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Autore: Lily1013    24/06/2008    8 recensioni
Perchè ci sono cose che devono essere sconfitte, ed altre che invece sarebbe meglio lasciar crescere...
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: André Grandier, Axel von Fersen, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Sick and Tired

Il tuo amore non è onesto

Vivi in un mondo in cui non ascoltavi

E non ti importava

E così galleggio

Galleggiando nell’aria…

(Anastacia – Sick and Tired)

- Come, come hai potuto non dirmi niente? – un tavolino cade in terra, e con esso un vaso, il primo, che si frantuma.

Cerca di mantenere la calma.

- L’ho saputo ieri sera. Tu non sei tornato. Pensavo fosse solo febbre…

- Pensavi? Pensavi? A cosa, esattamente, pensavi? – adesso sta urlando. Lei volta lo sguardo.

Non sa cosa rispondere. Si domanda solo quando la sua vita ha iniziato a prendere questa piega.

- Potevi mandarmi a chiamare, cazzo!

- E dove, negli appartamenti di Sua Maestà? – da quando Sua Maestà viene fuori come una bestemmia dalla sua bocca?

- Fa’ silenzio! – le urla ancora. Si passa una mano sulla faccia, gli riconosce la paura. Non avrebbe mai detto fosse così ipocondriaco.

- Suppongo tu sappia che il dottor Lasonne ti aspetta nel suo studio appena sei libero… - è un sussurro. Lui si ferma dal suo mero tentativo di stracciare una tenda, e la fissa.

Gli occhi diventano rotondi, e la bella espressione di tanti anni prima sembra il ricordo di un sogno infantile.

– Non è detto, ma può essere contagiosa, e noi abbiamo… - si ferma, non perché non abbia qualcosa da dire, ma perché i movimenti di lui le arrivano rallentati, come se stessero provenendo da un’altra dimensione.

Non le brucia il contatto tra la mano di lui e il proprio viso, quanto il duro scontro tra la sua schiena e il muro dietro di lei.

- Contagio? Rischio di averla contagiata? Maledetta!

E giù, un altro manrovescio. Sbatte contro l’ennesimo tavolino della stanza, il secondo vaso che si rompe.

Dovrebbe essere nobile che lui non si stia preoccupando di sé quanto di lei, ma sa anche che il tutto manca di una certa sobrietà.

Eccolo, l’ennesimo attacco. Il sangue che le cola da una spaccatura sul labbro si mischia a quello che viene fuori dalla sua gola.

Lui la guarda come se fosse una lebbrosa sudicia, volta le spalle e va via, correndo.

Tra la tosse e le lacrime, riesce a vedere la figura della nonna planare su di lei.

Arriva fischiettando, nella peggiore imitazione di una spia che ha mai visto fare a qualcuno. Sbuffa, tirandosi il bavero del mantello fin sopra le orecchie, od almeno ci prova.

Fa freddo, e piove.

L’uomo che sta aspettando è magro e dinoccolato, fresco e felice come tutti gli uomini che hanno appena ricevuto un bel servizietto, nonostante tutto il freddo.

Sa che mettersi in questa storia è stata la cosa peggiore che avesse mai potuto fare nella sua vita, ma la morte di Diane aveva fatto di lui un bestione sentimentale, o forse era solo vedere Andrè tutti i giorni a ridurlo così.

- Buonasera, capo. Come va la guardia?

- Andrebbe meglio se tu fossi in orario, una volta tanto.

- Mi dispiace, capo, ma lo sai come vanno a finire certe cose… - gli fa un occhiolino eloquente. Lui gli risponde con un sorriso ed una pacca sulla spalla.

- Smettila di fare il cazzone, Jerome. Non ho tempo stasera di parlare di figa con te. Avanti, dimmi tutto.

- Eh, capo – Jerome guarda a terra, la punta delle scarpe sudice di fango. – Nessuna buona novità. Dice Lucille che sono tre giorni che lui non torna nelle sue stanze, lei continua a perdere peso e non mette il naso fuori da almeno quindici giorni. Lucille ha sentito urla e vasi rotti, ieri mattina, ma non sa nulla. Lei non parla, lui non torna se non per cambiarsi d’abito, e neanche la nonna di Andrè pare che abbia potuto fare qualcosa. La vecchia è andata via nel primo pomeriggio.

Ecco. Sempre peggio. Guarda lontano, verso casa sua. Si sente un tuono.

- Lucille pensa che lei sia malata, Alain.

Jerome non voleva dirlo, ma non si era trattenuto. Dirlo lo aveva liberato da un peso, ma l’espressione che vede passare per un momento sul viso del capo lo fa subito pentire.

O forse, se l’è sognato. In fondo è di Alain che stiamo parlando, non di una donnicciola qualsiasi.

- Grazie, Jerome. Io vado a casa, il mio turno è finito.

- Ma Geràrd porta del rhum fresco!

Ma Alain è già lontano.

  
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