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Autore: Lela_88    28/02/2014    2 recensioni
Pensieri, parole e sensazioni mai espresse finora. Sono tre mesi che sono chiuse nella mia testa e avevano bisogno di uscire.
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eccomi, sono io Lela, o Manu, o Emanuela, come più preferite; io non rientro negli schemi, non sono quella che si può definire “normale” ho tutto fuori posto: nella testa e nel cuore.
 
Ho 26 anni e sono sempre stata circondata da tantissime persone: ho tre fratelli e una sorella gemella, non ho mai saputo cosa significasse avere un po’ di privacy, non ho mai avuto la mia camera (o anche sola con mia sorella); ho sempre condiviso tutto con la mia famiglia. Perché? Perché non siamo mai stati una famiglia ricca, i primi sette anni della mia vita abbiamo vissuto in un bilocale (ed eravamo in 7) dove condividevo il letto con mio fratello, solo un anno più piccolo di me, in una stanza dove dormivano anche i miei. Qualcuno si chiederà: perché con tuo fratello e non con tua sorella? Storia lunga e noiosa, che si può riassumere in una frase: questioni affettive.





 
Mio padre era un uomo strano –era perché tre mesi fa mio padre è morto – non l’ho mai compreso veramente. Era un anima ferita, distrutta da una vita troppo brutta da riuscire a sostenere e se n’è andato senza mai riuscire a sconfiggere quei demoni che governavano la sua mente; è cresciuto subendo gli umori della madre che, spesso e volentieri, lo picchiava per motivi futili e incomprensibili, da quanto hanno raccontato (mai lui sempre terzi). Una madre che non ha perso tempo ad abbandonare lui, suo padre, le sue sorelle, per farsi un’altra famiglia.
 
Ha iniziato presto a conoscere l’odio e ci ha messo ancora meno ad incolpare le donne, a suo dire, tutte puttane e opportuniste; non ha mai perdonato quella donna che non ha mai più chiamato “mamma” o forse non ne ha avuto il tempo materiale per poterlo fare, visto che quando lei morì, lui aveva solo tredici anni.
 
Col passare degli anni, con i miei studi e il mio analizzarlo da lontano, sono arrivata a pensare che lui si odiasse per questa sua debolezza: quella di non essere riuscito, veramente, a cancellare sua madre dalla sua mente e di continuare a pensare a lei come causa del suo dolore, continuando a chiedersi dov’è che aveva sbagliato, come mai non meritava l’amore di quella donna.
 
Ma queste sono solo congetture, basate su racconti, ricordi e dall’ultima scena che non dimenticherò mai: mio padre, in coma, con una maschera d’ossigeno sul viso e che, tra un respiro ed un altro, gemeva e chiamava la mamma.
 
Dopo la morte della madre, lui e le sorelle furono divisi; vi chiederete: ma non avevano un padre? Sì, ma anche lui era rimasto solo e ha deciso di affidare le figlie, ai parenti di quella che, un tempo, era stata sua moglie e di prendere sotto la sua ala, solo il figlio.
 
Mio nonno (anche lui mai conosciuto, è morto quando mio padre aveva diciotto anni) era un tipo divertente, l’anima della festa; è riuscito a dare al figlio, l’opportunità di studiare e di trovare un lavoro; un lavoro che ha mantenuto fino alla pensione.
 
Comunque, mio padre era in America quando mio nonno morì: tornò in Italia con l’intenzione di non volerci rimanere, ma a vent’anni, dopo aver sistemato varie faccende, conobbe mia madre; sedici anni, miglior amica di sua sorella, ragazza semplice che quasi stonava con il panorama napoletano.
 
Fecero le cose in fretta: dopo due anni di fidanzamento, mia madre rimase incinta, si sposarono e presero un piccolo appartamento nella periferia di Napoli (il famoso bilocale prima citato) e decisero che avrebbero passato la vita insieme.
 
Questo è il primo racconto, quello romantico e, a prima vista, semplice; dopo sono venuta a sapere che la famiglia di mia madre non voleva questo e che le avevano proposto di lasciare quel ragazzo sbandato e violento (mio padre era un pugile), si sarebbero presi loro cura di quel bambino.
 
Ci si potrebbe chiedere: come mai ad una figlia si racconta ciò del padre? Beh, quella fu una risposta alla mia domanda sul perché mia madre non avesse lasciato mio padre, prima di arrivare a fare cinque figli. Feci questa domanda (io come anche i miei fratelli) perché non ho mai visto mio padre come una buona figura, per me lui non è stato mai: papà, babbo, papino, paparino, o il mio eroe, né tantomeno, io sono stata per lui: la sua bambina o la sua piccola principessa.
 
Oddio, non so realmente, nella sua testa, cosa noi figli eravamo per lui, di certo non ce lo ha mai detto o dimostrato con gesti d’affetto eclatanti; non c’era mai e quando c’era ne eravamo terrorizzati. Spesso tornava a casa ubriaco o di cattivo umore perché aveva perso ai cavalli; non sapevamo mai quando potevamo ridere e giocare, gli dava fastidio anche quello e non perdeva occasione di buttare le mani o minacciarci: una volta che non ci avrebbe fatto mangiare, un’altra volta che ci avrebbe chiusi in camera al buio e altre cose che spaventano i bambini.
 
E ora ci si chiede: e vostra madre? Lei era la prima che ci andava di mezzo, perché era colpa sua se noi figli eravamo dei cretini, inutili e fastidiosi.
 
Ma non voglio assolutamente parlar male di mio padre, ora, l’immagine che ho dato è quella che i miei occhi da bambina, ignara della vita del genitore, vedevano e che non dimenticheranno mai; certo non lo giustificavo e non lo giustifico per quello che ci ha fatto, nonostante la sua storia, credo che lui abbia avuto la possibilità di riscattarsi, ma che non ha colto appieno la cosa; cioè, lui ha sempre creduto che l’essere riuscito a farsi una famiglia, l’essere riuscito a stare accanto a sua moglie per trentasei anni, è stata una grande cosa, e per carità, lo è, ma santo iddio avrebbe potuto fare di più. Avrebbe potuto lasciare un’impronta di sé migliore, avrebbe potuto farci dei regali col cuore e non perché pentito di quello che aveva fatto la sera prima, avrebbe potuto cantarci la ninna nanna, piuttosto che mandarci a letto dicendoci che se non ci fossimo addormentati si sarebbe incazzato, avrebbe potuto, semplicemente, farci gli auguri, abbracciarci, baciarci, farsi foto ai compleanni o nelle varie festività, piuttosto che educarci a non farlo neanche con lui (mai festeggiato la festa del papà, neanche all’asilo) avrebbe potuto coltivare meglio la vita coniugale, piuttosto che distruggere mia madre psicologicamente fisicamente.
 
Mia madre: si potrebbe pensare che sia una donna stupida e sottomessa, ma non è così e lo dico io che, in momenti di rabbia, l’ho pensato. Mia madre è una donna forte, a differenza di mio padre è vissuta in una famiglia che l’ha amata davvero. La classica famiglia amorevole e accogliente, numerosa e mai monotona.
 
Mio padre odiava tutto questo, non credeva che qualcuno potesse amare così tanto i propri figli; ha sempre litigato con i miei nonni che, per amore della figlia, non hanno mai detto niente che potesse ferire mio padre, lo hanno accettato come un figlio e hanno provato a cambiarlo.
 
Ma torniamo a mia madre, lei ha fatto e fa tanto per noi; sin da ragazza entrava e usciva dagli ospedali (periodi durante i quali, noi figli rimanevamo con i nonni e non con nostro padre) per colpa degli occhi, un problema che l’ha portata alla cecità, ma nonostante tutto è sempre lei il perno principale. Ha continuato a prendersi cura della casa, di noi figli e di suo marito.
 
Ha fede lei, crede che tutto avvenga perché è già scritto, che qualcuno ha fatto questo disegno per dirci qualcosa, qualcosa che scopriremo a tempo debito e che le risposte alle nostre domande, solo Dio le ha.
 
Anche la morte di mio padre, avvenuta senza preavviso, così, un attimo prima c’era e l’attimo dopo no: ictus ischemico, emorragia, coma e morte, nel giro di meno trenta ore.
 
Anche questa, secondo il suo modo di vedere, è avvenuta per uno scopo; lei ha sentito suo marito cadere, non riuscire più a muoversi e parlare, mi ha sentito raccontarle come mio padre fosse caduto, come io lo avevo visto a terra perso e spaventato, mentre si vedeva circondare da i miei fratelli che provavano ad alzarlo, ha capito che le stavo mentendo quando ho ipotizzato un collasso, quando sapevo benissimo che era un ictus, ha sentito tutte le parole complicate di medici e specialisti, si è vista portare via quell’insieme di gioia e dolore senza una ragione precisa, dopo quasi quarant’anni di vita insieme, ed è riuscita a trovare la forza di dire a noi figli che ora nostro padre ha davvero smesso di soffrire, che forse quella guerra che aveva in testa è finita una volta per tutte.
 
 
 
 
 
Non ce la faccio, davvero, c’è tanta confusione in quello che ho raccontato; tanti sentimenti contrastanti, ma l’ho detto, io non ho niente a posto sia nella testa che nel cuore.
 
Ho mostrato un uomo fragile che si nascondeva dietro urla, minacce e violenza gratuita, un uomo che credeva di essere forte e pensava che tutti lo vedessero così, forse non ha mai saputo che, io e la mia famiglia, sapevamo quanto lui fosse debole.
 
Temeva che noi lo odiassimo, ma non faceva niente per mostrarsi più disponibile: piangeva di nascosto e negli ultimi tempi ha provato a cambiare, troppo tardi forse, ma non ho mai rifiutato i suoi tentativi di provare a comunicare; alle volte provavo fastidio perché mi sembrava così fuori luogo dargli del tu, non ci parlavamo mai, ma poi la tensione svaniva e quella sensazione che io lo stavo solo assecondando, passava e lasciava spazio anche a qualche battuta spiritosa; ho saputo, da altri, che lui aveva un’ottima considerazione di me, mi vedeva razionale e responsabile. Su cinque figli, io sono quella che più gli somiglia su certi aspetti (fisicamente sono molto simile a lui) mi ha educata –anche se non direttamente – alla lettura, lui leggeva tanto e io ho voluto vedere, sin  da bambina, cosa c’era dietro quelle copertine che lo tenevano occupato; mi ha insegato l’enigmistica, sempre senza mai mostrarmela, ma io prendevo quei giornali che lasciava per casa e completavo quello che lui lasciava incompleto e risolvevo i rebus che nessuno mai faceva (poi ho scoperto che lui li risolveva prima di me, ma lasciava che fossi io a scrivere).
 
Era uno scambio silenzioso, non abbiamo mai avuto bisogno di sottolineare questa cosa: era silenziosamente nostra ed è una di quelle cose che mi fa pensare che, nonostante tutto quello che io abbia potuto subire, lui era mio padre.




 
Io non ho quella fede tanto forte da farmi pensare che ora lui sia in un posto migliore, ma mi va di crederlo, perché lo merita; non so se ci sta guardando, non so se ci sta guidando e non so se ha capito una volta e per tutte che nessuno lo ha mai odiato.
 
Hai capito Papà? Fai buon viaggio. Ciao.
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
Nda: perdonate lo sfogo, ma è da un po’ che mi frullava in testa questa cosa.
   
 
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