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Autore: umavez    28/02/2014    7 recensioni
« Guardati, Uchiha: » gli disse posandogli la sua mano intoccabile sulla spalla e avvicinando ancor di più la bocca al suo orecchio. « tu sei un animale a sangue freddo. Non riesci a controllare la tua temperatura corporea, e se rimani per troppo tempo fuori dalle acque putride in cui hai sguazzato per tutta la vita, finisci per morire. »
Storia classificatasi Prima al Contest “Sakura’s Choice” da Flyonclouds sul Forum di EFP, e vincitrice del premio Best Word.
Sasuke/Sakura, come ha detto la giudicia, misto tra fluff, drammatico, e non so cos'altro. Un pastrocchio che spero vi piaccia!
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Madara Uchiha, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Ispirato alla frase: “Due cuori innamorati, hanno la capacità di affrontare ogni stagione.”, di Laila Andreoni.
 
 



A forza
 
 
 
 
 
 
 
 
Gettò due rametti di camomilla nell’acqua calda che aveva appena smesso di bollire e con un cucchiaino li mosse un poco. La finestra della cucina dava sul giardino retrostante, e vide che la neve, quell’anno, era arrivata quasi al livello dell’engawa. I rametti di camomilla galleggiavano, Sasuke li guardava e di tanto in tanto si divertiva ad allontanarli per poi farli riavvicinare, e poi ancora ruotava il cucchiaino nel piccolo tegame con movimenti circolari sempre più veloci per poi toglierlo all’improvviso lasciando che i due rametti di fiori e foglie vorticassero per conto proprio, ancora trasportati dall’energia rimanente.
 
A poco a poco smisero di muoversi, e tornarono solo a galleggiare. L’acqua calda aveva preso il colore giusto, o almeno quello che si ricordava essere il colore della camomilla. Sempre con lo stesso cucchiaino prese i rametti e li gettò nel secchio vuoto. All’interno del tegame erano rimasti rimasugli di foglie secche.
 
Sasuke versò il contenuto dell’intero tegame nelle tazze che aveva preparato prima, sul piano da lavoro della cucina. Le riempì fino all’orlo senza farne scivolare fuori neanche una goccia, come sua madre gli aveva insegnato, e posò il tegamino nel lavabo.
 
Prese saldamente le due tazze, e si sentì ridicolo pensando che un tempo, altrettanto saldamente, teneva solamente katane e kunai, e subito dopo sollevato, realizzando che non lo avrebbe dovuto più fare. Che fare i ninja non era più necessario per nessuno, tantomeno per lui.
 
« Oh, grazie Sas’ke-kun. » gli disse Sakura quando lo vide arrivare in sala.
 
Lei era seduta al tavolo, ancora imbacuccata e senza l’intenzione di volersi spogliare. A Sasuke dava così tanto fastidio vederla infreddolita che si era offerto di prepararle qualcosa di caldo da bere. Lei gli sorrise quando, con le mani ancora coperte dai guanti, aveva afferrato un po’ titubante la tazza che lui le porgeva.
 
Erano dei guanti inusuali per Sasuke. Erano di un tenue color panna, almeno di una misura più grande rispetto a quelli che Sakura avrebbe dovuto usare, e davano l’idea di essere terribilmente scomodi. Quattro delle cinque dita di Sakura erano costrette in un unico grande spazio che comprendeva indice, medio, anulare e mignolo. Il pollice, che si perdeva completamente nel lunghissimo e larghissimo spazio che gli era dedicato, se ne stava per conto suo.
 
Sasuke pensava che o Sakura si fosse fatta crescere le unghie talmente lunghe da doverle salvaguardare in quel modo dalla rottura prematura, o fosse semplicemente incapace di riconoscere a vista le taglie giuste.
 
« Nulla. » rispose, lasciando, anche lui titubante, la tazza nelle mani di Sakura.
 
Lei sorrise ancora e socchiuse gli occhi avvicinando la tazza alla bocca. Il suo naso era rosso, le guance anche, le labbra quasi violacee. La osservò senza discrezione mentre beveva il primo sorso di camomilla come se fosse stata semplice acqua potabile nel bel mezzo di una palude, come se l’inverno e la neve fossero stati la missione di livello S, e lui, la sua casa, la sua camomilla, il ristoro salvifico di una notte.
 
Sakura si lasciò andare ad un sospiro di sollievo, posò la tazza sul tavolo e si adagiò stancamente sullo schienale della sedia. Si chiese come fosse possibile che un semplice sorso di camomilla calda potesse fare quell’effetto su una persona. Non credeva di aver avuto mai in volto l’espressione che vedeva in quel momento su quello di Sakura, forse neanche alla fine della guerra.
 
Forse mai, pensò.
 
« Non ti siedi, Sas’ke-kun? » gli chiese lei alzando gli occhi. Era ancora lì, accanto al tavolo, con la camomilla sulle mani, piena fino all’orlo e ancora bollente. Annuì distrattamente. Stranamente si ritrovò a chiedersi quale potesse essere il posto migliore per sedersi, tra quei tre rimasti liberi intorno al tavolo.
 
Perché il posto vicino a Sakura gli avrebbe impedito di guardarla, e guardarla bere camomilla, si disse, era come vedere la neve nel giardino sciogliersi con velocità, al primo tocco del primo raggio di sole della giornata. Ma sederle davanti sarebbe stato difficile da sopportare, perché poi ci sarebbe stata solo lei da guardare, senza possibilità di deviazione. E quello sul lato opposto al suo e non di fronte: quello lo aveva escluso a priori perché era semplicemente troppo lontano.
 
« Che idiota, » disse infine Madara con rimprovero, « non sai nemmeno in che modo starle vicino. »
 
Sasuke si mise seduto di fronte a Sakura in fretta e furia, mescolò con il cucchiaino la camomilla senza però berla, e cercò di dimenticare il suono della voce di Madara che aveva appena sentito.
 
Sakura di fronte a lui sorseggiava la bevanda calda senza curarsi di quanto fosse bollente, senza far trasparire il dolore dei denti sensibili dato dal troppo calore che li aveva travolti, senza togliersi guanti, sciarpa o giacchetto.
 
Sasuke alzò gli occhi su di lei che lo guardava, con il volto coperto quasi completamente dalla tazza, ma con lo sguardo vigile puntato su di lui. Sembrava sorridere anche mentre beveva, e sentì dopo un attimo il rumore inconfondibile dei denti che battono sulla porcellana, segno che alla fine Sakura aveva sorriso davvero.
 
Che cosa avesse da sorridere poi, lui non lo capiva. Vide Madara sdraiarsi meglio sul divano in fondo alla sala e dar loro le spalle, borbottando quanto fossero fastidiosi tutti quei sorrisi e tutti quegli sguardi fuggiaschi da innamorati.
 
« Non capisco cosa ci faccia un Uchiha con una camomilla. » gli sentì dire poco dopo, il tono di voce che, seppur Madara fosse stato lontano chilometri, sarebbe rimasto limpido nella sua testa come se fosse stato ad un passo da lui, o all’interno della sua stessa pancia. Sasuke abbassò lo sguardo sulla camomilla abbandonata sul tavolo con il cucchiaino poco lontano.
 
Avrebbe potuto rispondergli che un Uchiha, con una camomilla, ci faceva ciò che tutti gli altri esseri umani facevano: si riscaldava, o al massimo, cercava di conciliarsi il sonno della notte futura. Per Madara, però, il mondo era diviso solo in Uchiha e non-Uchiha, e se esisteva questa distinzione un motivo doveva pur esserci. Madara avrebbe detto che gli Uchiha non hanno bisogno di ciò di cui hanno bisogno gli altri esseri umani, che la parola camomilla non rientrava nel loro vocabolario, che non avevano bisogno di aiuto nemmeno per dormire, perché era in grado di fare qualsiasi cosa.
 
Prese il cucchiaino e ricominciò a mescolare la tisana quando Sakura gli chiese come mai non stesse bevendo.
 
« Scotta. » rispose, e continuò a farla girare e girare, i resti delle foglie secche che vorticavano come in una tromba d’aria. Lei annuì, seriosa, immergendosi di nuovo fino alla radice del naso nella tazza che poco dopo posò sul tavolo, completamente vuota.
 
« Buona, » disse allegra, « mi ci voleva proprio. »
 
Madara sbuffò annoiato dal divano.  
 
« Questa ragazzina ha la capacità di dire solamente le cose più ovvie e stupide. » contestò, prendendo uno dei cuscini presenti sul sofà per premerselo contro l’orecchio non appoggiato sul bracciolo. Sasuke fece finta di non sentire nulla, come ogni volta che c’era qualcuno con lui. Sakura sorrideva, ignara del “ragazzina” che le era stato rivolto, ignara della presenza sul divano.
 
Ignara che a lui in realtà non andava la camomilla.
 
Quando lei era arrivata di corsa a casa sua, bussando alla porta ripetute volte, aveva pensato che servisse ad entrambi, che sia Sakura che lui stesso avessero bisogno di riscaldarsi con qualcosa, che una bevanda calda non poteva fare che bene, e che quei corti istanti in cui la porta era stata aperta per permettere a Sakura di entrare, il vento non aveva perso tempo e si era insinuato nella sua casa con tanto di fiocchi di neve, e che quindi non bisognava far altro che ripristinare il calore.
 
Così aveva messo acqua sufficiente per almeno due tazze nel tegame, ci aveva rovesciato due rametti di camomilla, aveva preso due cucchiaini.
 
Ma Sasuke, alla prima parola pronunciata da Madara, si era reso conto che non potevano essere solo loro due. Non erano mai stati solo loro due, in nessun momento della loro vita. C’era sempre stato il chiodo fisso della vendetta, o Naruto, o la guerra a far loro compagnia. Non erano mai stati Sasuke e Sakura solamente, Sasuke e Sakura che avevano freddo e avevano bisogno di scaldarsi. 
 
In quel momento c’era lei, con i guanti e tutto il vestiario invernale. Lui, con la sola maglietta di cotone indosso, perché di altro non aveva bisogno. E c’era Madara.
 
C’era Madara sdraiato sul divano anche se lei non poteva vederlo né sentirlo. Sasuke guardò la camomilla consapevole che non ne avrebbe bevuta nemmeno un sorso. Smise di rigirarci il cucchiaino, e prese insieme a questo la tazza e il cucchiaino di Sakura, allungandosi leggermente sul tavolo. Lei sussurrò un “grazie” mentre lui si alzava e riportava le cose sporche nel lavabo in cucina.
 
« Che ne dici di una passeggiata? » suggerì lei quando lo vide ricomparire sulla soglia della porta. Sasuke approfittò della richiesta per non sedersi nuovamente al tavolo. Intravide Madara alzarsi dal divano e stirarsi stancamente, come se si fosse sentito coinvolto nell’invito. E Sasuke non sapeva come negarlo del resto, perché ovunque ci fosse lui, c’era anche Madara.
 
Annuì in silenzio, come era solito fare, e prese la sua tazza di camomilla ancora piena e si avviò verso la cucina.
 
« Non ne hai bevuta neanche un sorso. » la sentì dire dall’altra stanza. Madara le fece il verso.
 
Sasuke si mise davanti al lavello e soffermò lo sguardo sull’immobile liquido giallo.
 
Mi servirà quando tornerò a casa. Fuori fa freddo, e quando tornerò ne avrò bisogno disse tra sé e sé, frenando la sua stessa mano dall’inclinarsi e far finire tutta la camomilla nello scarico del lavandino.
 
« Lo so. » rispose a Sakura, evitando di stare troppo tempo in silenzio. Lei non disse nient’altro in risposta, la sentì solamente camminare nella sala, girovagare in attesa che la raggiungesse.
 
« Uchiha, » si intromise Madara. Gli si avvicinò fino a raggiungerlo davanti al lavello. Madara camminava scalzo per casa, senza un paio di calzini, ma non era quello il motivo per cui i suoi passi non avevano fatto nessun rumore sul legno di casa sua.
 
Madara era inconsistente. Madara era i suoi occhi che si ostinavano a voler guardare il lato peggiore della vita, il lato peggiore di essere Uchiha. Madara era la sua allucinazione quotidiana.
 
« Caro, piccolo Uchiha, » riprese, ormai nel suo posto in prima fila per lo spettacolo della tragica fine della camomilla, « noi non dobbiamo riscaldarci con niente, non ne abbiamo bisogno. Io e te, noi due. Non ci serve. »
 
Sasuke storse il naso alla parola due, ma era innegabile che formassero un duo più che solido, uniti dal sangue, dal cognome, dai pochi bisogni che avevano: Madara non aveva freddo, perché era un miraggio. E lui, lui era vivo, lui aveva il giardino ricoperto di neve, e fuori di casa sua il freddo c’era davvero. Eppure, guardando per l’ennesima volta la camomilla, capì che non gli sarebbe servita una volta tornato a casa, perché il freddo gelido di fine Dicembre non l’avrebbe sfiorato, perché come ogni Uchiha maledetto, era insensibile.
 
La rovesciò nel lavandino.
 
Raggiunse Sakura accompagnato dalla risata soddisfatta di Madara. Lei lo aspettava davanti alla porta, le scarpe già calzate sui piedi. Se le mise anche lui.
 
« Esci così, Sas’ke-kun? » gli chiese dubbiosa. Sakura aprì di poco la porta per accertarsi che il tempo non fosse cambiato di colpo lasciando intravedere la primavera, e poi la richiuse.
 
« Guarda che fuori fa freddo. »
 
Sasuke si infilò l’altra scarpa e fece spallucce, decidendo di accontentare Sakura e la sua abitudine mai esauritasi di preoccuparsi per lui in ogni circostanza arrotolandosi intorno al collo la sciarpa lasciata sull’appendiabiti almeno un mese addietro e mai utilizzata. Lei non sembrò per niente convinta della scelta fatta, ma non protestò oltre, perché aveva imparato a far emergere la sua preoccupazione a piccole dosi, e perché era consapevole che né lei né Sasuke erano più bambini.
 
Ma Sasuke sapeva che, appena si fosse preso anche un semplice raffreddore, lei sarebbe stata lì per curarlo.
 
Speriamo di sentire freddo, si disse, uscendo di casa con Sakura e Madara al seguito. Speriamo di prendere il raffreddore il prima possibile.
 
Ma la prima folata di vento che li investì lo contraddisse, e sembrò dirgli “Non sperarci troppo, Uchiha.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Quando rincasò, di sera, dopo aver saltato la cena e dopo aver rifiutato il solito invito di Sakura di mangiare qualcosa a casa sua, - perché villa Uchiha sembrava a due passi, ma in realtà era lontana, e sarebbe finito a cenare alle undici se non si fosse messo a correre – sbatté la porta alle sue spalle subito dopo aver varcato la soglia. La sentì scricchiolare, forse per colpa sua, forse del vento che continuava a soffiare.
 
Sperò che Madara fosse rimasto chiuso fuori, che non avesse nessuna possibilità di andare oltre la porta di legno senza che lui, volontariamente – volontà che non aveva -, gliela aprisse di nuovo, lasciandolo passare. Madara invece era già sul divano, sdraiato, con i capelli neri che facevano quasi da cuscino, e gli dava le spalle.
 
Sasuke si allontanò dalla porta: starci poggiato come a voler far da scudo alla propria casa non aveva più senso adesso che Madara era lì.
 
« Perché ci sei tu? »
 
Chiese. Il tono che aveva avuto in mente era sprezzante – sprezzante di tutto, dei pericoli, delle buone maniere, delle conseguenze -, irriverente. Il tono che aveva usato tutta una vita senza neanche programmarlo, che usciva dalla sua bocca ogni qual volta che l’aria risaliva dai polmoni, un tono per cui non si sforzava. Era il modo di parlare che lo aveva reso spaventoso, e che continuava a renderlo un Sasuke Uchiha troppo diverso da quello che avrebbe voluto diventare.
 
Invece sentì per la prima volta una lagna uscire dalla sua bocca. Era fastidiosa e deprimente, e se si fosse ritrovato ad assistere alla scena, invece che a viverla sulla propria pelle, avrebbe voltato le spalle a tutto, condannando il proprietario di quel tono di voce così supplichevole ai più feroci dolori dell’inferno, che lo avrebbero reso forte e spavaldo, senza più paura di aprir bocca e dire una cosa così patetica, che lo avrebbe reso più come un Uchiha degno di essere chiamato tale.
 
Forse l’ultima volta che aveva usato un tono di voce simile era stata quando aveva supplicato Itachi di insegnargli una nuova tecnica di shuriken.
 
Sakura stessa, mentre lo supplicava di non andarsene, aveva mantenuto più dignità. Forse l’aveva addirittura accresciuta.
 
Il fantasma di Madara rise senza però voltarsi a guardarlo, come se la scena si fosse svolta davanti ai suoi occhi chiusi e sonnacchiosi. 
 
« Perché ci sei tu e non Itachi? » chiese di nuovo, abbandonando ogni tentativo di non sembrare un disperato.
 
« Perché io, ti chiedi. » Madara rise di nuovo, « mi sembra giusto chiederselo. » poi si alzò dalla sua posizione supina prima mettendosi seduto, e poi alzandosi del tutto fino a raggiungerlo vicino alla porta d’ingresso. Madara scosse la testa, divertito, e Sasuke capì che stava pensando quello che poco prima lui stesso aveva pensato: che era patetico, che si stava lagnando. I loro pensieri del resto non erano elaborati dallo stesso cervello?
 
« Itachi ha fatto già abbastanza per te. »
 
Ha ucciso la mia famiglia, era la protesta che avrebbe voluto contrapporre a quell’asserzione, ma poi gli tornarono in mente cose addirittura più importanti di un massacro: mi ha salvato la vita, mi ha protetto, mi ha reso migliore. Mi ha reso un po’ meno Uchiha, un po’ meno cieco davanti alla perdita dell’amore.
 
Di quell’amore che alla fin fine era Itachi stesso, che era Naruto e Kakashi-sensei. Che era Sakura che si preoccupava per un suo futuro mal di gola.
 
« Adesso siamo noi due, Uchiha. »
 
Lui credette di essere molto più di Uchiha. La gente che lo circondava lo aveva reso molto più di Uchiha: lo avevano reso Sasuke.
 
Non lo disse, però.
 
 
 
 
 
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Madara si tolse la maglia e la gettò con prepotenza sulla neve, davanti ai suoi piedi, a dimostrazione e ostentazione che era immune a qualsiasi cosa, a qualsiasi stagione. Prese un respiro profondo allargano le braccia e lasciando che ogni raffica di vento lo travolgesse in pieno petto trascinandosi dietro i primi fiocchi dell’ennesima bufera. Sorrise soddisfatto, lasciandosi cadere sullo strato di neve talmente spesso che avrebbe attutito la caduta. Sempre che Madara potesse davvero cadere come ogni altro essere umano.
 
A vederlo lì, disteso tra il bianco, non sembrava nemmeno così spaventoso.
 
Sasuke lo lasciò perdere e si voltò a guardare la strada in attesa di Sakura.
 
« Non mi guardi nemmeno, Uchiha? »
 
Io mi chiamo Sasuke, si disse per l’ennesima volta, Uchiha è solo un cognome.  
 
Non sentì i suoi passi mentre si avvicinava perché non facevano rumore sulla neve, e non avrebbero potuto far rumore comunque neanche se per terra ci fosse stato lastricato. Quando se lo ritrovò di fianco comunque non si sorprese, nonostante non lo avesse sentito arrivare. Si girò per dare un’occhiata al luogo in cui si era precedentemente sdraiato: non c’era traccia di nessun’altra persona oltre a se stesso sulla coltre di neve.
 
Madara gli si mise di fronte. I suoi capelli erano talmente folti e talmente lunghi che se Sakura fosse comparsa in fondo alla strada non l’avrebbe neanche notata.
 
Lui non aveva nulla indosso, se non quei pantaloni di stoffa che sembravano essere leggeri come carta velina, eppure non c’era pelle d’oca sulle sue braccia, i denti non battevano, il collo non era incastrato tra le spalle sorretto da una schiena irrigidita.
 
« Io non ho freddo. » gi disse, poggiando le mani sui fianchi nudi, come se gli stesse facendo una confessione di grande valore.
 
« Non hai freddo perché sei morto. » rispose monotono.
 
« Oh sì, anche per questo. » Madara fece un altro silenziosissimo passo in avanti, i loro volti che quasi si scontravano, « Ma tu, invece, tu che sei vivo, Uchiha, tu che hai ancora del sangue a scorrerti nelle vene, dimmi un po’: »
 
Sasuke intravide, dietro alla coltre nera di capelli del suo finto interlocutore, una figurina piccola ed esile arrancare lungo la strada innevata, ancora lontanissima.
 
« Non osare ignorarmi. » lo rimproverò Madara, e nonostante con le sue mani inconsistenti non avrebbe potuto torcergli nemmeno un capello, Sasuke recepì violentemente il suo ammonimento, e decise di prestargli attenzione almeno finché Sakura non fosse giunta al luogo dell’incontro.
 
« Tu che sei vivo, » disse nuovamente per riallacciarsi al discorso, « hai freddo? »
 
Sasuke ricevette in pieno volto una ventata gelida. I capelli gli si spostarono al lato del viso e socchiuse gli occhi infastiditi dal vento, e stette in silenzio, sperando che Sakura si affrettasse ad avanzare in mezzo a tutta quella neve.
 
« Tira fuori le mani dalle tasche. » gli suggerì Madara. Non ce n’era bisogno, Sasuke la risposta la sapeva già, e anche Madara. Non sapeva se lo facesse per umiliarlo, o per divertirsi, ma  non aveva importanza.  
 
Si guardò le mani nascoste nelle tasche dei pantaloni blu e lentamente le estrasse.
 
« Hai freddo? » lo incalzò l’altro.
 
Attese un’altra folata di vento, poi un’altra ancora. Aspettò che la neve si intensificasse e tenne le mani ferme, immobili. Attese ancora e ancora, con i minuti intramezzati dalle risate di Madara che a petto nudo continuava a sfidare il gelo. Quando Sakura gli arrivò davanti, prendendogli le mani e sfregandole con le sue coperte dai soliti guanti, Madara si allontanò ridacchiando, silenzioso, con la risposta che aleggiava nell’aria e che entrambi avevano capito.
 
No.
 
 
 
 
 
 
 
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Quando Sakura arrivò di fretta, come convinta di aver fatto tardi a quello che non era nemmeno un appuntamento, lo salutò con vigore capitolandosi in mille scuse senza senso, dicendo che il freddo la intorpidiva, rendeva l’idea di restare a casa sempre più attraente e che le giornate, corte, cortissime, le risultavano sempre uguali.
 
Aveva le mani poggiate sulle ginocchia, leggermente piegate, e respirava affannosamente. Sasuke si chiese se tutta l’aria che respirava lei fosse fredda, se le si stessero ghiacciando la gola, le corde vocali, la laringe, la trachea con tanto di polmoni e bronchi. Perché lui quando respirava non sentiva nulla: l’aria sarebbe potuta essere carica di veleni, o zolfo, o sarebbe potuta essere semplicemente calda, e lui non lo avrebbe sentito.
 
« ...Insomma, un disastro, Sas’ke-kun. Non sai quanti anziani ci sono all’ospedale, hanno bisogno di assistenza. Uno pensa che ad essere ninja l’unica cosa che li può uccidere è un kunai, o un combattimento corpo a corpo, e invece...»
 
Sakura si mise in piedi e sorrise, stirando le braccia e stringendo a pugno le mani coperte dai guanti a manopola.
 
« E invece basta un duro inverno che non si vedeva da cinquant’anni a mettere al tappeto un bel po’ di persone. » concluse lei. Sasuke la guardava in silenzio senza saper replicare e Sakura non sembrava scontenta per una mancanza di risposta. Gli si avvicinò ancora, si alzò sulle punte. Tese le braccia intorno al suo collo ossuto, il giubbotto ingombrante che le impacciava tutti i movimenti, e lo strinse a sé per un lunghissimo istante.
 
Madara restava zitto, più di quanto facesse di solito.
 
Sasuke sentì distintamente qualcosa. Non era freddo, purtroppo, non era neanche una sfumatura di brivido, ma era movimento. Sentì qualcosa muoversi quando lei lo abbracciò. Sentì calore.
 
Gli avevano insegnato che una cosa, per esistere, ha spesso bisogno del suo esatto contrario, che la presenza di uno significa la mancanza dell’altro e viceversa. Che per esistere il caldo doveva per forza esistere il freddo, e che sentire caldo , cioè avere Sakura vicino, avrebbe dovuto significare il gelo appena lei se ne fosse andata.
 
« Sono felice di vederti qui. » gli disse a bassa voce, perché i volti erano così vicini tra loro che non c’era bisogno d’altro se non di quel fievole rumore di fondo, e non poté fare a meno di pensare che così Madara non avrebbe sentito, che sarebbe rimasto fuori dalla sua vita finché Sakura avesse continuato a sussurrare cose solo e solamente a lui. Ma Madara era un’allucinazione, un fantasma, o semplicemente il riflesso di ogni suo pensiero nascosto, e lo sapeva bene che le sue orecchie erano le proprie.
 
« Pensavo che te ne saresti andato, dopo tutto quel ritardo. Chi te lo fa fare di aspettare qui al freddo? » gli disse sciogliendo l’abbraccio e allontanandosi di un passo.
 
Sakura sorrise, tutta rossa in viso, proprio nel momento in cui Madara riacquistò la facoltà di parola.
 
« Oh, povera ragazzina. » disse deridendola, imbronciando le labbra e crucciando le sopracciglia. Sasuke lo guardò con astio incamminandosi dietro a Sakura. La sentì dire di dover passare un attimo a casa di Ino, di dover fare delle commissioni per Tsunade. Madara nel frattempo gli rise alle spalle.
 
« Povera ragazzina, pensa davvero che tu sia stato qui ad aspettarla al freddo! »
 
Sasuke accelerò il passo e raggiunse Sakura proprio mentre la mano di lei stava per raggiungerlo in piena faccia. Lei si scusò dicendo che delle volte mentre parlava gesticolava troppo.
 
« Perché non glielo dici, Uchiha?! » urlò Madara, rimasto stranamente indietro, « Perché non glielo dici che per te averla aspettata tutto quel tempo sotto la neve è stato come rimanere seduto sul divano di casa?! »
 
Si guardò alle spalle per guardare Madara urlare da lontano. Non li stava seguendo.
 
« È stato solo un po’ di calore, non significa nulla! Voi due non significate nulla! Non credere che ti libererai di me! »
 
« Tutto okay, Sas’ke-kun? »
 
Sasuke riportò l’attenzione dei suoi occhi su quella che non era un’allucinazione. Perché il suo abbraccio aveva fatto fermare Madara, e il caldo preannunciava freddo.
 
« Sì. »
 
 
 
 
 
 
 
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« Tra poco arriverà, non è vero? » gli chiese Madara. Il tono di voce era uno di quelli che preannunciava di sapere già la risposta. Nonostante la domanda fosse quasi retorica, Madara avrebbe voluto sentirsi dire, “No, non arriverà”. Sasuke annuì cercando di farlo sembrare un movimento naturale, come quello di chi si sta cantando in testa una canzone e sbadatamente ne segue il ritmo con il corpo senza nemmeno accorgersene.
 
La strada era lunga e bianca, come sempre, ormai da giorni uguale a quello prima. Sakura si sarebbe vista subito, oramai i capelli lunghi sfuggivano a qualsiasi cappello, e il rosa, per quanto chiaro, si sarebbe distinto da quell’ammasso di bianchezza.
 
« Mi chiedo cosa ti spinga a startene qui fermo a sorbire il freddo. » borbottò Madara andando alla ricerca in mezzo alla neve di non sapeva cosa, poi sorrise incrociando il suo sguardo.
« Ah, no, perdonami. » si corresse, alzando le mani in segno di resa come se Sasuke avesse reagito male e lo avesse minacciato. « Mi era dimenticato che gli Uchiha non sentono freddo. »
 
Sasuke si alzò dalla panchina dove era solito sedere con le mani che gli prudevano. Madara lo guardò, mentre il petto nudo ancora resisteva al freddo, e avrebbe resistito sempre, ad ogni inverno, anche al più duro. Gli rubò il posto sulla panchina e poggiò i gomiti sullo schienale, fissandolo col sorriso di chi sa di saperla lunga.
 
« Ho vissuto più di tutti in questo mondo, » riprese a parlare Madara, « e non ho mai sofferto il freddo. »
 
Sasuke gli gettò un’occhiata bieca e credette che Madara fosse un emerito bugiardo, oltre che un fallimento di uomo.
 
Il suo corpo non lo sentiva l’inverno, era vero, Madara aveva ragione su quello. Lo avevano testato giorni addietro, mentre Sakura si attardava e Madara continuava a riempire tutti quei silenzi che per una volta avrebbe voluto rimanessero tali. Le mani non avevano subito alcuno shock nonostante le temperature limitrofe allo zero, e finché non si fosse preso una polmonite o una bronchite, di certo non avrebbe potuto dimostrare di essere diventato normale.
 
Ma Sasuke se lo ricordava bene, il freddo. Non le sentiva sulla pelle, né sulle punte delle dita, ed era spaventoso scoprire di essere diventati insensibili non solo nell’animo, ma anche fisiologicamente -temeva che un giorno avrebbe smesso di sentire la fame, il bisogno di mangiare e bere, quello di dormire anche. Ma nonostante tutte le mancanze che aveva e che lo rendevano a dir poco ridicolo come essere umano, e forse più simile ad un prototipo robotico, Sasuke ne aveva una grandissima e dettagliatissima memoria.
 
Aveva avuto freddo fino ai sette anni, normalmente, come hanno freddo tutti i bambini che non vogliono ammetterlo alla mamma, che altrimenti ficcherebbe loro un maglione addosso e dei calzini di lana ai piedi.
 
Il giorno del massacro aveva scoperto che freddo era una parola limitativa per descrivere ciò che sentiva sulla pelle in quel momento. Gli occhi di sua madre potevano essere definiti freddi, il corpo di suo padre era freddo, la temperatura della casa era fredda. Ma Sasuke dentro era quasi completamente imbevuto di gelo.
 
Poi aveva di nuovo provato un freddo che aveva creduto lo avesse abbandonato per sempre: le mani gli si erano paralizzate per due interi giorni capendo che erano state loro a porre fine alla vita della persona più cara al mondo – Itachi.
 
« Mai, eh? » Sasuke si permise di fare il sarcastico con la sua allucinazione.
 
« Nemmeno quando è morto tuo fratello? »
 
Madara scattò in piedi. Gli fu ad un palmo dal naso in un istante, e se avesse sentito i suoi passi muoversi sulla neve fresca, probabilmente avrebbe atteso quella reazione in posizione di difesa. Ma i passi di Madara continuavano ad essere intangibili, nonostante la rabbia che gli vide negli occhi rossi sembrasse tutta vera.
 
« Ho disimparato a sentire freddo, dopo la morte di Izuna. E quella ragazzina non lo insegnerà di certo a te. »
 
Sakura è una brava insegnante, pensò Sasuke, e io sono uno studente modello.
 
Non gli rispose, non gli prestò più l’attenzione che gli aveva prestato nei giorni precedenti. Madara non lo apprezzò.
 
« Non puoi ignorarmi, Uchiha. »
 
« Mi chiamo Sasuke. » disse infine, sollevato dal fatto che il suo pensiero più costante avesse preso forma.
 
« Ah! Sasuke! » lo schernì l’altro, fingendo di sorprendersi. « Tu stai qui e l’aspetti perché non ti costa nulla, perché tanto il freddo non lo senti. Credi che sia una prova d’amore, la tua? Che starsene seduti ad attendere una persona senza neanche dubitare del suo arrivo dimostri qualcosa? »
 
Madara riprese a ridere e a girargli intorno, lentamente, a piedi scalzi, come un predatore avrebbe fatto con una preda ormai messa alle strette. Sasuke lo intravedeva di continuo con la coda dell’occhio, e quando gli passava di fronte abbassava le palpebre per non scorgerne l’intera figura.
 
« Come può essere? » proruppe Madara. Si fermò dietro alla sua spalla, e credette di percepirne l’alito in realtà inesistente impattare regolarmente sul suo orecchio.

« Cosa potrà mai essere di tanto speciale da far credere a Sasuke Uchiha, » pose enfasi sul suo nome solo per svilirlo, « che basti davvero solo una coperta per scaldarsi, in inverno? »
 
Sasuke cominciò a sentire la mancanza di Sakura nel momento in cui una folata di vento gelido lo investì senza procurargli il minimo brivido. Guardò in fondo alla via che rimaneva ostinatamente vuota.
 
« Guardati, Uchiha: » gli disse posandogli la sua mano intoccabile sulla spalla e avvicinando ancor di più la bocca al suo orecchio. « tu sei un animale a sangue freddo. Non riesci a controllare la tua temperatura corporea, e se rimani per troppo tempo fuori dalle acque putride in cui hai sguazzato per tutta la vita, finisci per morire. »
 
Sasuke sentì il vomito risalire dallo stomaco e senza nessun preavviso gli occhi si sgranarono. Sentì la pelle irrigidirsi e diventare quasi squamosa, e viscida e putrida, come aveva detto Madara. Se le guardò e gli sembrò di intravedere un coloro grigio bluastro invece del solito rosa pallido.
 
« Perché coprirsi? » chiese Madara, quasi come se fosse la cosa più ovvia del mondo. « Perché stendersi una coperta sulle gambe? Il calore ti fa male. »
 
Sasuke si chiese se non avesse ragione, se la sua pelle squamosa e il suo putrido viscidume non avrebbero potuto subire un danno irreparabile se Sakura gli si fosse avvicinata più di quello a cui lui era abituato. Continuava ad aspettarla e lei non si vedeva, e per una volta avrebbe voluto andarsene via come Madara, senza lasciare tracce sulla neve per non far capire a nessuno che era scappato, che il capostipite degli Uchiha aveva avuto la meglio su di lui, che la parte del cervello che proiettava quel Madara mezzo nudo sulla neve aveva preso il sopravvento sull’altra parte.
 
«  L’amore, a noi Uchiha, ha sempre fatto male. »
 
E Sasuke non riuscì a trovare nemmeno un appiglio per contraddirlo.
 
 
 
 
 
 
 
Sakura arrivò prima che lui potesse muovere un passo nella direzione opposta. Non giunse dal fondo della strada come era solita fare, ma arrivò quasi al suo fianco, sbucando da un vicolo laterale. Sasuke non l’aveva nemmeno notata, era stato Madara a dirglielo, sempre con il solito scherno e presunzione. “È arrivata la ragazzina.”, aveva sussurrato.
 
Lei si scusò come sempre, ma quando intravide i suoi occhi ancora leggermente sgranati si stranì.
 
« Va tutto bene, Sas’ke-kun? » chiese apprensiva, posandogli una mano sul braccio, « sembra che tu abbia visto un fantasma. »
 
Sasuke non seppe se arrabbiarsi di più con lei, con la sua ingenuità così poco azzeccata, o col fantasma in questione.
 
« Sì, » sbottò innervosito, facendo un passo in avanti scansando così il braccio dalla presa della mano di Sakura, « andiamocene. »
 
Quella volta Madara li seguì.
 
 
 
 
 
 
 
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« Sai a cosa stavo pensando? » chiese Sakura mentre si attardava davanti alla taverna rimettendosi ben bene il giacchetto, allacciandolo fino all’ultimo bottone e passando subito dopo ai guanti. Sasuke si sentì quasi rammaricato nel riuscire ad immaginare nel dettaglio i pensieri di Madara e non riuscire ad intuire nemmeno il pensiero più semplice di Sakura.
 
« No. » rispose, cogliendo Sakura un po’ di sorpresa mentre si arrotolava la sciarpa al collo. Lei tirò le labbra in un sorriso forzato.
 
« Era una domanda che non aveva bisogno di risposta, Sas’ke-kun. » disse abbassando lo sguardo, mortificata dal suo comportamento più strano del solito negli ultimi giorni.
 
« Stavo pensando di andare al lago. » confessò, forse con meno entusiasmo di quando gli aveva chiesto cosa stesse pensando. Sasuke non ricordava nemmeno che ci fosse un lago nei dintorni di Konoha. Madara invece si voltò verso destra, verso la direzione in cui, presumibilmente, si trovava il lago di cui parlava Sakura. Si chiese come fosse possibile che Madara conoscesse Konoha meglio di lui.
 
« C’è il ghiaccio adesso, al lago. » disse di nuovo Sakura dopo non aver ricevuto alcuna risposta.
 
« Una volta ci andammo, con Kakashi-sensei e Naruto-kun. » prese a camminare all’improvviso, senza invitarlo come al solito a seguirla, o senza indicare con un cenno della testa la direzione in cui si sarebbe avviata di lì a poco. « Era pieno di ninfee. »
 
Sakura sorrise al ricordo delle ninfee, alzando gli occhi al cielo.
 
« Te ne ricordi, Sas’ke-kun? »
 
Si ricordava un Naruto che impattava nell’acqua, urlante, e un Kakashi distratto che se ne stava in disparte a leggere un libro, e una Sakura vagamente felice che sorrideva e rimproverava un po’ tutti. Ma Naruto era caduto malamente in acqua talmente tante volte, e Kakashi leggeva libri in disparte almeno tre quarti del suo tempo libero e non, e Sakura aveva sempre sorriso e rimproverato ad intervalli regolari tutti loro – a lui più sorrisi che rimproveri.
 
Quindi no, non se lo ricordava il giorno del lago, cosa avevano fatto, cosa avevano detto, quante volte Naruto fosse caduto sbadatamente in acqua – magari spinto proprio da lui – e quanti libri Kakashi avesse sfogliato all’ombra di un albero.
 
Non si ricordava nemmeno il sorriso di Sakura che lo invitava ad immergersi un po’ con lei per rilassarsi, sempre che glielo avesse fatto.
 
« Non ricordo. »
 
Sakura annuì gravemente mentre i suoi passi si facevano sempre più lenti e stanchi, quasi non avessero più voglia di andare al lago perché tanto lui non se ne ricordava, e quindi che senso aveva?
 
« È molto più bello adesso, in inverno. » provò a dire un po’ insicura, come quando a dodici anni pesava ogni parola che gli rivolgeva sperando di sembrare il più carina possibile. « Non ci sono le ninfee, certo. » Sakura smise di camminare. « Però è bello. »
 
Madara, rimasto silenzioso per tutto il periodo della camminata, si mise seduto per terra, all’angolo della strada, su un cumolo che sembrava essere più ghiaccio che neve. Sakura si era fermata e lui la imitò poco dopo, guardando nella direzione del famigerato lago e riscoprendosi a malapena curioso di sapere se esistesse davvero o se Sakura se lo fosse inventato solo per costruire un bel ricordo.
 
Lei non alzava nemmeno più lo sguardo, e teneva le mani con i guanti in tasca, come se il freddo fosse aumentato a tal da rendere la lana panna totalmente inefficace nel riscaldarle le mani, così da costringerla a coprirsi ancor di più.
 
« C’è un problema, Sas’ke-kun. » disse rompendo il silenzio. « Che problema c’è? »
 
Sasuke scosse la testa per far finta che lei non avesse pronunciato nessuna parola, per fingere di non dover rispondere, di non dover esternare davvero il famigerato problema. Madara, da per terra, sussurrò un “diglielo” meno impertinente del solito, come se ormai si sentisse la vittoria – su cosa, poi? – talmente in pugno che non valeva la pena sbraitare o arrabbiarsi. Sasuke sospirò profondamente.
 
« Tu non sei fatta per l’inverno, Sakura.»
 
Lei aprì di poco la bocca e poi la richiuse facendo strusciare lentamente i denti sul labbro inferiore. Continuava a non guardarlo, forse non per paura – Sakura probabilmente aveva sempre avuto meno paura di lui. Vide che le mani, strette dai guanti e raccolte dalle tasche, si muovevano freneticamente, cercavano qualcosa da stringere, da stritolare.
 
Sasuke non sapeva immaginarsi una risposta a ciò che le aveva appena detto, e Sakura era sempre stata brava, sì, ad arrabattare risposte a problemi di cui non conosceva la soluzione, almeno ci provava, ed erano plausibili le sue risposte, del tutto credibili, quasi mai ingiustificabili. Era coraggiosa, lei, come Naruto, tenace come Kakashi. Testarda più di lui. Eppure trovare una risposta a quello sembrava impossibile anche per lei.
 
« Ma noi due, » disse invece di scatto, alzando lo sguardo dalla neve e puntandolo sui suoi occhi socchiusi che ormai non si aspettavano più una replica. Sasuke le prestò attenzione. Sakura tirò fuori la mano destra dalla tasca, e con le quattro dita avvolte dalla lana color panna indicò prima lui e poi se stessa. Lo fece più di una volta, per sottolineare il due,  per sottolineare loro. Perché lei pensava che non ci fosse nessuno seduto per terra con lunghi capelli neri.
 
« Ma noi due...» disse di nuovo, senza riuscire a completare la frase.
 
« Ma due cuori innamorati, Sas’ke-kun, due cuori come i nostri,  hanno la capacità di affrontare ogni stagione. »
 
Fu il suo turno di lasciarsi sfuggire la sorpresa dalle labbra. Madara chiese un “Cosa?” perplesso tanto quanto lui. Sakura era così convinta, era così pronta per slanciarsi verso di lui e abbracciarlo di nuovo, per fargli sentire ancora un po’ di caldo, che sarebbe stato un crimine deluderla
 
Ma Madara gli ricordava con la sua sola presenza che era il cuore di un animale a sangue freddo quello che gli batteva nel petto.
 
« Hai detto bene. » le rispose, avviandosi sorprendentemente nella direzione opposta a quella che avevano percorso fino ad allora. Sakura si voltò per continuare a guardarlo ma lui fissava la strada, quella dove c’erano due file di impronte che correvano l’una vicina all’altra, ma che non si sfioravano.
 
« Hai detto proprio bene. » riconfermò, con un tono che però non sembrava per nulla d’accordo con ciò che Sakura aveva detto. Madara gli disse “Bravo”, come se fosse stato il suo cagnolino ammaestrato. Si vergognò di se stesso più di quanto avesse mai fatto in vita sua.
 
Tornò a guardare Sakura mentre i suoi occhi cominciavano pericolosamente a perdere lacrime.
 
« Due. » disse, sprezzante. Madara si alzò in piedi e gli si avvicinò, pronto per seguirlo ovunque lui fosse andato.
 
« Ce ne vogliono due, Sakura, e qui c’è solo il tuo. »
 
 
 
 
 
 
 
« Sta attento in caso tu non sappia nuotare! » gli urlò dietro quando ormai era già ad una decina di metri da lei, mentre ripercorreva passo passo le proprie impronte lasciate sulla neve precedentemente, e mentre Madara, forse per divertirsi o forse per fargli capire chi fosse davvero il duo più potente, camminava su quelle di Sakura, come se in quel modo potesse ricoprirne il ruolo. Era dissacrante, ma non gli aveva detto di smetterla.
 
Si fermò quando la sentì urlare, e Madara sbuffò.
 
« In caso ti venisse voglia di andarci, al lago, stai attento! » disse. Sasuke non capì se fosse stato un invito ad andarci insieme un altro giorno, dopo il fallimento di quel loro primo tentativo, o un modo per dirgli che ci sarebbe dovuto andare da solo. Sakura era così ambigua quando piangeva, non aveva mai capito se fosse felice o meno.
 
« In caso ti venisse in mente di avventurarti sul ghiaccio, stai attento. Non è spesso allo stesso modo in tutti i punti, e il tuo controllo del chakra non è così ottimo. Potresti finire per concentrarne troppo sui piedi e provocare un surriscaldamento delle suole delle scarpe, e il ghiaccio si romperebbe. »
 
Sasuke sorrise ripensando alle corse in cima agli alberi di tanti anni addietro, quando per la prima volta il team 7 si era prestato ad un allenamento riguardante il controllo del chakra. Sakura rimase in silenzio per due minuti e lui si voltò a guardarla, spinto da non sapeva nemmeno cosa. Forse da quell’ammonimento un po’ canzonatorio che però gli sembrava, come sempre, il frutto di un interesse spropositato, di quell’amore spropositato che lui aveva appena avuto l’ardire di rifiutare.
 
Ma non poté farne a meno. Nonostante avesse detto che il suo, di cuore, non era innamorato, non poté fare a meno di voltarsi e vedere se c’era amore nella lacrime di Sakura e nelle sue parole. Perché lo faceva star bene, nonostante tutto.
 
Sakura era rimasta ferma immobile, aveva rinfilato la mano nella tasca e affondava i piedi nella neve.
 
« Il ghiaccio si romperebbe e finiresti nell’acqua gelida. »
 
Sasuke annuì in risposta, mentre Madara diceva “ Dopo questa illuminante lezione di sopravvivenza, possiamo andare? ”
 
Sakura abbassò lo sguardo lontano dieci metri.
 
« Ma tanto tu non senti freddo, no? »
 
Sasuke sentì il cuore rattrappirsi e smettere di battere quando quelle parole lo colpirono in volto come il vento. Lei si voltò e continuò a camminare lungo la sua strada, verso il lago, da sola.
 
Quello che hai appena detto!, avrebbe dovuto urlarle dietro per trattenerla. Quello che hai appena detto mi ha fatto sentire freddo!
 
Ma, come al solito, non fece nulla.
 
 
 
 
 
 
 
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Si allertò quando vide la porta semiaperta. Dall’esterno si intravedeva la luce accesa di qualche lampada.
 
« Probabilmente qualcuno l’ha uccisa. » disse Madara senza troppo entusiasmo, « Lo ringrazio infinitamente. »
 
Si voltò a guardarlo, scrutò il suo volto senza badare al petto nudo ancora spavaldo, ai piedi scalzi ancora non in cancrena. Madara sorrise assottigliando gli occhi.
 
« Una gran liberazione. »
 
Sasuke gli diede di nuovo le spalle, pensando che la fine della guerra, quella era stata una gran liberazione, che la morte di Madara – quello vero –, la morte del mondo come lo aveva conosciuto prima erano stati una gran liberazione. Che i suoi occhi non potessero più vederlo aggirarsi per casa sua, quella sarebbe potuta essere una gran liberazione.
 
Spalancò la porta con la pressione di una mano e Madara lo anticipò all’ingresso.
 
« Dozzinale. » disse subito, dopo un’occhiata talmente breve che a lui non sarebbe bastata neanche per rendersi conto di dove fosse. “Ma che ne sai?” avrebbe voluto domandargli. “La tua casa è stata un campo di battaglia per tutta la vita, che ne sai di come dovrebbe essere?”.
 
Rimase in silenzio solo per timore che qualcuno potesse sentirlo, che Sakura non fosse in realtà uscita ma fosse rientrata solo troppo sbadatamente senza chiudere la porta, e che potesse essere dietro all’angolo del muro maestro ad origliare.  
 
Madara borbottò qualcosa di offensivo su uno specchio.
 
Come fosse la casa di Sakura, Sasuke lo aveva sempre saputo. Lei gliene parlava in continuazione, gliel’aveva descritta minuziosamente anche senza parlare di divani, tavolini da tè e tappeti e di arredamento, senza mai accennare alla metratura o alla divisione degli spazi, o alla luminosità.
 
Eppure quel divano gli sembrava di averlo visto quando Sakura, una volta, gli aveva detto: “Ti vedo stanco, Sas’ke-kun. Dormi la notte? Hai bisogno di riposo.”. E il tavolino da tè che c’era di fronte era esattamente quello che si era sempre immaginato dopo che Sakura gli aveva confessato: “Prima di andare a dormire mi va sempre una bevanda calda. Ti offro qualcosa da bere, Sas’ke-kun?”. Il tappeto invece lo aveva inquadrato con il passare del tempo, ogni qualvolta che Sakura, stanca a fine giornata, diceva: “Non importa dove. Appena arrivo a casa mi sdraio nel primo posto che trovo e mi metto a dormire, fosse anche per terra!”.
 
« Oh, ma che dolce. » disse Madara di colpo – il sarcasmo pungente di chi non sa fare altro che prendere in giro. « Ti sembra di averla già vista. »
 
Sì, era come se l’avesse già vista a grandi linee, come se sapesse esattamente dove fosse il bagno e in quale verso girare la manopola della doccia se avesse avuto bisogno di acqua calda, o quale fosse il cassetto delle posate e quale credenza contenesse i biscotti. Sì, la conosceva bene casa di Sakura perché Sakura nei suoi discorsi la faceva sembrare davvero casa, più di qualsiasi altra cosa.
 
« Che stupido. » borbottò Madara, « con tutti i posti che i tuoi occhi potrebbero vedere, ti riduci ad immaginarti questo? Questo squallore? »
 
« Alzati. »
 
Madara si bloccò ancor prima di essersi seduto del tutto sul divano. Lo guardò divertito, come se lo avesse fatto solo per vedere la sua reazione. Si aiutò con la mano poggiata sul bracciolo per alzarsi, e portò le braccia in aria in segno di resa, tornando poi a vagare per la stanza.
 
Sasuke lo guardò sparire nella zona notte, ma non lo seguì. Scrutò con attenzione il resto della zona giorno soffermandosi sulle tendine arancioni, sul copri divano blu notte, sulle scaffalature della libreria grigie, sui fiori di un immancabile rosa. Sasuke era certo che ci fosse il colore di tutte le persone in quella stanza, il biondo di Tsunade, un po’ diverso da quello di Ino, il nero di Shizune e di Sai, il marrone pigro di Shikamaru, ma prima di concludere un giro di 360° incrociò gli occhi arrabbiati di Sakura, l’unico tocco di verde che ancora non aveva intravisto nella stanza.
 
Si chiese quando, il quell’ultimo periodo, si fosse rimbambito a tal punto da non sentirla nemmeno arrivare, con tanto di buste della spesa in mano di cui invece, in quel momento, sentiva benissimo lo scricchiolare della carta.   
 
Madara fece capolino dalla zona notte dicendo “Oh, che carina”. Si avvicinò loro e indagò bene la situazione.
 
« Sembra che voglia vendicarsi di ciò che le hai detto ieri uccidendoti con la sola forza dello sguardo. Ha imparato più lei da te che tu da lei, a quanto pare. »
 
Poi se ne andò verso il divano e si sedette comodamente, consapevole che Sasuke non avrebbe potuto più dirgli di alzarsi.
 
Lo guardò con odio chiedendosi se Amaterasu avesse potuto bruciare un’allucinazione.
 
« Guardami. » fiatò Sakura. « Guarda me, non qualsiasi cosa ci sia sul divano. »
 
Madara rise divertito, tirato in causa per la prima volta da Sakura. “Non così stupida” blaterò, distendendo le gambe sul tavolino da tè.
 
Sasuke l’accontentò e la guardò. Con quale coraggio lo fece non se lo seppe dire, dato che dopo un solo giorno – a dirla tutta mezza giornata – di solitudine – con Madara – aveva deciso di ritornare sui suoi passi, dopo averla quasi spezzata in due.
 
La rabbia sbiadì dopo poco dagli occhi di Sakura. Lei stringeva la busta della spesa di carta marrone con entrambe le braccia, la teneva all’altezza del  petto come se avesse usato, durante il ritorno dal mercato, anche quel piccolo pacchetto per coprirsi dal freddo. La vide avviarsi verso la cucina, salendo il gradino che la separava dalla sala. Percepì il rumore della busta che veniva accartocciata.
 
« Che ci fai qui? » si sentì chiedere. Sasuke superò un paio di comodini e un vaso di fiori fino a raggiungerla in cucina.
 
« Andiamo al lago. » disse, senza perdersi in giri di parole che non gli si addicevano.
 
I mandarini che Sakura aveva comprato le sfuggirono dalle mani mentre era intenta a sistemarli in una fruttiera, e rotolarono per terra.
 
 
 
 
 
 
 
Avrebbero potuto camminare sulla neve così come si cammina su un pavimento, senza dover affondare dieci centimetri delle proprie gambe per riuscire ad impattare con qualcosa che fosse anche solo vagamente simile al solido di una superficie. Ciò che le suole delle loro scarpe incontravano non era di certo asfalto, ma solo neve compattatasi strato dopo strato a causa delle incessanti nevicate.
 
Sakura barcollò un attimo quando mise male un piede, e Sasuke la recuperò afferrandola per il polso – per la parte del giacchetto che copriva il polso, in realtà – prima di vederla finire per terra.
 
Si chiese di nuovo perché non lo stessero facendo, perché non stessero facendo i ninja, perché non stessero concentrando il chakra sui loro piedi riuscendo così a camminare anche sul primo strato di neve fresca, quasi intangibile.
 
Sakura si aggrappò al suo braccio prima di fare un altro passo maldestro. La vide sorridere al suo fianco mentre osservava come quasi tutti i suoi stivaletti fossero scomparsi sotto la neve.
 
Lei aveva già dimenticato tutto il disguido del giorno precedente, o forse aveva fatto finta di dimenticarsene per non farlo sentire in colpa, o per non starci male lei stessa. Si era domandato di continuo, in quella mezza giornata passata lontana da lei, se sarebbe mai stata in grado di dimenticarsi quel “non sei fatta per l’inverno”, se si sarebbe mai dimenticata che una volta aveva provato a dirgli che insieme potevano funzionare, e che lui le aveva risposto che funziona benissimo anche da solo.
 
Si accorse solo dopo un paio di centinaia di metri che aveva cominciato a seguire lo stesso identico passo di Sakura per non renderle ancor più difficoltoso camminare in mezzo a tutta quella neve. Lei andava lentissima, ogni tanto si fermava per sistemare la sciarpa che scivolava giù da una spalla o per aggiustare il cappello che le scendeva sopra gli occhi.
 
Lo teneva ancora stretto per il braccio con il suo guanto panna.
 
« Fa freddo, » le disse quando vide che la sciarpa le aveva lasciato di nuovo il collo scoperto, « copriti meglio. »
 
Sakura si guardò il decolté un po’ imbarazzata, e con la mano che non teneva agguantato il suo braccio cercò di riacciuffare un’estremità della sciarpa per arrotolarla di nuovo. Sasuke la anticipò prima che lei cadesse nel tentativo di coprirsi e camminare contemporaneamente.
 
« Grazie, Sas’ke-kun. »
 
La voce era un po’ amara, nonostante il rossore delle guance.
 
Forse perché continuava a dirle fa freddo invece di ho freddo.
 
 
 
 
 
 
 
 
Il lago non era dissimile dall’immagine stereotipata di lago che aveva sempre avuto in mente. C’erano, gli aveva detto Sakura durante la camminata, solo due piccoli spazi che potevano essere utilizzati da spiaggia. La poca sabbia che c’era era in compresenza con sassi e ciottoli vari. Tutto il resto delle zone lacustri erano piccoli scogli, con rabarberi, alghe, ranocchie. Tra uno scoglio e un altro, di tanto in tanto, quando questi lasciavano emergere un po’ di terra, si insinuava, ad altezze modeste, qualche salice piangente.
 
Arrivati a destinazione, tutto quello che Sakura gli aveva raccontato sembrava essere stato sommerso da una distesa di ghiaccio. La vide avviarsi verso la lastra senza nemmeno avvertirlo. Era già lì a braccia larghe per cercare di tenersi in equilibrio, senza usare chakra, proprio come sulla neve, senza voler sembrare una ninja esperta.
 
Sakura avrebbe potuto anche ballare su quella lastra di ghiaccio, se avesse voluto. Avrebbe potuto eseguire la più intricata delle piroette senza rendersi conto che era scivoloso, che non era terreno quello che le stava sotto i piedi, eppure sembrava contenta di essere goffa e guardinga, alla ricerca dei punti delicati del ghiaccio. Sasuke fece solo un passo in avanti senza addentrarsi.
 
Ammetterlo era come dare a Madara un’ottima occasione per prenderlo in giro sul serio, ma Sasuke aveva l’insano bisogno di sentirselo chiedere.
 
Voleva che Sakura gli dicesse “Mi raggiungi, Sas’ke-kun? Cadiamo insieme sul ghiaccio?”. Avrebbe voluto essere certo di non aver spento l’ultimo guizzo di vitalità di Sakura con il suo ultimo – ennesimo – rifiuto.
 
« Sas’ke-kun, ma che fai? » disse Sakura alzando il tono di voce per farsi sentire bene.
 
« Non vieni qui anche tu? Pensavo che “andiamo al lago” comprendesse anche te! »
 
Sasuke avrebbe potuto risponderle che andare al lago non significa di certo avventurarsi sul ghiaccio. Ma che bisogno c’era? Sakura lo aveva invitato a raggiungerla.
 
« Sì, bravo, vai a fare il bambino che scivola sul ghiaccio. Siete patetici! » disse Madara, accucciato su uno scoglio. Sasuke era troppo concentrato a non scivolare per prestargli ascolto sul serio, e del resto avrebbe saputo rispondere bene anche a quello. Avrebbe detto: io il bambino l’ho fatto per troppo poco tempo, che male c’è?
 
Sakura rise quando lo vide incerto sulla direzione da prendere.
 
« Da quella parte è più spesso! » lo consigliò lei, indicando un punto alla sua sinistra. Sasuke la raggiunse cautamente, mentre lei si era seduta e, togliendo con la mano – con il guanto – un piccolo strato superficiale di neve depositatosi sulla lastra di ghiaccio, cercava di vedere cosa ci fosse al di sotto. 
 
« È tutto buio qui sotto, non si vede nulla. »
Si sedette al suo fianco stando molto attento a non fare movimenti bruschi. D’un tratto la vide tremare.
 
« Hai freddo. » le disse, come se constatarlo fosse stato come avvolgerle una coperta intorno al corpo. Sakura puntò gli occhi nei suoi, alzando di poco il cappello di nuovo scivolato un po’ troppo sulla fronte. Annuì lentamente senza distogliere lo sguardo, come se avesse altro da dire oltre a quello. Sasuke attese in silenzio. 
 
« Forse io non sarò adatta all’inverno, Sas’ke-kun, » disse senza rendersi conto di aver cambiato argomento. Sasuke abbassò lo sguardo riconoscendo le sue stesse parole sulle labbra di Sakura. Lei prese un respiro profondo quanto il lago. « ma credo che tu non sia adatto a tutte le altre stagioni. »
 
Corrucciò la fronte ancora prima di tornare a guardarla. Sakura sorrise con delicatezza. Sasuke batté ciglia un paio di volte, perplesso. Lei si spostò, percorrendo gattoni quel misero metro che li divideva e gli si sedette di fonte, a gambe incrociate, con le loro ginocchia che cozzavano le une contro le altre.
 
« Se fosse davvero così, se io non fossi adatta all’inverno e tu al resto delle stagioni, forse non sarebbe possibile per noi essere felici. » Sakura allungò le mani verso le sue e Sasuke gliele porse senza remore, mentre lei cominciava a scaldarle piano piano, strusciando i suoi guanti di lana prima sui palmi e poi sui dorsi.
 
« Ma non sono più una bimba, Sas’ke-kun, e tu non sei più un vendicatore. Io sono cresciuta abbastanza da saper distinguere un sogno ad occhi aperti dal reale. »
 
Sasuke si guardò intorno circospetto quando si rese conto di non aver sentito più la voce di Madara da un po’. Non riuscì ad intravederlo.
 
« Che ne puoi sapere tu se ne sono capace o no? » chiese lei di punto in bianco facendosi più determinata, mentre imperterrita continuava a riscaldargli le mani. « Che ne sai se sono in grado di sopportare il freddo? »
 
Sakura cercò di farsi più vicina ma trovò le ginocchia di lui ad impedirle il passaggio. Sasuke si convinse quindi a distendere le gambe e ad allargarle, affinché lei si potesse avvicinare ancora un altro po’.  
 
Lei ne approfittò per sciogliere l’intreccio delle sue stesse gambe, trascinandosi più vicina a lui sulle ginocchia, mentre il sedere era poggiato sui talloni.
 
« Non è stato forse provare un altro tipo di freddo, tutto questo tempo passato senza di te, nonostante l’inverno durasse solo tre mesi l’anno? »
 
Sasuke aprì di poco la bocca, stupendosi di quanto Sakura fosse in grado di spiazzarlo con cose così banali che una volta gli avrebbero causato solo giramenti di testa. Si stupì ancor di più quando si rese conto di quanto Sakura fosse in grado di spazzar via Madara dalla sua vita.
 
« Tu hai sempre detto di non amarmi, come se fosse stata l’unica cosa che sapevi dire senza ombra di dubbio. Lo hai detto anche ieri. » lei abbassò lo sguardo sulle loro mani che si toccavano e si scaldavano.
 
« Ma non può essere anche questo, l’amore? »
 
Sakura stava tremando, ma per una volta non gli sembrò che fosse per il freddo.
 
« Non è anche questo, Sas’ke-kun? Cercare di andare allo stesso passo di qualcun altro per non cadere sulla neve? Camminare alla stessa velocità, e se si potesse, far battere il proprio cuore allo stesso ritmo cardiaco di quello di un’altra persona? Anche se quel ritmo dovesse essere irregolare, anche se le pareti della arterie dovessero lacerarsi da un momento all’altro e quello stesso cuore smettere di battere. »
 
Sakura ansimò un paio di volte prima di premere le labbra l’una contro l’altra per richiudere la bocca e ricominciare a respirare col naso. La neve aveva ricominciato a cadere pochi secondi prima, e già un fiocco si era impigliato sulle ciglia di Sakura. Lei gli si avvicinò ancor di più, il massimo che poteva permettersi, e senza alcun senso logico cominciò a sbottonarsi la giacca. Sasuke ebbe, come unico istinto, quello di andare nel panico.
 
Le donne lui non le aveva mai capite molto, anche perché il tempo per capirle non ce lo aveva avuto, ma spogliarsi nel bel mezzo di un lago ghiacciato con i fiocchi di neve che annunciano bufera per le prossime ore non era da persone furbe.
 
Non riuscì a dirle “Smettila! Ma che stai facendo?”. Aspettò che si togliesse anche il golf e che rimanesse con la sola maglietta di cotone prima di pensare alla possibilità di intervenire. Infine lei si tolse i guanti e poggiò una mano sul proprio cuore e l’altra sul suo. Li sentiva bene, del resto. C’era solo il cotone a separarli, e Sakura li stava auscultando.
 
« Il mio cuore batte al tuo stesso identico ritmo cardiaco, Sas’ke-kun. E non perché il mio voglia farlo per forza, nonostante le controindicazioni, » Sasuke sorrise un po’ sornione pensando che il cuore di Sakura aveva sempre, sempre ignorato le controindicazioni se per tutto quel tempo aveva battuto per lui, « ma perché anche il tuo cuore vuole battere al mio stesso ritmo. »
 
Sakura si alzò all’improvviso rischiando di cadere tanta era stata l’impulsività del gesto. Sasuke continuò a guardarla dal basso per qualche secondo, quasi contento nel vederla un po’ in ansia, un po’ sospesa nel vuoto, come insicura di quello che stava per dire.
 
« Allora dimmi, Sas’ke-kun: non è amore, questo? »
 
 
 
 
 
 
 
 
« Allora ecco dove eravate finiti! »
 
Sasuke distolse lo sguardo da quello di Sakura quando la vide voltarsi verso la riva del lago. Per la prima volta il terzo in comodo non era Madara. Sasuke fece roteare gli occhi: era addirittura peggiore.
 
« Insomma Sakura-chan! Avevi promesso che mi avresti portato i mandarini! »
 
Sakura rise sguaiatamente quando vide Naruto arrancare sul ghiaccio, del tutto scoordinato. Arrivò loro abbastanza vicino da poter intravedere la faccia scocciata di Sasuke, ancora seduto sul ghiaccio.
 
« È inutile che fai quella faccia, bastardo! Sakura-chan l’avevo prenotata io oggi! »
 
Sasuke si alzò in piedi stancamente cercando di non dare inizio ad una rissa sul ghiaccio più fragile che avesse mai visto. Represse quindi il “Intanto si è completamente dimenticata di te” che gli era risalito fino alla punta della lingua.
 
« Scusami Naruto-kun, ma- »
 
« Niente scuse! » disse lui con un tono – palesemente finto - che voleva far credere di non ammettere repliche, incrociando le braccia al petto. Naruto rimaneva comunque visibilmente giocoso.
 
« Lo pagherete caro questo affronto! » concluse, concentrandosi su qualcosa che non era ancora ben chiaro agli altri due membri del team 7.
 
« Cosa diamine sta facendo? » sussurrò Sakura confusa, mentre lo guardava tenere le mani strette a pugno e gli occhi chiusi tanto era lo sforzo.
 
« Non lo so. » le rispose.
 
Naruto non ci impiegò più di una manciata di secondi per sorridere in maniera più che spaventosa. Sakura cominciò a capire qualcosa quando vide il suo compagno di squadra alzare di poco un piede dalla lastra e mantenerlo in quella posizione.
 
« Ha concentrato il chakra nel piede! » Disse Sakura poco prima che l’impatto si compiesse.
 
Tutti e tre finirono in acqua quando il ghiaccio andò in frantumi sotto la pedata di Naruto, e tutti e tre vennero accompagnati dall’odiosissimo grido di “Dattebayoooo!”.
 
Sasuke gelò.
 
 
 
 
 
 
 
°°°
 
 
 
 
 
 
 
Lei camminava come Madara, quel giorno.
 
Forse perché la neve si era un po’ sciolta, o forse perché ci si stava impegnando per non sembrare più goffa come qualche giorno prima, non lo sapeva. Sembrava che sfiorasse quasi la neve, che non la toccasse veramente, come i piedi nudi di Madara erano soliti fare. Sasuke sapeva solamente che c’erano delle piccole e semplici differenze che però la rendevano reale.
 
Sakura era leggera, ma le tracce sul terreno, per quanto poco visibili, le lasciava lo stesso. Sasuke, quando lei lo precedeva nelle passeggiate, ci passava sopra con la sua scarpa per vedere quanto fosse piccola a confronto quella di lei, ma anche quanto fosse consistente.
 
I suoi capelli erano intrigati ed erano veri, e i fiocchi di neve ci si incastravano in mezzo. Quelli di Madara, nonostante il vento e la neve sferzassero addosso anche a lui, erano sempre uguali. Mai scomposti, mai ricoperti di numerosissimi pallini bianchi.
 
Su quelli rosa di Sakura invece, la neve sembrava fermarcisi volentieri: a poco a poco i fiocchi si scioglievano, e rimanevano delle piccole gocce di acqua che sembravano essere rugiada.
 
E cosa poteva diventare l’acqua sui capelli di Sakura se non rugiada?
 
Lei non lo stava nemmeno guardando, sembrava si fosse dimenticata di lui, e se non avesse saputo con certezza che Sakura non sarebbe riuscita a dimenticarselo nemmeno dopo un jutsu capace di far perdere la memoria, avrebbe temuto davvero di essere stato abbandonato.
 
« Ma quanti pensieri scorrono per la tua testa, Uchiha. » intervenne Madara interrompendo il flusso di ragionamenti stranamente più felici del solito. Ci aveva messo un paio di giorni per tornare a dargli fastidio, dopo l’episodio del lago. « Rugiada, eh? » lo schernì.
 
Lui non si voltò a guardarlo. Sakura di tanto in tanto diceva qualcosa su quanto la neve fosse candida, su quanto fosse dura quando si compattava in ghiaccio, e su quanto fosse bella quando stava ancora cadendo.
 
Bastò un solo ed unico avvenimento per far tacere Madara.
 
« Etciu! »
 
Sakura si voltò a guardarlo, i suoi guanti di lana erano pieni di grumi di nevischio. Aveva la bocca aperta sormontata da due occhi sorridenti.
 
« Sas’ke-kun? » chiese curiosa, avvicinandosi a passo di marcia. « Sas’ke-kun, sei stato tu? Hai starnutito tu? »
 
« Ma guardala, » Madara gli si affiancò e incrociò le braccia al petto nudo di sempre. « Guardala, si emoziona per uno starnuto. È più sciocca di quanto pensassi. »
 
Sasuke guardò in alto, non dando risposta alla domanda di Sakura né tantomeno alla lamentela di Madara. Un fiocco di neve gli si adagiò sul volto. Poi un altro, e poco dopo un altro ancora. Chiuse gli occhi e attese che qualcuno gli si posasse sulle palpebre e freddasse per sempre i suoi occhi, in modo da farli diventare ancora più neri di quanto non fossero, mai più rossi. Mai più in grado di creare allucinazioni e mai più in grado di fargli vedere Madara.
 
Quando li riaprì Sakura lo guardava, si era tolta i guanti.
 
« Hai freddo, Sas’ke-kun. »  disse canzonatoria, contenta di poterlo dire. Lei gli prese le mani e gli infilò i suoi imbarazzanti guanti a manopola color panna, che stranamente erano della misura giusta. Sasuke era quasi sicuro che li avesse comprati così esageratamente grandi solo per poterli infilare a lui quando ne avesse avuto bisogno.
 
« A forza di portare solo maglie di cotone, ti è venuto freddo, Sas’ke-kun. »
 
« A me a forza di starla a sentire, è venuto il volta stomaco. »
 
La voce di Madara si affievolì pericolosamente.
 
« Hai freddo anche tu, Sas’ke-kun, io lo sapevo! » lei saltò sul posto un paio di volte tenendo ben strette le sue mani, e rideva a pieni polmoni, come se avesse vinto una scommessa.
 
« Hai freddo! » gli disse di nuovo, incapace di trattenere l’entusiasmo. Sakura si tolse anche il giacchetto e glielo mise sulle spalle.
 
Avrebbe voluto dirle di non scoprirsi così tanto per coprire lui, che morire di freddo per non far morire un’altra persona non aveva senso, era una cosa stupida come lo era lei, ma Sakura lo avrebbe smentito. Si mise meglio il suo cappotto addosso e lasciò che la schiena tenuta rigida si sciogliesse sotto il calore delle piume d’oca.
 
« Ti è venuto il raffreddore. » aggiunse lei, quasi le risultasse impossibile rimanere in silenzio, « Te l’avevo detto, Sas’ke-kun! A forza di- »
 
« A forza di stare con te, Sakura. » la interruppe con prepotenza. Sakura si irrigidì un poco, preoccupata.
 
« A forza di stare con te mi è venuto freddo. »
 
Sasuke si sorprese delle lacrime che comparvero sul volto di Sakura solo perché, per la prima volta, non credeva di aver detto nulla che avesse potuto scatenare una tale reazione. Lei si coprì il volto, asciugandoselo in fretta, e quando tolse le mani da davanti agli occhi fece intravedere a Sasuke un sorriso che non se ne era mai andato.
 
Perché Sakura aveva pensato che quello fosse un modo di dire A forza di stare con te mi è venuto amore.
 
« Allora hai bisogno di calore, Sas’ke-kun. » si permise di dire. Lo affiancò con un paio di passi occupando il posto che fino a poco tempo prima occupava Madara.
 
Sasuke scosse la testa, quasi divertito, senza però impedire ai fiocchi di neve di posarcisi sopra. Altri gli caddero sul naso, altri gli provocarono un brivido lungo tutta la schiena e oltre, tanto che credette che la sua spina dorsale fosse lunga chilometri.
 
Io ho freddo. Si disse Sasuke. Ho freddo, molto, ho freddo da una vita.
 
« Sakura. » disse d’un tratto interrompendo il silenzio. Lei respirava l’aria con più vigore, l’alito che sembrava fumo spirava via dalla sua bocca semiaperta ogni qualche secondo.
 
« Ho fred-»
 
Lei non attese un minuto di più: si alzò sulle punte dei piedi e senza nemmeno aspettare che Sasuke lo ammettesse, senza attendere che ammettesse di avere freddo, di aver bisogno di calore – di aver bisogno di lei – , gli baciò le labbra. Sasuke le strinse i fianchi più per evitare di cadere all’indietro che per una sua necessità.
 
Lei si allontanò poco dopo, rossa in viso ma senza vergogna, le braccia erano ancora attorcigliate intorno al suo collo, e stringevano forte.  
 
« Te l’ho detto, Sas’ke-kun. » poggiò la fronte sulla sua, Sakura. Aveva l’aria stanca di chi è riuscita, dopo millenni di lotta, a riportare in vita l’amore.
 
« Te l’ho detto che due cuori innamorati, hanno la capacità di affrontare ogni stagione. »
 
Madara avrebbe detto qualcosa di offensivo al riguardo, ma non era più lì per dirlo.
 
Madara non disse nulla. Madara sparì.
 
« Due. » disse pensieroso. Sakura annuì con forza.  
 
Sasuke starnutì di nuovo prima che potesse dirle che aveva ragione, che erano in due, solo due quella volta, e che avrebbe funzionato.
 
« Ho freddo. » ammise dunque, mentre cominciava a ricordare cosa significasse avere il raffreddore e cosa significasse avere una persona accanto per curartelo.
 
« Finalmente. »
 
 
 
 
 









Io non so bene cosa dire, ma so che sono davvero felice che questa storia sia riuscita a classificarsi prima, e che ci tengo molto. Quindi la dedico a Flyonclouds che ha indetto questo bellissimo contest, e un po' a tutto il resto del mondo! Spero che vi sia piciuta, per me è stata come un travaglio di ventiquattro ore senza epidurale, come succede in tutti i film che si rispettino! :D

Un bacione a tutti quanti, e grazie a chi la leggerà/recensirà/seguirà/ecc/blablabla!

umavez
  
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