troppo. E a raffica. Stava diventando patetico.

“D’accordo, d’accordo”, sospirò, Piegando le ginocchia e lasciandosi scivolare sul pavimento di cemento, appoggiando ad esso i palmi delle mani. “Soddisfatto?”
Sariel si avvicinò. “Vederti a quattro zampe come quel cane che sei? Sì, mi rende molto soddisfatto”, sibilò.
In realtà non gli dava quella sensazione di sollievo in cui aveva sperato.

Afferrò i capelli di Belial, sulla nuca, spingendolo giù, costringendolo ad appoggiare la faccia al pavimento. “Ma ho appena iniziato. E fidati, la voglia di parlare ti passerà tra poco….”

Lo lasciò andare, mentre richiamava a sé l’energia del pugnale, che svanì in una miriade di puntini luminosi, lasciando solo la spaccatura che aveva creato nel legno. “Vediamo da dove posso cominciare…”, sospirò, muovendo le dita, quasi accarezzando quella nube argentata che gli fluttuava tra le dita.

“Magari comincerò con lo scoprire quanto umano sei e quanto della tua natura infernale ti è rimasta…”

Strinse le dita, comprimendo le particelle che divennero un’impugnatura, mentre altre andavano a formare una lunga e flessuosa frusta argentata. All’apparenza sembrava liscia, ma per tutta la lunghezza era costellata di minuscole asperità.

Belial sollevò la testa, sgranando gli occhi a quella vista. “Ma che cazzo…”, mormorò, cercando di alzarsi ed incespicando all’indietro. “Fai sul serio?”

“Mortalmente serio Belial, te l’ho già detto”, Sariel fece schioccare rumorosamente la frusta. “Comincio a stancarmi, parole, parole… Sei sempre stato un gran chiacchierone, ma ora che posso, ho intenzione di chiuderti quella bocca. Voglio sentire solo urla, almeno per un po’.”

Belial fece istintivamente un passo indietro, quando l’angelo alzò il braccio, ma non poteva scappare, non c’era posto in quella stanza dove potesse ripararsi.
Il primo colpo gli arrivò tanto violento e doloroso da strappargli un grido di sofferenza, così come il secondo.
Al terzo le gambe gli cedettero e si ritrovò sul pavimento, senza ben sapere come ci fosse finito. La sua mente era annebbiata dal dolore.
All’ennesimo colpo sentì qualcosa di caldo cominciare a gocciolare lungo la schiena, inzuppandogli la maglia. Il ronzio di sottofondo ormai era svanito, coperto dalle sue grida ma, ne era certo, nessuno nelle stanze accanto avrebbe sentito nulla. Strisciò fino al letto, aggrappandosi al materasso, sena riuscire nemmeno ad tirarsi su dal pavimento. Si limitò ad aggrapparsi alle lenzuola, affondandovi il viso e cercando, ultimo baluardo di orgoglio, di soffocarvi le urla...

Sariel non andò avanti per molto, però.

Stava per sferrare l’ennesimo colpo ma sembrò perderne la voglia.

Riabbassò il braccio con un sospiro, osservando l’ex principe dell’inferno cercare pateticamente di difendersi da quegli attacchi. I vestiti strappati in più punti lasciavano intravedere profonde lacerazioni sotto di esse. Aveva sperato che ferirlo gli avrebbe dato un po’ di tregua.

Invece nulla.

Niente di niente.

Anzi.

Vederlo così, patetico ed inerme, mentre strisciava, aggrappandosi al comodino per cercare di rimettersi in piedi, gli dava una sensazione più simile alla pietà, che non alla soddisfazione.

Lo raggiunse, scivolandogli alle spalle ed afferrandogli i capelli.

 

Belial era appena riuscito a mettersi in piedi che si sentì tirare la testa all’indietro. Inarcò il collo e parte della schiena, per non lasciare il comodino a cui era appoggiato con entrambe le mani. Non era certo che, in caso contrario, le sue gambe l’avrebbero retto. Chiuse gli occhi, era certo che non fosse finita lì.

Rabbrividì quando, con la mano che stringeva la frusta, l’angelo gli sfiorò la gola. Era certo che stesse pensando a quale altra tortura infliggergli. Poteva quasi sentire il rumore dei suoi pensieri.

 

Sariel continuò ad accarezzargli la gola, pensieroso. Già solo quello, notò, rendeva Belial teso come una fune.

Doveva apparirgli davvero spaventoso.

“I ruoli si sono invertiti, Belial”, sussurrò, prima di prendere la frusta e stringerla attorno al collo del diavolo, tirando con forza. “Dato che non puoi morire, posso spingermi oltre a quello che potrei fare ad un umano….”

Belial annaspò, perse la presa sul comodino, rovesciando quel che c’era sopra, bottiglie e bicchieri andarono in frantumi, mentre l’angelo arretrava, per toglierli ogni possibile appiglio. Quelle parole.
Quelle parole gli erano suonate familiari, gli avevano fatto scattare un campanello d’allarme. Sembravano quasi parole… Sue.

Ma la carenza di ossigeno gli annebbiò quei già vaghi pensieri. Si portò le mani al collo, artigliando la sua stessa pelle per cercare di afferrare la frusta, di allentare quella pressione, ma senza risultati.

Cercò allora di graffiare le mani ed il viso dell’angelo, alle sue spalle, ma tutto ciò che riuscì ad afferrare fu la treccia dell’altro. Si aggrappò ad essa, tirandola, anche se non ottenne grandi risultati, anzi. La stretta sulla sua gigulare si fece ancora più ferrea.

Il pensiero razionale gli suggeriva di smetterla di agitarsi tanto, che affannarsi a quel modo avrebbe solo peggiorato la situazione. D’altro canto la parte istintiva del suo cervello gli stava praticamente gridando a squarciagola che aveva bisogno di ossigeno. Era umano da così tanto tempo ormai che l’istinto di sopravvivenza controllava ormai buona parte delle sue azioni.

Sariel lo spinse sul letto, appoggiandogli un ginocchio alla schiena, per tenerlo giù. Rendendo acora più vani i suoi tentativi di ribellarsi.

Ribellione…

Era sempre stato così in fondo. Le voci che giravano su di lui dicevano che aveva un animo inquieto, persino per un diavolo. Ribelle, sfrontato, l’unico che non abbassava mai la testa, nemmeno davanti a Lucifero.

Lottava, come in quel momento,con le unghie e coi denti per qualsiasi cosa volesse.

Si abbassò, fino a sfiorargli l’orecchio con le labbra. “L’unica cosa che vorresti in questo momento è respirare, non è così?”, mormorò stringendo la presa, impietoso. Un rantolo strozzato fu l’unica risposta che gli giunse. Non che ne aspettasse una diversa, ovviamente. “Quante, quante sono le creature che avrebbero voluto la stessa cosa e alla quale tu l’hai negato?”

Era tentato; tentato di stringere ancora, di lacerargli la carne e guardarlo soffocare nel suo stesso sangue, agonizzante e incapace di morire.

Vendetta.

Scacciò quella parola dai suoi pensieri. Non era vendetta, era giustizia.

O almeno, di quello cercava di convincersi.

Inspirò profondamente, poi lasciò che l’arma si dissolvesse in una miriade di scintille, tirandosi indietro.

Belial sentì la pressione sulla sua gola svanire di colpo, inspirò con violenza, tossendo poi con altrettanta forza. Si girò su un fianco, cercando di riprendere a ventilare normalmente, anche se i suoi polmoni non volevano collaborare, avidi di ossigeno. Sperò che fosse soddisfatto, che avesse finito. Socchiuse gli occhi, cercando con lo sguardo il suo aguzzino. L’angelo stava guardando verso il basso, pensieroso, e quello non gli suggeriva nulla di buono…

“A che cosa stai pensando?”, sussurrò, la voce roca e sofferente.

L’attenzione di Sariel era stata attratta dai vetri che costellavano il pavimento. Scintillavano sinistramente, mentre il vino rosso cupo si snodava in piccoli rivoli sul cemento. Lentamente portò lo sguardo sul diavolo, che malconcio sembrava fremere, nell’attesa di sapere cos’altro avrebbe fatto. Conosceva quella sensazione.
“Sai cosa dicevano di te, Belial?”, chiese, chinandosi per raccogliere una manciata di vetro.

“Che ero sexy e affascinante come nessun’altro?”, fu la sarcastica risposta del diavolo, che tossì ancora con violenza, parlare era un’agonia.
Sariel non si diede pena di rispondergli, allungò il braccio e gli afferrò il viso con due dita. “Che ogni tua parola era come il vetro, tagliente, affilata…”, mormorò, stringendo con forza le dita per costringerlo ad aprire la bocca. “Ogni tua parola era pronunciata con l’intento di ferire…”

Belial si aggrappò al suo braccio, conficcandogli le unghie nella carne, attraverso la stoffa della camicia, e stringendo con forza le labbra, ignorando il dolore della pressione. Aveva intuito dove voleva andare a parare, quel bastardo. Sentì uno scricchiolio inquietante e si lasciò sfuggire un gemito di sofferenza. Quel maledetto!

Sariel sbuffò, uno sbuffo lieve, quasi divertito. “Non so se il tuo sia semplice spirito di ribellione o se tu abbia davvero la speranza di poterti opporre”, sussurrò. “Apri la bocca, ora, oppure quanto è vero Dio te li conficco negli occhi uno per uno, dopo averti frantumato la mandibola.”

A riprova delle sue parole strinse ulteriormente la presa, non bluffava. Non più.
Fece scorrere lo sguardo sulla gola del diavolo, esposta, indifesa, le vene gonfie per lo sforzo; il petto, sotto la canotta, che si alzava e si abbassava al ritmo del suo respiro frenetico. Era sempre stato così esile?
Il Belial di cui aveva ricordo era terribile, la sua presenza imponente. ma forse, si disse, forse l’imponenza che lui ricordava non era altro che l’aura violenta dell’enorme potere del diavolo.

Potere che ormai era svanito.

Tornò a guardarlo negli occhi. “Allora?”, lo incitò. “Sto aspettando.
Belial strinse convulsamente le dita.

Quel bastardo…

Lentamente dischiuse le labbra, sentendo immediatamente la pressione allentarsi. Il sollievo però fu di breve durata. Tenendo fede alle premesse, Sariel gli lasciò scivolare in bocca ogni singolo frammento dei vetri che teneva nel palmo della mano, chiudendogliela con l’altra, per impedirgli di sputarli.

Belial mugolò, serrando gli occhi ed aggrappandosi a lui. Alcune schegge erano andare a ferirgli la lingua ed il palato, sentiva in bocca il sapore metallico del sangue e, sebbene lottasse contro l’impulso di farlo, l’istinto naturale lo portò ad inghiottire. Un dolore lancinante gli esplose all’altezza del petto, mentre si agitava, tentando di divincolarsi.

Finchè le sue dita non trovarono la pelle esposta della gola dell’angelo.
Gli bastò sfiorarla, pelle contro pelle, per avvertire un formicolio di potere risaligli lungo il braccio. Fu come una boccata di ossigeno.
Il potere, anche se poteva solo sfiorarlo, gli era mancato così tanto…
Al punto che sentì gli occhi inumidirsi. Ancora, ne voleva ancora. Fremeva, impazziva dal desiderio di strusciarsi sul petto di Sariel. Cazzo, poteva andare avanti a torturarlo per anni se in cambio avesse potuto crogiolarsi in esso anche solo per un minuto…

Sariel gli sfiorò le folte ciglia scure con la punta di un dito, equivocando quello sguardo improvvisamente lucido.

“Belial…” mormorò “ Lingua di serpente, principe degli inferi, il preferito di Lucifero, come ci si sente adesso ad essere nel più basso gradino dell’umanità? Spogliarellista, prostituta, in balia di qualcuno che ti odia..”

Lo attirò contro di sé, facendogli premere il viso contro la sua spalla, sussurrandogli quelle parole direttamente all’orecchio.

Non gli dava assolutamente nulla.

Nulla.
Ogni volta che, in passato, l’umiliazione e l’angoscia si erano fatte insopportabili, aveva immaginato di averlo tra le mani, di torturarlo, di spezzare quel maledetto.
Quelle fantasie gli davano sollievo, lo facevano sentire meglio.
Quella realtà invece lo disturbava, lo faceva sentire quasi… Sporco.

Lo lasciò andare, spingendolo sul materasso ed allontanandosi da lui.

Belial avvertì immediatamente la mancanza del contatto, fu come se gli avessero strappato di dosso una coperta in un freddo mattino invernale. Il suo primo impulso però fu quello di sporgersi oltre il materasso e sputare quel che aveva in bocca. Il suo organismo fece il resto; una serie di conati scossero il suo corpo mentre vomitava quel poco di vino che aveva bevuto assieme a vetri e sangue. Quasi non riusciva a prendere fiato, aveva l’impressione che la testa stesse per esplodergli…

Quando finalmente il suo stomaco si decise a dargli tregua appoggiò la fronte alle lenzuola, scosso dagli spasmi. Si concentrò sul suo respiro, quasi aspettando altre perverse idee da parte del suo angelico aguzzino.

Sollevò la testa quando sentì i passi allontanarsi. Sariel guardava la porta, mentre si allacciava nuovamente i bottoni della camicia, sistemandosi il colletto ed osservando le macchie di sangue che avevano macchiato la seta. Sperò che fosse abbastanza buio all’ingresso, per non dare nell’occhio e mettere in allarme la guadarobiera. Non aveva voglia di dare spiegazioni, ed allo stesso tempo gli sarebbe dispiaciuto rinunciare al trench. Non che lo avesse pagato, gli era bastato chiederlo ad una commessa e lei glielo aveva consegnato, ma iniziava ad affezionarsi a quegli abiti umani.

Poi si avviò alla porta.
“Te ne vai già?”

Sariel si fermò. Che Belial avesse ancora la forza di parlare era già di per sè incredibile; che poi lo provocasse così…

Si voltò, tornando da lui. “Mi fai venire il dubbio di esserci andato troppo leggero con te”, mormorò, socchiudendo gli occhi

Belial si mise faticosamente a sedere, facendo forza sulle braccia. “Non fraintendermi”, ansimò tossendo con violenza e sputando un’altra boccata di sangue. “Mi hai fatto passare un gran brutto quarto d’ora, te ne dò atto.” Sollevò il viso, guardando l’angelo negli occhi, aggrappandosi alla sua camicia per riuscire a mettersi in ginocchio sul materasso. “Ma… Devo ammettere anche che non credevo che un angelo, scusa, una Virtù”, si corresse, con una nota di sarcasmo. “Potesse essere così bastarda…”, soffiò, ridendo sommessamente, il viso a pochi centimentri da quello di Sariel. “E per quanto assurdo, mi piace… Tu, mi piaci…”, sogghignò, prima di premere con forza le labbra su quelle dell’altro. lo sentì irrigidirsi, ma non se ne preoccupò, non ne aveva il tempo. Avrebbe pensato alle conseguenze del suo gesto quando fossero arrivate. Sapeva che il suo angelico carnefice si sarebbe incazzato a morte, ma al momento non gli importava. Le sue dita cercarono la pelle esposta del collo dell’angelo.

Potere.
Una boccata di ossigeno dopo una apnea di secoli….

La reazione di Sariel però, dopo qualche secondo di sorpresa, fu fulminea. Lo afferrò per le braccia, colpendolo con una scarica di potere che lo spinse all’indietro, sul materasso.

Belial ebbe l’impressione che il sangue nelle sue vene fosse appena diventato bollente, e non in modo piacevole. Ogni singola cellula nel suo corpo sembrò surriscaldarsi, come se stesse per prendere fuoco.
Si aggrappò alle lenzuola, stringendole e gemendo sommessamente.

Passerà. Passerà…

Ripeterselo sembrò attenuare un poco quel dolore, quasi fosse un mantra.

Nel mezzo di quell’agonia sentì la mano fredda dell’angelo scostargli i capelli.
“Il mio nome è Sariel…”, sussurrò. “Cerca di ricordarlo questa volta….”

Belial sentì quel nome riemergere dalla nebbia dei ricordi. Sì, gli era familiare, molto familiare.
Cercò di afferrarlo, ma venne inghiottito nuovamente dall’oblio quando il suo corpo, già abbastanza provato, decise che ne aveva abbastanza e la sua mente si offuscò, concedendogli un pietoso riposo…..

 

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Allora, qualche picola info.
Questo racconto racchiude elementi della mitologia cristiana, quali la gerarchia angelica (a partire dal basso) Angeli, Arcangeli, Principati, Potestà, Virtù,  Dominazioni, Troni, Cherubini e Serafini.

C’è in tutto questo qualche libertà poetica U.U
Sariel ad esempio nella gerarchia classica è un arcangelo.

Enochiano:Lingua inventata da Edward Kelley, che asseriva fosse il linguaggio parlato dagli angeli che si rivolgevano a lui.
Se qualcuno segue Supernatural troverà elementi in comune anche a quell’universo, ma in realtà provengono entrambi dalla mitologia cristiana ;)
   
 
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