Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: Hayley Black    27/02/2014    2 recensioni
"Sarebbe troppo bello se questo caffè fosse ancora caldo, così caldo da bruciarmi la lingua, e anche se me la bruciasse, ben venga."
Una ragazza, il suo inverno e le piogge torrenziali di novembre. E un caffè.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
ISLANDA
 
A te, che sei il mio caffè.
 


C’era stato un momento, nella vita di Sara, un momento così impercettibile e fugace da non essere quasi percepito, in cui aveva pensato che sarebbe stato davvero bello ricominciare tutto daccapo: niente più corse di mezzanotte per le strade, niente più caffè serviti troppo freddi, né tutte quelle telefonate inconcludenti che finivano per lasciarle nelle ossa un qualcosa di simile alla pioggia torrenziale di novembre.
Sarebbe stato bello poter respirare l’aria di una mattina che non sapeva soltanto di lenzuola pulite o di lavanda, di cuori spezzati lasciati a leccarsi le ferite sotto il letto, voleva respirare un vento che sapesse di ciambelle o caffè – caldi -, di raggi di sole, di primavera. Dentro di sé sentiva solo inverno.
Era un inverno strano, il suo; un inverno che andava ben oltre il gelarle le mani quando erano troppo esposte al vento e al freddo. La pelle si spaccava sulle nocche, diventava trasparente e tesa sulle vene verdastre che risaltavano come sangue sulla neve fresca. Era doloroso, quando accadeva, ma erano cose a cui non poteva sottrarsi, un po’ come quando da bambina non poteva sottrarsi al riso con le patate che sua madre cucinava di venerdì – doveva  mangiarlo e basta, e allo stesso modo doveva sopportare le proprie mani che diventavano scheletriche e sembravano volersi volatizzare al primo alito di dicembre.
“Ma sarebbe troppo bello per essere vero. Sarebbe troppo bello se questo caffè fosse ancora caldo, così caldo da bruciarmi la lingua, e anche se me la bruciasse, ben venga. Saprei come sopportarlo,” disse alla tazza che aveva di fronte, mentre aspettava il passare delle ore in un bistrot dall’odore di vernice fresca, dalle poltroncine di pelle gialla simili alla luce soffusa di una candela.
Il posto davanti a lei era vuoto. Sul tavolo c’era un bigliettino, forse un appuntamento; Sara l’aveva stropicciato appena prima di leggerlo perché sapeva già cosa c’era scritto, in quella grafia pulita e ordinata, tracciata con una matita dalla punta scheggiata giacché le parole erano segnate da un leggero tratto più scuro nel mezzo, come un nastrino che si srotolava sulle lettere. Era un particolare carino, pensò, quando si decise a bere il suo caffè; ormai le cinque del pomeriggio erano ben che trascorse e la neve aveva cominciato a cadere leggera sulle strade.
Marco non era arrivato nemmeno quella volta, l’aveva aspettato e aveva aspettato ancora finché non era calato il buio; la porta a vetri del bistrot era rimasta chiusa e la campanella appesa al soffitto non aveva tintinnato nemmeno una volta. Quello era l’ennesimo caffè freddo della sua vita.
Una cameriera dall’aria assonnata passeggiava tra i tavoli, talvolta sbadigliando, talvolta stropicciandosi gli occhi, altre volte ancora osservando con aria spiccia l’orologio che aveva al polso. Si trascinava dietro una caraffa di caffè che spandeva un tiepido odore di buono nell’aria, che si mischiava alla vernice fresca delle pareti e all’acqua di colonia dell’uomo che ora si era seduto di fronte a lei.
Sara lo guardò, poggiando la tazza di caffè sul piatto che si era leggermente macchiato.
“Non c’era nessun altro posto libero,” le disse. Aveva un accento strano, un accento di altri tempi che le ricordava lo scrosciare della pioggia sul tetto del suo appartamento quando desiderava avere qualcuno nel letto accanto a se.
Sara si guardò intorno, e notò con piacere che di posti liberi ce n’erano eccome; fece per farglielo notare, quando lui la interruppe.
“Non c’era nessun altro posto libero vicino a qualcuno con cui mi sarebbe piaciuto scambiare due parole.”
Sara strinse il bigliettino stropicciato nel palmo della mano. Sentiva in bocca il sapore amaro del caffè ghiacciato che aveva assaggiato pochi secondi prima. “Lusinghiero.”
“Solo sincero.”
La cameriera si accostò al loro tavolo e versò il caffè nella tazza del nuovo arrivato, con una grazia così elegante da stonare con il suo aspetto trasandato e malaticcio; l’uomo la ringraziò, lei gli sorrise.
“Dalla tua faccia non sembra che sia molto buono,” commentò, alludendo al caffè che gorgogliava nella tazza. Il fumo volteggiava nell’aria in spirali e arabeschi che si intrecciavano tra loro.
“È solo un po’ freddo, niente di sconcertante.”
“Un caffè non va mai bevuto freddo. Si dice che sia l’unica cosa che possa realmente scaldarci dentro.”
Era forse quello il suo inverno dentro? Erano forse quelle le sue telefonate inconcludenti, le sue corse a mezzanotte, le sue piogge torrenziali?
Fu quello il preciso istante in cui Sara pensò che qualcosa doveva essere cambiato; la neve scendeva leggera sulle strade, sui marciapiedi, sul tetto in tegole del bistrot, sul davanzale della finestra del suo appartamento a qualche chilometro da lì, scendeva di fronte ai suoi occhi stanchi di vedere un vuoto che solo il freddo poteva portare.
“E’ da molto tempo che non bevo un ottimo caffè, di quelli bollenti,” disse Sara. Con il dito accarezzava il bordo della propria tazza, il fondo segnato dai grumi di caffè che annegavano nello zucchero. L’uomo davanti a lei sorrise, mescolando il proprio caffè con dita macchiate qua e là dalle lentiggini; quando finì, posò il cucchiaino sul piatto di porcellana sotto la tazza e lo spinse verso di lei. Aveva mani incredibilmente belle, pensò Sara, mani in cui avevi voglia di tuffarti quando l’inverno che avevi dentro era troppo violento e troppo gelido per affrontarlo da sola.
“Ne hai più bisogno tu che io,” mormorò l’uomo. Sorrideva. Le piogge torrenziali erano già un lontano ricordo; da qualche parte, dentro di lei, cominciava a uscire il sole.
***
“Mi stai lasciando?”
La voce di Marco nella cornetta del telefono appariva lontana anni luce dalla sua. Nella solitudine del suo appartamento Sara annuì, più a se stessa che a lui. Nella stanza si sentiva un vago odore di cornetti, un regalo trovato fuori la porta non appena si era svegliata.
“Sì, Marco. Mi dispiace.”
“Posso sapere almeno il motivo di questa tua scelta? O è tutto dettato, come al solito, da qualche tua decisione momentanea?”
“Si dice che il caffè sia l’unica cosa che possa realmente scaldarci dentro.”
Sara, per la prima volta da tanti anni, posò la cornetta del ricevitore sul telefono senza attendere una risposta; per la casa risuonò il clic automatico della linea interrotta.
Sentiva che qualcosa era veramente cambiato nella sua vita. Sentiva che l’inverno che l’abitava dentro stava facendo le valigie per lasciare il posto alla primavera – il primo cambio di stagione da quando il vento freddo aveva cominciato a soffiare dentro di lei. Adesso avrebbe guardato le piogge torrenziali dalla finestra tra le braccia di qualcuno che sapeva proteggerla dal freddo più brutto, quello che si insinuava nelle ossa e nella pelle delle mani che si screpolava e diventava così trasparente da lasciar intravedere le vene sottostanti.
Camminò a piedi nudi verso la cucina. Avrebbe mangiato un cornetto, per coronare quella bella giornata di sole, e avrebbe sentito il suo profumo sui vestiti per tutto il resto della mattinata.
Sul tavolo il suo angelo le aveva lasciato anche una caraffa di caffè caldo.




 
Nothing to say. Qualche riga buttata a casaccio su una cosa che volevo scrivere da un sacchissimo di tempo. Potete leggerla anche qui. Dedicata un po' a tutte quelle persone che hanno tanta tanta voglia che venga primavera - un breve rush finale e ci siamo.
Alla prossima!
Hayley

 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Hayley Black