Quella
sera il mare era in tempesta. Non che solitamente non lo fosse, nella
piovosa
cittadina dove sua madre aveva deciso di far innalzare una deliziosa
casetta
sulla scogliera. Tonnellate di pietra e arzigogoli apparentemente
gotici che
davano a quella spiaggia desolata un aspetto ancora più
inquietante.
Eppure,
pensò Draco, quella sera era leggermente più
luminosa del solito.
Che fosse
la spuma delle onde illuminata dalla luce sottile del crepuscolo, che
fosse
quel rumore costante - quello sciabordare continuo normalmente
così irritante
-, che fosse la sensazione della sabbia umida sulle ferite, Draco non
potè fare
a meno di ammettere che era decisamente più rilassante del
solito starsene
seduti lì sulla spiaggia con lo sguardo perso nel nulla.
Si sentiva
percorso da un leggero pizzicore – un delizioso coro di
“nontiscordardimé” che
le sue ammaccature troppo fresche stavano intonando a canone a contatto
con
qualche granello di sabbia troppo invadente -, ma da tempo non si
sentiva così
bene.
Quella
sera, con il mare in tempesta e il tramonto alle porte, Draco si
sentiva vivo.
Con le
dita della mano destra - sbucciate e rigate di rosso -
accarezzò i capelli di
Potter, steso al suo fianco.
Erano
bagnati e impiastricciati di sabbia. Non c’era da
sorprendersene visto che se
ne stava svenuto a pancia sotto sul bagnasciuga, le onde che giocavano
a “un,
due, tre stella” tra le sue spalle, l’ incavo del
collo e la sua bocca.
Draco
continuava comunque a guardarlo apatico mentre un nuovo cavallone si
tendeva
fino alla sua faccia, gli bagnava le labbra e si ritirava in silenzio.
Da
dov’era
lui, seduto, gli si inumidivano raramente i fianchi. Che Potter
continuasse
pure a prendersi l’acqua fino a farsi crescere i molluschi
nelle orecchie.
Forse avrebbe disinfettato le ferite che facevano bello sfoggio di
sé sulla sua
pellaccia dura.
In fondo
un po’ di riposo se lo meritava, ma che non si aspettasse che
dopo tutte le
botte che si erano dati si sarebbe risvegliato nel lettone di mamma
Malfoy, le
lenzuola ricamate e stirate di fresco tirate su fino al mento.
Se gli
fosse andata bene avrebbe mosso il culo prima dell’alta
marea; in caso
contrario Draco l’avrebbe semplicemente trascinato in fondo
alla spiaggia e lo
avrebbe lasciato lì, a mangiar sabbia. Che non si dicesse
poi che non aveva
buon cuore.
Continuò
a
giocherellare distrattamente con i capelli impiastricciati di Potter,
senza
nascondere una certa soddisfazione.
- Cosa credevi
venendo qui, eh idiota? Di riportare a casa il tuo cagnolino fedele?
–
sogghignò senza guardarlo.
In
realtà
sapeva precisamente cosa ci era venuto a fare Harry
Maledettamente-Sopravvissuto Potter nell’angolo di costa
più grigio e piovoso
esistente al mondo.
E proprio
per questo era una soddisfazione ancora maggiore vederlo in condizioni
così
pietose. (Non che lui a scorticature e lividi vari fosse messo meglio,
ma
perlomeno era cosciente.)
Il tutto
era cominciato più o meno due settimane prima, nella
soleggiata – a confronto
di quella vasca di Belzebù persino Londra sarebbe sembrata
un delizioso bagno
di sole – Diagon Alley.
Una scommessa.
E se Draco
non avesse avuto lividi anche tra le chiappe le avrebbe benedette
tutte, le
scommesse.
***
-
Signorino Malfoy! Insomma, stia attento! -
Madame
McClan era leggermente alterata quel pomeriggio. Eclissando sul
“signorino
Malfoy” - l’unico signorino nei paraggi
è nei pantaloni di tuo marito, vecchia
bavosa - era lui a prendersi un ago
da cucito in vena grattandosi il naso mentre una pensionata
appassionata di
ricamo gli accorciava le maniche dello smoking. Lei al massimo avrebbe
alzato
il prezzo finale dell’abito perché lavorare
in queste condizioni è impossibile, signorino Malfoy.
Ad ogni
modo, che Merlino fosse lodato, se tutto fosse andato per il meglio
quella
sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe dovuto starsene
appollaiato su uno
sgabello come un avvoltoio di lusso.
Se tutto
fosse andato secondo i suoi piani presto sarebbe stata la sarta stessa
a venire
a casa sua, e sarebbe stata disposta a sdraiarsi a terra pur di non
fargli
muovere un muscolo.
Meglio
ancora se la sarta avesse avuto sui diciotto, vent’anni.
Meglio ancora se la
sarta fosse stato un sarto.
- Ecco,
può scendere -
Draco
balzò giù dallo sgabello con un sospiro. Grazie
al cielo era finita.
- Quanto
le devo? – sbottò sfilandosi la giacca dalle
spalle, ben attento alla Vergine
di Norimberga che oramai era divenuta la manica.
Madame
McClan tacchettò irritata fino al suo bancone, il vestito
che portava in
braccio due volte più grande di lei. – Il prezzo
da listino sarebbero 50 falci,
ma devo aggiungere qual cosina per la manodopera speciale.
Perché signorino Malfoy,
in queste condizioni è
impossibile lavorare! –
Come
volevasi dimostrare.
- Ah,
signorino! -
A quanto
pare l’amabile vecchietta era in vena di chiacchiere.
- Come
procedono
gli affari? Ho sentito parlare di un’imminente promozione!
–
O il mondo
magico era diventato improvvisamente piccolo, o la bocca di sua madre
era
diventata – non così tanto improvvisamente
– larga.
Eppure
Draco si sentì all’istante molto più
solidale nei confronti della cara vecchia
signora.
– Ha
sentito bene, madamigella! – le rispose guardingo.
– Perciò lavori come si
conviene a quel vestito, potrei per così dire…
indossarlo con il mio nuovo
capo! –
Madama
McClan sbatté molto ampiamente le ciglia alla parola
“madamigella”, lusingata.
- E sia,
mio bel signore! – esordì con un sorriso al
caramello – Potrei anche
abbuonargliela la manodopera! Con 50 falci per oggi se la cava! -
Al solo
pensiero di che cosa poteva frullare nella testa di una sarta
settantenne Draco
si sentì rabbrividire, ma che non si dicesse che non ci
sapeva fare, con il
gentil sesso.
Peccato
che lui fosse interessato molto più che vagamente al fiocco
blu, e che l’abito
che Madame McClan doveva confezionare fosse destinato ad un compito ben
più
grato di un banale incontro con un qualche banale superiore.
Anche
perché se il suo piano fosse andato in porto di superiori
non ne avrebbe visti
nemmeno col binocolo.
Draco
Malfoy, udite udite, stava per diventare il mantenuto più
spaventosamente ricco
di tutta
Con un
sonoro “plop” si smaterializzò sul
divano di casa propria, spaventando a morte
l’elfo domestico.
-
B-bentornato Signor Malfoy! – squittì quello in
allerta. Non era la prima volta
che in cambio di un saluto riceveva un calcio negli stinchi.
A Draco
piaceva pensare che quella di picchiare gli elfi domestici sarebbe
presto
diventato uno sport, e che lui non stava facendo altro che anticipare i
tempi.
Lo ripeteva spesso a Pixy, la sua adorabile bestiolina occhi a palla, e
lui
annuiva convinto. Da quando aveva assimilato il concetto seguiva il
quiddich
con una curiosità quasi morbosa, preoccupato che potesse
perdere il suo fascino
e finisse per essere sostituito da qualcosa più…
rilassante, a parere del suo
padrone.
Draco lo
osservava divertito mentre se ne stava con il naso sbilenco a dieci
millimetri
dalla radio, la voce del cronista che seguiva il movimento della pluffa
in
campo.
L’unico
lato seccante della faccenda era che tutto quello spassionato amore per
lo
sport costringeva Pixy a seguire ogni singola partita, e spesso e
volentieri
anche quelle che vedevano Potter come star.
Potter.
In quelle
occasioni, per quanto l’impulso di gettare Pixy
giù dalla finestra fosse
irresistibile, Draco non poteva fare a meno di condividere con lui il
posto in
prima fila di fronte alle casse gracchianti della radio, mostrando
molta meno
disinvoltura di quanto avrebbe voluto.
Non che
fosse interessato, sia ben chiaro.
La sua era
solo morbosa curiosità.
In fondo
ciò che riguardava Potter riguardava anche lui,
indirettamente. Era sempre
stato così. Non che tutto
quello che
riguardava Potter riguardasse anche lui… però
qualcosa sì. Un poco.
Scuotendo
la testa infastidito Draco richiamò Pixy con un cenno della
mano.
-
Sì
padrone? -
-
Portamene una –
Il maggior
pregio di quella bestiolina, pensò Draco mentre Pixy
scompariva diretto verso quella
stanza, era che non aveva bisogno
di troppe parole. Veloce ed efficiente. Pur sempre un elfo domestico,
ma veloce
ed efficiente.
Non gli
avrebbe regalato un calzino nemmeno in cambio di uno squadrone di elfi
scozzesi.
Pixy
tornò
in fretta, reggendo tra le mani un minuscolo pacchettino nero.
Era grazie
a quel minuscolo pacchettino che Draco sarebbe diventato ricco. Beh,
ancora più
ricco.
Ne
aprì i
lembi con attenzione e l’appoggiò sul tavolino di
fronte al proprio divano,
rigorosamente italiano.
Nel
velluto scuro spiccava una piccolissima fialetta bianca. Il tappo non
era che
una miniatura di un serpente di sughero, aggrovigliato.
Draco
prese la fialetta fra due dita e se l’appoggiò
alle labbra, svuotandone il
contenuto.
Si
rilassò
sui cuscini del divano mentre sentiva il cuore perdere lentamente un
battito e
un leggero tremolio impossessarsi delle sue dita. Aveva la vista di
già
annebbiata.
Che il
viaggio avesse inizio.
*
Draco si
svegliò con un brusco mal di testa. Aveva un retrogusto
amaro in bocca e gli
fischiavano le orecchie.
- Bentornato
Malfoy. -
Pixy era
morto. Come osava rivolgersi a lui con il suo nome! Lo avrebbe-
Poi Draco
si accorse che a parlare non era stato Pixy.
Con i
canali semicircolari nelle orecchie che gli imploravano di non muoversi
girò la
testa verso la fastidiosa nuvola nera che gli era accovacciata accanto e – promemoria:
mai, e poi mai lasciare la
porta di casa priva di un’adeguata protezione antitroll
– vide Potter, con
tanto di divisa da Quiddich addosso, rivolgergli un sorriso sghembo.
-
- Chi?
–
Ma cosa
stava facendo Pixy? Trivellando il muro? Cos’era tutto quel
chiasso?
- Lascia
stare Malfoy – rispose Potter. – Non credo che ora
capiresti se anche provassi
a spiegartelo. -
Draco si
alzò lentamente a sedere lasciandosi sfuggire un gemito.
Tutta quella
situazione era decisamente assurda. Che cosa cazzo ci faceva Potter nel
suo
salotto, vestito come avesse appena battuto Dai
"Dinamite" Llewellyn con una finta Wronski? Ops, Dai Llewellyn era
stato divorato da una chimera vent’anni prima.
Touchè.
-
Potter, che cazzo vuoi? -
Non
è che
Draco fosse sempre così scurrile. Gli capitava di esserlo
però, a volte, dopo
aver ingollato una fiala intera di Syon, sua personalissima creazione.
E,
soprattutto, detestava essere risvegliato dal suo sogno. Lo odiava, con
tutto
sé stesso.
Era…
beh,
era segno di maleducazione, ecco.
Potter, di
tutta risposta, iniziò a togliersi le gomitiere. Le
sbattè una ad una sul suo
tavolino rigorosamente italiano e fece quel
sorriso. Quel contorcere il volto in un’espressione beata, le
labbra
stiracchiate come tirate da un filo.
- Se ti
vedessi ora, Malfoy – disse, improvvisamente serio.
Draco si
alzò dolorosamente a sedere e per un attimo si chiese se
Potter non fosse
vestito così per partecipare alla partita di Quidditch che
infuriava nella sua
testa. Il suo cervello doveva aver assoldato i migliori battitori della
storia
magica.
- Non hai
risposto alla mia domanda – sbiascicò passandosi
una mano tra i capelli. Doveva trovare il
modo di far smettere quel
fottuto mal di testa. Merda, non era mai stato così forte.
Potter
aveva finito con le gomitiere e si stava smontando tutto
l’armamentario che
aveva addosso. Ginocchiere, guanti, perfino il mantello. –
Draco, sei in
arresto. O perlomeno, prima o poi lo sarai. Non appena capiranno qual
è il tuo
cazzo di crimine e apriranno il tuo caso. –
Probabilmente
ancora sotto l’effetto del Syon, a Draco venne solo una gran
voglia di ridere.
Ed era un sollievo, un sollievo davvero, perché non lo
faceva da troppo tempo
ormai.
- Il mio
caso non esiste, Potter – sussurrò. Pixy,
smettila con questo baccano.
In
realtà
Draco sapeva benissimo che tutto quel rumore non era altrove se non
nella sua
testa. Era il Syon che rimbalzava da una parete all’altra del
suo cervello,
come una maledetta pallina di gomma impazzita.
Sì,
era
quella l’attività che avrebbe dovuto fruttargli
una comoda vita in ritiro
spirituale.
Traffico
di droga, così era chiamato nel mondo babbano.
La cosa
divertente era che quel particolare crimine nel mondo magico non
esisteva.
Perché non erano mai esistite droghe… fino a quel
momento.
Draco vi
aveva passato giorni e notti, costantemente, cercando di elaborare il
filtro
più sensazionale mai esistito. Se davvero i babbani potevano
creare con delle
polverine colorate pillole in grado di spappolare il cervello, allora
cosa
sarebbe stato in grado di fare lui con la magia?
Aveva
ingollato ogni singola prova, aveva analizzato ogni singola propria
reazione,
con un autocontrollo che gli era sconosciuto. Solo dopo aveva capito
che la sua
sicurezza non derivava da altro che dagli stessi elaborati da lui
realizzati, e
che assumeva periodicamente, costantemente.
Di cui
oramai non poteva più fare a meno.
Era schiavo
della sua stessa creazione, ma era ricco.
E, che
Merlino si rotolasse pure nella tomba se non era così, aveva
creato la cosa più
geniale mai esistita.
Il Syon,
una minuscola boccetta bianca, era la chiave per il paradiso.
Un
glorioso passato perduto, un amore che non esisteva più, un
desiderio
irrealizzato… il Syon poteva esaudire ogni richiesta. Ogni
più infimo, intimo
bisogno.
Era un
sogno.
- Smettila
di sognare, Malfoy. – La voce di Potter era quasi
più insistente delle trivelle
che gli stavano tritando i timpani come prezzemolo.
Si era
seduto sul tavolino, il suo
tavolino
rigorosamente italiano, e fissava Draco intensamente, con
l’aria di aveva visto
tutto nella vita.
Beh,
pensò
Draco, che si fottesse. Non aveva provato il Syon… non aveva
visto tutto.
- Lo sai
sfregiato – borbottò stropicciandosi gli occhi. Ci
si mettevano anche le lucine
a intermittenza adesso? Non era nelle condizioni di parlare seriamente,
non con
una mandria di lucciole ad oscurargli la visuale.
- Lo sai
sfregiato – ripetè, cercando di darsi un tono
– Prima che arrivassi tu me ne
stavo comodamente sdraiato su un lettino di vimini, in una lontana
spiaggia di
qualche angolo remoto dell’universo, a godermi una splendida
partita di “chi
picchia l’elfo più forte ha diritto ad un altro
calcio” nella sabbia, e mi
pareva anche di avere in mano un bicchiere di ottimo scotch…
ah ecco – si
allungò verso il tavolino a fianco del divano, prese una
bottiglia e ne bevette
un sorso.
- Insomma
Potter – aggiunse richiudendola – sto cercando di
dirti che non sei gradito
qui.-
Quando
voleva Draco sapeva essere piuttosto teatrale. Se solo non avesse avuto
un’emicrania lancinante probabilmente non avrebbe saputo
trattenere il suo
caratteristico sopracciglio alzato. Sarebbe stato un bello spettacolo,
già.
Potter
scosse la testa scettico e ridacchiò. – Prima che
Lupin mi mandasse a chiamare,
Malfoy – esordì
altrettanto
platealmente (quando aveva acquisito quella dote?) – stavo
giocando una partita
di quidditch contro i Falconi di Falmouth. Ed eravamo in netto
vantaggio. -
Questo
spiegava la divisa da cercatore.
- E per
quale motivo tanta urgenza? Avresti potuto tranquillamente attendere le
odi e
gli onori del pubblico alla grande vittoria prima di venire qui a
disturbare
me. -
Il viso di
Potter si deformò in una maschera amara. –
Perché, fottuto cretino, quando hai
buttato giù quella merda mi è suonato un
maledetto allarme in testa che avrebbe
fatto cadere dalla scopa persino un fottuto volatile! –
Beh,
questo forse spiegava il cattivo umore di Potter.
Ma
peggiorava notevolmente anche il suo.
- Mi avete
tenuto monitorato? – soffiò Draco tra i denti,
improvvisamente lucido.
Un secondo
dopo Potter era a mezzo centimetro dalla sua faccia, le lenti degli
occhiali
che gli facevano specchio sugli occhi. – Io. –
disse. – Io ti ho tenuto
monitorato, Malfoy. E metà del mondo magico mi
darà per pazzo visto che sono
scomparso nel bel mezzo di una partita. E prendilo come un favore
personale… mi
farebbe davvero piacere vederti un minimo spaventato al pensiero di
essere
sbattuto in gattabuia. –
Draco
tornò a ridacchiare
Toc toc?
Ehilà? Potter, c’è nessuno
in casa?
- Ma che
pensiero gentile, sfregiato. Occuparti di persona di me. Tu,
l’unico e il
grande. Ma vedi, c’è un particolare che ti
è sfuggito: il mio crimine non
esiste. -
Potter di
tutta risposta sfoderò un sorriso innocente. –
E’ per questo che per ora la tua
cella sarà casa mia– disse cristallino estraendo
la bacchetta.
Draco
sgranò gli occhi, e le lucciole gli parvero buoi con una
lampadina in bocca.
Pixy, che
diavolo stai facendo?
Trapanando il muro? Cos’è questo baccano?
*
Venti
minuti dopo Draco era in casa di Potter – una specie di
monolocale di lusso,
molto meno lussuoso di quanto Draco si sarebbe mai aspettato, molto
più
disordinato di quanto avrebbe mai potuto pensare – e Potter
gli stava
ammanettando il polso sinistro ad uno strano oggetto tutto tubi.
Il
passaggio tra “ammanettamento” e
“ammanettato” era sfuggito a Draco con
un’abilità sorprendente.
- Ma che
cazzo fai?! -
Potter gli
rivolse uno sguardo latte e miele. – Ti ho detto che sarebbe
stata una cella,
Draco, non una maisonette. -
Draco
strattonò il polso con rabbia. – Questo
è rapimento! –
- Vedila
come ti pare. -
Mentre
Potter si gettava con un sospiro sul divano e appoggiava i piedi sul
suo
tavolino – la cosa più lontana dal rigorosamente
italiano mai esistita – Draco
capì che cos’era il campanello d’allarme
che non l’aveva fatto sobbalzare
quando Potter era entrato in casa sua. No, non il Syon.
- Tu non
sei un auror. – Le sue labbra lo dissero nello stesso istante
in cui la sua
mente lo realizzò.
Harry
inclinò il capo e tornò a sorridere. –
No. –
- Non sei
in contatto con il ministero. –
- No
–
Draco
strattonò ancora una volta il polso, e la manetta
tintinnò contro il tubo di
metallo a cui era legato.
- E allora
che cosa cazzo te ne frega di me? -
- Non
voglio che tu muoia. –
Draco
aveva ormai smesso di vedere lucciole, e non c’era
più nessuno a trapanargli il
cervello. Eppure a quelle parole un’immensa orchestra di
percussioni intonò la
marsigliese battendo coi piedi sul suo autocontrollo.
- Sei un
fottuto idiota! – urlò.
Potter
sprofondò nei cuscini del divano e gli diede le spalle.
– Scommettiamo, Malfoy.
– disse piano. – Dimostrami che puoi vivere senza
quella roba. Se vinci sei
libero. –
Draco non
osò chiedergli cosa sarebbe successo se avesse perso. Era
troppo occupato ad
inveirgli contro.
*
Non aveva
mai veramente pensato alla dipendenza. L’aveva sempre
considerata una sorta di
controindicazione, un incidente di percorso in cui lui, lo stesso
creatore di
quella sostanza, non sarebbe potuto incappare.
Era
pallidamente assurdo, quel clima gommoso in cui era stato trascinato
così
improvvisamente.
Potter lo
staccò da quell’aggeggio tutto tubi – un
termosifone, così aveva detto lui –
solo per attaccarlo alla testata del letto, o al mobile fisso di turno.
Incominciò
a parlargli di tutto: del lavoro – se poteva essere definito
lavoro scansare i
bolidi e inghiottire di tanto in tanto un boccino d’oro
– degli amici – Draco
aveva ancora gli incubi se pensava alla Granger e a Weasley scopare
come ricci
in uno scantinato- delle cazzate che giornalmente viveva mentre lui se
ne stava
incatenato da qualche parte come un cane al guinzaglio.
Draco non
aveva il coraggio di considerarsi prigioniero, e per i primi tre giorni
di
reclusione si concentrò unicamente sul pensiero di quanto
Potter fosse una
testa di cazzo.
Una testa
di cazzo con una casa che avrebbe fatto invidia al disordine della
cuccia del
cane a tre teste di Hagrid, con la lingua più lunga di quel
maledetto letto a
mezza piazza su cui erano costretti a dormire in due, una testa di
cazzo con un
bel culo.
Poi il
quarto giorno cominciò l’incubo.
Draco
iniziò a sudare. A sudare tanto, come stesse correndo
migliaia di miglia. Le
gambe cominciarono prima a formicolargli, poi a tremare. Si muovevano
da sole,
impazzite, come le zampe di un ragno a cui è stata mozzata
la testa.
Oh, la testa.
Draco se
la sentiva spaccata in due. Un lungo, affilato fulmine gli si era
infilzato nel
bel mezzo della fronte e gli aveva mandato in corto circuito il
cervello.
E mentre
con lenti movimenti delle mani sulle tempie Draco cercava di alleviare
il
dolore le sue gambe correvano. Migliaia di miglia. E lui sudava.
Tutto
ciò
a cui riusciva a pensare era il Syon.
Sentiva il
cuore cigolare ad ogni tremolio dei suoi muscoli. Iniziò a
piangere, e le
lacrime si confusero col sudore. Acido e salato si infiltrarono tra le
sue
labbra mentre urlava qualcosa di indistinguibile perfino alle sue
orecchie.
Si
passò
le mani ovunque: sulle ginocchia, sulla testa, sulla bocca, attorno
alle
caviglie, e le ritrasse fradice. La manetta ora di nuovo attaccata al
termosifone tirava, ma Draco non ci faceva più caso.
Il suo
corpo gli si stava rivoltando contro.
Cazzo, cazzo,
cazzo, cazzo.
Non
avrebbe mai più fatto nulla di brutto. Non avrebbe mai
più detto nulla di
brutto. Non avrebbe mai più pensato
nulla
di brutto.
Basta, basta!
Fu quando
vide Potter corrergli incontro con gli occhi più spaventati
che gli avesse mai
visto addosso che Draco capì cosa avesse urlato fino a quel
momento. Harry.
- Draco!
Cazzo Draco! -
Tutto quello che Draco
riuscì a fare in
risposta fu singhiozzare.
Potter lo
abbracciò, passò anche lui le proprie mani
ovunque sul suo corpo, le ritrasse
fradice. Cominciò a mormorare frasi sconnesse in risposta
alle frasi sconnesse
che Draco stava pronunciando ma che non riusciva a capire.
- No,
Draco, il Syon no. Basta con quella merda, basta. Cazzo… -
lo sentì sbottare,
tutto d’un fiato.
Evidentemente
era quello che stava chiedendo. Syon. Era quello che il
suo corpo stava chiedendo.
Poi Potter
si alzò e si diresse verso la cucina. Vi trascorse i
successivi cinque minuti, dieci secondi,
vent’anni, e tornò con in
una mano scatoline bianche su scatoline bianche e nell’altra
una bottiglia
d’acqua.
Per i
successivi cinque minuti, dieci secondi,
vent’anni Draco non fece altro che ingoiare
pastiglie. Sonniferi, calmanti,
antidolorifici, Potter glieli passava uno dopo l’altro,
scusandosi perché era
roba babbana.
Draco
aveva a malapena la forza di pensare a cosa
fosse, un babbano, e forse anche per questo rimase stupito
quando dopo
l’ennesima fitta di dolore alla testa Potter gli prese il
viso tra le guance e
gli catturò la bocca.
Lo
baciò.
Mentre una
scarica d’acciaio lo percorreva da parte a parte, Draco
Malfoy baciò Harry
Potter, o viceversa.
E tra un
bacio e una pillola bianca, un bicchiere d’acqua e un altro
bacio, Draco non
ebbe il tempo di pensare davvero a nulla. Lentamente, faticosamente, si
abbandonò a quelle braccia, immergendosi in un sonno che
sapeva di latte,
bianco e solamente bianco.
Non aveva
mai veramente pensato alla dipendenza. Faceva male.
*
Il quinto
giorno Pixy venne a fargli visita. O meglio, Draco invocò
talmente tanto il suo
nome accompagnato da tutte le imprecazioni che conosceva che Potter
ebbe la
santa idea di andarlo a prendere a casa sua – dove la bestia
verde aveva
cominciato a cercarlo perfino sotto il tappeto pestandosi le dita ogni
qual
volta che non lo trovava – e di trascinarlo a casa propria.
Non che a
Draco mancasse Pixy. Era
semplicemente una costante, un habitué del suo
personalissimo universo
interiore. Il pensiero che era Pixy ogni volta ad andargli a prendere una di quelle sfiorò Draco per
un attimo
quando lo vide sulla porta, e lo sbattè KO sul tappeto
dell’ingresso di casa
Potter.
Cazzo, non
stava messo bene. Non stava bene affatto. Svenire così, come
un fottutissimo
sacco di patate, di fronte al suo elfo domestico, di fronte a Potter.
Era un
continuo martirio. La crisi di nervi era alle porte, e Draco lo sapeva
bene.
Dal giorno
prima lui e Potter non si erano rivolti una parola: dopo il suo
risveglio lo
sfregiato si era limitato a guardarlo con apprensione e Draco aveva
notato con
sollievo che la manetta al suo polso sinistro era sparita.
Subito
dopo si era ricordato di quanto era avvenuto qualche.. ora? Giorno?
prima. La
bocca di Potter gli bruciava ancora sulle labbra.
Merda.
Draco non riusciva a pensare altro.
Che cosa
diavolo era successo a Potter? Che cosa era successo a
lui?
Aveva
trascorso gli ultimi sei anni a zapparsi il suo personalissimo
giardino,
nascosto agli occhi di tutti tranne che ai suoi, pieno zeppo di fiori
rarissimi
ad allietargli le giornate buie, ed ora Potter non solo vi entrava, vi si fiondava, come un ariete con le
corna lunghe quanto l’uccello di quell’attore porno
che – cazzo esisteva
davvero o l’aveva sognato in un viaggio di Syon? –
… beh, ora Potter col suo
bel fondoschiena sfondava ogni cazzo di difesa da lui ideata e
cominciava a
strappar piante a casaccio.
Non era
bello.
Non era
neppure brutto, ma non era bello.
Non era
facile. Questo era il problema: non era facile.
Quel
quinto giorno Pixy arrivò sulla porta di casa Potter con un
fagotto davvero
minuscolo e sotto braccio la radio, la stessa radio che trasmetteva
tutte le
partite di Potter. La stessa radio che aveva visto Draco mandar
giù più e più
volte fiale e fiale di Syon, fino a perdere qualsiasi concezione della
realtà.
La stessa radio che in un viaggio era diventata viva
e gli aveva urlato contro che nella vita lui non aveva fatto
davvero un cazzo, un cazzo.
La stessa
radio che durante quel viaggio era finita a pezzi e che Pixy aveva
dovuto
ricostruire per poter continuare a seguire il quidditch.
Draco
svenne, quel quinto giorno, e Potter lo trascinò sul letto e
lo vegliò fino a
quando non fu sveglio.
*
Il sesto
giorno Draco e Potter cenarono occhi negli occhi. Draco aveva persino
rinunciato a guardare cosa infilzava con la forchetta pur di non dover
abbassare lo sguardo.
Continuò
così fino a quando Draco non sentì gli occhi
bruciare – erano parecchio
sensibili in quel periodo – e Potter chiese: - Draco, stai
bene? – e Draco
cominciò a piangere, senza volerlo, e Potter lo
baciò, ancora.
Era uno
schifo, ma Pixy continuava a tifare per Potter ogni volta che
ritrasmettevano
alla radio le sue partite.
*
Il settimo
giorno andarono al parco. Si sedettero su una panchina e Potter
cominciò a
parlare di Ginny Weasley, di come era andata male con lei, di come
avesse
capito ormai da tempo che non era quello il tipo di rapporto a cui
anelava.
Usò
proprio quel verbo, anelare.
Draco
ascoltò e annuì spesso, qualche volta disse
– Capisco. –
Si
guardò
attorno e vide funzionari del Ministero a passeggio, madri di
interminabili
famiglie, streghe di carriera, gente che durante la giornata faceva
qualcosa di
più di guardare la porta nell’attesa che Potter
tornasse.
Non disse
niente a riguardo e continuò ad ascoltarlo mentre accennava ai thestral, dicendo che
lì vicino ne stava
passando uno. Draco si girò incuriosito e non vide niente.
Il nulla.
*
L’ottavo
giorno Draco disse a Pixy – Portamene una - .
Non
c’era
bisogno di altre parole.
*
- Tu non
capisci Draco, cazzo! Sei solo un drogato, un fottuto drogato! Tutto il
giorno
non fai altro che commiserarti, cercare qualcosa che ti renda speciale,
che ti
faccia magari diventare ricco, famoso! Tutto il giorno ti nascondi
dietro la
tua illusione del cazzo! Ma sì, giochiamo pure con la morte!
Porca puttana,
Malfoy! L’hai creata tu quella roba! Sai perfettamente che ti
riduce ad uno
schifo! Guardati! Ti senti forte, potente?
Sei il re del mondo? Oh sì! Sei il re del TUO mondo! Merda!
-
Potter
pianse mentre Draco vomitava, chino sul water.
*
Il decimo
giorno Draco si strinse contro il petto di Harry mentre sentiva un
lungo
formicolio partire dalla punta delle dita per arrivare alla punta dei
capelli.
Gli succedeva spesso ormai.
Pixy era
tornato a casa Malfoy, portando con sé il suo minuscolo
fagotto e la sua radio.
Draco acconsentì perché se ne andasse,
perché dopo tutte le testate che aveva
dato al muro dopo aver dato al suo padrone quella fiala di Syon temeva
seriamente che avrebbe riportato danni permanenti se un altro incidente
del
genere fosse accaduto.
Preoccuparsi
per un elfo domestico: la sua follia doveva essere diventata ormai
permanente.
Era
singolare: ogni cosa aveva acquisito improvvisamente un significato
metaforico.
Pixy che
se ne andava era la sua sicurezza che lo abbandonava sbattendo la porta.
Il sudore
che tutto il giorno lo infradiciava era lo sporco, il lercio che
cercava una
via di fuga dal suo corpo.
Casa di
Harry era il suo nuovo giardino: un giardino pulito, bianco come il
latte.
Oramai i fiori che Potter aveva strappato – non a casaccio,
no – non sarebbero
più ricresciuti.
O almeno
così Draco sperava.
Si strinse
più forte contro il petto nudo di Harry e scoccò
un bacio leggero sulla sua
spalla.
*
Trascorsero
molti altri giorni, e quei fiori – quelle erbacce –
che erano state strappate
ricrebbero.
E furono
di nuovo estirpate con un taglio netto.
Ricrebbero.
Ma
trascorsero altri giorni, e piano piano il terreno attorno a quelle
erbacce si
seccò e assunse una tonalità biancastra, come
l’alone di un ricordo.
Non fu una
favola. Non ci fu un principe.
Harry
impazzì letteralmente nel vedere quanto facilmente Draco
ricadeva nei suoi
stessi errori.
Ma
trascorsero altri giorni.
Poi venne
quel litigio.
- Harry,
cazzo, non sono una bambola! -
Draco si
sentiva il sangue ribollire nelle vene. – Ho bisogno, ho
davvero bisogno, di
fare qualcosa. Di uscire da questa benedetta casa, di trovare un
lavoro… No,
Harry, quello dell’ultima volta non era una lavoro! Creare
l’ Energy drink
più dissetante possibile
per la tua squadra di quidditch NON è un lavoro! –
- E cosa
andrai a fare, eh? Distillare pozioni in un’industria
farmaceutica? Draco tu
non puoi più venire a contatto con quella roba, lo sai. -
Continuò
su questa linea, più o meno, per svariati giorni, a
più riprese.
Piatti
rotti su piatti rotti, incantesimi più o meno fastidiosi,
furetti bianchi che
giravano per casa e che Draco ancora cercava perfino nei rotoli di
carta
igienica nel bagno.
Fu uno
scontro doloroso che spezzò molte porte, letteralmente
quanto non.
E Draco
era fottutamente stanco di starsene a casa nell’armadio delle
marionette a fare
la brava donnina di casa.
Quando
giunse la lettera di sua madre che gli diceva di aver comprato una
deliziosa
maisonette in un angolo sperduto del pacifico e che lo invitava a
visitarla –
le richieste di dove fosse finita quella famosa promozione
(clamorosamente
inventata) di cui le aveva parlato mesi prima si erano assopite per
lasciare
spazio agli sfizi dell’edilizia -
Draco
colse la palla al balzo e salutò Potter con un
“Ciao” secco, valigie alla mano
e un biglietto per la metro polvere per l’angolo di pacifico
più piovoso mai
esistito.
Ma Colui
che Maledettamente Sopravvisse probabilmente non era sopravvissuto solo
grazie
al suo incommensurabile charme, e non impiegò molto a
raggiungere Draco sulla
porta di casa di sua madre, esibendo un sorriso angelico.
- Torna a
casa, cucciolo. - disse.
A quelle
parole Draco gli tirò un pugno sul naso.
Si
rincorsero per tutta la spiaggia a suon di calci, sgambetti, schiaffi e
pugni.
- Non sono
il tuo fottuto cucciolo! Non sono il tuo elfo domestico, non sono il
tuo
tesorino pucci pucci qua qua e non sono TUO! -
Harry lo
guardò con un cipiglio strano, il labbro che sanguinava e
una grossa chiazza
rossa sullo zigomo sinistro.
- Ok
–
disse, e gli schiaffò sulle labbra un bacio che avrebbe
tolto il fiato ad un
pesce.
Draco
ricambiò il bacio, poi estrasse la bacchetta dalla tasca dei
pantaloni e lo
schiantò.
Ora erano
entrambi abbandonati sulla sabbia, a guardare il crepuscolo.
O meglio,
Draco lo guardava… Harry se ne stava svenuto a pancia sotto
sul bagnasciuga, a
mollo nell’acqua marina.
E mentre
Draco accarezzava i suoi capelli impiastricciati come mai lo erano
stati tirò
un sospiro di sollievo.
–
Scommettiamo, Malfoy. Dimostrami
che puoi vivere senza quella roba. Se vinci sei libero. –
- Sono
libero, Harry – sussurrò.
E se non
avesse avuto lividi anche tra le chiappe lo avrebbe ringraziato dal
profondo
del cuore, con amore.
End.