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Autore: Scribak    23/06/2008    1 recensioni
Due ragazzi frequentano il conservatorio di Torino: Grace, violinista con una fervente ammirazione per la sorella soprano,e Orlando, un genio quattordicenne del pianoforte. Entrambi con una famiglia numerosa e un muro a dividerli dal resto della gente. Entrambi uniti da un misterioso patto siglato anni addietro.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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LA REGINA DELLA NOTTE

E IL PIANISTA DEI SOGNI

Grace fissava incantata sua sorella sul palco: anche lei, anni prima, aveva frequentato il Conservatorio, diplomandosi con il massimo dei voti nel canto lirico.
Aveva studiato duramente. Si era fatta venire mal di gola a furia di provare e riprovare i vocalizzi dei suoi pezzi preferiti e aveva passato ore e ore chiusa in camera per rendere la coloritura di ogni singola battuta perfetta.

E ora era sul palco dell’auditorium della loro città, a sfidare il pubblico con il suo sguardo scuro come quello di un corvo e il suo sorriso disarmante.

Era una bella ragazza, Odille, e con il vestito blu cobalto dalla scollatura pronunciata, il manto di voile nero e la corona argentata in testa pareva davvero Astrifiammante, la diabolica regina della notte del “Flauto Magico”.

Grace, invece, non aveva nè la sua pelle diafana nè i capelli lunghi, neri, appena ondulati sulle punte…e nemmeno la sua magnifica voce da soprano.

Non era molto alta, ma in mezzo al palco, immersa nella penombra del fumo e della luce bluastra dei faretti, il fondale trapuntato di stelle sullo sfondo, pareva una vera e propria regina; la sua figura minuta e sottile, veniva compensata da una voce straordinariamente potente per una ragazza di ventun’ anni, che trillava e intrecciava incessanti arabeschi nell’aria.

Grace la guardava dalla sua poltroncina, inchiodata da quella melodia così forte e struggente. Lanciò uno sguardo veloce a sua madre, una donna corpulenta che si tamponava gli occhi con un fazzoletto, commossa, e che sembrava la fotocopia della figlia: da giovane era stata anche lei una soprano, e anche di un certa bravura. Suo padre invece, seduto alla sua sinistra, fissava senza battere ciglio l’orchestra, in attesa di anche solo un minuscolo errore, che l’avrebbe fatto piacevolmente irrigidire sulla poltroncina, guardando le dita di un giovane flautista muoversi sicure sul suo strumento.

Grace era una violinista: non per scelta, molti membri della sua famiglia avevano infatti intrapreso quella carriera, soprattutto tra i suoi cugini che abitavano in Italia, ma per volere della nonna paterna, profondamente delusa dalla scelta di Odille di dedicarsi alla lirica.

Anche lei era venuta, comunque, a vedere la nipote, e ora stava compostamente seduta, le mani intrecciate in grembo, vicino al figlio.

Grace e la nonna si assomigliavano incredibilmente: entrambe erano infatti più alte di Odille e della madre, con i capelli di uno strano castano-rossiccio (anche se, ora, Germana aveva provveduto a tingerli definitivamente di biondo platino).

A ragazza toccò nervosamente la custodia del violino che batteva sulla sua gamba destra: sapeva che se avesse mosso anche solo un muscolo sarebbe caduto, e sua madre le avrebbe sussurrato un rimprovero in tedesco.

Dalla tasca dei jeans scuri sfilò un bigliettino tutto spiegazzato, orlato da eleganti arabeschi: scorse brevemente i pezzi che restavano alla fine del primo tempo della serata, e contò velocemente quelli del secondo prima della sua esibizione.

Grace era al primo anno di conservatorio: aveva quattordici anni, vissuti sballottando tra la Germania e l’Italia, tra i severi nonni materni (gli Skwarz), e gli altrettanto nonni paterni (i Marcelli), durante le vacanze estive e invernali.

Da sempre era stata affascinata dalla musica, anche perché viveva con i genitori e la sorella in un piccolo appartamento antico di Torino posto proprio sopra un insegnante di violino.

La ragazza si ricordava bene che, quando era poco più di una bambina, sua nonna Germana era venuta a trovarli e, sentendo i suoni malinconici del violino, si era improvvisamente riscossa dall’aria cupa e severa che da sempre ostentava.

E si era deciso che la piccola fosse iscritta immediatamente da quell’insegnante giovane e “italiana”, come aveva piacevolmente constatato la nonna, che non aveva mai approvato il matrimonio del figlio con una “crucca tedesca”.

Un fragoroso applauso la riscosse dai suoi pensieri: sbattè velocemente le palpebre, mettendo a fuoco il palco e sua sorella che si esibiva in un delicato inchino.

Si mise a battere le mani anche lei, mentre Odille scompariva già dietro le quinte e alcuni studenti dell’ultimo anno cambiavano velocemente la scenografia.

Una voce fuori campo annunciò il prossimo artista, mentre un ragazzo dall’aria spaurita si faceva avanti stringendo convulsamente una tromba tra le mani.

Mentre attaccava incerto un pezzo di Viotti, Grace notò che la porta vicino al palco si aprì, lasciando intravedere la figura della signora Pergolesi, la sua insegnate di violino, che le faceva segno di andare.

La ragazza sussurrò un –Devo andare- alla madre, che le diede un bacio affettuoso sulla guancia, e al padre, che, assorbito com’era dal nuovo pezzo, la ignorò quasi totalmente.

Percorrendo quasi piegata in due la fila di poltrone e passando davanti al palco, s infilò dietro la porta, che la donna chiuse di scatto.

-Hai portato il volino? Archetto? Partitura?- le chiese con la sua voce ironica e affettuosa, ripetendo un rito che si era instaurato quando, anni prima, al suo primo spettacolo, Grace aveva dimenticato l’archetto a casa, sul divano.

-Certo- le rispose la ragazza, strizzandole l’occhio.

-Bene- fece la donna, indicandole un posto nel cono d’ombra proiettato dalle quinte dietro il palco –Aspetta qui, finchè non arriva il tuo turno. Mi raccomando…-

-…niente schiamazzi o urla, perché sono cose da cantanti in fibrillazione- completò Grace, finendo la raccomandazione che la Pergolesi le faceva sempre.

-Giusto- disse sorridendo fugacemente, e sparì dietro la porta.

La ragazza sospirò, dando un’occhiata intorno: solito quadro di ogni concerto, ossia una marea di ragazzi agitati, stipati dietro le quinte come animali, boccheggianti dal caldo e dall’agitazione.

Grace stava per appoggiarsi rassegnata al muro quando qualcuno attirò la sua attenzione…

“Ehi…” pensò, osservando un ragazzo perfettamente calmo dall’altra parte delle quinte, che stringeva tra le lunghe dita affusolate uno spartito.

§§§

BONJOUR!!! Bene, ecco il primo capitolo di una nuova fan fiction che si sta sviluppando per caso. Mi scuso se non succede niente di eclatante, ma mi serviva un’introduzione al personaggio di Grace. Per favore, COMMENTATE (sono bene accette anche le critiche!!!). Au revoir!!! Scribak alias Arianna F.

 

 

 

 

 

  
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