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Autore: callas d snape    26/02/2014    1 recensioni
L'infanzia di Maya può essere sintetizzata in un'unica parola: inferno. Senza genitori, sfruttata e maltrattata dal nonno per le sue doti, non si è mai sentita amata. Anzi, non si è neanche mai sentita umana. Spesso desidera di non essere mai nata o, addirittura, di morire!
Ma il Destino ha in serbo altri piani per lei, piani che sembrano tutti racchiusi nella D. del suo nome. E così affiancata da una "sorella" combinaguai dalle origini misteriose, una ciurma di pirati sconclusionata e un ragazzo di fuoco con cui condivide lo stesso dolore, Maya scoprirà la bellezza e la gioia dei sentimenti e inizierà una lotta contro il suo passato per cambiare il suo futuro ed essere felice.
N.B. Il rating potrebbe subire variazioni!
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mugiwara, Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace, Trafalgar Law, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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FOOL WISH


 
FOOSHA, MARE ORIENTALE, 01 GENNAIO

Faceva maledettamente freddo. Un motivo in più per odiare il suo compleanno. Odiava l’aria gelida che si insinuava tra i vestiti,che arrossava le guance, che screpolava le mani, che faceva bruciare ancora di più i numerosi tagli che anche quel giorno aveva riportato.
Da quando suo “nonno” gli aveva rivelato chi era realmente, non era trascorso un giorno in cui lui non fosse andato in città e non avesse picchiato a sangue tutti i presenti riportando, col trascorrere degli anni, sempre meno ferite. Li picchiava per sfogare su di loro la sua frustrazione e la sua rabbia. Li picchiava perché loro riuscivano a dire la verità, quella che i suoi cari negavano, ma che lui conosceva bene: lui era un mostro. Certo da quando quel terremoto di suo fratello era entrato nella sua vita, le cose erano migliorate; ma non riusciva a guardarsi allo specchio senza provare ribrezzo nei propri confronti e in quelli del demonio che lo aveva generato.
La pioggia iniziò a cadere fastidiosa trasportata dal vento. Portuguese D. Ace si premette ancora di più il cappello sulla fronte e incominciò a correre verso la casa di Dadan. Arrivò che ormai era completamente fradicio. Entrò cercando di non fare rumore. Era notte fonda e la casa era immersa nel buio.
Sgattaiolò verso la sua camera il più silenziosamente possibile. Aprì delicatamente la porta e ciò che vide lo fece sorridere: Rufy era disteso a pancia all’aria ronfando sonoramente con la bocca sporca di crema. Accanto a lui quel che restava della sua torta di compleanno. Poco male non era un patito dei dolci.
Prese una coperta su una sedia e coprì il suo amato fratellino per evitare che si beccasse un malanno, senza pensare che anche lui rischiava di prendersi un raffreddore con quei vestiti bagnati. Uno starnuto lo convinse a togliersi almeno la camicia e ad infilarsi una sua vecchia maglietta. Poi si diresse verso la cucina per prendere del ghiaccio: il labbro spaccato iniziava a pulsare fastidiosamente.
Aprì il vecchio freezer e si trovò davanti un sacchetto di carta con su scritto il suo nome. Lo prese curioso, dimenticandosi del suo primario obbiettivo. Appoggiò delicatamente il pacchetto sul tavolo e dopo averlo fissato per qualche minuto, lo aprì con altrettanta cura.
Era una coppetta di gelato al cioccolato, il suo gusto preferito, con sopra una candelina a forma di 12: la sua età. Doveva essere un regalo di Makino: era l’unica che avrebbe potuto avere un pensiero così premuroso. Abbassò lo sguardo arrossendo al pensiero della ragazza. Fu in quel momento che si accorse del foglio appoggiato su tavolo che prima non aveva notato, troppo intento a fissare il pacchetto.
Dalla calligrafia capì subito l’autore del messaggio ancor prima di leggerne il contenuto:
“Nipote ingrato e degenere, ti abbiamo aspettato tutta la sera per festeggiare il nuovo anno e il tuo compleanno e tu non ti sei degnato di farti vivo! Aspetta che ti prenda e poi vediamo se hai ancora voglia di andartela a spassare senza dirmi niente!!!
Nonno Garp”
Ace appallottolò annoiato il messaggio: le minacce del vecchiaccio non funzionavano con lui ormai da svariati anni. Il ragazzo sbuffò sonoramente iniziando a dondolarsi sulla sedia su cui si era seduto. Non capiva perché non lo lasciassero in pace: lui non voleva festeggiare il suo compleanno, perché gli altri volevano costringerlo a farlo? Non capivano che per lui quel giorno rappresentava solo una cosa: la morte di sua madre?
Un altro sbuffo. Ace fermò la sedia e fissò la coppetta di gelato, che ormai si stava liquefacendo, e la candelina. Non seppe mai perché lo fece, ma si alzò, prese una scatola di fiammiferi e accese la candela. La guardò per lunghi istanti ipnotizzato dalla fiamma traballante, mentre la cera si andava ad unire al cioccolato. Il fuoco lo aveva sempre affascinato, chissà poi per quale motivo, ma lo sentiva come una parte di sé, gli conferiva pace e tranquillità.
Ancora perso in quella specie di trance, Ace espresse il suo desiderio: “Un giorno vorrei incontrare qualcuno che mi capisse veramente!” Chiuse gli occhi e mise fine alla magia del fuoco di quella candela. Subito si sentì uno stupido: non aveva più l’età per certi giochetti infantili. Il campanile del villaggio battè le quattro: il ragazzo decise che era ora di andare a dormire. Prese il gelato ormai immangiabile e lo buttò insieme al suo desiderio nel secchio della spazzatura. Non si accorse minimamente che il fumo della candela aleggiava ancora nell’aria e che, trovando uno spiraglio tra le imposte, si era librato nel cielo notturno pronto a compiere il suo dovere: esaudire il desiderio di Ace.

 
MARIJOA, RED LINE, 14 GENNAIO

Urla e strepiti ovunque. I marines correvano impazziti da tutte le parti nel grande giardino del lussuoso palazzo.
“Non lasciatela scappare!”
“State in guardia!”
“Non sottovalutatela. Anche se è una mocciosa è più forte di quanto pensiate!”
“Ma come può una bambina così piccola far mobilitare così tanti marines?!” pensava una giovane recluta mentre indietreggiava verso un albero. Un leggero fruscio lo fece rabbrividire: quella parte del giardino era davvero buia e quella nebbia inquietante non aiutava. Il ragazzo si girò per vedere cosa fosse stato a produrre quel rumore: troppo lentamente purtroppo. La ragazzina gli saltò sulle spalle dall’albero, gli prese la testa tra le piccole mani e gli spezzò l’osso del collo.
Un fascio di luce illuminò la piccola ricercata: aveva gli occhi sbarrati completamente neri. A tracolla aveva un arco e una faretra piena di frecce.
“Eccola lì! Presto prendetela! Ha ucciso un altro uomo!” urlò il capo delle guardie. La bambina non si lasciò impressionare dalla mezza dozzina di fucili puntati su di lei. Velocissima, estrasse un’unica freccia e prima di scoccarla sibilò: “ Shock wave.” La freccia trapassò il cranio dell’uomo di fronte a lei mandandolo in frantumi mentre la violenta onda d’urto sbalzava tutti i marines a una decina di metri di distanza.
La ragazzina non aspettò un momento in più: si voltò e si arrampicò sul muro di cinta che separava il palazzo dalla città, che l’aveva sempre tenuta lontana dal mondo.
Iniziò a correre a perdifiato per le strade deserte. Sapeva che tra poco avrebbe avuto di nuovo la marina alle calcagna. Un rumore la face girare di scatto pronta a scoccare un’altra freccia. Ma non vide ciò che si aspettava: niente marines, niente armi. Solo un bambino molto più piccolo di lei terrorizzato. La bambina abbassò l’arco e si strofinò gli occhi con forza, come a volerseli strappare. Quando li riaprì il bambino non c’era più, come il colore dei suoi occhi. Al posto del nero che riempiva completamente la cavità oculare, si erano delineate due pupille ben definite circondate da iridi color blu scuro. Anche la personalità era cambiata: la macchina da guerra che aveva ucciso a sangue freddo fino a qualche momento prima non c’era più. Adesso c’era una bambina tremante, spaventata a morte che non aveva  idea di cosa fare.
“Non può essere lontana!” Le voci dei marines la riscossero dal suo stato di trance. Doveva sbrigarsi se voleva evitare di tornare in quella prigione.
Riprese a correre finchè non iniziò a sentire il rumore del mare nelle vicinanze. Era finalmente arrivata al porto. Sfortunatamente anche i suoi inseguitori vi erano giunti e la stavano cercando. Era in trappola. Si guardò intorno disperata e notò una serie di casse che stavano per essere imbarcate su una grossa nave mercantile. Sgattaiolò furtivamente verso quelle e aprì silenziosamente il coperchio di quella più nascosta. All’interno c’erano dei pesci che guizzavano ancora vivi. Si fece coraggio ed entrò richiudendo accuratamente il coperchio pregando che anche il suo contenitore fosse destinato all’imbarcazione in partenza. Dopo pochi minuti sentì la cassa sollevarsi e muoversi per poi essere di nuovo poggiata a terra. Dagli spiragli nel legno poteva vedere bene il luogo in cui era stata portata: era sicuramente la cambusa di una nave.
La bambina non si mosse di un millimetro, quasi non respirò finchè non fu certa che la nave avesse lasciato il porto. Tirò un sospiro di sollievo ed uscì dal suo nascondiglio, rifugiandosi nell’angolo più lontano dall’entrata. Dall’isola giungevano ovattati dal mare e dalla lontananza ancora i rintocchi del campanile: mezzanotte. Era il 15 gennaio, il giorno del suo decimo compleanno, il suo primo giorno da persona libera.
Sorridendo e piangendo allo stesso tempo a causa delle innumerevoli emozioni della serata, iniziò a canticchiare:
“Tanti auguri a me,
tanti auguri a me,
tanti auguri a Maya,
tanti auguri a me.”
Poi si addormentò stremata cadendo in un sonno senza sogni.
 
 
N.d.a.
Ok, questa è la prima ff che scrivo su One Piece, siate clementi! Penso che pubblicherò alla metà di ogni mese, però non fateci troppo affidamento: sono una ritardataria nata!!! Questo più che un capitolo è una sorta di prologo: vi prometto che i prossimi saranno più lunghi. Se mi dite anche come inserire le immagini, ve ne metterò il più possibile!!!
Ci vediamo a marzo! Saluti, C.S.
  
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