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Autore: Fuuma    23/06/2008    7 recensioni
Il settantacinquesimo anniversario dell’Empire State Building sembrava un’ottima occasione per rifuggire i problemi della mondanità, immergersi in un contesto nuovo, tra visi sconosciuti e sorrisi intagliati su maschere di carnevale.
Incontrarlo dopo dieci anni era certamente l’ultima cosa a cui avrebbe potuto pensare ma, quando vide la sua figura fuggire verso la lobby del grattacielo, l’impulso e soprattutto la curiosità lo spinsero ad abbandonare una delle tante feste di una New York ancora sveglia, gettandosi nelle strade dell’isola asfaltata di Manhattan.
“Umpf, allora non mi sono sbagliato.”
“A quanto pare.”
“Sei qui per cambiare aria?”
“Sì, credo ne avessi bisogno.”
“Già…”
“E tu?”
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aoyama Masaya/Mark Aoyama, Ryo Shirogane/Ryan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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.And you?.

Questa sera il mondo indossa una maschera.

I suoi abitanti danzano come marionette in uno spettacolo teatrale diretto da una Luna che buca il cielo, come il faro puntato contro un palcoscenico immaginario.

La musica soft di un valzer riempie la stanza, i violini gemono dolcemente sotto le mani sapienti dei musicisti, intonando un canto d’amore per loro, perdendosi nel desiderio come piccoli amanti di legno e corde di metallo.

Le luci dorate dei lampadari colano sui presenti, bagnandone abiti sfarzosi dai colori luccicanti, in un arcobaleno variopinto che, a guardarlo troppo, fa male agli occhi.

Lo stuzzicante profumo delle raffinate portate previste dal menù sfila lezioso dalle tavolate bianche ben imbandite contro la parete di fondo, dove camerieri in black tie sorridono porgendo piatti ricchi di tentazioni. Il dominio del peccato di gola.

E, di fronte, tra donne d’alta classe ed abiti di seta bianca, rosa e bordeaux, l’Avarizia.

Oh, ma si potrebbe continuare questo gioco ancora per molto, ritrovando gironi di un Inferno trasferiti sulla Terra e così i re demoni che lì ne governano le leggi, si potrebbe parlare di esseri umani superbi, di quelli accecati dall’ira o chissà che altro, ma non me ne preoccupo veramente. A vent’anni si impara a guardare le cose sotto un’ottica diversa. A ventuno che le persone sono tutte un po’ egoiste ed hanno tutte quella punta di crudeltà che si nasconde sotto coltri di infinita dolcezza, o falsa gentilezza, o… beh, potrei andare avanti così ancora per molto, ma non cambierebbe niente.

Non questa sera.

I piedi dei presenti calpestano un pavimento lucido, seguendo passi tutti perfettamente uguali, imprigionati in un valzer che hanno imparato a ballare dalla nascita perché non fossero lasciati indietro od ignorati dal resto del mondo.

Si chiama omologazione. E fa dannatamente comodo.

È anche facile: basta osservare gli altri, imparare i loro gesti e poi imitarli, voilà.

È un po’ come barare nella vita ed allo stesso modo, se si è bravi a non farsi scoprire, si ottengono ottimi risultati.

Lo so per esperienza.

Alte finestrate regalano il panorama di una Manhattan di notte che brilla appariscente e languida mentre lo sguardo ripassa i contorni di grattacieli immobili e grigi e di piccoli puntini colorati che sfilano sull’asfalto, macchie lontane che spariscono in pochi secondi come se non fossero mai esistite.

Siamo talmente in alto da riuscire a dominare l’intera isola e, con la mano appoggiata alla freddo vetro e lo sguardo che lo attraversa, inizio a provare un senso di vertigini che si dipana dal cervello fino ai piedi.

Intorno a me soltanto visi sconosciuti.

Qualcuno mi ha invitato a venir qui, a partecipare al settantacinquesimo anniversario dell’Empire State Building, ma, guardandomi intorno, non riesco più a ricordare chi sia stato e perché io abbia alfine accettato.

L’aria è diventata soffocante, il disagio batte nel petto mentre voci inudibili si accalcano nella testa con il solo scopo di farmi allontanare da qui, iniziare a muovere i primi passi verso l’ascensore in cui una ragazza in una divisa con i colori della bandiera americana sorride gentilmente chiedendo a che piano voglia andare.

“Piano terra.” Rispondo, tentando a mia volta un sorriso che ne esce come la sua brutta copia “Thank you.”

E quindi via, l’ascensore inizia la sua discesa, aiutato dalla forza di gravità sino alla lobby in cui la gente entra senza dar più bado a chi se ne va, a quello che si lascia alle spalle e che per una notte smetterà di essere un loro problema.

Per una volta possono anche lasciar da parte il mondo vero e dedicarsi a quello dipinto per loro da hostess sorridenti, presentatori simpatici e oro traboccante da soffitti e pareti.

Mentre io, invece, ritorno da dove sono venuto.

Ecco, ora va meglio.

Immerso nella notte di New York con la baia di Manhattan che splende per le luci riflesse sulla sua superficie speculare, il malinconico accompagnamento di una fisarmonica che suona in lontananza e le stelle che si accendono una dopo l’altra in un tendone da circo di nero fumo.

Benvenuti allo show di un ragazzo e della sua disillusione.

Sarebbe il momento giusto per ridere, per mostrare qualcosa di diverso da quella patetica crisi depressiva che mi sono portato dietro da Tokyo, piangermi addosso non è mai servito a niente se non a perdere tempo, non che quello con Ichigo sia stato davvero tempo perso. Siamo stati bene insieme. Eravamo felici. Tutti e due.

Ma non era abbastanza.

È stata una relazione durata nove anni e poco più, forse i migliori della mia vita, poi, un giorno ci siamo svegliati e tutto è inesorabilmente cambiato.

Io. Lei. Le sue amiche. I miei amici.

La si potrebbe definire Prospettiva Diversa, ma più che altro è stata un’analisi approfondita della nostra storia. Nulla di più, nulla di meno.

L’amavo.

Ed in un certo qual modo anche lei, ne sono sicuro.

Ma forse non era abbastanza, forse il suo non era neppure amore. Era affetto. Era ammirazione. Ed è arrivato un momento in cui ha smesso di bastarmi.

Chiudo gli occhi respirando a fondo l’aria di una notte in cui vorrei perdere me stesso, lasciarmi trascinare via e poi dimenticare chi sono, cosa voglio, da dove vengo.

Vivere una notte come se fosse la prima ed al contempo l’ultima.

Chissà se ne sarei in grado.

“Figurarsi…” sento pronunciare dalla mia stessa voce che si prende gioco di me filtrando in un tono dolce e fin troppo femmineo. Ichigo diceva sempre che avevo una voce dolce, ma non è vero, è solo una questione di corde vocali credo, così come i sorrisi, è solo una questione di piegare le labbra nel modo giusto e socchiudere appena gli occhi, basta questo e nessuno sarà in grado di notare il sottile strato di ombre che avvolgono in una pellicola nera il tuo cuore.

“Ahahah, forse ora sarebbe il caso che la smettessi di fare certi pensieri macabri.”

“Quindi è questo il tuo difetto, parlare da solo.”

È un colpo di vento che mi colpisce alle spalle quella frase e, quando mi volto alla ricerca della persona che l’ha pronunciata, una seconda ondata mi si infrange addosso, spruzzandomi in faccia con indifferenza.

“Allora è vero che non sei perfetto.”

Le note nostalgiche della fisarmonica sfilano tra noi mentre un ragazzo avanza verso di me, uscendo e rientrando sotto la luce di lampioni che illuminano la strada, lasciando che i riflessi dei suoi capelli abbacinino la notte con il loro colore dorato e che gocce di zaffiro si sbriciolino nel mio sguardo.

Il suo corpo è alto, più del mio e perfino più muscoloso. Prestante.

Quando una mano si alza per essere portata alla fronte a tenere a bada la frangia ribelle, l’altra sfila in tasca per infilare un cellulare di ultima generazione che non ho il tempo di vedere meglio.

“Pardon?” domando io. Ho sentito perfettamente la sua frase e, anche se è stata pronunciata in un americano piuttosto biascicato, probabilmente per la noia, l’ho intesa, ma questo non mi priva della sorpresa iniziale e del dubbio che forse quelle parole non erano rivolte a me.

“Fingi o ti sei davvero dimenticato la mia faccia, Aoyama?”

La sua faccia.

E’ la tipica faccia di un americano, di un americano di quelli che attirano le ragazze.

La sua l’ho dimenticata?

In realtà no.

È sempre rimasta, seppur vaga, a viaggiare da qualche parte nella mia memoria, perdendo i suoi contorni definiti ma rimanendo abbastanza chiara per poter dire di ricordarmela.

Ora però, quello che mi si presenta davanti non è più il ragazzino un po’ asociale che ha gettato Ichigo nel proprio progetto. E neppure io sono il bambino di un tempo.

Dieci anni sono un buon motivo per non riconoscere qualcuno.

“Hai i capelli più lunghi, Shirogane.”

Ed ora che la parola è passata a me c’è di nuovo quel breve momento di silenzio, arricchito dalla musica di un viandante che soffia nella sua fisarmonica.

Lui sorride o tenta di mostrare qualcosa che ci va molto vicino, portando la mano, che già lì tocca, ai ciuffi più lunghi dei suoi capelli, dietro il collo, dove crini dorati si allungano cercando di raggiungere le spalle.

“Non ho mai il tempo di tagliarli.”

Lo sguardo che mi lancia subito dopo è più che eloquente e, per questo, altrettanto imbarazzante. Significa: Hai prestato così tanta attenzione al mio aspetto fisico da notare una differenza di due o tre centimetri nella lunghezza dei capelli di dieci anni fa?

Temo che la risposta sarebbe sì, per questo mi limito a sorridere fingendo di non cogliere l’allusione.

“Quanti anni sono passati? Nove?” domanda.

“Dieci.”

“Giusto.”

Come se non lo ricordasse perfettamente anche lui.

“Ti ho visto all’ESB, mi ha stupito di trovarti lì.” Riprende poi.

“Mi ha invitato un’amica, ormai è da una settimana che sono a New York. Tu invece, cosa ci facevi lì?”

Solleva le spalle in una scrollata distaccata.

“Mi ha invitato un’amica.”

Già, avrei dovuto immaginarlo.

“Non credevo fossi davvero tu.” Potrebbe essere una mia impressione, dovuta a tanta distanza nel tempo tra ora e l’ultima volta che io e Shirogane abbiamo avuto occasione di parlarci, ma mi sembra che sia la prima volta che mi rivolge la parola per più di una decina di secondi di seguito.

“È per questo che mi hai seguito fuori, per accertartene?”

Doveva aspettarsi una mia probabile ribattuta alla sua frase, ma il modo in cui il suo sguardo sosta sul mio volto lascia intendere che invece non si aspettasse il sorriso che l’ha accompagnata. Puramente beffardo. Chiunque altro avrebbe detto ‘Non è da te, Aoyama’ e forse è così, non è da me, è più da Shirogane, vero?

Scuote il capo, decidendo di abbandonare il discorso per imboccarne uno nuovo.

“Come sta?”

Non ha detto come stai, ha detto come sta e sappiamo entrambi che non si è sbagliato.

La domanda non è riferita a me, ovviamente.

“Bene. Credo.” rispondo, sintetico e più laconico del dovuto.

“Credi?”

“Ci siamo lasciati.”

“Ah.”

Semplicemente.

Non aggiunge altro.

“Non mi chiedi perché?”

“No. Non mi interessa.”

Non lo conosco così bene per sapere se stia mentendo o no, in ogni caso non ci vedrei nulla di male, per lui è una questione che si è chiusa dieci anni fa e, per quanto fosse stato innamorato di Ichigo, ormai è acqua passata.

Con la coda dell’occhio osservo i suoi movimenti, il modo in cui la mano destra scivoli con un gesto più automatico che elegante alla tasca dei pantaloni estraendo un pacchetto di sigarette che porta alle labbra, per farne scattare una fuori e stringerla tra i denti.

Fa scattare l’accendino con l’altra mano ed una fiammella illumina i lineamenti ormai marcati di un ragazzo di venticinque anni.

Due più di me.

E non ha idea di come un tempo mi pesasse questa differenza.

“Fumi ora?” domando, con un tono neutrale perché no, non è mia intenzione giudicarlo.

“Umpf, adesso faccio tante cose che prima non facevo.”

“Mhm… fumare non è una tra le più intelligenti.”

E forse ho mentito sul fatto che non fosse mia intenzione giudicarlo.

Mi dispiace.

“Che fai Aoyama, mi insulti ora?”

“Ti chiedo scusa.”

“Umpf, a quanto pare non sei poi così cambiato.”

“Tu credi?”

Mi guarda.

Spiazzato, sebbene stia tentando di non darlo a vedere.

Chiedo venia, Shirogane, ma ormai certe cose le capisco perfino io.

“Forse no.” Risponde distogliendo lo sguardo per portare le iridi azzurre verso la baia.

La guardo anche io e per un momento è come essere tornato a casa e guardare quella immensa di Tokyo, così identica quando fa buio, è uno specchio nero in cui incubi e sogni riverberano sulla superficie dell’acqua, trascinati sempre un po’ più al largo.

“E tu?”

“E io cosa?”

“Non lo so.”

Che stupido.

“Che stupido.”

Acc, non pensavo me lo avrebbe detto davvero, non ha tutti i torti, ma così non ha neppure un minimo di tatto, anche se, in qualsiasi altro modo non sarebbe più Shirogane.

Sospiro mentre cerco di riformulare la domanda o, per lo meno, inventarmene una su due piedi, non dovrebbe essere difficile.

“Sei cambiato?”

Non era questo che volevo chiedergli, ma non fa niente.

“È un’altra domanda stupida, Aoyama, non credi?”

Le labbra si piegano in un sorriso, solo quelle in effetti sorridono, il resto si limita ad essere rivolto verso di lui e guardare la sua figura mentre tira una boccata alla sigaretta ed alza gli occhi verso il cielo, affondandovi lo sguardo perso in chissà quali macchinazioni del suo genio.

“Hai ragione.”

“Lo so.”

Sai sempre tutto, eh, Shirogane?

“Come sta Akasaka-san?”

Attende qualche lungo istante ed un altro paio di boccate di fumo prima di rispondermi, rimanendo su un tono vago e totalmente disinteressato. Cerca di farmi intendere che questa chiacchierata con me non sia nulla di diverso dal solito, non sia nulla che valga la pena di tenere a mente una volta che sarà tornato a casa, non sia nulla e basta. Solo quattro chiacchiere per far passare il tempo.

Non gli piaccio.

Non gli sono mai piaciuto.

Ecco cosa cerca di farmi capire.

“Sta bene, si è sposato l’anno scorso ed ha un figlio… per fortuna.”

“Per fortuna?” domando curioso e dubbioso al tempo stesso.

“Suo figlio si chiama Ryou.”

“Oh.” Ha il suo nome. Ma ancora non mi è chiaro dove stia il problema.

“E ha detto che se fosse nata una femmina l’avrebbe chiamata Ryou ugualmente.”

“Ah.”

Sì, ha ragione, è una fortuna.

Sicuramente Akasaka-san lo stava prendendo in giro, però trovo che sia ugualmente una cosa dolce da parte sua e molto, molto buffa.

Se dapprima è solo un lieve sbuffare, mentre cerco di trattenermi, ad ogni secondo che passa la risata prende forma sino a sciogliersi dalla mia bocca, incapace di rinchiuderla in gola.

Lo trovo divertente, non tanto quanto si possa immaginare dalla mia reazione, ma abbastanza perché ne approfitti per… non lo so, sfogarmi credo, qualsiasi cosa sia ne ho bisogno, quindi rido, piegandomi in due, finché la pancia non mi fa male e finché le lacrime non pungono negli occhi resi lucidi.

Rido finché i polmoni non reclamano ossigeno, finché ho fiato in gola e finché alla fine la risata non si trasforma in uno stupido, infantile, patetico, vergognoso pianto.

E la cosa buffa? È che non so nemmeno perché sto piangendo!

Se Purin-chan mi vedrebbe ora come minimo gonfierebbe le guance e ruoterebbe gli occhi al cielo sgridandomi con un “Ma che razza di uomo sei, Masa oniichan?! Basta frignare come un bambino, ricordati di quanto eri figo nelle vesti di Ao no Kisshi!”.

Siamo diventati particolarmente amici, non ricordo come o perché, è successo e basta ed è stata l’unica delle amiche di Ichigo che ha continuato a parlarmi anche nei quattro mesi seguenti la nostra rottura, quelli più difficili per lei.

Masa Oniichan però anche tu, lasciarla dopo nove anni e mezzo! Potevi svegliarti un po’ prima invece di finire per far soffrire tutti e due!

Già, che razza di idiota, eh?

Alle volte credo di essere cresciuto solo in altezza, mentre tutto il resto è rimasto bloccato ai tredici anni, quando sorridevo a tutti e tutti mi sorridevano soltanto perché ero un bambino adorabile, sogno di tutte le madri.

Lo sguardo di Shirogane è come un proiettile mentre mi trapassa il cervello. Vorrei dirgli di guardare altrove, perché c’è sicuramente qualcosa di meglio di un ragazzo che frigna come una femminuccia, ma se aprissi bocca non uscirebbero altro che gemiti sommessi e mezze parole incomprensibili.

“Ti ha lasciato lei?”

Permettimi di dirti una parola con tutto il garbo possibile, Shirogane: fanculo.

Ma scuoto comunque il capo, fissando insistentemente l’asfalto.

“Allora sei un idiota oltre che patetico.”

Non c’è bisogno che me lo dica tu, lo so perfettamente!

Le dita si chiudono nel pugno delle mani, finchè…

“Uff, nemmeno la mia ex piangeva tanto.”

La stoffa dell’Armani di Shirogane fruscia contro la mia giacca, mentre si piega su di me facendo passare le braccia intorno alle mie spalle.

È innaturale come il mio cervello recepisca a rilento quello che è in tutto e per tutto un abbraccio.

Sento le sue braccia che mi cingono. Il calore corporeo che si avvicina. Il rumore del cuore nel suo petto dove la mia fronte ora poggia.

È spaventoso come il mio pianto scemi lentamente con questo suo assurdo gesto.

E ritrovi l’uso della parola.

“Mi stai dando della ragazza?”
“Mhm? L’hai notato?”

È un sì.

Mentre le sue dita si fanno largo tra i miei capelli capisco perfettamente che si tratta di un dannatissimo sì. E dovrei sentirmi offeso. Umiliato forse. Invece quello che sento è solo il braccio di Shirogane intorno alle mie spalle e la sua voce che borbotta piano al mio orecchio mentre insieme al suo fiato caldo sfila il profumo di muschio bianco della sua pelle.

“Certo che sei sempre stato una seccatura, Aoyama.”

Si riferisce alla storia di Deep Blue. Si riferisce alla mia relazione con Ichigo. Si riferisce a… nient’altro, credo. Non siamo mai stati amici noi due.

“Hai ragione.”

“Lo so.”

Non facciamo altro che ripetere battute già dette, come se lo trovassimo divertente.

“Un tempo mi avresti preso come minimo a calci, invece ora addirittura mi abbracci.” Soffio io, sottovoce, in una riflessione più per me stesso che per lui.

Lui sbuffa scuotendo il capo, così facendo sento il suo mento muoversi tra i miei capelli.

“Un tempo saresti stato anche meno penoso. Ed evita di dire cose stucchevoli per favore, mi fai venire la pelle d’oca.”

Sorrido. O almeno ci provo.

“Scusa.”

Anche lui ci prova e forse ci riesce più di me.

“Perché l’hai lasciata?”

Credevo non gli interessasse.

Potrei non rispondere.

Potrei fare tante altre cose che invece non faccio.

“Perché non ci siamo mai amati veramente.”

Io amavo un’immagine di lei che non era reale. Un’idealizzazione. Una dea troppo lontano dal suo essere umana con i suoi pregi ed i suoi difetti.

Era un amore infantile, di due bambini infantili, durato troppo a lungo.

Lui annuisce e sento di nuovo la sua voce.

“All’inizio credevo di essere geloso di te perché ero innamorato di Ichigo.”

Lo credevo anche io.

Lo credevamo un po’ tutti a dire il vero.

“In realtà ti invidiavo e basta. Volevo anche io qualcuno a cui brillassero gli occhi come ad Ichigo quando pronunciava il tuo nome. Soltanto dopo ho capito che in realtà quello era adorazione e non amore.”

Io ci ho messo nove anni e mezzo a capirlo.

No, non è vero.

Lo sapevo, l’avevo capito da molto prima… ma ormai Ichigo era diventata una sicurezza, qualcuno che avrei avuto per sempre al mio fianco, qualsiasi cosa fosse successo, anche dopo la scelta di frequentare due università diverse, anche dopo la morte di sua madre, anche dopo la furiosa litigata in un Natale passato bloccati in macchina sotto la neve.

“E l’hai trovato alla fine, qualcuno che ti amasse?” domando. Timoroso, senza un vero perché. Speranzoso. Fiducioso. Non lo so, non ne sono sicuro.

“Ci sto lavorando.”

Ci sta lavorando.

Bene. Mi fa piacere.

Ci sta lavorando.

Ahahah!

“Tsk, Aoyama, io nella tua posizione eviterei di ridere di me.”

“Ok, ok, ti chiedo scusa, Shirogane.”

“Umpf.”

Il profumo della sua pelle mi da lentamente alla testa.

Ma forse, è semplicemente la sensazione di essere ancora stretto a qualcuno. Soltanto questo.

“Va meglio ora?” chiede la sua voce, in un sussurro che ho sentito soltanto in parte, il resto l’ho intuito.

“Sì. Grazie.”

“Mhm.”

“Shirogane.”

“Cosa.”

Non ha il tono di una domanda la sua.

“Forse dovresti lasciarmi adesso.”

“Hn.” Eppure non mi lascia, non si allontana. Mi chiama soltanto: “Aoyama.”

“Sì?”

“Non rompere.”

Agli ordini.

Non abbiamo niente che ci leghi.

Non abbiano niente che ci dia la possibilità di affermare di essere amici, perché non lo siamo.

Non abbiamo niente in comune se non questo bisogno di… di qualcosa –affetto, amore, qualcosa…- che ci rosicchia dentro e che ci fa sentire incompleti e totalmente in balia di un fato avverso.

Poi, le sue mani si allontanano da me, liberando il mio corpo dal suo abbraccio e permettendo ad entrambi di tornare in piedi e tornare ad una vita di tutti i giorni.

Scorrerà anche questo momento, perdendosi nel tempo e divenendo solo uno come tanti altri.

“Sarà meglio che vada, ho promesso a Kei che sarei passato da loro oggi.”

Forse la sua è una scusa, forse no.

Non importa.

Sono felice che almeno abbia pensato di fornirmi una giustificazione prima di andarsene.

“Sarà meglio che torni in albergo anche io.”

Il gesto viene da sé, la mia mano si sposta dal fianco sfilando nella sua direzione fino a tendersi verso di lui, Shirogane la osserva per qualche secondo soltanto prima di imitarmi nel movimento e stringerla nella sua.

In dieci anni, questo è il nostro primo saluto.

Infine, quando la stretta si scioglie, lui si volta iniziando ad incamminarsi con la schiena alla baia e lo sguardo verso il fondo di una via nera che presto lo inghiottirà.

“Shirogane.” Lo chiamo, prima che della sua immagine non mi restino di nuovo dei contorni labili ed un visto effimero.

Si volta, con una nuova sigaretta tra le labbra.

“E tu?”

Attende qualche istante.

“E io cosa?”

Sorrido. Piano. Se piano si possa sorridere, comunque io lo faccio.

“E tu, come stai?”

E lui mi fissa specchiando le sue iridi di zaffiro nei miei occhi, permettendomi di perdermi per qualche istante soltanto in quelle ondate di acqua cristallina.

Sorride.

Una volta ho sentito dire da Ichigo che Shirogane ha un bel sorriso. Aveva ragione.

Non risponde, semplicemente si volta e se ne va.

“See ya, Aoyama.”

See ya.

Non è un addio.

È un ‘ci si vede.

È un ci si vede…


.THE END.


-Note super-extra-mega-stra in ritardo-

Dai che all'inizio vi siete convinti tutti che il narratore era Shirogane-kun, ammettetelo che ci avete sperato>.>!

Checché se ne dirà questa fic NON è shounen ai e se lo avete pensato allora siete maliziosi e siete pure voi votati allo yaoi, ammettetelo*__*! No, davvero, per quanto continui a piacermi l'idea di una relazione tra Masa e Ryou non poteva comparire in questa one shot, troppo poco spazio per darle un motivo d'essere, in una "storia" come questa non avrebbe avuto senso... quindi mi sono presa la briga di far frignare un po' il povero Aoyama (e per questo ho dovuto fare un sacco di cambiamenti di parti già scritte, dannato é_è!). Se volevate sapere anche come se la spassavano i due bagonzi dopo ben dieci anni, che carriera hanno intrapreso, quali sono stati i flirt di Shirogane e come si chiama la moglie di Keiichirou (Si chiama Sonja, ho deciso che si chiama Sonja e non chiedetemi perchè, mi è appena venuto in mente questo nome e mi diverte quella 'j' XD!) allora mi spiace, non solo avete sbagliato fic, ma anche personaggi. Shirogane ed Aoyama non sono fatti per raccontarsi l'un l'altro i fatti propri. Se ho voluto scrivere questa fic è stato proprio per questo, perché non hanno niente che li lega ed in un contesto in cui si trovano ad interagire per forza (leggasi= perchè l'autore vuole così>_>) alla fine è come se nulla fosse avvenuto. Lo trovo fiQuo XD.

C'è un motivo per cui ho scelto di ambientare la fic dieci anni dopo la storia di TMM, si chiama Masaya Aoyama^^. Già, colpa sua, perchè volevo assolutamente provare il suo POV ma visto che io e lui proprio siamo incompatibili, ho dovuto farlo crescere sino ai vent'anni e passa per riuscire finalmente ad avere più o meno uno stile che poteva assomigliare vagamente al modo di pensare di un giovane gentile, non più così ingenuo e sempre un po' fragile v_v. Insomma, è stata una faticaccia é_è, dico solo che ho dovuto ripulire il mio lessico delle parolacce che invece in bocca a Ryou e Kisshu stanno così bene XD! Spero solo di essermi avvicinata al suo possibile carattere tra dieci anni.


Infine grazie a chiunque vorrà perdere un po' del suo tempo e dedicarlo a me, a leggere la mia fic, a commentarla o anche solo a scuotere la testa borbottando quanto odi Aoyama e che schifo gli faccia l'idea che possa parlare così tranquillamente con Shirogane senza essere preso a calci da lui. Che posso farci, più lo odiate più io lo trovo interessante X3!

See ya, folk.

See ya...

   
 
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