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Autore: _ayachan_    23/06/2008    14 recensioni
«Come si è conciata?» sibilò irritato.
«Chi?» chiese Kankuro, seguendo la traiettoria del suo sguardo, e vide una ragazza avanzare in mezzo alla folla con passo poco meno che marziale e una quantità di stoffa sul corpo che rasentava l’indecenza.
«Prima che diciate qualunque cosa, non è colpa mia» ringhiò stizzita raggiungendoli, cercando invano di allacciare i bottoni del top sopra il seno. «Prendetevela con quell’idiota dell’organizzatore»
«Organizzatore di che?» allibì Kankuro, fissando stralunato le gambe lasciate nude dagli shorts neri.
«Della corsa» spiegò lei spiccia.

Hidan è una persona pericolosa.
Temari si è indebitata con Hidan.
E il debito va pagato, a costo di sentir stridere le gomme sotto la spinta dell'acceleratore.
Ma in tutto questo, cosa c'entra Shikamaru?
C'entra.
BLACK IS BACK
[ShikaTema's day]
Genere: Romantico, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sabaku no Gaara , Temari, Altri, Hidan, Shikamaru Nara
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Adrenalina
Adrenalina






Stridore di gomme e puzza di asfalto bruciato.

Luci a intermittenza, musica ad alto volume, un vocio indistinto ed euforico.
Sudore, eccitazione e paura.
E, al di sopra di tutto, il rombo assordante dei motori.
Sotto un cielo nero e reso opaco dal fumo, la strada era piena di auto e di vita. Decine e decine di ragazzi, dalle quindicenni in minigonna ai trentenni con le mani piene di soldi, si aggiravano tra i parafanghi e ridevano, allungandosi una sigaretta o lanciandosi occhiate ben poco caste.
«Dai, così poco?» si lamentò uno degli addetti alle scommesse, con un professionale cartellino con scritto Kiba, dando di gomito a un ragazzo infastidito. «Punta qualcosa in più!»
«Non su quella testa di cazzo» grugnì lui, piccato. «Prendi i miei soldi e vai a farti fottere, botolo!»
Ai piedi di Kiba un grosso cane bianco ringhiò per un attimo, e l’altro lo squadrò male.
«Bah, fatti tuoi. Comunque vincerà la viola, fidati!»
«Ma se ci ho messo un cinquanta solo perché rompevi le palle! Sparisci, prima che ti mandi via a calci!» abbaiò l’altro.
«Uhh, nervosetto...» fischiettò il ragazzo, con un ghigno. «Ci vediamo dopo la corsa, eh! E per allora ti pentirai di averci messo così poco!»
L’altro brontolò qualcosa, scoccandogli occhiatacce, e poi ficcò le mani nelle tasche dei jeans e sputò a terra.
«Oh, che eleganza» commentò sprezzante una voce acuta.
Lui risalì con gli occhi un paio di stivali neri al ginocchio e una porzione di gambe più che generosa, arrivando al mini-abitino viola che indossava la bionda davanti a lui. Sorrise, sornione, con la sua smorfia migliore.
«Scusa, dolcezza» commentò strizzandole l’occhio. «Ti avessi vista prima non avrei perso tempo guardando altrove»
Lei lo fissò acida, scrutando con arroganza il suo abbigliamento poco meno che casual. E poi, con un cenno di disgusto, fece ondeggiare la coda bionda mentre si voltava e si allontanava. Il ragazzo si piegò senza pudore e cercò di sbirciare sotto la gonna straordinariamente corta, lanciando un fischio di apprezzamento.
Fu mentre era in quella scomoda ma piacevole posizione che fu raggiunto da un calcio dietro le ginocchia, che per poco non lo mandò faccia a terra.
«Sei patetico, Kankuro» sibilò la voce asciutta del rosso alle sue spalle. Molto più magro di lui, pallido quanto quello era abbronzato, e dagli occhi affilati, si guardò attorno atono. «Ancora non capisco perché siamo qui» commentò.
«Se ti consola, neanche io» bofonchiò l’altro massaggiandosi i tendini, e aggiunse un insulto a malapena udibile.
«Dov’è Temari?»
«Se si è fatta incastrare dall’idiota delle scommesse la chiudo in un convento, giuro!»
«Lei non è come te»
Kankuro fissò il rosso, offeso. «Grazie fratellino, la mia autostima è cresciuta solo grazie alla tua fiducia»
All’improvviso le sopracciglia inesistenti del ragazzo pallido si corrugarono per il disappunto.
«Come si è conciata?» sibilò irritato.
«Chi?» chiese Kankuro, seguendo la traiettoria del suo sguardo, e vide una ragazza avanzare in mezzo alla folla con passo poco meno che marziale e una quantità di stoffa sul corpo che rasentava l’indecenza.
«Prima che diciate qualunque cosa, non è colpa mia» ringhiò stizzita raggiungendoli, cercando invano di allacciare i bottoni del top sopra il seno. «Prendetevela con quell’idiota dell’organizzatore»
«Organizzatore di che?» allibì Kankuro, fissando stralunato le gambe lasciate nude dagli shorts neri.
«Della corsa» spiegò lei spiccia.
«Cosa?» chiese il rosso, irrigidendosi.
«Oh, non ve l’ho detto?» ghignò lei, lasciando perdere il top e sistemando i mezzi guanti di pelle. «Partecipo»
«Cosa?! Ma sei pazza! Te lo sogni!» inveì Kankuro.
«Per una volta concordo» aggiunse il fratello, gelido.
«E’ una lunga storia» replicò lei, stringata, e assicurò uno dei quattro codini con cui teneva fermi i capelli biondi. «Comunque, doveste scommettere, puntate su di me»
«Tu non farai una stronzata del genere!» la fermò Kankuro, afferrandola per un braccio, ma lei si divincolò senza quasi guardarlo.
«E dai, non mi succederà niente. Non sono una cogliona» protestò rigida.
«Ma a te non piacciono queste cose! Che cazzo ti è saltato in mente?» sibilò lui, riafferrandola.
Temari si morse l’interno della guancia, e poi lo spinse indietro, altera.
«Ci vediamo al traguardo» annunciò fiera. E si lasciò andare a un sorriso soltanto prima di voltarsi. «Auguratemi almeno buona fortuna»
«Non ne avrai bisogno» commentò Kankuro, in tono pratico, e fece crocchiare le nocche con scioltezza. «Ora una botta in testa e tutto si sistema»
«Kankuro, per favore, evitiamo le scene patetiche, eh?» sbuffò Temari. «Non ho la benché minima intenzione di schiantarmi, ribaltarmi, andare a fuoco, fare un testacoda, essere scagliata fuori dall’abitacolo o aprire un buco nel parabrezza, ok? Mi conosci, dai. So guidare e so arrangiarmi»
«Ma sei una femmina. Donne al volante, pericolo costante» citò lui, in un borbottio.
«Fottiti, Kankuro» sorrise lei, mielata. «E ora vado a fare questa stupida gara. Dimostratemi la vostra fiducia puntando su di me, su! Almeno ci guadagniamo qualcosa!»
Kankuro bofonchiò qualcosa, ingobbendosi. L’idea di fermarla con una botta in testa lo allettava ancora parecchio.
«Almeno dimmi che auto hai» grugnì alla fine, guardando altrove.
«Quella viola»
«Oh, allora abbiamo già cinquanta euro puntati sopra, e ti danno pure per vincente»
Temari inarcò le sopracciglia, sorpresa. «Vincente?» ripeté.
«Cosa vuoi che ne sappia?»
Lei sbuffò, tradendo un leggero nervosismo, e sistemò di nuovo i guanti.
«Va beh, vado. Fate il tifo per me, eh» riprese, sforzandosi di sorridere. «Anche tu, Gaara»
Il rosso si accigliò appena, le braccia strettamente incrociate sul petto.
«Sta’ attenta» fu il suo unico, sintetico commento.
Temari deglutì a vuoto, distogliendo lo sguardo in fretta.
«Sì, va bene. Grazie. A dopo» salutò, simulando un altro sorriso.
Mentre si allontanava, dando le spalle ai fratelli e mostrando una generosa dose di schiena attraverso i lacci del top, Kankuro e Gaara rimasero in silenzio.


«Nessuno fa nulla per nulla, non te l’hanno insegnato?»
Temari deglutì, nervosa, e incrociò le braccia per fermarne il tremito leggero.
«Avevi detto che...» iniziò, con voce forzatamente sicura, ma lui la interruppe.
«Stronzate» rise, fissandola con quei suoi occhi così inquietantemente viola. «Ho detto un mucchio di stronzate»
Le si avvicinò, le scompigliò rudemente i capelli, e poi passò oltre, avvicinandosi alla vetrina che conteneva l’alcol.
«Non sono un fottuto samaritano, Temari» proseguì, versandosi un bicchiere di scotch con movimenti esperti. «Io ho pagato i debiti della tua famiglia, e ora sarai tu a darmi qualcosa in cambio»
Lei represse un brivido. «Qualcos’altro, vorrai dire» mormorò con voce roca, lo sguardo sfuggente. Sentiva l’irritazione correre lungo le vene, insieme alla delusione, e si morse la lingua per non lasciarsi andare alla rabbia. «Stronzo»
«Ah, stai dicendo che ho già avuto la mia parte?» replicò lui, avvicinandosi alla sua schiena con il bicchiere in mano.
«Non prendermi per il culo, Hidan!» esclamò Temari, voltandosi di scatto. «Sono due mesi che...»
«Che ti sbatto in lungo e in largo? Oh, sì» la interruppe lui, di nuovo, stringendole il mento tra le dita e costringendola ad alzare lo sguardo. «Ma non prendiamoci per il culo: se vengo con te è solo per darti la possibilità di fare la fottuta martire. Sei una bambinetta arrogante e non sei nemmeno quel granché, ti scopo giusto perché ti senti così in debito con me da lasciarti fare quello che voglio»
Temari si liberò della sua morsa con uno strattone, sentendo un nodo sgradevole in gola.
Merda, merda, merda!”
Lui rise, freddo, e le scoccò un’occhiata calcolatrice.
«Sai cosa voglio?» chiese pensieroso, sorseggiando il suo scotch. «Che partecipi a una corsa d’auto. Niente di impegnativo, eh, basta che la fai. Vinci o perdi, per me non fa differenza. Mi servi ad alzare le scommesse»
«Cosa?» allibì lei, e per la sorpresa il magone passò. «Ma io non so se...»
«Hai la patente?»
«Sì, ma...»
«E allora sai guidare un’auto. O vuoi allenarti un po’?» sorrise, sarcastico, arricciando una ciocca dei capelli di lei attorno al dito.
Temari si morse le labbra, più vicina di prima alla rabbia cieca.
«Sei un fottuto bastardo» mormorò, la voce leggermente incrinata.
«Che cazzo c’è, ora?» sbuffò lui, tirandole leggermente i capelli. «Non metterti a piangere, porca puttana! Detesto quando piangete!»
E anche lei detestava piangere: ma si sentiva delusa, amareggiata e profondamente idiota. E non poteva farne a meno.
«Dai, smettila» sospirò lui esasperato, accarezzandole il collo come sapeva fare.
Temari, suo malgrado, si sentì fremere.
(Stronzo.)
E quando sentì il sapore di scotch della sua bocca e le mani che si insinuavano rapide sotto la maglietta, odiò il suo corpo che reagiva all’unico tocco che conoscesse.
Facendola fremere, lo scotch freddo scorse sul suo collo fin nella scollatura...
E poi, nient’altro al di là della rabbia e delle lacrime soffocate.


«Tu limitati ad andare dritta, ok? E’ solo uno sprint, cambia le marce come si deve e non avrai problemi»
La voce nervosa entrava e usciva dalle sue orecchie senza lasciare la benché minima traccia. Temari tirò ossessivamente i guanti sul polso, e aprì e chiuse i pugni più volte.
«Ho capito!» scattò stizzita, fulminando con lo sguardo il biondo che si sporgeva all’interno della sua auto, di un viola acceso. «Chiudi quella cazzo di bocca!»
Il ragazzo corrugò la fronte, offeso.
«Hai preso la parlata di quello stronzo, eh» commentò acido, tirando fuori la testa dall’abitacolo. «Comunque, cambia bene e sei a cavallo»
«Sì» ribatté lei tra i denti, stringendo le dita sul volante.
«Ah... Un’ultima cosa» il ragazzo tornò ad affacciarsi, e questa volta si guardò attorno con cautela. «Più o meno venti metri dopo la metà c’è un leggero dislivello, una cunetta quasi invisibile... occhio»
«Grazie» annuì lei, meccanicamente.
«E se vinci lasciami il cinque percento, ok?» propose lui, ora molto più allegro.
«Fottiti, non so neanche chi sei!» bofonchiò lei irritata.
«Chiamami Naruto. Ci conto, eh»
Il ragazzo le strizzò l’occhio e di nuovo si allontanò, attirato da una bionda in abito viola che appariva e scompariva tra la folla, riservando sorrisi e smorfie a tutti.
Temari digrignò i denti e testò per la trecentesima volta la distanza dei pedali.
Cazzo” si trovò a pensare, scostando la frangia dalla fronte sudata.
Hidan voleva qualcosa da lei. Non voleva solo alzare le scommesse, se aveva fatto la stronzata di darla per favorita. Voleva che vincesse o che perdesse? Voleva rendere fiduciosi gli scommettitori e stroncarli subito dopo, o cosa?
«Sta’ calma...» si disse da sola, sentendo i palmi delle mani sudati.
L’importante era arrivare alla fine della gara senza problemi. Molto semplice.
All’improvviso si sollevò un boato dalla folla, e un’auto rossa si fece avanti a passo d’uomo, diffondendo tutt’attorno la luce fosforescente dei neon verdi sotto il telaio.
In men che non si dica un nugolo di ragazzine urlanti si attaccò ai vetri sbattendoci sopra tutto il poco che aveva, e la musica si attenuò impercettibilmente, prima di esplodere di nuovo con l’abbassamento dei finestrini.
Temari, rigida, fissò la calca che cicalava, e imprecò mentalmente contro la pelle del suo vestito. Scomoda. Calda.
“‘Fanculo. Ci mancava solo lo stronzo con lo stuolo di fan”
La portiera dell’auto rossa si aprì, e lei lo intuì soltanto perché ci fu un’onda nel mare delle ragazzine. Vide una bionda in abito viola sporgersi nell’abitacolo, ridendo, e quando accanto a lei si profilò un’altra sagoma, sentì una stretta allo stomaco.
«Eccolo, lo stronzo...» mormorò tesa.
Da sopra l’auto, quello si voltò a guardarla, e le sue sopracciglia si sollevarono sorprese.
Capelli rossi e scompigliati, pelle chiara, occhi di bambola ed espressione terribilmente neutra, si appoggiò al tettuccio con un gomito e le sorrise, facendole un cenno.
Lei rispose a malapena, inclinando la testa quel tanto che bastava, e un attimo dopo lui fu impegnato con la bionda, che senza perdere tempo marcò il territorio coinvolgendolo in qualcosa di più simile al sesso che non a un bacio.
Temari distolse nervosamente lo sguardo.
Ma bene. Data per favorita contro il fighetto di turno. Sperando, ovviamente, che non andasse forte anche sulle ruote.
«Tutto bene?» le chiese una voce all’improvviso, e un ragazzo moro si sporse nell’abitacolo come aveva fatto il biondo prima – che abitudine irritante.
«Sì» disse stringata, sperando che la sua occhiata bastasse ad allontanarlo.
«Ciao, io sono Kiba, ho visto che parlavi con Naruto, il mio amico» proseguì quello, imperterrito. «Ti ha detto della cunetta, sì?»
Temari annuì, e lui schioccò la lingua con disappunto. «Merda. Gli hai promesso il cinque percento, vero?»
«Che cazzo vuoi?» cedette Temari, in un sibilo nervoso.
«Facciamo che ti do un’informazione più interessante, ci stai?» sorrise Kiba, facendosi più vicino.
«Decido io se è interessante» ribatté lei, infastidita.
«Va bene, va bene» lui roteò gli occhi, e abbassò la voce. «Hidan ha detto che non sei del giro, giusto?» lei si irrigidì. «Bene. Allora non sai della bandiera verde»
«La cosa?» chiese tesa.
«La bandiera verde. Alla fine dello sprint, se quella sventola, dovete continuare»
«Continuare cosa?»
«La corsa. In fondo al rettilineo c’è una curva a gomito, e la strada prosegue attorno al quartiere. E’ un giro del cazzo, ma sono tutte curve a novanta gradi, e se non le sai prendere sei fottuta»
Temari deglutì a vuoto, la bocca improvvisamente asciutta.
«Merda!» imprecò poi, sbattendo la mano sul volante. «Figlio di puttana!»
«Ehi, io non c’entro!» rise Kiba.
«Non tu!» inveì lei, passandosi una mano sulla fronte madida.
«Me lo dai un cinque percento, eh?» chiese lui allora, strizzandole l’occhio.
«Sì, sì, cazzo! Ma vattene!» ringhiò.
«Ooookay, a dopo tesoro»
Temari sbatté la nuca contro il sedile, frustrata. Così era troppo difficile! Non se la sarebbe mai cavata! Aveva provato quell’auto solo un paio di volte nel pomeriggio, e aveva collaudato le marce, non lo sterzo!
«Figlio di puttana!» ripeté, il cuore a mille.
E sussultò, quando una mano batté improvvisa sull’abitacolo.
«Si parte, darling!» le gridò una voce, mentre la folla si ritirava improvvisamente.
Temari sentì un vuoto nello stomaco, trovandosi improvvisamente sola. Chiuse nervosamente la portiera, e fece rombare il motore per accertarsi che fosse acceso.
Guardò nello specchietto retrovisore, in quelli laterali; fissò il contachilometri, si mosse tesa sul sedile.
«Cazzo, cazzo, cazzo...» mormorò, stringendo il volante con foga.
Vide la bionda che si era spalmata sul suo avversario che ancheggiando si metteva in mezzo alla strada, e per spostarsi rischiò di far spegnere la macchina.
«‘Fanculo!» sibilò, arrossendo per il sussulto dell’auto.
Finalmente riuscì ad affiancarsi alla rossa del suo avversario, e gli gettò un’occhiata nervosa. Lo vide abbassare i finestrini e sporgersi verso di lei, e automaticamente abbassò i suoi, cercando di sfoderare la sua aria più sicura.
«Non essere tesa» sorrise lui, e lei si insultò mentalmente. «Dopo la gara ti offro una birra per consolarti. Chiedi di Sasori»
La sintetica ed esauriente risposta di Temari fu: «ma fottiti!»
E poi i finestrini si rialzarono, e la bionda sulla strada sollevò le braccia pallide, stringendo un fazzoletto rosso tra le dita.
Temari la fissò, come se non fosse esistito altro oltre a lei e al suo stupido fazzoletto, e sentì il sudore imperlarle la fronte, il motore del suo avversario che rombava provocatorio.
«Perché mi sono lasciata incastrare?» gemette.
Non si azzardò a distogliere lo sguardo, a cercare i suoi fratelli tra la folla. Che poi, perché li aveva invitati?
(perché aveva paura)
«Dai, cazzo» ringhiò tra i denti, odiando la bionda che sorrideva al rosso e allungava spasmodicamente l’attesa.
E proprio mentre lo pensava, quella abbassò le braccia e il fazzoletto sventolò nell’aria resa opaca dal fumo.
Prima che la sua mente lo registrasse, fu il piede ad abbassarsi sull’acceleratore, e l’altro ad alzarsi dalla frizione. Sentì l’auto balzare avanti, come già aveva provato quel pomeriggio, e la lancetta dei giri schizzò sul rosso in meno di un istante. Sfiorò la gonna svolazzante della bionda, muso a muso con l’auto rossa, e cambiò meccanicamente, l’adrenalina che scorreva impetuosa nelle sue vene.
Attorno all’auto era un fiume di luci, nelle sue orecchie solo il rombo del motore, e avanti a lei un fottuto tunnel illuminato dai fari blu.
E all’improvviso, senza averlo premeditato, un sorriso le piegò a forza le labbra, all’altezza della terza.
«Cazzo» si trovò a dire, gli occhi brillanti, e suo malgrado si rese conto che non era male come aveva pensato.
Gettò un’occhiata veloce al suo avversario, vedendolo leggermente più avanti, e cambiò di nuovo marcia, sentendo il motore rombare e la pressione contro il sedile che aumentava. Si ricordò della cunetta quasi per caso, quando sentì la macchina sobbalzare, e strinse le mani sul volante per mantenere la stabilità.
La fine della corsa era vicina, il rettilineo terminava bruscamente poco più in là, e sapeva che avrebbe dovuto frenare sterzando, perché stava andando più veloce che nel pomeriggio. Riuscì a rimettersi in pari con l’altra auto, provando un moto di selvaggia esultanza, quand’ecco che vide la bandiera verde sventolare sul traguardo.
«Cazzo!» sibilò, impallidendo, e premette il piede sul freno con tutte le sue forze.
Aveva raggiunto l’altra auto perché lo stronzo sapeva, realizzò, facendo forza sulle braccia per non trovarsi sbalzata contro il parabrezza. Sterzò, sentendo le ruote stridere sull’asfalto bollente, e sbatté con la spalla contro la carrozzeria, a dieci centimetri dal muro che interrompeva il rettilineo. Vide l’auto rossa curvare accanto a lei e ripartire al volo, con il suo fottuto neon verde, e rabbiosa premette il piede sull’acceleratore, lanciandosi al suo inseguimento. Altro rettilineo, debolmente illuminato dai lampioni, e il rombo dei motori che riempiva ogni cosa. Vide la rossa frenare e sterzare sulla seconda curva, ma tirò ancora sull’acceleratore, un secondo più di lei, e poi freno a mano e sterzo, chiedendosi dove cazzo avesse trovato il coraggio di farlo, dopo che Kankuro le aveva fatto provare mille volte quanto fosse terribile.
Si trovò immediatamente dietro Sasori, e lo vide spostarsi da destra a sinistra, per impedirle il sorpasso. Digrignò i denti, stringendo spasmodicamente le dita sul volante, e cambiò marcia, aumentando la velocità. A quel ritmo, se si fossero anche solo sfiorati nel modo sbagliato, sarebbero finiti entrambi in una carambola.
La curva successiva comparve all’improvviso dietro l’auto rossa, che inchiodò a un passo da lei. Temari dovette imitarla precipitosamente, ma non riuscì ad evitare che il muso della sua andasse a cozzare con la carrozzeria dell’altra, sul lato, e sentì le ruote sbandare bruscamente. Si aggrappò al volante, lottando per tenerlo sotto controllo, e digrignò i denti tanto da farle male.
Sasori perse per un attimo il controllo, e stridendo rallentò bruscamente, rischiando di strisciare contro il muro. Temari sfruttò il brevissimo vantaggio per avventarsi sulle marce e ripartire, il cuore che le invadeva le orecchie insieme al rombo del motore, e balzò in avanti, lanciando un grido d’esultanza che solo lei poté sentire.
Guardò nello specchietto retrovisore la rossa che ripartiva rombando, ormai indietro di parecchi metri, e un sorriso tronfio le inclinò le labbra.
«Dopo la gara ti offro una birra» cantilenò, imitando l’offerta dell’avversario. «Stronzo! Dopo la gara ti offro un calcio in culo, ah!»


Vedere la massa di persone che si apriva al suo passaggio e tagliare il nastro rosso e bianco teso in mezzo alla strada, fu una sensazione inebriante per Temari, che venti metri dopo si degnò di concedere una sgommata un po’ goffa e tornò indietro lentamente, per godersi il bagno di folla.
Sasori la raggiunse in una manciata di secondi, e inchiodò una trentina di metri oltre il traguardo, facendo fumare leggermente le gomme. Immediatamente gli corse incontro un nutrito gruppo di ragazzine, tutte ansiose di consolarlo alla loro maniera, e Temari gli gettò un’occhiata sprezzante, rallentando in mezzo a chi era rimasto e sfoggiando con orgoglio la leggera ammaccatura sul muso.
Non fece in tempo a fermarsi che qualcuno le aprì la portiera e quasi la trascinò fuori, afferrandola per le braccia e poi per la vita.
«Ma che ca...?» iniziò Temari, indignata, e un attimo dopo sentì un braccio sulle spalle e un altro attorno ai fianchi.
«La vincitrice!» gridò una voce familiare, al suo fianco, e una mano le sollevò il braccio bruscamente. «Siamo spiacenti con tutti coloro che avevano puntato su Sasori! Sarà per un’altra volta!»
Confusa, Temari riuscì a voltare la testa e a riconoscere da una parte il ragazzo con il cartellino con scritto Kiba, dall’altra il biondo che le aveva venduto l’informazione sulla cunetta.
«Per ritirare le vincite, tutti qui!» esclamò il biondo, sfilando di tasca un mazzo di banconote. «Per i reclami, non rompete le palle!»
Dalla folla si sollevò una risata, e Temari, stordita, iniziò a trovare fastidiose le mani su di lei. Era sudata, era avvolta in pelle sintetica, e aveva caldo. Non potevano semplicemente lasciarla in pace?
«Allora, giovane promessa, ricordati la mia percentuale» ghignò Kiba, mentre la gente confluiva verso Naruto, che si era staccato ed appoggiato all’auto di Temari, con aria da padrone.
«Ma se non so nemmeno quanto ho preso» sbottò lei, liberandosi della sua stretta.
«L’importante è che ti ricordi di me» ridacchiò lui, e la attirò di nuovo a sé, imprimendole un bacio leggermente umido sulla guancia accaldata.
«Ma vaffanculo!» ringhiò Temari, allontanandolo. E in quel mentre vide lo scatto di un flash, e ne rimase per un attimo abbagliata.
«Cos...?» chiese, coprendo gli occhi con una mano, e le parve di intravedere un codino sparato che scompariva tra la folla, portandosi via una macchina fotografica.
«Temari!» la chiamarono in quel momento, da qualche fila più indietro. «Siamo qui!»
Nel vociare confuso della calca, vide un braccio robusto che si agitava al di sopra delle teste, e riconoscendo la voce di Kankuro tirò un sospiro di sollievo.
Ne aveva abbastanza di quell’atmosfera: vincere era stato bello, sì, ma l’odore acre del fumo e della gomma le pizzicava la gola, e, ora che la tensione era scemata, sentiva le gambe molli per lo stress.
Voleva tornare a casa.
«Kankuro!» chiamò, facendosi avanti.
E in quel preciso istante scoppiò il finimondo.
«Porca puttana!» strillò qualcuno, mentre con un acuto stridio di gomme le auto blu e bianche facevano la loro comparsa dagli estremi della strada. All’istante nell’aria calda si diffuse il grido assordante delle sirene, e la folla iniziò a ribollire agitata, mentre le volanti della polizia sgommavano ai margini del gruppo, cercando di contenere quante più persone possibili.
«Merda!» imprecò Temari, sbiancando, e si voltò per cercare Kankuro e Gaara.
In nemmeno un istante fu travolta dal fiume di gente che correva via, e fu trascinata nel serpente di coloro che si allontanavano verso i vicoletti, disperdendosi.
«Kankuro! Gaara!» gridò, cercando di divincolarsi, ma ci riuscì solo quando fu spinta contro un muro dalla mandria che si divideva in due vicoli. «Gaara!» ripeté, cercando di farsi strada controcorrente, ma scoprì fin troppo presto che era impossibile. Quando poi vide i primi poliziotti a pochi passi di distanza, armati di sfollagente, sentì un brivido lungo la schiena improvvisamente gelida.
Con lo sguardo cercò un’ultima volta i suoi fratelli, ma non riuscì a distinguere nessun volto noto nella calca. E quando per un secondo incrociò gli occhi neri di un agente, il suo stomaco si contrasse in una morsa sgradevole.
Spero che abbiano corso con tutte le loro forze!” pensò, il cuore a mille nel petto. E poi, odiandosi per la propria vigliaccheria, girò sui tacchi e scappò in tutta fretta, infilandosi in uno dei vicoletti per i quali passavano gli ultimi ritardatari.
Questo, decise, era molto peggio di una corsa illegale d’auto in completo svantaggio.


Figlio di puttana, figlio di puttana, figlio di puttana...”
Se lo ripeteva come un mantra, adeguandolo al ritmo accelerato del respiro, mentre correva lungo stradine buie e sconosciute, con le orecchie piene dell’eco dei suoi passi e di quelli del maledetto bastardo che la inseguiva, entrambi ansanti.
Ringraziò il cielo che gli stivali che indossava non avevano tacchi, o si sarebbe spezzata una caviglia già da tanto, ma non poté fare a meno di notare che i suoi polmoni erano pericolosamente vicini a collassare, e le sue gambe a trasudare acido lattico, tanto ne erano piene.
Sentì le lacrime premere dagli angoli degli occhi, per la rabbia, per la fatica, perché era sola e perché se la stava facendo sotto, e poi intravide all’ultimo istante una stradina, sulla destra, e ci si buttò per disperazione.
Un vicolo cieco.
Bidoni della spazzatura, una palizzata, e il cielo stellato in un rettangolo tra i palazzi.
«No» ringhiò tra i denti, la voce quasi incrinata, e, spinta soltanto dall’istinto di conservazione, buttò un ginocchio sopra i bidoni e si issò, gemendo per il dolore alle gambe. Si tirò faticosamente in piedi, si aggrappò alla palizzata, e fece forza per arrampicarsi, aggrappandosi con una gamba al bordo pieno di schegge.
«Ferma!» gridò una voce alle sue spalle, mentre il passo terribile del poliziotto si faceva più vicino.
«Fottiti, bastardo!» sussurrò lei ignorandolo, e con un ultimo sforzo riuscì a tirarsi su e a restare per un attimo in bilico, con la pancia attraversata da fitte di dolore e il fiato mozzo. Incontrò gli occhi scuri del poliziotto, che ricambiò lo sguardo con una certa perplessità, e prima di lasciarsi cadere dall’altra parte, lo vide sospirare e grattarsi la nuca.
Atterrò pesantemente sui piedi, e urtò la spalla contro un muro, gemendo sottovoce.
Ti prego, ti prego, fa’ che non sia così ligio da scavalcare solo per prendermi” pensò mentalmente, massaggiandosi il braccio dolorante. Oltre la palizzata sentì il ronzio di una ricetrasmittente, e poi la voce dell’uomo che l’aveva inseguita.
«Sergente Kakashi. Sì. No. Mi è scappata» lo sentì dire, mentre riprendeva fiato. «Rientro»
E poi, e fu il rumore più bello del mondo, sentì i suoi passi che si allontanavano.
«Dio, grazie...» sussurrò, chiudendo gli occhi e appoggiando la schiena alla palizzata, tremante. Le gambe molli cedettero, e lentamente scivolò a terra, strusciando la schiena contro il legno. Ansante, lasciò andare la testa e fissò la striscia di cielo su di lei, stordita.
«Figlio di puttana» gemette, passandosi una mano nei capelli scompigliati e liberandosi di un codino praticamente sfatto.
«Hn, grazie» mormorò una voce, insospettabilmente vicina.
Temari sussultò, irrigidendosi d’istinto, e girò il collo con uno scatto repentino.
«Chi c’è?» sbottò, il cuore di nuovo impazzito nel petto, la paura che tornava a percorre le sue vene.
«Rilassati...» sbuffò una voce, nell’ombra dell’angolo. «Siamo nella stessa barca»
Ci fu uno scatto leggero, e una fiammella si accese nel buio, andando a illuminare una sigaretta e un viso leggermente allungato, di ragazzo. L’estremità della cicca si fece di brace, e l’accendino scomparve di nuovo prima che potesse rivelare altri dettagli.
«Eri alla corsa?» indagò Temari, cauta, senza rilassarsi.
«Sì» rispose laconico l’altro, mentre una sottile spirale di fumo usciva dall’ombra e si disperdeva tra loro. «Quella che tu hai vinto. Complimenti»
Suo malgrado, Temari si sentì arrossire. Passò una mano nelle ciocche di capelli che le ricadevano sul viso, distogliendo lo sguardo, e si strinse nelle spalle per minimizzare.
«Probabilmente era truccata» bofonchiò.
«Oh, sicuro. E Sasori non ne sarà affatto contento» replicò l’altro, con insospettabile tranquillità. «Finora le truccavano perché lui vincesse»
«Cosa?» Temari tornò a voltarsi, accigliata.
«Perché ti stupisci?» chiese il ragazzo, quasi strascicando le parole. «E’ tutto truccato, in quest’ambiente. Spesso guadagna di più chi perde»
Temari si morse il labbro, e all’improvviso batté un pugno a terra.
«Cazzo! Figlio di puttana!» esclamò con voce roca.
«Piano...» sbuffò l’altro. «Devi per forza farci sgamare?»
«Vaffanculo anche tu!» insisté lei, passandosi il dorso sulla fronte sudata. «Stronzo, figlio di puttana...» continuò a voce bassa, e ora il tremito non era più dovuto alla paura. «Pezzo di merda bastardo... ti venisse un embolo, cazzo!»
«Mh. Non male» fu il commento del ragazzo al buio.
«E tu taci!» ringhiò Temari, aggressiva. «Che cazzo ne sai?!»
Si sentiva usata, presa in giro, e anche miracolata.
Se ogni gara era truccata, allora lei era ancora lì solo perché a Hidan andava che vincesse. E se lui invece avesse deciso che quella sera la gente avrebbe dovuto vedere un incidente spettacolare e darsela a gambe senza ritirare i soldi delle scommesse, avrebbe anche potuto non essere più da nessuna parte, in quel momento.
Dentro cosa sono finita?” si chiese, abbracciandosi nervosamente le ginocchia.
Sapeva che Hidan era un uomo pericoloso, ma fino a quel momento non le aveva mai fatto correre nessun vero rischio, ad eccezione di un certo numero di possibili gravidanze indesiderate.
Ma ora, all’improvviso, aveva paura.
«Vuoi?»
La voce del ragazzo la colse di sorpresa, facendola trasalire.
Dall’ombra, Temari vide una mano che le porgeva un pacchetto di sigarette, aperto, e lo fissò stranita per un lungo istante. Ma alla fine si strinse nelle spalle, rilassandosi impercettibilmente.
«Non fumo» rispose piano.
«Peccato» rispose lui, ritirando l’offerta. «La nicotina è un ottimo calmante»
«Non sono nervosa» scattò Temari, in automatico.
«Hn?» fece il ragazzo, senza quasi ascoltarla.
«Abbi almeno la decenza di farmi vedere la tua faccia, cazzo!» sbottò all’improvviso, irritata. «Mi sembra di parlare da sola!»
«La schizofrenia non è una malattia tanto brutta, in fondo...»
«Vaffan...»
L’insulto fu troncato a metà dallo squillo di un cellulare. Temari quasi sussultò quando sentì la scollatura vibrare, e solo allora si ricordò del telefono incastrato tra il seno e il top striminzito.
Si affrettò a tirarlo fuori e ad aprirlo, e lo portò all’orecchio nervosamente.
«Kankuro?» chiamò, tesa.
Ma le bastò sentire la familiare e rassicurante voce del fratello dall’altra parte della linea, per rilassarsi visibilmente.
«Sì, sì... sono scappata, non so dove sono. No, sto bene, ho solo avuto pau... Sto bene» annuì un paio di volte, rannicchiata contro la palizzata. «E Gaara? E’ con te, ok... Iniziate a tornare a casa, io me la cavo in qualche modo. No... No, Kankuro, non so nemmeno da che parte sono scappata! Lascia stare, non ti preoccupare. Ce la faccio da sola. Ce la faccio sempre da sola, lo sai»
Annuì una volta, e poi di nuovo, e alla fine lasciò un saluto striminzito e richiuse il telefono, con un sospiro profondo.
«Ehi» chiamò, mentre lo risistemava nella scollatura. «Tu sai dove siamo?»
«A occhio e croce, a cento metri dalla strada della gara, verso ovest» rispose il ragazzo dal buio.
«E questo luogo ha un nome, signor saputello?» chiese lei con un pizzico di irritazione per la qualità dei dettagli della sua risposta.
«Che ne so? Non conosco la zona, ho solo tenuto a mente la strada che ho fatto» sbuffò lui annoiato.
Silenzio.
Temari digrignò i denti, nervosa.
«Quanto dovremo stare fermi?» chiese a voce alta, fissandosi le ginocchia.
«Un’altra oretta, almeno. La polizia sarà ancora in giro»
«Ah»
Di nuovo silenzio.
«Almeno dimmi come devo chiamarti!» sbottò Temari a un tratto, irritata.
«Ehi, non è che tu ti sia presentata con entusiasmo, sai?» protestò lui lievemente offeso.
«Temari» sibilò lei lapidaria.
«Shikamaru» rispose lui atono.
«Ok» fece lei asciutta.
E lui spense la sigaretta sull’asfalto, lasciando andare verso il cielo l’ultima boccata di fumo.
Temari si guardò attorno, senza riuscire a distinguere le ombre che si accalcavano nel vicolo. Slegò anche gli altri codini, ormai inutili, e giocherellò con i lacci del top. Di tanto in tanto lanciava occhiate veloci nell’angolo buio in cui era seduto il ragazzo, ma anche dopo parecchi minuti i suoi occhi non riuscivano a distinguere nulla più di un’ombra vaga.
«Ehi, sei vivo?» chiese, quando non sentì più nessun rumore dalla sua parte.
Shikamaru grugnì, con uno sbuffo. «Cercavo di dormire»
«Dormire? Come cavolo fai a dormire in una situazione del genere?» sbottò Temari, indignata.
«Infatti non dormo» brontolò lui. «Non se tu mi svegli»
«Non hai paura?» insisté lei. «Se un poliziotto decidesse di girare questo angolo?»
«Mi prenderebbe per un ragazzino che è andato a cercarsi una puttana»
Temari sentì il sangue salirle alle guance, e abbassò immediatamente lo sguardo sui suoi vestiti.
«Senti un po’, brutto figlio di...» iniziò, pronta a dar battaglia, ma lui la bloccò prima.
«Cazzo» lo sentì imprecare, e, prima di rendersene conto, si sentì spingere contro il muro e se lo trovò addosso.
«Ch...» tentò di protestare, mentre lui le premeva una mano sulla bocca e le intimava di stare zitta, e solo allora lei vide il fascio di luce che andava a illuminare l’angolo in cui lui era stato fino a un attimo prima.
Trattenne il fiato, mentre la torcia scandagliava lentamente la strada, e quando la vide avvicinarsi al loro lato, un brivido le corse lungo la schiena.
Ma prima di raggiungerli la luce scomparve all’improvviso, bloccata dai cassonetti della spazzatura lungo il vicolo, e Temari la vide salire sopra le loro teste e poi scostarsi bruscamente.
«Qui non c’è niente» disse una voce a breve distanza. «Proseguiamo»
Tirò un sospiro di sollievo, rilasciando lentamente i muscoli, e Shikamaru allontanò la mano dalla sua bocca.
«Scusa» mormorò, facendosi indietro. «Avevo paura che ci sentissero»
«Non mi ero accorta di loro» ammise Temari, con un leggero senso di umiliazione, ma se non altro per la prima volta riuscì a studiare nel dettaglio i lineamenti del ragazzo che si trovava davanti: aveva gli occhi un po’ troppo sottili, però nel complesso era abbastanza piacente, anche se probabilmente sarebbe stato stempiato nel giro di vent’anni. Nulla a che vedere con Hidan e la quantità di testosterone che emanava, ma per essere un ragazzino atono se lo era immaginato peggio.
«Ahh, che palle» sbuffò lui, grattandosi la nuca con un ampio sbadiglio. «Perché non se ne vanno e mi lasciano andare a dormire?»
«Dormire?» Temari gli regalò un sorrisino di scherno. «Come diavolo fai a pensare di dormire in un momento simile?»
«Chiudendo gli occhi» rispose lui schietto.
«Coglione» rise lei, sollevando il mento. «Hai capito cosa intendevo. L’ansia, la paura, l’inseguimento... Dovresti avere in corpo due litri di adrenalina, ora come ora»
«Bah» fu il commento atono di Shikamaru, che si grattò un orecchio con aria distratta.
Eppure l’occhio gli scivolò sulla goccia di sudore che scorreva lungo il collo di Temari, diretta lenta verso la scollatura. E Temari se ne accorse.
Non pensava che avrebbe sentito lo stomaco contrarsi.
Era sempre stata abituata alle occhiate avide di Hidan, e credeva che solo uno sguardo come quello potesse significare minaccia. Ma all’improvviso si trovava a ricordare che il ragazzino era un Hidan in potenza, che se non altro aveva gli stessi attributi di base, e che lei era sola in un vicolo buio, mezza svestita, vulnerabile e... eccitata.
Oh merda” si trovò a pensare, stringendosi le gambe al petto.
Il suo cuore aveva involontariamente accelerato il ritmo, e sentiva il sangue scorrere con un po’ più di forza nelle arterie.
Shikamaru distolse lo sguardo, grattandosi il collo, e appoggiò la schiena al muro che faceva angolo con la palizzata di Temari.
Piombò un silenzio denso e vischioso, quasi caldo, quasi un abbraccio.
Temari si fissava le unghie, facendo guizzare gli occhi sotto le palpebre, e Shikamaru guardava il cielo, con le mani affondate in tasca.
Lei gli scoccò un’occhiata rapida, e incrociò il suo sguardo. Tamburellò nervosa sulle ginocchia, senza abbassare il viso.
Non farlo. Non farlo, stupida testa di cazzo, non osare, non osare pensarci...” si intimò nervosamente.
E lui, quasi con indolenza, prese a far scorrere gli occhi dal collo lungo le braccia avvolte attorno alle ginocchia, e poi verso le gambe nude e il bordo degli shorts, decisamente troppo corti.
Ok. Forse non era poi così tanto assonnato. Forse, e solo forse, un pizzico di adrenalina scorreva anche nel suo corpo. Era un maschio, dopotutto. E lei era una femmina semi-svestita a venticinque centimetri di distanza, per di più dichiaratamente eccitata. Si passò la lingua sulle labbra secche, senza quasi accorgersene.
Lei lo fissò, e il suo semplice sguardo era molto più di quanto fosse lecito in un qualunque luogo pubblico, o almeno così gli sembrava.
E lui sentì l’adrenalina cantare, sotto la pelle.
Senza parlare, si piegò sulle ginocchia e si sporse verso di lei avanzando carponi. Arrivò con le mani ai lati dei suoi fianchi e con il viso sopra le sue rotule, e allora si fermò, silenzioso.
«Che stai facendo?» mormorò lei con voce roca.
Lui non rispose, e invece posò una mano sul suo ginocchio, allargandolo lentamente.
Temari non si oppose quando Shikamaru si fece strada tra le sue gambe, fino ad arrivare con il viso a pochi centimetri dai suoi occhi. Non si oppose nemmeno quando lui le accarezzò una coscia e si intrufolò sotto la stoffa, o quando le sfiorò il naso con il proprio.
«Che stai facendo?» si limitò a ripetere in un bisbiglio, il respiro mozzo e le labbra a un passo da quelle di lui.
E Shikamaru sussurrò un’unica parola, contro il suo mento.
«Adrenalina»


*


Quando il sole sorse, Kankuro svuotò la tredicesima tazzina di caffè e si trattenne a stento dal gridare la sua frustrazione al cielo.
«Dov’è?» sibilò invece, alzandosi di scatto dal tavolo e percorrendo la cucina ad ampie falcate.
«Calmati» gli intimò Gaara, appoggiato con i fianchi allo stipite della finestra e con le braccia incrociate sul petto. Le occhiaie sotto i suoi occhi erano – se possibile – ancora più marcate di prima. «Agitandoti non la farai tornare»
«Io non sono agitato!» ruggì Kankuro, afferrando con astio la caffettiera e versandosi il quattordicesimo concentrato di caffeina.
Gaara fece una smorfia infastidita e guardò fuori dalla finestra, lungo la strada ancora immersa nella luce metallica delle prime ore del giorno.
Temari non rispondeva al cellulare da quattro ore, ormai.
Dopo la prima chiamata avevano provato a ricontattarla più e più volte, ma i loro tentativi si erano risolti soltanto in patetici squilli a vuoto. La loro unica, irascibile, orgogliosa – e probabilmente vicina all’estinzione – sorella sembrava scomparsa dalla faccia della terra – o almeno di quella terra che rispondeva al telefono, maledizione!
«Quando torna le faccio il culo viola, e non me ne frega niente se ormai è maggiorenne, niente!» proseguì Kankuro, trangugiando anche l’ultima tazzina e sbattendola sul tavolo.
Gaara si accigliò impercettibilmente, fissando ancora fuori dalla finestra.
«E’ qui» disse soltanto, inaspettatamente.
«Oh, sia ringraziato il cielo!» squittì Kankuro, e la smorfia di rabbia sul suo viso si trasfigurò in sollievo in un microsecondo. Prima che Gaara potesse guardarlo con disprezzo, era già fuori di casa e stritolava Temari in un abbraccio colmo di gratitudine e caffeina.
«Dove sei stata? Perché non rispondevi? Che hai fatto? Non ci sono problemi, vero?»
Quando entrarono in casa insieme, il tono delle domande ossessive di Kankuro era più o meno quello, mentre la fissava preoccupato.
«Kankuro, sono stanca...» mugolò Temari sbadigliando. «Sto bene, non ho fatto niente. Mi sono solo nascosta, e ora posso andare a dormire?»
«Oh, sì, certo. Scusa. Comunque, complimenti per la vittoria» annuì lui solerte.
Temari sbadigliò, e con un cenno stanco scomparve oltre una porta.
Prima che se ne andasse, Gaara riuscì a intravedere il segno violaceo di un succhiotto sul suo collo.
Kankuro si schiarì la voce, e raddrizzò bene la schiena. «La sgriderò quando si sveglia» commentò virile. «Ora non servirebbe a niente»
Gaara lo squadrò per un lungo, penoso istante. E poi gli voltò le spalle, senza una smorfia.
«Vado a dormire» disse asciutto.


Il calore del suo respiro contro la pelle, e le gocce di sudore sui loro corpi che si mescolavano silenziose.
Era tutto diverso, ogni singola cosa; era... migliore.
Con Hidan c’era piacere, c’era dolore, e c’era rabbia, talvolta.
Con Shikamaru c’era attesa, c’era sorpresa, e c’era dolcezza.
Le sue mani sul seno la accarezzavano, non la stringevano fino a farle male; le sue labbra sul collo erano calde e morbide, non morsi roventi; e fare l’amore con lui non era una lotta sfiancante, ma era un doppio a tennis. Un doppio nettamente vinto.
Mentre riprendevano fiato, l’uno contro l’altra, Temari accarezzava languida i capelli umidi di sudore sul collo di lui, chiedendosi che diavolo le fosse successo.
«Ma cosa abbiamo fatto?» sussurrò, arricciando una ciocca scura attorno al dito.
«Non lo so» rispose lui, baciando lento la curva del suo collo. «Ma mi è piaciuto fin troppo»
«Cosa vuol dire fin troppo?» chiese Temari, accigliandosi.
Lui la guardò, e le rivolse un sorriso sghembo. «Vuol dire che il sesso con una sconosciuta non dovrebbe essere così bello»
Temari arrossì, e avvolse le braccia attorno al suo collo.
«Allora ricominciamo, no?» propose in un bisbiglio, addentando piano il suo labbro inferiore.
«Uh, sembra faticoso...» commentò Shikamaru, sorridendo. «Prima una pausa?»
«Fammi un regalo» sussurrò lei. «Solo uno»
Lui la studiò pensieroso per un lungo istante.
«Ti ho vista con il ragazzo delle scommesse, prima» se ne uscì poi, ma non era un rimprovero.
«L’ho conosciuto stasera» rispose lei stringendosi nelle spalle. «E si è preso un bacio sulla guancia e nient’altro. Non sono il tipo da fare certe cose, io»
«No?» ghignò lui, stringendole una natica nella mano.
Temari arrossì leggermente e lo colpì piano. «Tu sei un’eccezione» brontolò. «Tu sei strano... sei unico; penso si possa dire così»
«Spero che sia un complimento» sussurrò Shikamaru, prendendole il lobo dell’orecchio tra le labbra. La sentì gemere piano, e stringersi a lui, e di nuovo avvertì l’adrenalina che pulsava nel suo corpo. «Ma che ci fa una come te in questo mondo di merda?» si trovò a chiederle d’impulso.
«Debiti» fu la sua fievole risposta. «Debiti e Hidan. Ma non parliamo di questo... non ora. Non ora...»
Sentì le labbra di lui chiudersi sulla pelle sotto l’orecchio, e anche se sapeva che avrebbe lasciato il segno, non se ne curò.
Quando Shikamaru finì con il collo e scese verso il seno nudo, Temari riuscì a malapena a sentire il sussurro che sfuggì alle sue labbra.
«Credo che te ne farò due, di regali...»


Aveva pensato che il regalo fosse il numero di telefono che lui le aveva infilato in tasca prima di andarsene, all’alba.
Ma poi aveva visto la rivista nel suo espositore, e la foto in prima pagina della sua auto che tagliava il traguardo.
Aveva comprato il giornale, uno sciocco settimanale che normalmente non avrebbe mai guardato, lo aveva aperto febbrile, e aveva letto l’articolo da cima a fondo, scoprendo che faceva parte di un’ampia inchiesta condotta nel giro della malavita e che andava a coprire anche Hidan. Lo aveva letto e aveva scoperto che il suo caro, vecchio usuraio era attualmente incriminato per un lunga, lunga lista di capi d’accusa.
Aveva letto anche della corsa. Aveva visto le foto delle auto, della folla, della fuga dalla polizia. E nell’angolo di ogni foto, c’era un nome composto da una sola sillaba, come se il suo proprietario fosse stato troppo pigro per allungarlo: Shi.
Ricordò il fotografo che aveva scattato una foto a lei e Kiba, e ricordò che aveva un codino sparato dritto sulla testa. Poi, con un sorriso, rilesse la parte dell’articolo in cui si diceva che grazie a un accurato servizio fotografico erano state raccolte prove fondamentali per l’accusa.
Probabilmente Hidan non sarebbe finito dentro, come ogni buon malavitoso. Ma in quel momento, leggendo quelle parole, per un attimo Temari pensò che sarebbero potute cambiare molte cose. Senza quasi rendersene conto, infilò una mano in tasca e tirò fuori il cartoncino che le aveva lasciato Shikamaru, leggermente spiegazzato. Sulla carta bianca, di una semplicità disarmante, c’erano poche, economiche parole, e un appunto a mano.






Shi


Fotografo

xxx/xxxxxx

ricorda... adrenalina






FINE
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BLACK IS BACK

OMN
(Orgoglio Mosca Nera)


Questa shot partecipa orgogliosamente allo
ShikaTema's day
(istituito arbitrariamente da un pugno di autrici del sito!)




In più, è dedicata a Lily_90, perché me la chiede da secoli!







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