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Autore: delilahs    25/02/2014    2 recensioni
Guerra civile, 1863.
“Quindi, ricapitoliamo.” li prese in giro il comandante, ben sapendo che se avessero risposto ci sarebbe stata punizione peggiore. “Un figlio di Vulcano, uno Marte e due di Apollo. Che bella compagine.”
“Ares.”
Si udì lo schiocco di una frusta e il rumore delle gocce di sangue che cadevano sul pavimento di metallo risuonò nella stanza.
“Cosa, graecus?” chiese con odio il Generale, guardando i due figli di Apollo soprappensiero.
“Io sono figlio di Ares. Non Marte.” replicò il più grande dei quattro, alzando lo sguardo. Il fuoco danzava nei suoi occhi.

Crossover Percy Jackson-Storico.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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And history bears the scars of our civil wars.

 
 
Look at your young men fighting 
Look at your women crying 
Look at your young men dying 

The way they've always done before 

Look at the hate we're breeding 
Look at the fear we're feeding 
Look at the lives we're leading 
The way we've always done before

My hands are tied 
The billions shift from side to side 
And the wars go on with brainwashed pride 
For the love of God and our human rights 
And all these things are swept aside 
By bloody hands time can't deny 
And are washed away by your genocide 
And history hides the lies of our civil wars 


-Guns'N'Roses, Civil War
 
 
 


L’ammiraglio dagli occhi di ghiaccio osservava gelido i quattro prigionieri ai suoi piedi. Indossavano tutti una  casacca blu, sopra ad una maglietta arancione. Logori pantaloni gli coprivano a stento le gambe, ed erano a piedi nudi. Lividi e contusioni erano un po’ ovunque. Inginocchiati a terra, sembravano delle bestie appena uscite da una selva.
Uno di loro, il più giovane, era svenuto. Sostenuto da un paio di soldati disprezzanti, il ragazzino che forse dimostrava tredici anni era accasciato contro una parete, un brutto taglio su una guancia. Gli altri due erano con la testa abbassata, i respiri irregolari e le gambe che tremavano. Stringevano con forza la collanina di perle multicolore che portavano al collo, le lacrime che gli scendevano imperterrite sulle guancie piene di fuliggine. Strinsero i denti, lasciando la stanza nel silenzio. Il quarto, e forse il più grande, sembrava non avere alcuna paura. Anzi, sollevò la testa e lasciò intravedere i capelli nerissimi e la pelle scura. Gli occhi erano color cannella, e anche lui portava una maglietta arancione, ancora più malridotta delle altre. I suoi pantaloni erano una pezza, ormai, tanto che si intravedevano le gambe distrutte. Aveva uno sguardo fiero, combattivo e di fuoco, come se da un momento all’altro potesse trasformarsi in un animale feroce. Aveva qualche tratto cinese, negli occhi a mandorla appena accennati. Le mani erano piene di tagli, ma nonostante questo lui cercava lo stesso di liberarsi. Fissava il generale con uno sguardo curioso, come un bambino che sa di aver combinato un pasticcio ed è curioso di quale punizione la mamma sceglierà.
“Quindi, ricapitoliamo.” li prese in giro il comandante, ben sapendo che se avessero risposto ci sarebbe stata punizione peggiore. “Un figlio di Vulcano, uno Marte e due di Apollo. Che bella compagine.”
“Ares.”
Si udì lo schiocco di una frusta e il rumore delle gocce di sangue che cadevano sul pavimento di metallo risuonò nella stanza.
“Cosa, graecus?” chiese con odio il Generale, guardando i due figli di Apollo soprappensiero.
“Io sono figlio di Ares. Non Marte.” replicò il più grande dei quattro, alzando lo sguardo. Il fuoco danzava nei suoi occhi. Un altro suono sordo riecheggiò nella stanza.
Martis Ultoris gratia! Meglio così. Almeno non comporti il disonore a Lui.” considerò l’uomo di fronte a loro, incrociando le braccia. Poi si risolse ai soldati dietro di loro.
“Soldati! Fucili pronti, in riga!” ordinò, piazzandosi al lato della fila. I quattro soldati dell’Unione puntarono i moschetti, con le spade di oro imperiale che scintillavano al loro fianco.
“Un ultimo desiderio?” chiese gelido, osservando i due ragazzi che si abbracciavano, e sostenevano il figlio di Efesto svenuto. Poi rialzarono la testa, e sputarono in terra. “Non da te.”
Il Generale rivolse lo sguardo al più grande davanti a lui.
“Un giorno capirai quanto stai errando, figlio di Zeus. Spero solo che quel giorno arrivi presto, così capirai quale sorte ci attende insieme.” spirò il ragazzo, guardandolo con disprezzo e compassione.
“Io non sono come te, miserabile traditore. Noi romani siamo diversi da voi serpi.” sibilò il generale, perdendo un poco il controllo.
“Noi siamo i precursori, sciocco. Da dove pensi che venga la parola Roma? Dal greco.” ribatté il ragazzo, alzando la schiena.
“Dal greco che vuol dire forza. Voi siete deboli, divisi, e tempestosi. Non siete degni di assistere alla gloria di Roma da liberi cittadini. Siete esseri inferiori, destinati ad essere quello che già siete. Reietti.” scandì il figlio della divinità, infondendo veleno in ogni parola.
“Stupido, giovane romano. Forza vuol dire coraggio. E coraggio non vuol dire oppressione. Il coraggio è quella forza che spinge una persona in difesa di un’altra. Non contro.”*
“Sciocchi! La guerra è necessaria, se si vuole la pace. Si vis pacem, para bellum.” sputò il Generale, facendo un cenno ai cecchini. Quelli caricarono. Il figlio di Ares lo guardava ancora, un misto di pietà e grazia negli occhi.
Accetta il mio sacrificio, padre.” sussurrò, prima di chiudere gli occhi, un’espressione concentrata e distante sul viso.
“Mio padre è Giove Optimus Maximus, graecus. Non dimenticarlo, lì dove ti recluderanno.”  disse disprezzante il Generale.
“Non lo farò.” rispose il ragazzo dai capelli neri, un attimo prima di cadere nell’oblio.



 



Note dell'autrice:
*Dal manifesto degli Intrepidi, Veronica Rioth.
 
   
 
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