Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: Liz    24/06/2008    7 recensioni
Scusami, scusami davvero. Se solo fossi stato più forte, lo sarei stato abbastanza per tutt’e due.
E ti prometto, Liliane, ti prometto che un giorno torneremo su quella collina innevata con la mamma. Lei vestirà con quel suo vestito nero, tu giocherai con la bambola e la piccola volpe, e io ti proteggerò come avrei dovuto fare. Ci sdraieremo sotto quella grande quercia e osserveremo dall’alto i ciliegi rosa in fiore, godendo della loro fresca pioggia di petali.
Oh, dai Lily, non dirmi che credi davvero che il paradiso sia in cielo.
Il nostro sarà per sempre quella collina innevata.
Genere: Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Nota dell’autrice

Non chiedetemi come mi è uscita questa ff, non lo so nemmeno io.

So solo che mentre scrivevo le ultime righe mi sono commossa da sola. E so anche che non sono ancora in grado di scrivere in modo da emozionare i lettori, ma spero che qualcosa vi abbia fatto provare.

S’, me ne rendo conto, è davvero triste (e anche strana). Però, come ho già detto, non so come mi è uscito.

Ho scritto le prime due righe e il resto è venuto da solo…

La storia è ispirata alla canzone Violet Hill dei Coldplay, che vi consiglio di ascoltare nella lettura (se vorrete mai leggere). E la ninna nanna che canta Abel alla sua sorellina è This Lullaby dei Queen of the stone age.

Detto questo, vi lascio alla lettura, non aspettandomi molti commenti, anzi. Secondo me rimarrà a quota 0 XD

Quindi, avviso che se non dovesse piacere questa storia sarà cancellata al più presto, dato che non convince nemmeno me.

 

 

 

Our Embrace is only a Dream

 

Fu un lungo e buio dicembre.

C’era la neve, la neve bianca.

 

La neve ricopriva come foglie i rami nudi e contorti dei ciliegi e confondeva il paesaggio desolato col cielo latteo e cinerino.

I rumori del villaggio ormai lontano avevano smesso di farsi sentire appena superata la grande quercia, che dalla collina regnava sugli abitanti e le loro case di legno e sassi.

Ricordo chiaramente come loro ci guardavano dalle finestre ocre e calde, mentre noi di notte congelavamo fuori.

Io ti proteggevo dalle lame del gelo tra le mie piccole braccia livide, che a quel tempo mi sembravano uguali a quelle di un uomo, mentre camminavamo stanchi tra le vie innevate di quel paese. I nostri infantili e fragili piedi sprofondavano di qualche centimetro nella neve e lasciavano dietro di noi chilometri di tracce, le uniche compagne della nostra vita.

Ogni tanto mi fermavo in qualche pozza di luce irrorata dalle finestre e guardavo gli abitanti della casa felici e seduti soddisfatti nelle loro comode poltrone imbottite. Appena notavano i nostri corpicini grigi e gelati, chiudevano dall’interno le tende morbide e la tiepida luce che ci illuminava spariva, inghiottita dall’oscurità dell’inverno.

Allora noi continuavamo a camminare, imprimendo su questa terra ostile altre orme della nostra esistenza.

Dormivamo affamati in qualche vicolo buio, addossati ai muri e ai bidoni della spazzatura, coperti solo dalla pelle e dai logori vestiti

Mentre ci allontanavamo incedendo su per la collina, vedevo quel villaggio andare a fuoco.

Il legno scuro ridotto in polvere, i corpi di quelle persone neri, carbonizzati e privi di particolari riconoscibili, abbandonati nella neve e mangiati dal freddo; le loro anime condannate a vagare eternamente per lande ghiacciate e impervie…

Quelle immagini mi rendevano febbricitante. Era in quei momenti che tu stringevi la mia mano discinta e fredda con la tua leggermente più calda e morbida per il guanto rosso sdrucito che l’avvolgeva.

Mi osservavi con i tuoi, per me indimenticabili, occhi ametista e mi trascinavi lungo la nostra strada.

Erano le uniche occasioni in cui mi guardavi davvero. La maggior parte del tempo, le tue iridi sembravano scrutare oltre il mio corpo, oltre il paesaggio dietro di me, e perdersi in mondi lontani, in cui forse ti vedevi circondata da bei vestiti comodi, pieni di fiocchetti di pizzo candido, mentre servivi il tè a una piccola bambola di porcellana, miniatura perfetta del tuo aspetto infantile.

Mi vedevi, ma non mi guardavi mai.

Anche quando sussurravo il tuo nome, per ricordarmi di non essere solo, tu eri lontana.

Mi disprezzavi, forse?

Tuttavia sentivo la tua minuscola e delicata manina che mi teneva sempre stretto a sé, come a dirmi «Io ci sono, sono qui accanto a te. Proteggimi».

Il tuo passo incideva deciso davanti al mio, e il tuo sguardo era rivolto al paesaggio vuoto dinanzi al tuo viso.

Ogni tanto ti fermavi e riposavi i piccoli stivali rossi con l’imbottitura ormai staccata, ti accovacciavi sulla neve e con le dita ne afferravi un po’; la portavi alle labbra sottili e secche e la lasciavi sciogliersi nella tua bocca affamata: ma era solo un’ eco lontano della tua necessità e del cibo.

Quel giorno non ci fermammo mai: camminammo, camminammo. Attraverso rovi, alberi o pianure deserte. L’importante era di arrivare per la notte nel paese più vicino anche se le sole forze che ci animavano erano i tremiti di freddo e il ruggito della fame.

Interrompemmo il nostro esodo solo una volta: ci sedemmo su grande sasso, ricoperto di ghiaccio e mangiammo le poche bacche trovate sepolte sotto la neve lungo il nostro cammino.

Vedevo le tua guancie pallide e cave tendersi e rilassarsi, mentre il tuo corpo tentava di estrarre il maggior nutrimento possibile da quelle piccole palline dal sapore così vomitevole.

Mi ricordo la sensazione sul palmo della mia mano dei tuoi riccioli biondi, un tempo così curati e lucenti, ora stopposi e sporchi. Mentre ti accarezzavo la testa e ti porgevo due delle mie misere bacche, tu mi sorridesti. La pelle tirata si increspò in piccole pieghe, le tue labbra bianche si distesero in modo innaturale e i tuoi occhi incrostati si socchiusero, lasciando spazio ai solchi neri sotto di essi.

Fu il tuo ultimo sorriso per me, in questa vita.

Nonostante i nostri deboli sforzi, la notte ci raggiunse mentre ancora vagavamo nel bosco. Ma tu decidesti di continuare a camminare comunque: mentre liberavo il sentiero dai rami dei folti alberi sempreverdi ti sentivo trotterellare distrutta dietro di me, aggrapparti al mio maglione verde ormai disfatto. Nelle braccia stringevi dei piccoli rami legnosi, raccolti per il fuoco.

«Moriremo, Abel?»

Mi girai e vidi il tuo viso magro, scavato. L’unica nota di vita erano le luci viola dei tuoi meravigliosi occhi.

«No, Liliane…»

«Ma ci sono i mostri nella foresta…»

Non dimenticherò mai il tuo sguardo innocente e disperato. Mi chinai davanti a te e ti abbracciai; sulle mie braccia scarne sentì che ormai la tua pelle sottile ricopriva solo delle ossa piccole e friabili; sul mio petto di bambino sentì il tuo ventre gonfio e vuoto.

«Tu rimani vicino a me e vedrai che i mostri della foresta staranno lontani»

Ti asciugasti il naso e muovesti leggermente la testa avanti e indietro. Ti presi tra le mie deboli braccia e ti portai fino a una piccola e buia grotta, scavata nella roccia.

Accesi il fuoco e il tuo corpo si attaccò al mio, cercando più calore.

«Ho tanto freddo, Abel»

Ti aggiustai il cappotto rosso slavato e sporco e ti strinsi tra le mie braccia, cullandoti.

«Fratello… ti ricordi la canzone della mamma?»

«Certo. Vuoi che te la canti?»

«Sì… così poi farò dei bei sogni…»

 

Where, where have you been my love?
Where, where can you be?
It's been so long, since the moon has gone.
And what a wreck you've made me.

Mi venne in mente il vestito preferito della mamma, te lo ricordi ancora? Quello nero, con i boccioli rossi e bianchi che ti piacevano tanto e credevi profumassero davvero. Quante volte ci aveva portato a fare le passeggiate per i prati verdi e in fiore in campagna, indossando quel vestito…

 

Are you there over the ocean?
Are you there, up in the sky?
Until the return of my love
This lullaby…

 

Mi resi conto di essere terribilmente stonato. Scusa, se non avevo la voce tranquilla e dolce della mamma.

Forse non sarai riuscita a fare dei bei sogni. Scusami, Liliane.


My Hope is on the horizon
Every face, it's your eyes I can see
I plead, I pray through each night & day
Our Embrace is only a dream.
And as sure as days come from moments
Each hour becomes a life's time
When she'd left, I'd only begun this lullaby.

 

In quella grotta, abbracciato a te, sorellina, piansi come un bambino di 8 anni qual’ero.

Ti sentivo dormire, il tuo flebile e ammalato respiro muoveva regolarmente il tuo corpo ormai quasi morto.

Vidi il fuoco divampare, espandersi, distruggere la nostra bella casa. E vidi nostra madre intrappolata tra il legno infuocato; la vidi urlare disperata di scappare, di fuggire.

Fuggire dove, mamma?

Lei era morta, e con lei eravamo morti pure noi due.

Lo sapevo io; lo sapevi meglio tu, Liliane.

E mentre tu deperivi sempre più, io cosa avrei potuto fare?

Chi avrebbe mai dato un lavoro a un bambino così debole? Chi avrebbe accolto due orfani vagabondi sporchi e affamati?

La verità fu che la mamma ci aveva lasciato soli al mondo. Se fossimo morti con lei, saremmo stati in paradiso a giocare insieme agli angeli, circondati da tepore e senza il bisogno logorante di cibo.

Mi arresi piangendo al tremendo sonno che chiudeva i miei occhi azzurri, che si riaprirono il mattino dopo alle prime luci dell’alba.

Tu dormivi ancora, rannicchiata presso di me.

Per un attimo mi sembrò di non sentire più il tuo respiro. Ti chiamai a lungo, molte volte, con voce spezzata.

Ti presi per le minuscole e ossute spalle e ti agitai debolmente. Solo allora ti svegliasti controvoglia, stropicciando gli stanchi occhi impastati ma ancora così belli.

«Abel, ho fame»

Cominciasti a dire così dopo qualche ora di cammino, e continuasti fino a che questa piccola frase fu l’unica cosa a cui io riuscissi a pensare per parecchio tempo.

Arrivò il pomeriggio ma la foresta sembrava non voler mai diradarsi e mostrare il paese.

«Abel, avevo ragione, moriremo»

Non ti ascoltai, continuai a camminare trascinandoti per la mano che sentivo tremendamente fredda.

«Abel, Abel, moriremo»

«È così Abel, moriremo»

Non volevo darti ascolto. E tu eri la voce della mia coscienza.

«Abel ci siamo persi»

«Sta zitta! Solo perché ci siamo persi non vuol dire che moriremo!»

Non ti diedi attenzione neanche quando cominciasti a piangere; tu, una povera bimba di 5 anni che aveva solo tanta paura.

Le lacrime scesero copiose a lungo, i versi strazianti soppressero tutti i miei pensieri. In quel momento avevo voglia di abbandonarti lì, in mezzo alla foresta, lagnosa e insopportabile.

Tu scusami, Liliane.

E grazie per avermi donato tu l’ultimo mio momento di gioia, quando vidi quella piccola volpe rossa in mezzo ai cespugli di neve.

Tu ti avvicinasti a quel piccolo animale, e ti sentivi finalmente bambina: curiosa, divertita.

Inseguisti la volpe attraverso il bosco, fino a che lei ci condusse finalmente verso la fine degli alberi.

Forse quell’animale era il nostro angelo custode. Forse era Dio, che aveva finalmente pietà di due sue piccole creaturine.

No, non era nulla di tutto ciò.

Perché anche in questo paese la gente ci evitava, quasi schifata.

Anche quella notte dormimmo in un vicolo cieco, ma la mattina tu non ti svegliasti.

Strinsi il tuo piccolo cadavere freddo e grigio tra le mie braccia per giorni, invocando flebilmente il tuo nome.

«Liliane…» «Liliane…» «Liliane…» «Liliane…» «Liliane…» «Liliane…»

Possibile che nessuno abbia sentito quel lamento regolare e straziante?

Lasciai il tuo corpicino spento alle porte del cimitero di quel paese, forse ti avrebbero seppellito.

Ma non mancò molto che anche il mio ebbe bisogno di una sepoltura.

Solo ora capisco tutto, mia dolce Liliane.

E non posso fare altro che scusarmi per tutto il male che t’ho fatto, per tutto il bene che non ti ho saputo dare.

Scusami, scusami davvero. Se solo fossi stato più forte, lo sarei stato abbastanza per tutt’e due.

E ti prometto, Liliane, ti prometto che un giorno torneremo su quella collina innevata con la mamma. Lei vestirà con quel suo vestito nero, tu giocherai con la bambola e la piccola volpe, e io ti proteggerò come avrei dovuto fare. Ci sdraieremo sotto quella grande quercia e osserveremo dall’alto i ciliegi rosa in fiore, godendo della loro fresca pioggia di petali.

Oh, dai Lily, non dirmi che credi davvero che il paradiso sia in cielo.

Il nostro sarà per sempre quella collina innevata.

 

Ho portato la mia amata a Violet Hill

e lì ci siamo seduti sulla neve.

Per tutto il tempo lei è rimasta ferma in silenzio.

   
 
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Liz