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Autore: PassengerXX    25/02/2014    0 recensioni
Jay. Sammy. Vic.
Tre chitarre, tre voci accomunate da un sogno: sfondare nella musica.
Questa è la storia di tre ragazze che contattate da una grandissima casa discografica Newyorkese firmano un contratto e si scontrano contro il loro sogno. Impareranno a conoscersi, a stringere profondi legami, a credere in se stesse e in quello che vogliono.
Da una parte c'è Vic la "bella" del gruppo, voce chiara e potente, dall'altra parte c'è Sammy la "doce" del gruppo, la più sensibile, il cuore pulasante, poi c'è Jay ... E beh per descrivere Jay basta una parola "problematica".
La trama oltre ad essere incentrata sul tema del rendere possibile ciò che si ritiene impossibile si concentra principalmente sulla relationship Jay/Sammy poi capirete perchè ..
WARNING:
Nonostante sia una storia molto leggera, si affronteranno argomenti quali: violenza, omosessualità, autolesionismo, droga.
Non sono particolarmente brava nelle introduzioni ma spero di avervi convinto!
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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CAPITOLO 11

Kiss me like you wanna be loved, Wanna be loved, Wanna be loved


Non so quanto tempo era trascorso dal chiudersi di quella porta. 
Era accaduto tutto così velocemente, che quasi facevo fatica a credere che fosse accaduto realmente. 
Noi tre, le nostre voci, le nostre chitarre, gli applausi del pubblico, il sorriso compiaciuto di Luke … Poi il suono della chitarra elettrica di Jay, la sua voce, il suoi occhi che per la poca luce erano diventati grigi, il suo sguardo su di me mentre cantava quelle parole. 
Ero andata in tilt. In completo tilt.
 Il cuore mi era salito fin sopra la gola, nelle mie vene scorreva adrenalina pura, mi sentivo come se stessi per esplodere da un momento all’altro. 
Poi la mia corsa verso il bagno, quelle lacrime calde che non cessavano di scendere, la voce di Jay di nuovo vicina, la sua espressione confusa ma terrorizzata, le sue braccia esili ma forti al tempo stesso intorno a me e infine le sue labbra. 
Era durato un attimo. Non so valutarlo in termini di tempo. Poteva essere stato un secondo quanto un minuto. 
Le nostre labbra si erano inevitabilmente scontrate, in uno scontro voluto da entrambe. 
Solo in quel momento mi resi conto di quello che avevo implicitamente ammesso. 
Solo in quel momento realizzai che io, quello scontro, l’avevo desiderato eccome … Non riuscivo a credere a quanto appena ammesso, mai nella mia vita avevo creduto possibile una cosa del genere. 
La verità però a quanto pare, era diventata troppo opprimente. Non riuscivo più a mascherare quella realtà che cercava di emergere inesorabilmente. 
Perché quel momento lo attendevo da tempo. Forse più di quello che pensavo. 

“Che cazzo ho fatto?!”
Quel pensiero non smetteva di tormentarmi. Aveva invaso la mia testa un secondo dopo che le mie labbra si erano posate sulle sue. Le sue. 
No, no. Come era possibile? Potevo essere stata così stupida?
La risposta purtroppo era chiara e semplice. Si. 
Si, lo ero stata. Molto probabilmente in tre dannati secondi avevo buttato al vento il mio rapporto con Sammy, la mia carriera da musicista, quella del nostro gruppo, la felicità di Luke e una bellissima serata. 
E poi la gente ancora si chiedeva che problemi avesse Jay Wallas … 
Ero uscita da quel locale ad una velocità impressionante. Uscendo mi ero scontrata con un Luke confuso da quella situazione. Lui mi aveva sorriso e aveva teso la mano aspettando che gli battessi il cinque, ma io avevo la testa troppo sovraccarica anche solo per battere un cinque. 
In quel frastuono più totale ero a stento riuscita a prendere la mia chitarra per poi uscire da quel locale. Erano in molti i ragazzi e le ragazze che mi avevano fermata per farmi i complimenti e per chiedere informazioni sulle prossime date e sull’eventuale progetto in corso. 
Io avevo risposto utilizzando per lo più monosillabi, il desiderio di fuggire da lì era troppo forte. 
Fortunatamente avevo deciso all’ultimo momento di recarmi al locale con la moto, così dopo essermi messa la chitarra sulle spalle non ci misi molto a mettere in moto ed andarmene via da lì. 
Sapevo già dove andare. 



<< Luke! >> Finalmente una faccia familiare. Ci avevo messo un po’ per uscire da quel bagno, ma non appena lo feci fui sommersa da gente che mai avevo visto in vita mia, gente che mi riempiva di complimenti e domande. 
<< Ehi, piccola! Dove eri finita? >> Chiese il nostro manager leggermente preoccupato. Mi guardai attorno con espressione sicuramente confusa. 
Alle spalle dell’uomo davanti a me, c’era la mia migliore amica attorniata da gente. << Sia tu che Jay avete lasciato solo Vic sul palco! >> Disse l’uomo confuso. 
<< Si, lo so >> Feci infastidita dalla musica ad alto volume che avevano da poco messo. << Scusami Luke, dov’è andata Jay? >> Chiesi con una notevole accelerazione cardiaca. 
<< Bella domanda! E’ uscita prima di te ed è corsa via >> Affermò perplesso. 
<< Okay, grazie Luke! >> Gli dissi prima di andare via anche io. 
Non mi soffermai nemmeno a salutare Vic e non mi soffermai nemmeno a prendere la mia chitarra acustica, sperando che ci avesse pensato la mia amica. 
In meno di trenta secondi mi ritrovai fuori al locale. Mi guardai intorno ma della ragazza dai capelli corti non c’era traccia. 
Una parte di me era terrorizzata all’idea di rivederla, di parlarci mentre l’altra parte di me non desiderava altro che poterla anche solo sfiorare. 
Non so come, ma all’improvviso mi ritrovai a sorridere da sola come un ebete. Non potevo credere a quanto appena accaduto. Fino al giorno prima quei pensieri che ora mi invadevano la testa mi sarebbero apparsi vere e proprie assurdità. Adesso invece non potevo fare a meno di sorridere.
Mentre la mia testa era impegnata in quel trip tutto suo, il mio corpo si muoveva in automatico e in meno di qualche istante e senza che me ne rendessi conto mi ritrovai seduta in un taxi. 
<< Dove la porto signorina? >> Una donna anziana mi guardò dallo specchietto retrovisore con un sorriso bonario. 
<< Coney Island >>  Affermai sicura di me. 

Nonostante non l’avessi mai detto la nonnina andava ad una velocità davvero elevata e in pochissimo tempo mi ritrovai in quel posto che per un certo verso aveva rappresentato il mio punto di svolta. 
In quella spiaggia dalle labbra di Jay, per la prima volta, erano uscite le parole “Three guitars wet”, in quella spiaggia per la prima volta avevo davvero creduto nel mio futuro, in quella spiaggia avevo realizzato che era solo Jay che volevo. 
Dopo aver pagato l’anziana signora mi guardai intorno, cercandola. 
Ero talmente sicura di trovarla li che non avevo minimamente pensato all’eventualità di non trovarla. 
Fortunatamente a quella eventualità non dovetti pensarci nemmeno un istante, perché lei era proprio lì davanti a me. 
Mi dava la schiena, era seduta su un tronco d’albero che avrebbe potuto esser scambiato per una vera e propria panchina naturale. Lo stesso tronco d’albero dove nemmeno due settimane prima io e Vic eravamo sedute aspettando di scorgere una chioma scombinata.  
La leggera brezza marina le scompigliava i corti capelli neri perennemente disordinati. La sua pelle scura non era ben visibile a causa della poca luce. La luna infatti illuminava la sua camicia a quadri nera e bianca. 
Rimasi li ferma per qualche minuto. Quella ragazza era un vero e proprio magnete per me. Anche se non la stavo guardando in volto, limitandomi ad osservare le sue spalle e la sua schiena non potevo far a meno di fissarla. 
Dalla posizione in cui stava capì che stava suonando. Quando mi avvicinai non riconobbi il suono di quella canzone. Forse stava componendo qualcosa … Forse stava semplicemente strimpellando.
Ero a pochi passi da lei quando si voltò. 
Sul suo viso si dipinse immediatamente un espressione sorpresa. I suoi occhi grigi spalancati per lo stupore mi fecero capire che l’avevo decisamente presa alla spovvista. 
<< Che ci fai qui? >> Mi chiese voltandosi completamente nella mia direzione. 
Nel momento in cui la sua voce ruppe quel silenzio, mi resi conto che non avevo minimante pensato a cosa dirle, a cosa fare. 
<< Come hai fatto a trovarmi? >> Chiese lei scrutando il mio viso. 
E furono proprio quelle parole a riportarmi alla realtà. Una realtà che ad ogni secondo che passava, capivo star realizzando sempre di più. 
Vidi la ragazza di fronte a me inarcare le sopracciglia chiaramente più confusa che mai. 
Fu proprio la sua confusione a ridestarmi. << Lo sapevo che ti avrei trovata qui >> Affermai e forse dopo diciannove anni la mia voce era totalmente decisa. 
Le sue labbra si incurvarono nel suo classico sorrisino sghembo, quel sorrisino che era capace di prenderti per il culo ma allo stesso tempo di farti innamorare. Innamorare?
<< Non devi prendere un aereo fra qualche ora? >> Mi chiese alzandosi e facendo un passo verso di me. 
Giusto un passo. La vedevo sorridere ma mantenere le distanze, quasi come se avesse paura che io scappassi da un momento all’altro. 
<< Non vado da nessuna parte >> Affermai con la massima decisione. 
Fu proprio quella decisione che la destabilizzò. I suoi occhi grigi a causa del buio mi guardavano perplessi. 
<< Sammy … >> Sussurrò lei e il suo sguardo scivolò verso il basso quasi come se avesse paura di dire quello che sentiva. << Non dovresti essere qui >> Esclamò con poca convinzione. 
Feci due passi lenti verso di lei poi un idea mi venne improvvisamente. Estrassi il cellulare dalla tasca e cercai la canzone a cui avevo pensato. 
<< Che stai facendo? >> Chiese lei confusa.
<< Aspetta >> Feci io e non appena i primi accordi provenienti dalla chitarra di Ed Sheeran partirono appoggiai il cellulare sul tronco alle sue spalle. 
<< Dimmelo di nuovo >> Feci ritornando nella posizione di prima. 
<< Cosa dovrei dirti? >> Chiese lei ancora più confusa da quella situazione. 
<< “Non dovresti essere qui” >> Feci imitando la sua voce profonda. 
Jay alzò il sopracciglio esterrefatta. << Da quando siamo arrivate al punto “imitazioni”? >> Chiese con un sopracciglio alzato, abilità non da tutti.
<< Dai, Jay! Stai rovinando il momento! >> Feci esortandola. 
<< Non dovresti essere qui >> Disse sbuffando. 
Non appena rincontrai i suoi occhi ritornai seria. << Questo è proprio il posto in cui devo essere, in tutta la mia vita non ne sono mai stata così certa >> Affermai sostenendo il suo sguardo. 
<< Perché hai messo questa canzone? >> Chiese non tirandosi indietro quando le sfiorai il braccio con le dita. Nel frattempo “Kiss me” di Ed Sheeran ci stava cullando in quel momento quasi surreale.
<< Vic mi ha detto che sono poco intuitiva … Ma tu sei di gran lunga peggiore di me >> Esclamai avvicinandomi a lei ed esattamente come un ora prima riuscivo a sentire il suo fiato sul mio viso. 
<< ”Settle down with me, and I’ll be your safety, you’ll be my lady” >> Non riuscì a non pronunciare quelle parole che uscirono dalla mie labbra prima che me ne rendessi conto. 
Gli occhi grigi di Jay divennero in pochissimi secondi consapevoli e l’ultima cosa che vidi prima che il suo viso mi fu troppo vicino furono le sue labbra incurvarsi in un sorriso. 
Il bacio fu del tutto diverso da quella specie di “scontro” che c’era stato poco più di un ora prima. Non vi era né rabbia né fretta. Non vi era urgenza. 
Le nostra labbra si incontrarono anziché scontrarsi. 

Quello che era appena accaduto era assurdo. Completamente assurdo. 
La cosa ancora più assurda era che stava continuando ad accadere. 
La mia schiena era appoggiata a quel tronco d’albero in direzione del mare. Ma non guardavo quest’ultimo. 
I miei occhi erano tutti per la ragazza che stava seduta al mio fianco, non riuscivo davvero a distogliere lo sguardo. 
<< Lo stai facendo di nuovo >> Mi fece notare lei per la seconda volta in pochi minuti. 
<< Scusa >> Risposi di nuovo. 
Lei arrossì e sorrise di nuovo. Ce ne stavamo lì, appoggiate a quel tronco, sedute sulla sabbia fredda. 
Senza proferire parola, le nostre spalle a stento si sfioravano e di tanto in tanto i nostri sguardi si incrociavano. 
Mentre il mio stomaco era ancora in subbuglio per quello che era accaduto pochi istanti prima, Sammy sembrava del tutto rilassata, se ne stava tranquilla seduta su quella sabbia a giocherellare con il mio anello, un piccolo cerchietto nero, che mi aveva abilmente sfilato giustificandosi con un sorrisino che mi aveva tolto ogni diritto di replica. 
<< Puoi tenerlo se vuoi >> Le dissi per il solo pretesto di ritornare a guardarla e non essere richiamata. 
<< Davvero? >> Mi chiese alzando anche lei lo sguardo. << Non rappresenta niente di importante? >> . 
<< Nah, è solo un portafortuna. Sta meglio a te >> Dissi tornando a fissare il mare davanti a me. 
Nel momento in cui mi girai sentì una lieve pressione sulla mia guancia sinistra. 
<< E questo? >> Chiesi riferendomi al piccolo bacio che mi aveva appena dato. 
<< Era per ringraziarti >> Rispose alzando le spalle. 
<< Buono a sapersi >> Feci e i suoi occhi verdi si illuminarono. << Non aspettarti che sia io a mettertelo però >> Affermai facendole l’occhiolino. 
Sorridendo si mise l’anello al pollice della mano sinistra. 
La mia parte razionale non poteva non costatare l’assurdità di tutta quella situazione. Fino a qualche secondo fa credevo impossibile associare me e l’idea di un bacio romantico sulla spiaggia con tanto di canzone romantica. Una parte di me non riusciva ancora a credere a quello che era appena successo, una parte di me non poteva credere che quella ragazza al mio fianco fosse proprio Sammy. 
La Sammy per cui, anche se ammetterlo non è facile, ho sempre avuto una “cotta”, la Sammy a cui mai, e ribadisco mai, avrei pensato potesse essere interessata a me. 
La mia parte irrazionale, invece, non voleva altro che aumentare il contatto tra noi due. Avevo voglia di stringerla, di affondare il viso nei suoi capelli e chiudere gli occhi, avevo voglia di baciarla e non una sola volta. 
<< Hai freddo? >> Chiesi vedendola rabbrividire all’improvviso. Nonostante fosse piena stagione, la brezza marina era fredda e faceva rabbrividire anche le mie braccia nude. << Ho una felpa nel bagagliaio della moto, te la porto? >> Le domandai riconoscendo a stento quella me follemente premurosa. 
Forse lei pensò la stessa cosa perché dopo un attimo di stupore fece un sorriso, un sorriso che mi riscaldò completamente. << No, ma potresti scaldarmi in un altro modo >> Affermò titubante facendosi ancora più  vicina per poi appoggiare la testa sulla mia spalla. 
<< Vieni qui >> Dissi allargando le mie braccia in un chiaro invito che lei non rifiutò. 
Si, è vero. Forse ero del tutto impazzita, ma se questa era la pazzia avrei voluto essere definita pazza per il resto della mia vita. 

Non so per quanto tempo rimanemmo in quella posizione. La mia schiena poggiava scomodamente al tronco mentre quella della ragazza bionda poggiava sul mio corpo e la sua testa se ne stava comodamente adagiata tra l’incavo del mio collo e la spalla. Con una mano mi reggevo in quella posizione mentre con l’altra sfioravo con estrema lentezza il suo braccio destro. 
Seppur scomoda sarei potuta rimanere ore e ore in quella posizione senza stancarmi mai. Non so per quanto tempo avevo desiderato stare a stretto contatto con quel corpo caldo e adesso che i suoi capelli sfioravano il mio viso, e che il suo odore mi stuzzicava le narici, non riuscivo a non pensare a come la mia vita stesse inesorabilmente cambiando. 
<< Jay? >> Adoravo quando pronunciava il mio nome. << Posso chiederti una cosa? >> Chiese sfiorando le mie dita. 
<< Quello che vuoi >> Dissi immediatamente senza soffermarmi a pensare. 
<< Vuoi raccontarmi la tua storia? >> Mi accorsi dal tono della sua voce che era stata molto combattuta sul pormi quella domanda. D’altronde me l’aspettavo, era innegabile. 
Tuttavia non sapevo se fosse una buona idea metterla a conoscenza di tutto il mio passato … Che idea si sarebbe fatta di me? A prevalere però fu la parte razionale. Non potevo mentire, non a lei. 
<< Cosa vuoi sapere in particolare? >> Chiesi stringendo dei granelli di sabbia fra la mano. 
<< Ogni cosa >> Disse lei voltandosi per guardarmi dritto negli occhi. 
I suoi occhi erano sinceri, spalancati e curiosi. Aspettava in silenzio che io le dessi le risposte per le quali aveva tanto insistito. Guardando quegli occhi non potetti fare a meno di soddisfare le sue richieste e pensare che molto probabilmente quella non sarebbe stata l’ultima volta. 
<< Voglio darti tutte le risposte che vuoi, però ho bisogno che sia tu a farmi domande … Non sono brava nel raccontare storie tanto meno la mia >> Dissi giocherellando con la sabbia. 
<< Okay … Risponderai sempre? >> Chiese insicura. 
<< Voglio essere totalmente onesta con te. Meriti di sapere certe cose … Devo darti la possibilità di scegliere bene la persona con cui stare >> Dissi quelle parole guardando le sue scarpe. In quel momento in me vi era una lotta senza fine. Una parte di me voleva evitare di rispondere a quelle domande mentre l’altra parte voleva raccontare anche il più insignificante dettaglio della mia vita a quella ragazza. In quel momento, tuttavia, un sentimento dominava la scena: la paura. Paura di perderla, paura che tutto quello che stavo vivendo potesse sparire da un momento all’altro. 
<< Penso che potresti dirmi qualsiasi cosa in questo momento … Quello che voglio non cambierebbe comunque >> Esclamò sicura di se. Fu proprio quella frase ad esortarmi e farmi andare avanti. 
I suoi occhi verdi mi trasmisero il coraggio necessario per iniziare quel discorso. << Allora … Partirò dall’inizio. Non ho mai conosciuto la mia famiglia >>. 
Esordì con quell’affermazione. I suoi occhi verde bottiglia erano fissi nei miei e non mi lasciavano nemmeno per un istante. Una mano stingeva la mia e forse quella stretta, che costituiva un appiglio a quella realtà, mi diede la forza necessaria per continuare quella storia che non aveva mai avuto altro ascoltatore che Luke. 
<< Da bambina fui abbandonata in una casa famiglia … Non ricordo molto bene quegli anni, ero davvero troppo piccola. Fatto sta che fui adottata molto presto. Fui affidata ai Kennett. Una famiglia perfetta apparentemente. Purtroppo quella perfezione la si riscontrava solo sulla carta e quella però non fu l’unica famiglia a cui fui affidata. Ho perso il conto delle famiglie in cui ho vissuto, sul serio … In parte sarà stata sfortuna, in parte ero io, ma delle famiglia a cui sono stata affidata fino ai miei sedici anni nessuna mai era stata considerata per me tale >> Non riuscivo a raccontare la storia sostenendo il suo sguardo. Così intervallavo tra la sabbia e il verde dei suoi occhi. 
<< Sapevo che non avessi avuto una vita facile … >> Esclamò la ragazza bionda sfiorando per un istante la mia guancia con le punta delle dita. 
Chiusi gli occhi sotto quel tocco delicato e ispirai profondamente per riprendere la storia. << Gli anni passavano e io mi rendevo conto ogni giorno di più che non avevo nessuno. Non credo che una bambina potesse accumulare tanta rabbia quanta ne avevo io in corpo … Così, inevitabilmente, me la prendevo con altri. Fatto sta che intorno ai quattordici anni iniziai a cambiare radicalmente. Mi iniziai a chiedere, dopo tutto quel tempo, il “perché” fosse capitato tutto a me. Vedevo le ragazze della mia età e non avevano nemmeno un quarto dei problemi che avevo io. Quando loro tornavano a casa avevano un padre che le baciavano la fronte e una madre che metteva il pranzo a tavola. Io, invece, ero costretta a tornare in una casa che non sentivo mia, da un “padre” che beveva in ogni momento del giorno e che sfogava le sue frustrazioni sulla sottoscritta, e di una “madre” che non faceva niente quando il marito si sfilava la cintura per poi scaraventarla sulla mia schiena >> Mi sorpresi dal tono in cui stavo raccontando quella storia. 
Come se non fosse stata la mia, come se stessi ripetendo casi di cronica sentiti al telegiornale. La verità era che dopo il suo tocco, la sensazione di poter fare qualsiasi cosa si era impadronita di me.
<< Fu in questo periodo che iniziai a frequentare una compagnia non propriamente buona … >> Dopo queste parole il mio sguardo si incupì. Ricordare quei momenti non era molto piacevole. 
<< Gran parte di questa storia, credo che tu la sappia >> Dissi con voce sicura. 
Lei annuì lentamente. << Ho fatto tante di quelle cazzate in quel periodo che una persona sana di mente non farebbe in una vita intera ... Mi lanciavo in ogni tipo di rissa, le corse con le moto, sono andata in overdose due volte … La verità è che stavo male, terribilmente male. Anche l’unica cosa che mi aveva sempre aiutato nella mia vita, la musica, mi faceva star male.  
Scrivere una nuova canzone mi aiutava in quei momenti, la penna dava sfogo a quello che sentivo dentro ma al col tempo non faceva altro che amplificare il tutto. Il dolore aumentava e insieme ad esso aumentavano anche i tatuaggi sulla mia pelle. Paradossalmente alcuni di essi li ho tatuati sulla mia pelle per ricordarmi di dimenticare … >> La mia voce tremava ma volevo continuare, doveva sapere. 
<< Jay … Non continuare se non te la senti. Lo capisco >> Fece lei come se mi avesse in un certo senso letto nel pensiero. 
<< Voglio arrivare al motivo di questo >> Le dico indicando il mio polso sinistro. 
Sammy guardò con molta attenzione il polsino nero di pelle che indossavo in quel momento poi ritornò ai miei occhi. << E’ quello che penso? >> Chiese e i suoi occhi brillavano sotto la luce lunare. 
Io non le risponsi ma con estrema lentezza slacciai quel braccialetto che a stento toglievo la notte. 
Sentì Sammy trattenere il fiato e non ebbi il coraggio di guardarla in viso. Fissavo la lunga e doppia cicatrice che percorreva l’intero polso e per la prima volta nella mia vita mi sentivo vulnerabile. 
Non so quanto tempo trascorse prima che il silenzio fu spezzato da Sammy. 
<< Jay >> Pronunciò soltanto dopodiché con estrema delicatezza la ragazza del Tennessee mi prese il polso e come se niente fosse poggiò le sue labbra su quella cicatrice. 
Nel momento in cui le sue labbra si adagiarono sul mio polso fui capace di percepire il sangue scorrere più velocemente nelle vene. 
Alzai gli occhi e restai del tutto impietrita. Fu in quel momento che sentì l’elettricità prendere il possesso del mio corpo. 
Volevo continuare a parlare ma la lingua sembrava essersi attaccata al palato e le mani mi iniziarono a sudare. 
I suoi occhi verdi tornarono ad incastrarsi nei miei lucidi per quelle lacrime che mai avevo la forza di versare. 
<< Non so spiegarti alla perfezione le dinamiche di questo mio atto. So solo che ero arrivata al limite, Sammy. Al punto di non ritorno. Avevo trovato la mia vera famiglia … Stesso quel giorno scoprì che mia madre era deceduta in un incidente stradale l’anno prima e mio padre, invece, si trovava in carcere con accusa di omicidio. Tornai a casa in motorino, era mattina ed ero già ubriaca. Una volta arrivata a casa presi lo zainetto che tenevo nascosto sotto al letto e consumai tutto quello che tenevo all’interno. Stavo completamente fuori ma ero ancora lucida quando presi la decisione di farla finita >> La mia mascella era completamente contratta e le mie mani avrebbero tremato se non ci fossero state quelle di Sammy a stringerle. 
<< Sai la cosa più buffa qual è? Che non appena vidi il sangue scorrere a flotti dal mio polso svenni. Non ho tenuto nemmeno la forza di farla completamente finita >> Esclamai con un sorriso amaro. 
<> Sammy pronunciò il mio nome con un’infinita dolcezza. << Sei la persona più forte che io abbia mai conosciuto >>.  


NOTA AUTRICRE: 
Lo so, lo so. Saranno trascorsi secoli dall’ultimo aggiornamento e credo che scusarmi sia non abbastanza. Non voglio aggiungere altro, spero che ci siano persone che ancora seguono questa storia. 
Se ci siete battete un colpo e ditemi la vostra su questo capitolo :3
Spero di pubblicare il più presto possibile (magari nei primi giorni di Marzo). 
Alla prossima ;) 
  
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