Anime & Manga > Zero no Tsukaima
Ricorda la storia  |      
Autore: fflover89    28/02/2014    1 recensioni
Cosa succederebbe, se ad Halkeghinia arrivassero i cellulari?
"Non appena si sparse la voce che il collegamento fra i due mondi era sì momentaneo e solo grazie alla magia di una singola persona, e che in pratica solo due o tre persone al massimo potevano passare tra i due mondi di volta in volta, gli abitanti dell'accademia chiesero di portare qualsiasi cosa di utile, o semplicemente di dilettevole da quel mondo parallelo da cui avevano ricevuto solo armi e strumenti di guerra. La cosa più utile e dilettevole allo stesso tempo, e che potesse interessare anche al professor Jean, erano alcuni telefoni cellulari molto vecchi e un progettino di ripetitore radio amatoriale a onde corte che aveva scaricato dalla rete."
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louise, Saito
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
FINALMENTE!!! THE ALEX E' TORNATO... A CASA!


E' passato molto tempo dalla mia ultima pubblicazione (che vi invito a leggere, previa lettura dell'introduzione per alcuni motivi) su questo sito, e ovviamente ho avuto altre priorità, prima fra tutte la ricerca di un lavoro, e la ricerca di nuova fonte d'ispirazione: che ho trovato, nientepopòdimenoché nell'universo degli ANIME! Mi sono documentato, riletto alcuni vecchi manga a casa e fatto passare da degli amici con seri problemi di otakuismo le serie più famose e classiche, come Zero No Tsukaima che ho semplicemente adorato, salvo nel finale non proprio convincente dovuto alla prematura morte dell'autore. E allora, ho pensato, perché non scrivere una semplice avventura di quello che potrebbe succedere dopo, di un semplice stralcio di vita quotidiana di Saito e Louise? Se l'introduzione vi ha interessato, e non avete saltato questo mio saluto, vi rimando a fine lettura di questa one-shot!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
         «S-S-S-SAITOOOOOO!!!»
Eccolo là: il classico urlo acuto e ridondante della nobildonna Louise Francoise Le Blanc de la Valliere (e qua ci fermiamo senza aggiungere anche il cognome sul succitato Saito altrimenti risulterebbe fuori un cognome ancora più ridicolmente lungo) che all'accademia di magia hanno ormai tutti imparato a farci l'abitudine. Era come un canto di due piccioncini innamorati: ma alla fine, non lo erano anche loro due?
          «Sì? Ero in corridoio quando ti ho sentita... chiamare.»
Riuscì miracolosamente a non dire "urlare". La vide indicare un mucchio informe di biancheria maschile e soprattutto femminile mista, accumulata sopra una cesta. Non lo guardava negli occhi, e dalla voce che sembrava venire da un crepaccio nel polo nord, l'eroe di Halkeghinia dedusse che era leggermente irritata.
          «... potresti spiegare il motivo di questo ammasso di roba, razza di cane pigro e ingrato?»
Rettifico: piuttosto, era incazzata come una bestia.
          «Dovresti chiedere a Siesta, era il suo turno di lavoro oggi.»
          «No! Non era il suo! Non siamo a casa nostra, ti ricordo! Chi è ospite dell'accademia, deve rispettare le regole dei suoi iscritti! E quindi, tu devi obbedire ai miei ordini, dato che sei ANCHE il mio famiglio!»   
I due eroi, sposati qualche tempo prima in pompa magna in quel di Romalia dal legato pontefice Giulio Cesare, ogni tanto tornavano alla loro prima abitazione con quei muri che trasudavano ancora le sensazioni e i ricordi dei primi tempi vissuti insieme, dello sbocciare del loro amore... e le crepe delle esplosioni volontarie ed involontarie di Louise. In quell'occasione erano stati invitati dal preside per tenere un discorso ai nuovi iscritti, un po' come facevano personaggi illustri nelle università importanti nel mondo di Saito.
          «Ancora questa storia del famiglio a mezzo servizio: Tiffania ti ha chiesto scusa in tutte le lingue conosciute e sconosciute, e poi ancora non ho capito perché devo continuare a occuparmi io del bucato e della cucina, con una bella domestica in casa!»
Ecco, a volte tanto come riusciva a riprendersi in tempo dal dire una fesseria, tante erano le volte che non ricordava che certi aggettivi non andavano messi davanti certi sostantivi.
          «S-S-S-S-aaaaaaaaitoooooo...» soffiò dalla lingua Louise allungando la mano verso la bacchetta.
Alla terza lettera "a" del suo nome, temendo per la vita - e per il mucchio di biancheria - fece di tutto un mucchio, prese coraggio e si lanciò dalla finestra. Fortunatamente era al secondo piano, e l'agilità non gli mancava; l'esplosione lanciata dalla maga del vuoto distrusse gli infissi delle finestre e frantumò i vetri ma il nostro eroe rimase illeso e con un ghigno sul viso per averla scampata, per una volta.
          «E non rientrare se non hai almeno due pentole in mano, hai capito brutto cane da tartufi bolliti!» gli urlò dietro Louise.
Adorava anche la fantasia con cui lo insultava: ma a tutto c'era un limite. Se c'era una cosa che non era proprio in grado di fare era cucinare qualcosa che piacesse a Louise:  troppo grasso o troppo piccante... comunque, la cucina tradizionale giapponese, in cui certamente non eccelleva ma perlomeno un takoyaki o un bento di riso, salmone e okonomiyaki sapeva farlo, non riusciva a incontrare i suoi gusti. Siesta invece era una cuoca fantastica, raramente sbagliava un colpo ed era anche per questo che nonostante non cessasse le avance verso il padrone di casa, Louise la teneva volentieri con se. Era però fin troppo esigente nel pretendere che Saito cucinasse qualcosa che gli piacesse, ma fatto al modo di Siesta. Sarebbe come chiedere a un pittore realista di copiare un quadro impressionista per un appassionato di Raffaello.
Quindi, brontolando contro l'amarezza del mondo pensò di approfittarne per girare nel cortile dell'accademia: era un bel pomeriggio, assolato con qualche batuffolo nuvoloso qua e la. A quell'ora due terzi degli abitanti dell'accademia passeggiavano con il proprio famiglio o con la propria dolce metà, oppure studiava sotto uno degli alberi del lato ovest. Per cui contava di incrociare qualche conoscente, giusto per smorzare il nervoso.
               «Ehi Saito! Problemi con la signora moglie, eh?» sentì chiamare.
               «Ehi Guiche. Lasciamo stare, quando torna qua ritorna ad essere una dittatrice.»
              «Eh, le donne sono fatte così: bisogna dargli almeno una parte di quello che vogliono, senza però lasciarci prevaricare! Così faccio io!»
              «Non mi risulta che i cavalieri delle Ondine si occupassero di giardinaggio...»
Il nobile aveva sopra la divisa un carinissimo grembiule rosa con su ricamati diversi fiori colorati, due guanti da giardinaggio sporchi di terra, e teneva nella destra un paio di cesoie nuove di zecca.
              «... Montmorancy mi ha chiesto di occuparmi della sua parte di serra dell'accademia... dice che così imparo a tagliare i rami secchi delle mie precedenti relazioni.» rispose mogio.
Ed era lui a parlare di come comportarsi con le donne esigenti. A Saito venne voglia di prenderlo in giro:
             «Sai una cosa?»
             «No, cosa?»
             «Sei proprio cariiiiinoo!» rispose effeminato.
             «NOOOOOOOO!!»
Guiche scappò via.
Saito continuò il suo cammino verso la fontana quando incontrò un paio di tet... ehm, un paio di occhi familiari. Era Kirke.
              «Ma ciao, my darling!» salutò sensuale la rossa.
Gli venne incontro a seno sguainato, come una volta la definì la sua spada Derflinger.
              «C-ciao Kirke...»
              «Ti sei fatto di nuovo affidare le mansioni domestiche da quella ingrata di Zero...»
Saito la incenerì con lo sguardo: sapeva che si erano riappacificate, e che probabilmente era solo un errore dato dall'abitudine, ma non riusciva a sopportare che qualcuno chiamasse così la sua Louise. Nemmeno una bella ragazza come Kirke. Era quasi un riflesso condizionato.
              «Ops, scusa tesoro, errore mio. Ecco, puoi farmi "totò" sulla testa se vuoi!»
Detto questo gli prese il polso ma la direzione in cui lo tirava era pericolosamente vicina al petto. Il ragazzo decise di tagliare corto prima che la situazione potesse degenerare, come al solito.
              «Il professore è libero adesso? è da quando sono partito che non lo vedo.»
I due sposini avevano soggiornato qualche tempo nella città di Saito nel nostro mondo, giusto per far conoscere alla ragazza anche i genitori di lui: i quali, dopo un iniziale bugia architettata per millantare il colore di capelli, l'accento sicuramente non giapponese e soprattutto il tipo di atteggiamento e il carattere che ricordava molto lo stile europeo dell'età medioevale, cominciarono ad accettare quella piccola "tsundere" come la tradizione degli anime e dei manga definiva il carattere un po' scorbutico, ma dolce dentro di Louise. Non appena si sparse la voce che il collegamento fra i due mondi era sì momentaneo e solo grazie alla magia di una singola persona, e che in pratica solo due o tre persone al massimo potevano passare tra i due mondi di volta in volta, gli abitanti dell'accademia chiesero di portare qualsiasi cosa di utile, o semplicemente di dilettevole da quel mondo parallelo da cui avevano ricevuto solo armi e strumenti di guerra. La cosa più utile e dilettevole allo stesso tempo, e che potesse interessare anche al professor Jean, erano alcuni telefoni cellulari molto vecchi e un progettino di ripetitore radio amatoriale a onde corte che aveva scaricato dalla rete.
              «Oh, Jean è ancora alle prese con quegli apparecchi strani che gli hai portato... io ancora non ho capito a cosa servono questi ciallulari.»
              «Sono cellulari Kirke, come le cellule.»
              «Come cosa?!»
              «Niente, lascia perdere. Lo trovo nel suo studiolo?»
Kirke gli rispose di sì, aggiungendo che nel caso si fosse sentito frustrato di nuovo dalle angherie di Louise, poteva trovarla in camera sua, qualsiasi ora, terzo piano, secondo corridoio a sinistra. Incontrò il professore a metà strada, che cortesemente gli diede una mano con il cestone di biancheria.
              «Eh, le donne, le donne...» disse con un tono duro, ma con la faccia sorridente.
               «Allora professore, come va?»
Il sensei allargò le braccia a mostrare il tavolo pieno dei progetti scaricati da Saito e alcune cose nuove. Il nostro eroe si stupì nel vedere degli schizzi di tralicci collegati da fili che partivano da lontano fino ad arrivare al muro più esterno dell'accademia. A quanto pare aveva capito che le onde potevano trasmettersi anche grazie all'elettricità, anche se magari avrebbe usato la magia.
              «Molto bene grazie: il prototipo di emettitore di onde telefoniche a onde corte funziona ottimamente. Riesce a coprire distanze di decine di miglia, e gli utenti non si lamentano di cali di segnale. Se i miei calcoli sono esatti, e se tu vorrai portarci altri esemplari, ogni camera dell'accademia avrà un personale telefono inamovibile collegati da un sistema di alberi con corde metalliche...»
             «Ok, ok credo di capire. Basta che non diventi l'imitazione del mio mondo: ci sono fin troppi spazi occupati da tralicci elettrici e telefonici. In grande quantità poi, e solo recentemente hanno detto che fanno male alla salute.»
            «Nell'accademia ci sono solo due esemplari al momento dei tre cellulari esistenti al mondo: uno ce l'ho io e l'altro tua moglie.»
Saito stranì.
            «L-louise?! E chi ha il terzo?» chiese.
La gelosia cominciò a salirgli dritto in gola: lei gli disse che non aveva mai adorato quegli affari del suo mondo, che preferiva parlare di persona personalmente (disse proprio così) con le persone. E se fosse con una persona con cui non poteva per ovvi motivi vedersi di persona personalmente? Che fosse di nuovo quel prelato, ipocrita, dall'orientamento sessuale dubbio di Giulio che tornava alla carica?
             «Sua sorella Eléonore.» rispose con totale naturalezza il sensei.
In qualche modo forse era meglio. O forse no: la famiglia di Louise aveva alla fine accettato il matrimonio della figlia minore con un cavaliere di certo non di nobile stirpe, ma la seconda delle tre sorelle non disdegnava critiche e appunti piuttosto fastidiosi, e aveva sviluppato una capacità di impicciarsi degno di una suocera italiana.
             «Beh, grazie prof. Io ora devo occuparmi di questa roba.»
In modo che così avrebbe discusso con Louise riguardo l'uso inappropriato delle nuove tecnologie, aggiunse mentalmente.
Per raggiungere la fontana dove aveva per diverso tempo lavato la biancheria di Louise, dovette passare per forza davanti la mensa, da cui ne uscì Siesta con un paio di pentolacce incrostate con tanto di coperchi e due spazzolone di crine rigide in mano.
            «Ah! Buon pomeriggio, mio signore.» salutò con un inchino la domestica.
            «Buon po...»
E nient'altro gli uscì dalla bocca. Sembrava una statua votiva intenta a invocare una preghiera. A fermarlo fu un rapidissimo e violentissimo pensiero che gli frenò qualsiasi altra capacità motoria.
            «E-e-era il tuo t-turno di c-corvè, o-ggi?» chiese dopo un imbarazzante pausa con un filo di voce.
            «S-sì... oggi è mercoledì, e ci siamo messi d'accordo con la signora Valliére che fin quando saremmo rimasti qui all'accademia, io avrei lavorato alla biancheria e alla pulizia della mensa i giorni dispari e lei, cioè il signor Saito, di occuparsi del bucato e della cucina personale della signora nei giorni pari...» rispose indietreggiando, con un aria piuttosto spaventata.
Ovviamente, non era a conoscenza di questa particolare situazione vista la loro ospitata all'accademia di magia ma sapeva per certo che quando lui doveva fare qualcosa, era sempre di martedì. Louise l'aveva ingannato!
Nella mente di Saito si intromise prepotente come un invitato a sorpresa la parola "vendetta!". La  sua vulcanica mente iniziò a lavorare: gli ingranaggi del suo cervello scorrevano alla grande e finalmente, vedendo la batteria di pentole che Siesta portava con se, gli venne l'idea.
             «Sai che ti dico Siesta? Andiamo a pulire insieme! Un po' come ai vecchi tempi!» esclamò con un sorrisetto falso.
Alla cameriera non parve vero. Era proprio in quella fontana, ascoltando le lamentele del povero Saito schiavo delle richieste e del dispotismo da nobile di Louise, che aveva provato così tanta affinità per lui, un ragazzo così diverso e, diciamolo, anche più affascinante degli altri. Chissà se quella situazione così simile al passato avrebbe risvegliato... i "sensi" di Saito. Lei si aspettava una situazione un po' romantica, magari con una sorta di aura di imbarazzo fra due, con Saito che avrebbe involontariamente posato lo sguardo sul fisico statuario di Siesta, a cui, sempre magari, sarebbero sopraggiunti rossori in viso, improvvisi calori che avrebbero provocatoriamente scoperto ancor di più le sue curve, e ancora magari, l'aggiunta di qualche romanticheria avrebbe aperto ulteriormente le danze.
Sguardi involontari? Situazione imbarazzante? Romanticherie?  Ma quando mai! Il ragazzo aveva preso l'occorrente e stava lavando a velocità sostenuta tutta la biancheria, con la faccia da invasato e con delle fessure a forma di falce al posto degli occhi; dalla bocca usciva simile ad un rantolo un insieme di parole una dietro l'altra, tra le quali Siesta percepì "vedrai te...", "turno mio, vero?", "cane, eh?". Ed infine, ma a voce più bassa, "Louiseeeeee".
Improvvisamente alzò lo sguardo e fissò negli occhi Siesta.
             «S-sì!» esclamò arrossendo. Nonostante i pensieri coloriti che fece, non si aspettava una reazione così repentina.
             «Siesta.» disse Saito con un tono basso scandendo ogni lettera.
             «Saito...»
Questa volta evitò ogni onorifico. Trovò molto sexy il modo in cui il suo padrone l'aveva chiamata. "Ci siamo!" pensò.   
Improvvisamente Saito allungò con rapidità in avanti le mani e a Siesta balzò il cuore nel petto: chiuse gli occhi e protruse i muscoli della schiena, in modo che le sue rotondità potessero essere a disponibilità del suo amato.
Aspetto un secondo... due.. tre... nessuna stretta, nessun tocco, nemmeno una sfiorata data per sbaglio. Aprì gli occhi.
             «Ti dispiace se li prendo in prestito?» chiese Saito ritornando alla sua solita voce allegra.
Nelle mani aveva due coperchi larghi più del suo viso, ancora leggermente sporchi. Non le aveva forse Louise ordinato di tornare con due pentole? E se era vero che il diavolo faceva le pentole ma non i coperchi, tanto valeva che fosse lui a saperne una più di Satana in persona.
Il rumore del volto di Siesta che crollava si sentì fino all'atrio interno. Rispose di sì, distrutta.
Le lasciò la cesta dei panni da asciugare e si diresse verso l'accademia. Arrivò alla camera di Malicorne. Ordinò di convocare immediatamente a rapporto Reynald, rintracciare Guiche, e i restanti cavalieri delle Ondine. Luogo del raduno, il giardino a lato del dormitorio.
              «Amici, Cavalieri delle Ondine, compatrioti! Sapete una cosa? Io ho un sogno!» iniziò Saito novello Marco Antonio Luther King.
             «Sogno, che in questo mondo ormai liberato dalla minaccia della guerra magica, un giorno i fratelli elfi e i fratelli umani possano stare insieme pacificamente! Sogno, che le differenze interne fra le nostre nazioni, possano crollare sotto il peso della loro stessa insignificanza, e che insieme possano volare in alto! E sogno, la parità dei sessi! Perché non esiste che la donna possa dire all'uomo unicamente i suoi doveri, senza pensare anche al piacere!»
A quest'ultimo sogno, si levò un applauso.
              «E per iniziare questo sogno, ho bisogno di una vostra spinta! Esatto, valorosi cavalieri delle ondine, salvatori di Halkeghinia, uomini di onore come pochi! Usiamo la magia, e questi coperchi, simbolo dell'oppressione femminista per vendicarci delle angherie e delle menzogne delle nostre mogli...! Il tutto però, nel massimo silenzio...» concluse abbassando timoroso la voce.
Il piano era semplice: Saito sarebbe dovuto rimanere in piedi, sostenuto dalle braccia dei due membri più forti della squadra, posti di spalle al muro del dormitorio e schiena contro schiena con un altro gruppo di due, a sua volta aiutato da altri quattro, due al centro e due ai lati. Il primo gruppo avrebbe catapultato il comandante dal basso, in alto e in avanti, coadiuvati dal secondo e dal terzo gruppo che lo avrebbe aiutato a tenere la posizione e la distanza giusta dal muro; in quel momento, Guiche e Malicorne avrebbero lanciato contemporaneamente un incantesimo di levitazione per farlo volare in alto verso la finestra divelta della camera di Saito e Louise e depositarlo delicatamente sul davanzale. Una volta lì, privo di scarpe, sarebbe entrato di soppiatto e avrebbe sorpreso Louise a suon di piatti, scontrando i due coperchi, e nell'evitabile sorpresa che l'avrebbe ammutolita riversarle contro un generoso quantitativo di parole e insulti per l'inganno ricevuto. Uno scherzetto coi fiocchi. L'unico rischio sarebbe stato quello che Louise, in un momento di malinconia fosse affacciata a guardare il tramonto che stava sporcando di arancione la giornata. Vedendolo a mezz'aria, sarebbe stato facile toccarlo leggermente e farlo cadere giù a piombo, con buona pace dell'incantesimo combinato.
Saito prese coraggio, ringraziò la facilità con cui i suoi cavalieri si bevevano il frullato di frasi fatte e discorsi storici che gli sciorinava, e si mise in posizione con un piede sulle mani a coppa di un primo membro e l'altro sulle mani a coppa di un secondo. Dopo un conto alla rovescia di tre, senza nemmeno lasciar sfuggire un urlo per lo sforzo, le due mani che tenevano i piedi senza scarpe di Saito lo sollevarono e lo spinsero su oltre le loro teste, e le loro schiene spinsero quelle del secondo squadrone che sostenute dal basso e da dietro dal gruppo tre, mantennero la loro posizione. Guiche - che nel frattempo si era cambiato - e Malicorne recitarono a voce bassa l'incantesimo e invece di sfracellarsi contro il muro, l'eroe di Halkeghinia cominciò a fluttuare verso l'alto.
La salita era leggermente intermittente, e anche parecchio lenta. Malicorne era un esperto nelle magie del vento, Guiche era pratico di quelle di terra ed evidentemente ciò pesava sull'efficacia dell'incantesimo. "Si rendesse mai utile" pensava Saito. Superò i primi due piani della torre, e vide con sorpresa che ogni traccia di edera era scomparsa, segno di una recente manutenzione. Aveva fatto bene a rinunciare subito all'idea di arrampicarsi o di calarsi dall'alto. Non avrebbe mai funzionato. Arrivato alla prima finestra del secondo piano, vide che era semiaperta. Attraverso l'apertura notò la schiena nuda e magra di una ragazza con i capelli corti azzurro chiaro. Saito lasciò andare un gemito di sorpresa e ciò la fece girare. Era Tabitha, che teneva con entrambe le braccia raccolte al petto un paio di unguenti e un asciugamano, ma il resto del suo corpo era ampiamente visibile. In quel momento, l'incantesimo si bloccò di nuovo. L'incantatrice aprì la finestra e raccolse il suo bastone magico. Il nostro eroe temette per la vita, prima di chiedersi cosa ci facesse lì anche lei all'accademia: le lance di ghiaccio di Tabitha erano letali.
Ma la regina di Gallia non mostrò né segni di imbarazzo né d'ira: aprì la finestra e tocco la testa di Saito.
                  «Toc.» fece con la sua voce atona.
                  «No-no-no-no!» rispose Saito nel tentativo di muoversi in avanti prima di cadere giù.
Riuscì ad attaccarsi miracolosamente al davanzale della finestra. Era piuttosto discostato dal fianco della torre e non poteva puntare i piedi per tornare su. I colleghi maritati delle Ondine che l'avevano aiutato urlano di sconcerto, ma si contennero per non fare ulteriore rumore.
                   «Tabitha, per favore, fammi entrare!» la implorò.
                   «Hai intenzione di entrare in camera mia mentre mi cambio per il bagno?» chiese con lo stesso tono di voce.
Questa volta la risposta di Saito non fu così pronta.
                    «Sì! Cioè, no! Fammi salire!»
                    «Se volevi davvero vedermi nuda bastava bussare...»
Ora aveva dato un leggero tocco erotico alla frase. E per darle seguito, iniziò a posare una per volta le cose che teneva in braccio. Molto lentamente. Saito finalmente capì il perché Louise volesse tornare a Tristein il più raramente possibile. Non c'era posto in cui Saito poteva girare senza essere assalito dalle sue "ammiratrici". A lui non dispiaceva, solo che in quel momento non poteva certo pensare a imbarazzarsi, anche se lo spogliarello che gli stava offrendo l'incantatrice del ghiaccio stava sortendo il suo effetto: solo quando stava per passare all'asciugamano, l'eroe di Halkeghinia decise di fermarla.
                     «Non è come sembra! Devo fare una sorpresa a Louise, ma non posso entrare dal corridoio. Ero diretto alla sua finestra, ma mi sono fermato per puro caso davanti a te! Devo, davvero, andare su.»
Tabitha conosceva bene la fermezza di Saito quando si parlava di Louise. Abbassò il capo delusa. Al cavaliere quasi dispiacque. Nel frattempo era riuscito a issarsi fino alle ginocchia.
                     «I cavalieri salgono sempre sulle torri per raggiungere le loro dame. Sarò lieta di aiutarti.» gli disse improvvisamente con un bel sorriso.
Diresse il bastone verso di lui e con molta delicatezza riprese a volare verso il piano di sopra sulla finestra di Louise. Guardando dal basso, Tabitha lo posò delicatamente sul davanzale, senza alcun rumore. Il suo cavaliere la ringraziò con il pollice.
Saito raccolse le forze e si concentrò: il ricordo dello scontro da solo contro l'esercito mostruoso di Gallia era ancora parzialmente vivo. Accidenti, sembrava passato davvero un secolo. Venne bruciato, picchiato, scaraventato a terra, colpito a morte. Se non fosse stato per Tiffania probabilmente non avrebbe potuto riabbracciare la sua Louise... e non avere rischiato la morte per mano sua subito dopo. Ecco, in questo momento, si sentiva quasi alla stessa maniera: un gesto folle, quasi stupido, fatto per la sua amatissima, da solo contro... ecco, stavolta non era solo contro un esercito agguerrito ma contro la suddetta sua amatissima. Ripensandoci, forse era peggio.
Louise non era al davanzale, non guardava nemmeno dalla parte della finestra, era seduta sul bordo del letto matrimoniale di spalle a Saito. La situazione perfetta: passà per il buco lasciato dall'esplosione, scese senza far rumore sul pavimento, attraversò in punta di piedi lo spazio fra il muro e il letto, e si trovò dietro Louise. Arrivò al punto che pensava potesse essere perfetto per lo scherzo, un punto dove non poteva né vedere la sua ombra grazie all'ora tarda del pomeriggio e né poter percepire la sua presenza. Saito allargò le braccia, cominciò a piegare le spalle quando a un certo punto sentì un suono elettronico orrendo che doveva emulare il "Per Elisa" di Beethoven. Si fermò sconcertato senza capire da dove veniva quel rumore che lì per lì non aveva riconosciuto, quando vide Louise portarsi all'orecchio il cellulare che le aveva regalato il professor Jean.
              «Pronto?» rispose con una dolcezza degna di un impiegata di call center.
Saito si morse il labbro di sotto e si fermò. Imprecò mentalmente, dandosi dell'imbecille per non aver pensato che quell'affare del suo mondo avrebbe potuto complicare ulteriormente le cose. Aveva ragione la regina Henrietta: era valoroso, forte, passionale... ma aveva poco cervello per essere un cavaliere. Quando gli disse questo durante una riunione casuale, ci rimase male ma tutto sommato capì che quella schiettezza poteva voler dire che aveva smaltito la cotta per lui. Ma questa è un altra storia.
             «Sì, sono Louise. Chi è?»
Anche Louise non doveva essere molto sveglia: esistono solo tre apparecchi al mondo, uno l'hai te, l'altro colui che te l'ha dato, e il terzo tua sorella: la uno, la due, o la tre?
Difatti allontanò lontano l'apparecchio dall'orecchio e anche Saito riuscì a sentire la voce arrabbiata di Eléanore gridare "E chi pensi che sia, nanaLouise? Un mostro marino?!"
            «... scusa sorellona. Saito mi ha detto che è così che si risponde al telefono.»
Ah, adesso era pure colpa sua?
            «No, adesso non c'è. L'ho mandato con una scusa a fare una commissione. Aspettavo che chiamassi.»
Dunque era questo il motivo. Tutto sommato poteva capirla, anzi l'arrabbiatura gli passò quasi del tutto. Era da parecchio che non si vedevano dopo tutto, poteva starci che avesse voglia di sentire la sorella da sola.
             «Se Saito cucina? Diciamo che fa da mangiare.»
Dovette trattenersi dall'urlare "cosa?!". Lo disse senza fiatare.
             «Dai, adesso non metterti a discutere sul fatto che eri meglio tu a cucinare per me... ma che c'entra, tu hai avuto l'istruzione per diventare moglie, ma ancora non hai trovato un mari...»
Questa volta Saito non capì nulla del ringhio che si sentì dall'altro capo del telefono. A occhio e croce però si era arrabbiata di nuovo. Louise riprese a voce bassa.
             «... scusa, Eléonore...»
Com'è che quel verbo con lui non le usciva praticamente mai di bocca?
             «Mi chiedi se pulisce per casa? Ma non è un domestico, Eléonore...! Va bene, anche l'uomo deve avere la sua parte nel pulire la casa... diciamo che spolvera.»
Saito fece un espressione da casalinga punta sul vivo, spalancando la bocca e sgranando gli occhi. Quella dannata villa che gli aveva regalato la regina era un dannato ricettacolo di polvere: a passarci sopra la ventola di un aereo, una bomba al napalm e un aspiratutto forse ci rimarrebbero ancora dei granelli di polvere.
             «Saito vuol fare tanto l'uomo che vuole l'ordine in casa, ma si vede che a casa sua ha la pappa pronta e fa tutto la mamma sua.»
Ahia. Qua purtroppo aveva ragione. Inghiottì amaro.
             «Però la polvere a casa nostra è un vero e proprio dilemma. Siesta, la nostra domestica, ci si impegna davvero molto... ma certo che è più brava lei!»
Coalizione femminile tra quelle due? Pensava fosse impossibile. La rabbia cominciò a rimontargli. Soprattutto perché lamentele così precise e argomentate le aveva mai fatte in sua presenza.
             «Se lava la biancheria?» chiese Louise.
Saito fece al vuoto l'inequivocabile gesto del mazzo che si faceva ogni volta che doveva fare il bucato.
             «Beh, non è che viene tutto perfetto... in questo tu eri maestra.» disse con aria di sufficienza.
Avrebbe voluto molto piantarle una padella su quella testolina coperta di capelli rosa. Non viene tutto perfetto?! E lo diceva così con quell'aria? No, ora basta aspettare. Si rimise in posizione, raccolse le forze...
              «Ma tu sbagli a chiamarli difetti. S-s-s-secondo m-me s-s-s-sono p-p-p-p-regi d-di S-s-saito.»
Attenzione: quando Louise balbettava era segno che diceva verità imbarazzanti. Saito fermò di nuovo il colpo.
              «Saito si impegna sempre tanto per me...» disse con una vocina da cerbiatta innamorata. Era quasi melensa.
Però era adorabile. L'eroe di Halkeghinia gongolò come uno scemo e rifilò una linguaccia alla sorellona impicciona.
              «No, non mi interessa quello che fa lui per la casa! C'è la domestica per questo! Anche se spesso è un po' troppo provocante con tutte quelle... quelle... cose, lì, davanti.» aggiungendo, tenendo il cellulare fra la spalla e l'orecchio, un movimento rotondeggiante con le dita delle mani. A Saito venne da ridere ma si contenne. Voleva godersi lo spettacolo di quello che la sua donna diceva quando pensava di non essere ascoltata.
               «Tradirmi lui?! Diciamo che ora non c'è più pericolo.»
Touché di nuovo. Stavolta a rispondere ci mise un pochino di più.
               «Ma io quando torno a casa dall'accademia a fine giornata, trovo l-l-l-l'amore!»
Era pronto a scommettere che era rossa in viso. Il viso di Saito era sorridente e giulivo.
                «L'amore, cioè, non l'amore proprio in senso stretto, ma anche semplice che mi saluta con un bacetto, così...» e diede un bacino all'aria. Il marito ricambiò teneramente cercando di fare il meno rumore possibile. Sembravano due scemi.
                «No Elèonore, è che non capisci che... per me... è... fetto Saito.»
Abbassò di nuovo imbarazzata la voce. Lui si chinò in avanti in attesa che ripetesse.
                «Per me Saito è perfetto!» disse a voce alta distesa.
L'eroe di Halkeghinia alzò trionfante le braccia al cielo, e lo ringraziò per avergli donato una ragazza così. Probabilmente, anzi sicuramente, visto il piccolo problema del suo "tsunderismo" non gliele avrebbe mai dette in faccia queste cose. Era solo la riprova di quanto ci tenesse a lui.
                «... pronto? Pronto Elèonore? Mah, chissà perché non si sente...»
                «Amore!» urlò Saito seguito dal fortissimo clang dei due coperchi.
Louise fece un salto di un metro da seduta. Era completamente stordita e rossa in volto, e il marito ne approfittò per abbracciarla.
                «Ma perché non me lo dici mai a me? Santa fra le donne sei! Grazie Louise! Ti amo tanto, tanto, tanto!» e se la sbaciucchiò tutta.
La maga del vuoto era ancora incapace di parlare e di reagire, in un misto fra il cocente imbarazzo e lo spavento.        Saito cominciò a spingerla verso il letto.
                «E dai, Saito... non...» iniziò Louise.
Nel baciarle il collo notò un paio di macchioline bianche.
                «Cosa sono queste?» chiese.
                «Queste cosa?»
                «Hai delle macchioline... no, sembrano più delle bolle sul collo. Vanno giù per la schiena.»
                «Uh...» fece disgustata.
Saito balzò in piedi.
                «Mettiti immediatamente in pigiama e aspettami a letto. Vado a chiamare un medico.»
                 «Per delle bollicine?»
                 «Esatto. Stai calma, non succederà nulla. Ora vado dal professore. Dove ho messo le scarpe...»
Era agitatissimo: sua madre era medico di malattie infettive, la nonna aiutò a debellare il vaiolo e il colera dalla regione giapponese di Kanto. Aveva il terrore di averla potuta contagiare con una malattia del suo mondo, cosa che era del tutto possibile visto che non era detto che avessero gli stessi anticorpi e lo stesso sistema immunitario.
                  «Le hai dentro la tasca della felpa. Ma sul serio, non ti devi preoccupare così, calmo...»
                  «Ma sono calmo!»
Passeggiava velocemente in lungo e in largo per la stanza e sudava. Uscì. Dopo aver fatto qualche corridoio, incrociò Kirke di nuovo.
                  «Hai cambiato idea sulla mia proposta, darling?» chiese con la sua solita voce sensuale.
                   «Ho assolutamente bisogno del professore. Qui in accademia nessuno si intende di medicina e cure, fate solo magie, come si dice, elementali.»
                   «Jean è uscito, non mi ha detto dove andava.»
Si sentì perso. Aveva davvero paura che potesse succedere qualcosa di brutto. Ora che ci pensava, il sensei non poteva conoscere le malattie del mondo di Saito ma forse vista la sua passata esperienza militare, poteva conoscere le basi mediche per le malattie presenti ad Halkeghinia.
                    «Ha detto che avrebbe portato con se quel ciallulare.»
Stavolta non la corresse, anzi la ringraziò velocemente e ricorse in camera.
Louise era già in pigiama e a letto coperta, con solo le manine che spuntavano e la testa all'altezza degli occhi, stile gattina freddolosa. Forse se Saito l'avesse accarezzata avrebbe iniziato a fare ron ron.
Prese il telefono, si sedette sul bordo del letto a fianco di Louise e chiamò il numero del professore.
                    «Ma sei sicuro che serve...»
                    «Shht!» la zittì Saito.
Il cellulare dava segnale libero.
                    «Ehi, non rispondermi male sai...!» rispose innervosita.
Saito alzò il dito indice per ripetere l'invito al silenzio, ma inavvertitamente glielo mise sulla bocca. Temette per la salute delle sue falangi: mai si era permesso di mettergli un dito addosso in quel modo, tranne per atteggiamenti amorosi. Louise invece stranamente si rabbonì e abbassò lo sguardo. E che succedeva oggi?
                   «Pronto, professore?... come "chi è"? Sono Saito, no?»
Allora era un vizio comune!
                   «Senta, Louise ha sulla pelle delle macchioline bianche: che faccio, devo iniziare a preoccuparmi?»
                   «Ma se lo sei già!» si intromise Louise. Ma nel farlo gli morse il dito.
                   «Ahi!» e se lo portò automaticamente alla bocca.
Il termine "bacio indiretto" si fece strada attraverso il suo raziocinio, ma se ne tenne alla larga.
                   «No, nulla... sì, lo so che non è un medico, ma forse si tratta di una malattia che le ho trasmesso io... come sono queste macchie? Mah, bianche, molto piccole quasi trasparenti... ah, sono delle escrescenze?»
                   «Cosa sono?!»
                   «Hai presente i funghi che vedi sotto gli alberi? Ecco, una roba simile.»
Louise fece un altro verso di disgusto.
                   «Ma a cosa sono dovute?... ah, qualcosa che gli ha fatto male. Ma è una cosa grave... ah, meno male. E che bisogna fare?... molta acqua e frutta. Non ci sono altri rimedi? Non vorrei che le macchie si estendessero... dove le ha di preciso? Mah, sul collo... sulle braccia? Il professore chiede se le hai sulle braccia.»
Louise sì guardò entrambe le braccia di fronte a Saito. Fece di sì con la testa.
                    «Eh sì, ci sono. Sulla schiena? Le hai sulla schiena?» chiese.
                    «E come faccio a saperlo?» fece irritata.
                    «Solleva la veste.»
Saito si stupì per averlo detto così diretto. Voleva correggere il tiro ma Louise lo anticipò:
                   «... cane maniaco...» e si alzò la veste all'altezza del busto dandogli le spalle.
Oltre le bolle, Saito notò delle carinissime mutandine con dei ricami floreali. Non le aveva mai notate, e le aderivano perfettamente sui glutei. Arrossì.
                   «... sì, ci sono. Fino al cu... ehm, fino giù, sotto insomma. Sulle gambe?»
Louise gli porse la gamba destra da brava paziente.
Avere sotto gli occhi a distanza ravvicinata la pelle diafana della sua ragazza gli fece salire ulteriormente il sangue alla testa. La vista di quella gamba snella e morbida gli mozzò il fiato.
                   «... eh sì, ce l'ha, ce l'ha... ce ne ha abbastanza.» rispose in un soffio. Ne approfittò per tastare con mano l'estensione delle bollicine accarezzandole il polpaccio.
                   «Il dottore chiede se le hai anche sul busto...»
Ora, non si sa bene sotto l'influsso di quale pozione amorosa Louise fece quello che fece: Saito pensava che avrebbe tirato con le dita il colletto della sua vestaglia per vedere lei stessa se avesse le vescicole sul busto, invece la prese dagli orli e se la sfilò dalla testa davanti a lui: l'epistassi a fiotto che prese l'eroe di Halkeghinia nel vedere il corpo nudo della sua amata gli fece dare una violenta testata alla spalliera del letto. In quel momento Louise era accecata dai suoi stessi capelli e non capì il perché suo marito si teneva con una mano il naso e con l'altra la nuca, piegato in due.
                   «Oioioioioioioioi.» si lamentava.
                   «Pronto? Pronto? Siete ancora vivi?» chiedeva la voce del sensei dal cellulare.
"Ancora per poco", pensò Saito.
                    «Sì, professore, le ha anche sul... sulle te... sul busto, piccoline ma ce le ha.» deglutì «Senta professore, ma sono contagiose? Non è che se le tocco...» e inconsciamente fece con la mano lo stesso gesto che Louise fece mentre era al telefono con la sorella per identificare le "protuberanze" di Siesta.
                    «No? Bene... no, cioè bene che non sono contagiose. Allo... pro... non... l...sen...» smozzicò le parole Saito. Non aveva ancora detto a nessuno che le comunicazioni potevano cadere improvvisamente. Spense il cellulare e lo lanciò sul mobile.
                    «Allora? Che ha detto?» chiese Louise.
Ora ditemi, chi non resisterebbe e non approfitterebbe di avere la persona amata nuda in un letto in un bel tardo pomeriggio, con un tramonto arancio che fa capolino dalla finestra? Inoltre Saito, si sa, non era certo tipo da resistere alle tentazioni.
Con una mano sola si sfilò la felpa, l'attorcigliò intorno al braccio e lanciò via pure quella.
                    «Ha detto che devi riposarti e che devi prendere un farmaco per bocca...» rispose infilandosi sotto le coperte.
                    «Cos'è un farm...»
La interruppe con le sue labbra.
 
                 
 
 
 
 
 
                    «Signor Saito? Mi servirebbero quei due coperchi che le ho prestato. Signor Saito?» bussò la porta Siesta.
Aspettò qualche secondo, ma non ricevendo risposta, sbuffò e se ne andò via.
Saito e Louise stavano ancora l'uno fra le braccia dell'altro.                   
          
          
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Piaciuta? Qualche consiglio? Pensate che potrei inserire altri contesti autoconclusivi in modo da rendere questa one-shot una raccolta? Ditemelo nei vostri commenti, e grazie per essere arrivati fino in fondo! Alla prossima!
 
                      "It's a kind of magic"
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Zero no Tsukaima / Vai alla pagina dell'autore: fflover89